Tesi_The Dock. Brooklyn Heights NYC: Un nuovo Museo della Città.

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The Dock

Brooklyn Heights NYC Un nuovo museo della CittĂ

Diego Fiorenzani


Progetto Diego Fiorenzani Luogo Brooklyn, New York

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The Dock

Brooklyn Heights NYC: Un nuovo museo della CittĂ Brooklyn, New York City

UniversitĂ degli Studi di Firenze DIDA| Scuola di Architettura Laurea magistrale a ciclo unico in architettura anno accademico 2017 - 2018

Relatore Prof. Fabrizio Arrigoni Correlatore Prof. Giovanni Cardinale

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_Indice

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_Abstract

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_Mannahatta

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_Breukelen

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_East River

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_Struttura

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_Progetto

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_Masterplan

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_Museo

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_Biblioteca

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_Particolari tecnologici

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_Riferimenti

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_Bibliografia

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_Ringraziamenti

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A Nonno Carlo

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_Abstract “A hundred times I have thought: New York is a catastrophe, and fifty times: it is a beautiful catastrophe.” Le Corbusier, When the Cathedrals Were White

Difficilmente Giovanni da Verrazzano, quando si aprì ai suoi occhi quel formidabile porto che è la baia di New York, avrebbe mai immaginato che quel luogo incontaminato sarebbe diventato la prima grande metropoli globale, nella quale merci, uomini, sogni e speranze si sarebbero raccolti da ogni angolo del mondo. Nodo principale che conneteva fra loro le due sponde dell’Atlantico ed il cuore del Midwest, ebbe uno sviluppo economico ed industriale travolgente che raggiunse il suo picco negli anni del secondo conflitto mondiale, alimentato da una quantità illimitata di manodopera che dal vecchio continente approdava alle sue coste. Nella seconda metà del XX secolo l’apparato produttivo e logistico subirono la forte terziarizzazione della regione, lasciando vaste aree nel degrado più assoluto, in special modo nei boroughs periferici. Nel corso degli anni c’è stata una riqualificazione ed uno smantellamento di queste aree dismesse, soprattutto a Brooklyn, che ha portato recentemente alla creazione di un parco urbano che va dal Manhattan bridge fino a Cobble Hill, nel quale ogni molo è stato caratterizzato con una specifica funzione all’interno di un percorso verde lineare affacciato sull’Est River ed è questo il contesto in cui si sviluppa il progetto. Il lotto in questione è il primo molo a partire dal ponte di Brooklyn, un luogo con un eccezionale vista su Lower Manhattan che ha portato alla progettazione di un complesso il cui elemento cardine sia un museo della Città per la Città. Un edificio che possa contenere la storia, l’arte ed il pensiero che ha prodotto la metropoli ma che al contempo non tolga mai lo sguardo da l’opera d’arte in se: New York City 8


Morfologicamente il progetto è composto di due elementi principali, il museo e la biblioteca, i quali essedo divaricati, formano un’ampia scalinata affacciata sulla Downtown. Questa collega il piano di Furman Street ad un piano più basso dove è posto l’ingresso del museo, a contatto con il mare e le orme di un vecchio molo. Da quel livello parte poi un piano inclinato che va a collegarsi con il livello superiore da cui è possibile accedere alla grande gradonata che guarda Manhattan o con il parco, affacciato sul ponte di Brooklyn, dal quale si può accedere alla biblioteca.

Lower Manhattan from Brooklyn, 1909 - Artstor Digital Library

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_Abstract “A hundred times I have thought: New York is a catastrophe, and fifty times: it is a beautiful catastrophe.” Le Corbusier, When the Cathedrals Were White

When that formidable harbour that is the bay of New York disclosed to his eyes, Giovanni da Verrazzano hardly would have ever imagined that that pristine landscape would have been the first great global metropolis, where goods, people, dreams and hopes would have gathered from all corners of the world. Being the main node connecting the two shore of the Atlantic and hearth of the Midwest, it had an overwhelming industrial and economic growth, reaching its peak during the years of the second world war, powered by an unlimited quantity of workforce coming from the old continent. In the second half of the XX century, the productive and logistic structures suffered the huge tertiarization of the region leaving large areas in the absolute degradation, particularly in the outer boroughs. Over the years there was a urban renewal and a dismantling of this decommissioned areas, especially in Brooklyn, leading the construction of an urban park which extends from the Manhattan Bridge to Cobble Hill, characterising each pier with a specific function inside a linear route on the East River and this is the context where the project takes place. The lot it’s the first dock starting from the Brooklyn Bridge, a site with an exceptional view on Lower Manhattan resulting in the design of a complex whose main element is a Museum of the City for the City itself. A building that it may contain the history, the art and the philosophy produced by the metropolis but at the same time doesn’t take off the eyes from the piece of art itself: New York City

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Morphologically the project consists in two main elements, the museum and the library, which being apart form a large stairway looking on the Downtown, connecting the level of Furman Street with a lower one where the museum’s entrance is in contact with the sea and the ruins of the old pier. From that level an inclined plane connects the upper level, from there is possible to get into the terraced steps, overlooking Manhattan, or the park, facing the Brooklyn Bridge, where is located the access to the library.

New York City Downtown,1930 - New York Photos

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_Mannahatta

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Ventiquattro dollari, questo si dice sia stato il prezzo che pagarono gli olandesi ai nativi in cambio dell’isola “dalle molte colline”, un paradiso di quasi sessanta chilometri quadrati che conteneva a quel tempo più nicchie ecologiche per acro di Yellowstone, più piante autoctone dello Yosemite e più uccelli delle Great Smoky Mountains. Un mito fondativo che si basa su una delle più grandi speculazione della storia, un preludio per quella che sarà la città scelta dal capitale come sua sede naturale, simulacro dello spirito dell’età della macchina, così cartesiana nelle sue linee essenziali quanto caotica nel suo sviluppo. Come per Roma, che scelse il fratricidio per giustificare la sete di gloria ed i peccati di sangue, New York non poteva che scegliere una truffa a giustificazione dei suoi pregi e dei suoi difetti, anche se nella realtà quei 60 fiorini pagati dai coloni valevano oltre mille dollari e gli indiani che li ricevettero non abitavano neanche sull’isola ma erano di passaggio. Anche la fondazione dell’insediamento ha già in nuce quella che sarà lo sviluppo della città; finanziata e promossa da quella che è di fatto una compagnia privata, viene progettata in modo ideale nei Paesi Bassi per poi essere applicata sulla realtà del territorio una volta attraversato l’oceano, il popolo famoso creare terreni artificiali strappandoli al mare sarà quello che pianterà il seme di quel gigantesco scacchiere sintetico che sarà la città di New York.

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Per il primo secolo della sua storia lo sviluppo urbano fu abbastanza lento, limitandosi a Lower Manhattan. Alla fine della guerra d’indipendenza americana New York era un centro urbano di 32 mila abitanti, un numero considerevole per una città del nuovo mondo ma poco rilevante nel panorama internazionale. Per quattro anni ospitò il congresso degli Stati Uniti diventandone per quel breve lasso di tempo capitale de facto, ma si dovrà aspettare il 1811 per giungere alla svolta epocale per la storia della città Questa si può considerare quasi se fosse una seconda fondazione, a quella data risale infatti il piano urbanistico di Morris, Rutherford e DeWitt che divide con precisione cartesiana tutti i terreni non edificati dell’isola di Manhattan in 2028 isolati, delimitati da 12 avenue in direzione nord-sud e 156 strade in direzione est-ovest. Una grande griglia per gli autori e per le autorità cittadine avrebbe favorito l’acquisto, la vendita ed il miglioramento dei beni immobili, secondo un principio di utilitarismo puro, per il quale qualsiasi altra forma avrebbe inficiato lo sfruttamento totale dello spazio. Si diceva infatti che “cerchi, ovali e stelle abbelliscono una pianta” ma “una città è composta principalmente dalle abitazioni degli uomini, e le case con le facciate lisce e gli angoli retti sono le più economiche da costruire e le più comode in cui vivere”. La griglia è una speculazione intellettuale, indifferente alla topografia, è l’idea platonica che si confronta con la materia e la plasma a sua immagine e somiglianza, rivendicando la superiorità della costruzione mentale sulla realtà. La più pura astrazione al servizio di un categorico pragmatismo, che va a formare un numero finito di isolati sono teoricamente tutti identici, rigidi bidimensionalmente ma con la libertà più assoluta nella terza dimensione. Una specie di metafora dell’american dream, dove ognuno parte dagli stessi presupposti ma sta al singolo riuscire ad ergersi sulla massa

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Fig 2 - Vista di 2nd Avenue dalla 42esima strada, 1861

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Di certo la griglia non è un elemento nuovo all’urbanistica, anzi, se si eccettuano la civiltà medievale europea e quella araba è più una regola che un’eccezione, la particolarità piuttosto risiede nella sua pedissequa applicazione derivante dalla posizione geografica felice che permette di avere aria pulita dai bracci di mare che la circondano senza necessità di grandi spazi aperti. Non ci fu perciò molta attenzione per piazze o parchi pubblici nel Commissioners’ Plan, benché la legge li prevedesse. Venne sottostimata dai progettisti la crescita della popolazione ma anche la prolificazione di tutte quelle strutture industriali e commerciali che bloccarono l’accesso dei Newyorkesi all’Est River e all’Hudson, i cui waterfront avrebbero dovuto sopperire alla mancanza di spazi pubblici ed aperti. Infatti pochi anni dopo, l’incessante crescita degli abitanti ed il continuo flusso degli investimenti portò ad una frenesia costruttiva che preoccupò anche i più puritani sostenitori dello scacchiere urbanizzato, tanto che nel 1850 vengono varati piani urgenti per la conservazione delle aree libere destinandole a parchi. Comincia a concretizzarsi l’idea di un grande parco urbano che possa preservare la natura arcadica dell’isola prima che gli spianamenti ed i riempimenti la omogenizzino in un’unica grande griglia urbanizzata. Vengono così acquistati dopo pochi anni i terreni delimitati dalla fifth e la eight avenue e dalla 59th e la 110th strada (circa 280 ettari) sottraendoli alla furia costruttrice che stava imperversando sull’isola e devolvendoli ai cittadini come luogo di svago nella natura. I principali modelli presi in considerazione furono l’Hyde Park di Londra ed il Bois di Boulogne di Parigi, a rimarcare la volontà di imporsi nel panorama internazionale alla pari delle grandi città europee, furono anche d’ispirazione anche i vari cimiteri monumentali degli Stati Uniti come il Mount Auburn nel Massachusetts od il Green-wood di Brooklyn.

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L’area fu acquistata per 5 milioni di dollari dell’epoca, una cifra esorbitante, tre volte di più di quanto pensavano potesse costare la costruzione dell’intero parco, che invece toccò i 14 milioni. Oltretutto quella zona non libera ma era abitata da diversi villaggi di immigrati tedeschi o irlandesi ma anche di liberi afro-americani (uno dei più famosi era Seneca village) che vennero sgombrati anche con l’uso della forza. Non si deve perciò pensare che questa operazione sia stata meramente conservativa, tutt’altro, il paesaggio naturale è di fatto una scenografia artificiale, fatta dall’uomo esattamente come quello costruito circostante, una caratteristica dei giardini all’inglese qui sublimata all’ennesima potenza. Calzante è la definizione che ne dà Koolhaas: “Central Park è un Tappeto Arcadico sintetico”.

Fig 3 - Vista dall’alto di Central Park

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Fig. 4 Stampa d’epoca del Woolworth Building

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Sì continuò a costruire senza sosta, pian piano sempre più lotti venivano edificati anche se si trattava di edifici essenzialmente bassi, visto che le scale erano l’unico mezzo per raggiungere i piani superiori. Bisognerà aspettare il 1870 affinché Otis nella sua celebre esibizione durante l’espozione universale di New York, sveli al mondo la sua invezione, l’ascensore, che sarà destinato a sconvolgere per sempre lo skyline della città, ponendo come unica frontiera quella del cielo. L’unica regola da dover rispettare era l’isolato oltre il quale non ci si poteva espandere, fissando in pianta i limiti teorici dell’edificio ma lasciando campo alla moltiplicazione del lotto data dai piani di questo. Moltiplicare la superficie in pianta con il solo limite della volta celeste significava moltiplicare i guadagni e frotte di investitori in una sorta di frenesia immobiliare si gettarono sui lotti più appetibili, demolendo e ricostruendo, sempre più in alto e sempre più in grande. In certe aree, come in quella di Lower Manhattan, si creò una congestione tale che si dovette mettere mano alla legge urbanistica, visto che questi nuovi edifici, essendo così imponenti e ravvicinati, sottraevano luce e aria da quelli più bassi facendone crollare i canoni di affitto. Fu così istituita la “Commission on Building Districts and Restrictions” che produsse la famosa Zoning Law del 1916. La normativa era piuttosto semplice, si assumeva il Woolworth Building come regola. L’edificio può moltiplicare il proprio lotto in toto fino ad una certa altezza, dopodiché dovrà indietreggiare ripetto ai confini della proprietà con una data inclinazione che permetta alla luce di passare, dando poi la possibilità di estrudere il 25% del proprio lotto fino ad un’altezza indeterminata, limitata solamente dalla disponibilità di fondi e dal progresso tecnologico.

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Probabilmente non è mai esistita al mondo una legge urbanistica che da sola abbia saputo influenzare così a fondo il dibattito nell’architettura e la cultura popolare. Si può considerare un manifesto architettonico in sé, visto che, combinato alla rigidità della maglia viaria, ha determinato la forma del classico grattacielo newyorkese. Il meccanismo che si innesca è semplice, visto che la moltiplicazione del lotto ha dei limiti e solo un quarto di esso può essere moltiplicato senza limitazioni, i costruttori e gli investitori cercano di accaparrarsi il massimo della superficie possibile, ovvero l’isolato, in modo da massimizzare i guadagni andando quanto più in alto i loro mezzi permettano. La combinazione griglia e zoning law crea un numero di episodi predeterminato, una serie di gusci fantasma che sorgono in ogni isolato, all’interno dei quali c’è già il seme dell’edificio nelle sue linee essenziali. I disegni del delineatore Hugh Ferriss ne sono l’esempio migliore. Il suo lavoro era “visualizzare” il volume massimo individuato dalla legge del 1916 in base al lotto a disposizione, dopo di che le parti troppo strette, non sfruttabili od indisiderate venivano pian piano tolte fino a lasciare una bozza di grattacielo sulla quale gli architetti e gli ingegneri dovevano lavorare. Un pilota automatico dunque, quasi una sorta di mano invisibile di smithiana memoria, mosso solamente dalla speculazione finanziaria, dai vincoli legislativi e dallo scacchiere della matrice urbanistica. Paradossalmente l’unico elemento naturale che ha avuto un peso nello sviluppo urbano della città è anch’esso invisibile, si tratta del “bedrock” di scisto dell’isola. Se la topografia non è stata un problema, visto l’intensa opera dell’uomo che ha portato “l’isola della molte colline” a diventare un gigantesco scacchiere urbano, poco si poteva fare per migliorare la qualità del terreno su cui sarebbero dovuti sorgere gli edifici più alti. Se si guarda allo skyline di Manhattan si può vedere una

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Fig. 5 Illustrazione di Hugh Ferriss del volume massimo di un edificio secondo la zoning law del 1916

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concentrazione di grattacieli nella zona di Midtown ed in quella della Downtown, come per esempio il Chrysler Building, l’Empire State ed il Rockefeller Center. Lì infatti ci sono gli affioramenti di questo letto scistoso,i quali fanno in modo che ci siano delle solide basi su cui gettare le fondazioni. Il grattacielo diventò il simbolo dell’età della macchina, l’edificio che rappresentava al meglio lo spirito dell’epoca, facendo sì che New York diventasse di diritto la capitale della modernità, ma la cosa curiosa è che la città non voleva essere affatto moderna, o almeno non nei termini in cui lo intendevano gli europei dell’epoca. Pur con una sovrabbondanza di mezzi e tecnologia gli architetti ed i costruttori americani per molto tempo continuarono ad appiccicare a mostri tecnologici in acciaio applique architettoniche, una volta classicheggianti, un’altra gotiche, un’altra ancora art decò, cercando di colmare quel vuoto storico da colonia che inconsciamente li tormentava. Si arrivò al punto che mentre da una parte dell’Atlantico lastre in granito appositamente scolpite con motivi classici venivano montate su gigantesche torri in acciaio e cemento, dall’altra, nella Russia post-rivoluzionaria, edifici in legno e mattoni venivano intonacati e dipinti per simulare proprio il ferro ed il calcestruzzo, simboli della modernità e del progresso. Non è un caso se El Lissitzky, nel momento massimo del fervore artistico dell’Unione Sovietica, prese il simbolo del progresso materiale e del capitalismo americano, lo pose in orizzontale, come l’ideale società comunista, creando quegli edifici che chiamò “Wolkenbügel” ovvero “Staffe delle nuvole”. Anche nel resto d’Europa c’era uno strano sentimento di amore ed odio per la città americana, da una parte se ne ammirava la meraviglia tecnica dall’altra se ne criticava la mancanza di fondazione teorica. Uno dei migliori esempi è Le Corbusier. Il padre del modernismo e della macchina per abitare non espresse Fig. 6 Operai su uno dei gargoyle del Chrysler Building 26


mai grandi lodi per l’architettura di Manhattan, ammirava sicuramente la qualità tecnica, ma per lui era ancora un frutto acerbo, “la prima fase esplosiva di un nuovo medioevo” tanto che l’attacca ferocemente mentre cerca di argomentare i vantaggi della sua città ideale, la Ville Radieuse. Le sue principali critiche erano due, la piccolezza dei grattacieli ed il loro sovraffollamento, questo non permetteva di avere abbastanza luce ed aria, riservati solamente ad i piani più alti, oltre a portare al paradosso che la città più moderna del mondo non fondava la sua esistenza sull’automobile ma sul “medievale” pedone. La congestione della grande mela per lui era un problema, un male da estirpare, annientato nella sua mente dal suo grattacielo cartesiano, isolato nel verde ed immerso nella luce, senza capire quanto sia stata fondamentale per lo sviluppo economico e sociale della città.

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Da questo punto di vista potremmo considerare la Ville Radieuse o il plan Voisin delle anti-Manhattan, la grande mela nella mente dell’architetto è stata dissezionata, sterilizzata e ricomposta secondo i rigidi dettami della logica del primo movimento moderno. La grande stagione di New York cominciò a concludersi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, ovviamente non fu una fine brusca, piuttosto il passaggio dall’apogeo ad una fase di transizione e di ripensamento, senza più quella freschezza e prorompenza che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Intono agli anni ’60 aveva preso corpo una sorta di disagio estetico, specchio dell’indeterminatezza fra modernità e postmodernità, la città comincia a dubitare di non essere bella; si interroga sulla propria storia e sull’opportunità di salvaguardare i segni residui, sull’ambiente naturale, sulle sue connotazioni e sulla relazione con l’ambiente urbano. Comincia a farsi delle domande sui quartieri urbani a misura d’uomo dall’aspetto duraturo e sull’opportunità o meno di insistere su “mostri metropolitani” come erano state le Twin Towers od il Rockefeller Center. Quest’aria di ripensamento dell’ambiente urbano porterà alla creazione di una “Mayor task force” per l’urban design. Da questo nuovo atteggiamento scaturirà, fra le altre iniziative, la grande opera di riqualificazione della zona sudoccidentale di Lower Manhattan con la creazione del nuovo quartiere di Battery Park City, strappato letteralmente al mare, grazie all’interramento dei moli con il materiale di scavo prodotto dai lavori per le fondazioni del World Trade Center. In generale da qui in avanti verrà posta una sempre maggiore attenzione al tema degli spazi pubblici come luogo di aggregazione e di identificazione che genereranno interventi come il Brooklyn Bridge Park o il South Street Seaport, cercando di affrancarsi dalla logica che ha guidato lo sviluppo della città nel suo momento di massimo splendore, ma che aveva al suo interno tutta una serie di limiti.

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Fig. 7 Interramento dei moli sull’Hudson prima della costruzione del quartiere di Battery Park City


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_Breukelen

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Fig 8 - Mappa della “Town” di Brooklyn tra l’anno 1766 e 1767 32


Era il 1646 quando la Compagnia delle Indie Occidentali Olandesi fondava sulla punta estrema di Long Island il villaggio di Breuckleen, così chiamato in onore dell’omonima cittadina nei dintorni di Utrecht. Non si trattava del primo insediamento da parte dei Paesi Bassi nella zona, la colonizzazione era già partita nel 1624 sulla vicina Governors Island, al tempo Noten Eylandt, poco dopo la concessione da parte delle Repubblica delle Province Unite del monopolio sui commerci con i territori del nuovo mondo. Prima di quella data, benché la regione fosse già reclamata dagli olandesi sin dal 1614, v’erano solamente commercianti privati e le leggi in vigore non erano quelle Sette Province ma quelle del mare. Il paesaggio all’epoca era molto diverso da quello a cui siamo abituati a vedere od ad immaginare, sia l’Isola di Manhattan che i suoi dintorni erano coperti da foreste vergini, con alcune fattorie che punteggiavano la campagna libera dai boschi, ma essendo il commercio di pellicce un florido affare, i coloni inizialmente preferirono impegnarsi in questa attività piuttosto che dedicarsi all’agricoltura o all’allevamento. La penetrazione sui territori di Long Island fu perciò lenta, visto anche il braccio di mare che la separa dall’insediamento fortificato di New Amsterdam, una situazione che rimase tale fino al 1642 quando un servizio di traghetti mise in comunicazione le due isole, permettendo agli ancora sparsi coloni di raggiungere più agevolmente la città ed incentivando nuove famiglie a trasferirsi ad oriente dell’Est River

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Quando la colonia passò nelle mani degli inglesi nel 1664, in quella che diventerà la contea di Kings si trovavano ben 6 insediamenti di cui uno, il più antico, inglese, mentre gli altri olandesi. Nonostante il numero la popolazione era veramente poca, tanto che, più di 50 anni dopo, superava a fatica le 2000 persone

Questi villaggi erano: Gravesend, nei pressi di Coney island fondato dall’inglese Lady Deborah Moody nel 1645 Breuckelen, il cui nucleo si trovava a sud-ovest dei Brooklyn heights, fondato nel 1646 Nieuw Amersfoort, l’odierno quartiere di Flatlands, fondato nel 1647 Midwout, al centro della contea, il suo nome significa “bosco di mezzo” e fu fondato nel 1652 Nieuw Utrecht, il cui nome è rimasto nella toponomastica, fondato nel 1657 Boswijck, il cui nome significa “paese nei boschi”, fondato al confine con l’odierno Queens nel 1661

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Fig 9 - Contea di Kings intorno al 1816

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Nel 1683 la contea di Kings venne ufficialmente stabilita ed insieme a questi villaggi vi entreranno a far parte terre vergini a ovest di Nieuw Amersfoort, lottizzate in fattorie. Con il passaggio agli inglesi anche la toponomastica fu anglicizzata, in modo che si rimarcasse il predominio inglese sulla vasta maggioranza dei coloni ancora olandese. E se da una parte del fiume Nieuw Amsterdam cedeva il passo a New York, ad ovest di Manhattan Nieuw Amersfoort diventava Flatlands, Midwout era sostituito con Flatbush mentre Breuckelen e Boswijck venivano riadattati in Brooklyn e Bushwick. Fig. 10 Mappa del Borough di Brooklyn dei primi del ‘900, sono ancora visibili i vari villaggi nella parte meridionale nel territorio non ancora urbanizzato

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Il fatto che i sei villaggi avessero una fondazione ed un’origine indipendente ha portato allo sviluppo di griglie urbane diverse fra loro. Questo fenomeno si nota molto bene quando si guarda una mappa del borough, griglie ortogonali si affastellano e si intersecano tra loro mettendo a nudo l’espansione che c’è stata dai nuclei originari nella campagna circostante, fino a quando non sono venuti a collidere creando un’unica grande conurbazione. La prima grande spinta insediativa fu fatta attraverso la speculazione edilizia di Hezekiah Beers Pierrepont ed il servizio di traghetti regolare ed affidabile messo in piedi da Robert Fulton nel secondo decennio del XIX secolo. Pierrepont era uno dei maggiori proprietari terrieri del luogo, aveva accumulato circa 60 acri di terreno nella zona di Clover Hill, la sua intenzione era quella di suddividere il terreno in lotti nei quali costruire il “ritiro in campagna” dei banchieri di Manhattan. Fig. 11 Locandina del servizio di traghetti tra Brooklyn e Manhattan

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Questo sarebbe stato possibile solamente se ci fosse stato un collegamento regolarmente programmato con l’altra isola, per questo divenne uno dei maggiori investitori della Brooklyn Steam Ferry Boat Company di Robert Fulton. Grazie all’influenza dei proprietari terrieri, Brooklyn ricevette il titolo ufficiale di villaggio da parte dello Stato di New York nel 1816 che permise l’inizio delle opere di urbanizzazione. In virtù di questa sinergia fra costruttori e mezzi di trasporto, i Brooklyn Heights furono la prima area suburbana per lavoratori pendolari di tutta New York. Nel 1827 a Williamsburgh insieme a Bushwick viene concesso lo status di villaggio, entrando così a far parte della contea di Kings. Ne era rimasto escluso poiché, essendo stato proprietà quasi esclusiva della Compagnia delle Indie Olandesi, non aveva permesso lo stabilirsi di una classe di proprietari terrieri che si impegnassero per Fig. 12 Mappa del Brooklyn Village del 1816

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il riconoscimento della municipalità fino a quando, ad inizio ‘800, il colonnello Jonathan Williams non ne rilevò la proprietà. Con il passare degli anni Brooklyn e Williamsburgh continuano a crescere sempre più rapidamente, tanto che nel 1834 la prima si elevò a rango di città, raggiunto anche dalla seconda 17 anni dopo. Si raggiunse la situazione paradossale in cui tre città si affiancavano senza soluzione di continuità, separate solamente da istituzioni politiche diverse. La situazione ebbe il suo culmine l’anno seguente con la secessione di New Lots da Flatbush, che portò ad avere nell’odierno borough newyorkese sei municipalità e due città. Nel 1854 cominciò l’opera di razionalizzazione amministrativa della contea, che continuava a popolarsi sempre di più, Bushwick e la neonata città di Williamsburgh furono le prime a cadere, incorporate da Brooklyn seguite da New Lots nel 1886. In quegli anni gli abitanti superavano già i centrotentamila, per cui prese sempre più campo l’idea di costruire un ponte che finalmente potesse collegare le due città. La proposta di un ponte sospeso venne avanzata a partire dal 1855 da John Roebling, famoso ingegnere di ponti e produttore di cavi di acciaio, ma ebbe una fredda accoglienza da parte dei governi di Brooklyn e New York. Grazie ad amicizie con importanti uomini d’affari e politici riuscì a far approvare dallo Stato di New York una legge che permettesse a compagnie private di

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costruire un ponte che collegasse le due città e nel 1867 venne fondata la compagnia che avrebbe portato a compimento i lavori. Tre anni dopo partirono i lavori per la costruzione delle gigantesche fondazioni direttamente scavate nel letto dell’Est River ed altri tredici dovranno passare prima del suo completamento. Le attività industriali e lo sviluppo urbano beneficiarono molto di questa nuova via terreste, tanto che nei venti anni successivi Brooklyn raddoppiò la sua popolazione, passando seicentomila persone ad oltre un milione e centosessantamila. Nonostante questo, la differenza morfologica fra la densa città che si stava formando e l’aperta e sparsa campagna delle fattorie nelle towns circostanti, ancora abitata dai discendenti dei coloni olandesi, faceva sì che ci fossero attriti, tanto che nel 1894 ci sarà bisogno di una legge di stato per portare al consolidamento della contea di Kings in un un’unica entità coincidente con la città di Brooklyn. Per quel breve lasso di tempo che va dal 1896 al 1898, con il suo milione di abitanti, fu la terza metropoli di tutti gli Stati Uniti, completamente indipendente, dal punto di vista legislativo, dalla città di New York. Vista però la competizione fra la Grande Mela e Chicago, ed a causa della relativa scarsità d’acqua di Long Island, non senza malumori, le due città gemelle sull’est river vennero unite in un unico organismo politico declassando Brooklyn a semplice borough.

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Fig. 13 Volo d’uccello su Brooklyn del 1908, sono visibili le griglie che componevano i vari villaggi della contea del King


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_East River 42


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Fig. 14 Volo d’uccello sull’Upper Bay di New York, sono visibili gli stabilimenti industriali e i vari magazzini che caratterizzavano il litorare di Brooklyn sull’Est River

Per la sua conformazione geografica, la baia di New York non poteva che trasformarsi in un porto di importanza mondiale. Affacciato sull’Atlantico ma protetto da ben due golfi, incastonato in un sistema di isole e penisole tra fiumi e bracci di mare, venne scoperto per la prima volta da Giovanni da Verrazzano nel 1524 al servizio del re di Francia, esplorato dall’inglese Hudson nel 1609 e sfruttato permanentemente dagli olandesi a partire dal 1624. A differenza dell’isola di Manhattan, all’inizio della colonizzazione europea, le coste di Long Island sull’Est River non vennero sfruttate per scopi commerciali, questo a causa della natura essenzialmente agricola delle attività lavorative dei primi coloni nell’area che sarà Brooklyn ed il Queens. La situazione cominciò a cambiare con i primi servizi di traghetti fra le due sponde, non tanto col primo, già presente nel 1642, ma con il secondo messo in piedi da Fulton nel 1814, che con 4 centesimi di prezzo e con un servizio regolare, che arrivò a toccare le 30 tratte giornaliere l’anno precedente all’inaugurazione del ponte di Brooklyn, permise l’urbanizzazione dell’area grazie ai lavoratori pendolari. Questi quartieri, dei lavoratori di Manhattan residenti dall’altra parte del fiume, prosperarono a lungo nell’entroterra attorno agli sbarchi dei traghetti, ma presto tutta la costa venne occupata dall’espansione incontenibile dell’industria e del commercio, a causa dell’evoluzione del sistema idroviario di New York, che dalla prima metà del XIX secolo, da una rete di connessioni locali divenne un nodo per il commercio internazionale. Le date cruciali furono due, il 1817, quando iniziò il primo servizio regolare di navi da carico transoceanico, ed il 1825, quando venne completato il canale Eire, il quale, mettendo in comunicazione il sistema di acque interne dei grandi laghi con l’oceano Atlantico attraverso il fiume Hudson, faceva sì che New York non fosse solamente uno dei porti più grandi della est coast, ma il fulcro di tutti i commerci marittimi tra il

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Midwest ed il vecchio continente. Il conseguente impennarsi del traffico commerciale ha stimolato lo sviluppo di tutto il waterfront di Brooklyn con un importante sistema di scali e magazzini. Brooklyn emerse come logica locazione per le operazioni concernenti la logistica ed il carico e scarico delle merci, vista la sua breve distanza dal distretto finanziario di New York ma la sua relativa lontananza da Lower Manhattan che le faceva evitare la crescente congestione, consentendo lo stoccaggio di prodotti con basso prezzo e di grande massa, come prodotti chimici, tinture o metalli ma anche prodotti trasformati per la distribuzione locale come caffè, liquori o tabacco. Imprenditori come Jeremiah Robinson cominciarono a costruire a partire dal 1840 una serie di bassi magazzini in mattoni in tutta l’area a sud dell’attracco dei traghetti di Fulton, creando una sorta ci cinta fortificata lungo la costa con montacarichi per le granaglie che svettavano come torri di guardia. Sebbene parte del sistema di canali venne soppiantata dall’introduzione, a metà del XIX secolo, dalla rete ferroviaria, il corridoio dell’Est River rimaneva la principale arteria per il trasporto della città. Il terminal ferroviario si trovava sul fiume Hudson nel territorio del New Jersey, da lì le merci venivano caricate su chiatte e trasportate nei magazzini e nelle industrie del Queens e di Brooklyn, facendo sì che la baia di New York fungesse da principale porto anche per tutte quelle zone dell’entroterra che non erano servite dal sistema dei grandi laghi già collegati con l’Hudson. L’attività propriamente industriale sulla sponda orientale dell’Est River si concentrò perlopiù a nord di Brooklyn, essenzialmente ebbe come epicentro il Navy Yard, una zona che a partire dalla guerra di indipendenza si caratterizzò per la cantieristica navale diventando il nucleo per lo sviluppo industriale dell’area.

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Fig. 15 Foto di inizio ‘900 di uno dei magazzini nei pressi del ponte di Brooklyn


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Le dimensioni delle aziende crebbe sempre di più a scapito del loro numero; sul finire del XIX secolo a Brooklyn si trovavano 10.623 fabbriche che davano lavoro a 93.275 lavoratori, vent’anni dopo le aziende si erano ridotte di circa la metà ma le persone impiegate nel lavoro a tempo pieno. erano arrivate a 145.222. Questa intensa industrializzazione portò ad un mutamento nelle esigenze abitative, non bisognava più costruire il ritiro arcadico per i lavoratori di Manhattan ma le abitazioni per una classe operaia sempre più cospicua. Il fenomeno interessò in particolare zone come Vinegar Hill, Greenpoint o Williamsburg, radendo spesso le case più vecchie al suolo per costruire nuovi edifici residenziali.

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Ovviamente le condizioni igienico sanitarie di queste residenze non erano molto salubri e già nella seconda metà del XIX secolo le classi medio alte si cominciarono a preoccupare della situazione che stava venendo a crearsi dei quartieri operai del Kings e del Queens. Industriali e filantropi cercarono di assicurare condizioni abitative migliori per i lavoratori, ad esempio Charles Pratt, presidente della raffineria Astral Oil e successivamente fondatore del Pratt Institute, con i suoi Astral Apartments offriva ai propri operai appartamenti con un ampio cortile interno, una cucina e servizi igienici in ogni abitazione, dotati di acqua corrente calda e fredda.

Fig. 16 Astral Apartments presso Greenpoint

Gli investimenti sia per il settore industriale che per quello logistico non mancavano, nuovi moli e nuovi sistemi per lo stoccaggio ed il trasporto delle merci fiorivano lungo tutta la costa, fino ad arrivare nel 1883, quando il completamento del ponte di Brooklyn cambiò il rapporto tra Manhattan e le città, ancora politicamente separate, al di là del fiume. Se da una parte i ponti hanno portato, assieme alle gallerie sotterranee, ad un traffico di massa da una parte all’altra del fiume, dall’altra hanno accelerato il declino del waterfront vista la sempre minore importanza del traffico marittimo. La decadenza non fu ovviamente immediata ma cominciò dopo circa quarant’anni, intorno agli anni ’20. Alcune aziende rilocalizzarono in aree meno costose, altre si spostarono nelle zone di più facile accesso ai ponti, come il quartiere di Dumbo; pian piano la costa orientale dell’Est River divenne l’area dove mettere tutte quelle infrastrutture indesiderate a Manhattan, come centrali elettriche o edilizia popolare. L’inquinamento derivante da lunghi anni di industria, il deterioramento dei progetti abitativi e la perdita di posti di lavoro lasciarono significative porzioni del lungomare di Brooklyn e del Queens in una crisi economica e sociale. Questo non passò inosservato e molti gruppi tentarono un recupero, uno degli esempi di riqualifica fu operato

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dagli artisti che negli anni ’70, tagliati fuori dal mercato immobiliare di Manhattan, si istallarono nel decadente waterfront di Brooklyn, spingendo molti altri a vedere le potenzialità nascoste in questo luogo. Vinegar Hill e Dumbo furono i primi quartieri “gentrificati”, l’opera continuò con la limitrofa Williamsburg, Greenpoint ed Astoria. A partire dagli anni ’90 la città cominciò a sviluppare piani più ampi per la trasformazione del waterfront, con una serie di zoning che permettessero la costruzione di nuovi edifici residenziali su grande scala, là dove c’erano terminal e capannoni industriali. Nel 1984, poco dopo la chiusura delle operazioni delle navi cargo, l’Autorità Portuale decise di vendere i moli vuoti per un eventuale sviluppo commerciale e residenziale. Questa operazione non passò inosservata da parte della comunità e ci fu una mobilitazione che si concretizzò nella fondazione, l’anno seguente, dell’organizzazione no-profit “Friends of Fulton Ferry Landing” immaginando un grande parco urbano che occupasse l’area portuale dismessa. L’area, essendo di pregio assoluto, aveva un valore di diversi miliardi di dollari e difficilmente sarebbe potuta rimanere al riparo dagli interessi della speculazione edilizia; l’Autorità Portuale infatti aveva stabilito che dei 35 ettari a disposizione solo 8 potessero essere riservati al parco. La mobilitazione da parte degli abitanti del Borough ma anche dei semplici Newyorkesi crebbe e nel 1989 i “Friend of Fulton Ferry Landing”, cambiando nome in “Brooklyn Bridge Park Coalition”, fecero una petizione al Sindaco e al Governatore dello stato di New York per bloccare l’operazione immobiliare che stava avvenendo e creare Fig. 17 un Autorità simile a quella di Battery Park che prendesse il Vista sull’East River negli controllo del sito indirizzandolo verso un’utilità pubblica. anni ‘60

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Con l’inizio della progettazione del waterfront, il presidente del Borough di Brooklyn, Golden, fondò nel 1998 la Brooklyn Waterfront Local Development Corporation per completare la lunga progettazione del parco del Brooklyn Bridge. Con il finanziamento assicurato dal senatore dello stato di New York Connor e dalla deputata Millman, il LDC cominciò un intenso supporto pubblico i cui sforzi culminarono nel Brooklyn Bridge Park Illustrative Master Plan, pubblicato nel settembre del 2000. Nel maggio del 2002, il sindaco Bloomberg ed il governatore Pataki, firmarono il “Memorandum of Understanding” (MUO), nel quale lo stato di New York e l’omonima città si accordavano per creare, sviluppare e gestire il Brooklyn Bridge Park sui 35 ettari di waterfront dell’Est River.

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A partire dal MOU formò anche il Brooklyn Bridge Park Development Corporation per lo sviluppo del parco, seguendo le linee guida stabilite dall’illustrative Master Plan. Per iniziare la prima fase di costruzione, l’Autorità Portuale, la Città e lo Stato di New York contribuirono con una parte dei 360 milioni di dollari di capitale necessario per il completamento del parco. Per assicurare che esso fosse fiscalmente sostenibile attraverso gli anni, il MOU obbligava che tutta la manutenzione e le operazioni che fossero richieste dal parco fossero economicamente autosufficienti, finanziate attraverso lo sviluppo economico e finanziario del sito. La costruzione è cominciata nel 2008, nel 2010 è stato aperto il primo molo, ad oggi il parco è completato per il 90% ma presto sarà ultimato. Questo luogo, a causa della sua storia, che affonda le sue radici nella prima colonizzazione olandese, della sua vista, direttamente affacciata su Lower Manhattan e della sua funzione urbanistica di parco urbano lineare, mi ha portato alla progettazione di un edificio, qui inserito, che raccontasse la storia della città facendola ammirare al tempo stesso.

Fig. 18 Volo d’uccello su parte del Brooklyn Bridge Park

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_Struttura 56


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Fissare una data per la nascita delle strutture sospese non è facile. In passato non sono mai state comuni, vista la scarsità di materiali resistenti a trazione, ed essenzialmente, se si eccettua alcuni casi particolari, il loro unico utilizzo si aveva nei ponti cosidetti “Tibetani”, che a dispetto del nome erano diffusi un po’ in tutto il mondo. Originariamente venivano costruiti con funi o liane ma a partire dal XIII secolo in certe zone dell’Asia si cominciano ad utilizzare catene metalliche, innovazione scoperta in modo indipendente anche in occidente da Fausto Veranzio secoli più tardi. Si tratta comunque di una tipologia rimasta molto marginale fino alla rivoluzione industriale, quando la massiccia disponibilità di acciaio rese fattibile la costruzione di veri e propri ponti sospesi; è infatti il questa la prima struttura che si avvantaggia di uno sfruttamento tensionale del materiale.

Fig. 19 - Illustrazione del Pons Ferreus di Fausto Veranzio

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Il primo ponte sospeso moderno probabilmente è il Jacob’s Creek Bridge in Pennsylvania, costruito nel 1801, consisteva in due lunghe catene, sospese tra piloni metallici, a cui ne erano agganciate altre per sospendere il piano stradale. Quindici anni più tardi, dopo il crollo di un ponte della stessa tipologia e dello stesso architetto, fu costruito un temporaneo passaggio pedonale che divenne il primo ponte sospeso con cavi metallici, visto che per primo si avvalse di cavi in acciaio al posto delle catene. Sempre nella prima metà dell’800, la seconda applicazione per questo nuovo modo di costruire fu quella dei tetti sospesi. Il primo esempio si deve ad un ingegnere Ceco che nel 1824 progettò il primo prototipo di tetto sollevato interamente da cavi di acciaio, ma successivamente vi furono molti altri esempi, in special modo per quanto riguarda la costruzione di padiglioni, i quali poi si sono evoluti nelle odierne tensostrutture. Il passaggio successivo, ovvero costruire un edificio i cui solai fossero appesi, necessitò di molto più tempo; se si esclude alcuni esperimenti degli anni ‘20 si cominciò ad utilizzare questo modo di costruire fra gli anni ’50 e ’60. Gli strutturisti del periodo scoprirono i benefici del nuovo sistema di supporto strutturale attraverso la ricerca del risparmio di materiale e dell’assenza di gravità intesa come necessità espressiva. Infatti, visto che gli elementi sottoposti a trazione non sono soggetti ad instabilità euleriana, appendere i solai con dei cavi di acciaio richiede fino ad un sesto del materiale rispetto alle colonne sollecitate a compressione, permettendo al contempo di avere spazi privi di pilastri alla base ed ostruzioni in facciata derivanti da pesanti elementi strutturali

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Uno dei primi edifici che si servì di questo nuovo modo di costruire fu un ristorante per automobilisti nell’Oklahoma chiamato Glass House, costruito nel 1957 a cavallo di un’autostrada. Strutturalmente funziona esattamente come un Ponte bowstring, un grande arco accavalla la strada e da esso scendono i tiranti ai quali è aggrappato il solaio, con la differenza che si tratta di uno spazio chiuso ed adibito al ristoro. A causa delle particolarità dell ristorazione automobilistica, l’edificio che possiamo chiamare “a ponte” ha avuto un discreto successo nelle nell’architettura autostradale, visto che, con i suoi accessi su ognuno dei sensi di marcia, permette di raddoppiare i potenziali avventori mantenendo inalterato la quantità di personale. Fig. 20 Illustrazione pubblicitaria della Glass House

L’Italia, prendendo come modello gli esempi americani, implementò nel suo nascente sistema infrastrutturale una serie di strutture sospese che per qualità e quantità hanno superato gli originali. I due forse più degni di nota sono quello di Fiorenzuola sull’Arda e quello di Montepulciano.

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Fig. 21 Costruzione dell’Autogrill Pavesi a Fiorenzuola

Il primo, completato nel 1959, consiste in una serie di portali in calcestruzzo armato, la cui la scansione delle luci è abbastanza ridotta, salvo una luce di trenta metri in corrispondenza delle carreggiate. Su di essi sono poste delle travi reticolari alle quali, tramite dei tiranti, è agganciato il solaio. L’impalcato è formato da una doppia orditura metallica con travature principali appoggiate in alveoli ricavati nei portali, completato da una travatura secondaria in senso trasversale sormontata da un solaio in lamiera grecata. Le sollecitazioni orizzontali sono assorbite grazie a dei nuclei di irrigidimento posti intorno ad i vani scala. L’altro edificio sorge a Montepulciano e rappresenta anche una delle prime realizzazioni in cui viene utilizzato il corten in Italia. Fu realizzato tra il ’66 ed il ’67 ed è formato da uno schema statico di base piuttosto semplice, due telai zoppi in acciaio incernierati a terra. Gli forzi verticali dei solai vengono assorbiti dai tiranti in acciaio, i quali li trasferiscono ai telai, questi attraverso una trave a cassone scaricano gli sforzi sulle due torri in calcestruzzo sui due lati dell’autostrada, anche se quella

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compresa fra i due ritti riceve solo le azioni trasversali. Le due strutture, quella in calcestruzzo e l’altra in acciaio, sono svincolate nella direzione longitudinale per consentire la traslazione dei traversi e dei relativi piani per effetto delle diverse dilatazioni termiche e delle diverse condizioni di carico. Sempre in Italia un altro progetto degno di nota che si avvale della sospensione, è la cartiera Burgo di Nervi. Il bisogno di un simile sistema strutturale è dovuto anche qui da una necessità pratica, l’azienda aveva acquistato un lungo macchinario c’era bisogno di un involucro che lo contenesse, ma che permettesse anche di essere eventualmente ampliato affiancando ad esso un’altra filiera. Per cui era necessario che lungo le facciate, per una lunghezza di 160 metri, non vi fossero impedimenti

Fig. 22 - Autogrill a ponte Pavesi presso Montepulciano

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Fig. 23 Vista dall’angolo della cartiera Burgo

strutturali, in modo che, se fosse stato necessario il raddoppio della linea, avrebbero potuto avere un unico grande ambiente. La soluzione di Nervi fu di pensare il tetto come un ponte sospeso, agganciandolo ai cavi d’acciaio a loro volta appesi a due grandi piloni in calcestruzzo armato, in modo che i lati dell’edificio, al netto dell’ovvia chiusura, rimanessero completamente liberi. Un diverso approccio, sempre in quest’ambito fu quello intrapreso da Galardi a Firenze. Il palazzo dell’Olivetti infatti va oltre la semplice idea di ponte, questo edificio scarica a terra solo attraverso i blocchi in cui sono posti gli impianti di risalita e tiene sospesi tutti i piani con dei tiranti in cemento armato precompresso. Questi sono appesi alla copertura formata da una doppia soletta nervata semplicemente poggiata sui due blocchi con l’interposizione di cuscinetti in neoprene con un funzionamento simile, ma con materiali diversi, a quello dell’autogrill di Fiorenzuola.

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Il palazzo dell’Olivetti di Firenze appartiene alla tipologia degli edifici appesi multipiano, i quali, fra gli anni ’60 e ’70, ebbero una certa popolarità un po’ in tutto il mondo. Tra questi possiamo annoverare la Fondation Avicenne di Parigi del 1969, costituita da un telaio metallico al quale sono appesi due blocchi di quattro piani cada uno, oppure il palazzo per lo Standard Bank Centre di Johannesburg, completato nel nel 1970, il quale è formato da un nucleo in cemento armato dal quale aggettano ogni 10 piani otto travi in cemento armato a cui sono appese tutti gli altri solai. Sempre a questo periodo risalgono altri esempi notevoli, come la Westcoast Transmission Company Tower di Vancouver, composta da un nucleo di calcestruzzo armato dalla cui sommità scendono dodici tiranti che tengono sospesi tutti i solai e l’Old Federal Reserve Bank Building di Minneapolis, la cui struttura a ponte sospeso, con una Fig. 24 Standard Bank Centre di Johannesburg in costruzione

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catenaria in facciata e due piloni laterali d’appoggio, è stato preso ad esempio per numerosi altre edifici con funzionamento speculare, come ad esempio l’Exchange House di Londra (1999) e la Ludwig Erhard Haus di Berlino. Le variazioni sul tema della sospensione strutturale sono molteplici e le ibridazioni con altri sistemi costruttivi ha come limite solamente il progresso della tecnica e l’iniziativa progettuale. Gli ultimi due esempi di cui vorrei parlare sono il progetto del museo della Memoria e dei Diritti umani di Santiago del Cile ed il progetto di Mario Cucinella di un edificio per uffici chiamato Parallelo situato a Milano. Entrambi i progetti sfruttano la presenza di una travatura reticolare per creare degli edifici con luci molto ampie fra gli appoggi, trasmettendo allo stesso tempo un’idea di sospensione pur nella loro semplicità di parallelepipedi sollevati. Fig. 25 Museo della Memoria presso Santiago del Cile

Il primo si presenta come un vero e proprio solido poggiato fra due basamenti sotto il quale si ha un passaggio, quasi come fosse un portale, che permette l’accesso sia all’edificio che, camminando oltre, alla grande piazza retrostante.


I progettisti non hanno poggiato direttamente l’edificio sui due basamenti, ma hanno sfruttato i quattro blocchi dei servizi come pilastri portanti per dare l’idea di un solido galleggiante, metafora della leggerezza della memoria. Su di essi poggiano due grandi travi che possono essere considerate come Vierendeel con un passo piuttosto stretto, queste non sono esterne ma si trovano nella parte centrale della struttura, delimitando una sala centrale con una doppia deambulazione esterna. I corridoi sono perciò una struttura a sbalzo, la quale è agganciata alla travatura principale e svolge la funzione di tenere sospesi i vari strati che compongono il curtain wall esterno. L’edificio di Cucinella è forse strutturalmente più ardito, gli elementi principali sono delle travi reticolari di tipo Warren con montanti verticali, queste si trovano in facciata e tra di esse è ordito il solaio che, vista la discreta luce, è composto da travi alveolari rastremate alle estremità, in modo da agganciarsi gli elementi della reticolare. La travatura principale non è appoggiata come nell’esempio precedente, ma è sospesa tramite tiranti ai blocchi in calcestruzzo che contengono gli impianti di risalita, creando così un unico blocco vetrato che sembra galleggiare sopra il livello del suolo. I blocchi dei servizi svolgono anche la funzione di assorbimento degli sforzi trasversali.

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Fig. 26 Struttura portante dell’edificio per uffici “Parallelo” a Milano


Prima di parlare nello specifico del progetto di tesi vorrei aprire prima una piccola parentesi. Una cosa che colpisce degli Stati Uniti è l’importanza che le strutture e le infrastrutture hanno nella definizione della città, spesso è proprio la componente infrastrutturale che caratterizza in modo positivo certi scorci e certi quartieri, travalicando il loro scopo meramente funzionale e diventano veri e propri landmark. Parlando di New York basta pensare al Ponte di Brooklyn od al Manhattan Bridge, ma anche alla sopraelevata di Williamsburg e al recente rifacimento dell’High line, elementi che in un ambito europeo difficilmente avrebbero avuto lo stesso successo e risonanza. Questo, unito alle enormi strutture che costituiscono in modo silenzioso l’ossatura dello skyline della città, mi ha portato a pensare ad un progetto la cui parte strutturale fosse protagonista stessa dell’architettura. Il contesto, a due passi dal ponte di Brooklyn, ed il luogo, un molo con una preesistenza significativa, hanno portato ad una struttura a ponte che permettesse ed incentivasse il riappropriarsi dei cittadini dell’oceano e della storia, spesso negati in questa città. L’edificio si compone di un basamento in calcestruzzo armato, nel quale si trovano gli ingressi al museo oltre che i magazzini, e da un blocco superiore, esternamente completamente vetrato, sorretto da due grandi travi Warren a montanti verticali. Questa travatura si trova solamente nella parte alta, con la sua parte superiore sorregge la copertura, con quella inferiore il solaio del secondo piano, in corrispondenza del primo piano si trovano una serie di montanti che fungono da pilastri (sui quali scarica la trave) o da tiranti, in base alla loro posizione. Infatti questi scaricano a terra là dove, nel livello inferiore, è presente il basamento, mentre sostengono la struttura

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tramite sforzo di trazione in corrispondenza della luce fra i due basamenti, per cui il solaio scarica in parte sui primi ed in parte è sospeso attraverso i secondi alla trave reticolare. Gli elementi che compongono la Warren ed in generale l’intera struttura metallica sono carterizzati, in modo che, anche elementi diversi dettati da diverse intensità e tipi di sollecitazioni, possano apparire esternamente come un insieme uniforme. La travatura principale dei solai, che è ordita fra le due reticolari, è composta da travi alveolari rastremate alle estremità, necessarie a causa della luce da coprire. L’orditura secondaria è invece formata da IPE, sulle quali si trova un solaio in lamiera grecata e calcestruzzo, mentre in controsoffitto è caratterizzato dall’uso di una lamiera metallica microforata, sia là dove sia necessario prendere luce attraverso la copertura che nelle parti opache. La galleria superiore attinge luce da un lucernario, questo è schermato superiormente da una serie di pannelli in Fig. 27 Schema assonometrico della struttura portante del progetto

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vetro opaco ed inferiormente dalla microforatura del controsoffitto, lasciando passare solo una luce zenitale soffusa ed omogenea. Si sorregge grazie all’appoggio fornito dalle alveolari sulle quali è presente una struttura metallica secondaria a sostegno delle chiusure in vetro e dei pannelli opachi. L’involucro dell’edificio è formato da una doppia superficie vetrata, una interna ed una esterna, fra queste è posta la struttura portante, alla quale sono agganciate delle griglie, a formare un passaggio per l’attività di manutenzione e per il lavaggio, oltre che i montanti che sorreggono le ampie vetrate. A questo si aggiunge un blocco in calcestruzzo, pressoché indipendente, all’interno del quale si trovano vari servizi, la caffetteria e gli uffici per l’amministrazione del museo. Le sollecitazioni trasversali sono assorbite, oltre che dai pilastri, dai blocchi degli impianti di risalita e da i vari elementi in calcestruzzo armato all’interno dell’edificio.

Fig. 28 Dettaglio della struttura

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_Progetto

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_Masterplan

Difficilmente quando ci si trova a New York sembra di essere in una città di mare, i Newyorkesi ci sono abituati ma agli europei può far impressione. Se si pensa alle grandi città portuali europee, come Marsiglia o Napoli, il mare c’è, si sente, anche quando è relativamente lontano, come ad Amburgo o a Londra. A Manhattan questo non succede, il che è assurdo visto che si tratta proprio di un’isola. Uno dei primi ad accorgersi di questa anomalia è stato lo scrittore francese Albert Camus che annotò: “Talvolta, al di là dei grattacieli, il grido di un rimorchiatore ti raggiunge nell’insonnia e ti fa ricordare che questo deserto di ferro e cemento è un’isola”. La situazione ovviamente è la stessa anche per Brooklyn ed il Queens, entrambe su Long Island anche se si potrebbe giurare che sembrino sorgere sulla più solida terraferma, non c’è mai un rapporto con l’oceano sempre negato, o quasi, da strutture od infrastrutture.

Fig. 29 Planimetria del progetto

Il progetto parte da qui, cercare di progettare un museo della Città di New York che da una parte permetta di ammirare il soggetto dell’esposizione museale e dall’altra incoraggi i cittadini a riavvicinarsi al mare riscoprendo le vestigia del passato da grande porto mondiale. La scelta del lotto è ricaduta su un molo non distante dal ponte di Brooklyn, di tratta di uno dei “pier” che caratterizzavano il litorale industriale di questo borough, il quale, insieme ad altri, è stato riqualificato nell’ambito del grande parco lineare chiamato “Brooklyn Bridge Park”.

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Per cui, oltre ad inserirsi in un sistema-parco già esistente, da questa zona si può godere di una vista eccezionale su Lower Manhattan e riscoprire la storia di città marittima attraverso gli avanzi di quei moli in legno che affiorano dall’acqua. Guardando il masterplan si può vedere come il progetto sia composto da tre edifici, una pensilina per l’approdo dei traghetti, una biblioteca e il museo in sé. La prima si trova sul lato nord del lotto, è stata studiata solo volumetricamente ed ha la funzione di accogliere i turisti in crociera sull’Est River oltre che fungere da testata al grande parco inclinato che porta al museo. Gli altri due si trovano nella parte meridionale, morfologicamente si tratta di due parallelepipedi divaricati fra loro, formando in questo modo un amplia scalinata che collega il piano di Furman Street, in cui si trova l’ingresso alla biblioteca, con quello più basso, in cui è posto l’ingresso al Museo. Questi due edifici sono formati da solidi semplici, con andamento orizzontale, volutamente in contrasto con il verticalismo dello skyline di New York, ma dal quale prende i due materiali che caratterizzano esternamente le due strutture: il cemento ed il vetro. La biblioteca si compone di due stecche sfalsate fra loro e divise da un lungo corridoio vetrato, l’ingresso avviene dal livello superiore proprio da questa “frattura” fra questi due blocchi. Internamente ha una struttura a terrazze in modo che, l’unica apertura a nord che insieme alla striscia vetrata del corridoio interrompe la continuità materica cementizia dell’edificio, possa illuminare efficacemente tutte le aree dedicate alla lettura e allo studio. Il museo invece è costituito da un parallelepipedo vetrato posto su di un basamento in calcestruzzo, ad esso è affiancato un blocco in cemento in cui sono presenti funzioni di supporto per l’edificio principale. L’accesso avviene ad un livello inferiore rispetto a quello

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Fig. 30 Pagina precedente Vista a volo d’uccello dell’area progettuale Fig. 31 Esploso assonometrico


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della biblioteca, per raggiungerlo si percorre, arrivando da Furman Street o dalla strada interna che serve tutto il Brooklyn Bridge Park, una grande scalinata rivolta verso la città, la quale va ad ampliarsi man mano che scende. Si giunge dunque ad una piazza che prosegue coperta sotto l’edificio, da qui si hanno gli accessi alle due parti che compongono l’area espositiva del museo oltre che l’affaccio sulle palificazioni in legno del vecchio molo. Gli ingressi che si hanno in questa piazza coperta conducono da una parte alla galleria temporanea e dall’altra alla hall di ingresso alle gallerie principali, da questa si sale al livello superiore attraverso un doppio volume, una volta al primo piano è possibile accedere ad una terrazza esterna affacciata direttamente su Lower Manhattan. Per quanto riguarda il blocco in cui sono siti gli uffici, la caffetteria ed il vano per il carico e scarico delle merci, l’accesso avviene al livello della biblioteca. Sul lato meridionale è presente una grande terrazza utilizzabile dalla caffetteria per un eventuale servizio esterno.

Fig. 32 Pagina precedente Vista della piazza e dell’ ingresso alla galleria temporanea Fig. 33 Planimetria con piante piano primo

Anche le aree verdi si svolgono su questi livelli di cui abbiamo parlato e sono essenzialmente due: una superiore, posta frontalmente alla biblioteca, pensata per ammirare il ponte di Brooklyn e la Manhattan in mezzo alla natura, ed una inferiore, inclinata e costruita, costituita da un grande prato delimitato due doppi filari alberati collegante le due diverse quote del lotto. Il lato che dà verso l’East River è stato pensato come una grande gradonata in modo che sia utilizzabile per eventuali spettacoli acquatici o pirotecnici, ma anche semplicemente come sostare ed ammirare New York. È inoltre presente una passerella sopraelevata che congiunge Squibb Park al waterfront di Brooklyn, questa è stata modificata nel suo percorso in modo da adattarsi al masterplan corrente mantenendo la sua funzione.

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_Museo New York è la città dei grattacieli, la loro sagoma slanciata ed imponente è l’essenza stessa del paesaggio urbano. Non si può immaginare Manhattan senza di essi e non si può costruire in questa città senza confrontarvisi. L’approccio può essere essenzialmente di due tipi, fra loro complente opposti; si può assecondare questa tipicità andando verso l’alto, costruendo un museo che sia anch’esso un grattacielo, oppure rimanere bassi contrastando il verticalismo con l’orizzontalità o la plasticità delle forme. L’approccio scelto per il progetto è il secondo, non cercare di andare in competizione con lo skyline ma valorizzarlo tramite il contrasto. L’edificio perciò si può quasi considerare un “grattacielo sdraiato”, un parallelepipedo d’acciaio e vetro poggiato su due grandi basamenti. I materiali e le forme della città riassemblati in qualcosa di nuovo. La sua forma slanciata che si getta nell’Est River richiama i vecchi moli che caratterizzavano questa costa, cercando di forma un ideale trade d’union tra il passato industriale e la funzione museale. Il suo scopo è quella di fornire un luogo in cui la storia di New York possa essere raccontata nei suoi passaggi fondamentali tenendo sempre davanti agli occhi l’opera d’arte in sé, ovvero la città. Scendendo dalla grande scalinata o dal parco si giunge in una piazza, questa prosegue al di sotto dell’edificio, nello spazio tra i due blocchi dai quali è possibile accedere alle diverse gallerie museali. All’interno del blocco che da verso la terraferma è collocata la galleria temporanea, questa è composta da due aree completamente libere in cui è possibile esporre opere d’arte di qualsiasi genere e da una galleria che, sfruttando le parti strutturali, permette di esporre quadri su di una serie di setti in infilata; nella parte retrostante vi sono i servizi igienici e

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Fig. 34 Pagina precedente Vista di Lower Manhattan dalle palificazioni del lotto di progetto Fig. 35 Vista della hall d’ingresso


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Schema funzionale del Museo

01_Hall 02_Collezione fotografica 03_Bookshop 04_Ambiente di servizio 05_Guardaroba 06_Galleria temporanea 07_Montacarichi 08_Deposito 09_Terrazza esterna 10_Foyer 11_Galleria permanente 12_Sala video 13_Spazio espositivo 14_Caffetteria 15_Carico montacarichi 16_Terrazza interna/area espositiva 17_Galleria permanente superiore 18_Reception 19_Sala di attesa 20_Sala riunioni 21_Uffici 22_Giardino segreto

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Prospetto Sud-Ovest

Prospetto Nord-Est

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Fig. 36 Prospetti e pianta al piano terra del Museo

l’accesso ai magazzini. Durante la bella stagione l’esposizione è ampliabile anche nella piazza coperta, visto che gli infissi sono pensati per permettere la massima comunicabilità fra i due spazi. La hall d’ingresso alle gallerie principali si trova nell’altro blocco, si tratta di uno spazio a doppia altezza sui cui lati opposti sono collocati la reception e la scalinata d’accesso, in fondo si trova un bookshop il cui funzionamento può essere indipendente dal resto del museo. Attorno a questa area si trovano una serie di ambienti di servizio, il primo, posto al di sotto della terrazza laterale, comprende una serie di servizi igienici, un guardaroba ed un magazzino per il bookshop, in secondo, situato sul lato opposto, ospita l’ingresso agli impianti di risalita ed una galleria fotografica. Salendo attraverso la scala principale si esce dal basamento e si entra nel parallelepipedo vetrato, il primo spazio che troviamo è un foyer affacciato su Lower Manhattan, da questo è possibile accedere alla grande terrazza panoramica oppure alla galleria. Per accedere a quest’ultima si può passare per uno dei due deambulatori individuati dagli impianti di risalita e dai servizi igienici, i quali, insieme alle scale di emergenza, formano un blocco unico, con accessi appositamente schermati, che funge da termine alla galleria permanente. L’area espositiva è formata da un lungo ambiente affacciato sul ponte di Brooklyn e sulla baia di New York, questa è intervallata da una serie di teche in cui è esposta una collezione di opere e reperti che, in modo simile a quello che avviene già nell’attuale sede Museo della Città, illustrano i momenti fondamentali della storia della metropoli. L’allestimento pensato come una serie di Wunderkammern vista la molteplicità di oggetti con cui è possibile ricostruire per frames i passaggi cruciali che hanno segnato la storia di New York, questo può essere ottenuto sia con un semplice ordine cronologico che attraverso dei più strutturati filoni tematici. Questo è integrato con una sala per le proiezioni video, la

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quale permette di proiettare filmati di volta in volta diversi in base al tema che si vuole discutere. Proseguendo lungo questo corpo vetrato giungiamo ad un grande doppio volume, è uno spazio in cui è possibile esporre opere d’arte contemporanea di grandi dimensioni e contiene al suo interno la scala per accedere alla galleria superiore. Tutta la galleria è caratterizzata da un controsoffitto metallico microforato dentro il quale sono posti i sistemi di illuminazione oltre che gli impianti, la pavimentazione invece è formata da grandi riquadri in cemento resina. Il soffitto, e dunque il solaio del piano superiore, non è in continuità con il curtain wall che lambisce i lati dell’edificio, ma è staccato da esso connettendosi alla parte strutturale solamente con la prosecuzione delle travature, permettendo alla luce di filtrare dal piano superiore. La galleria del secondo piano invece si compone da una serie di stanze collegate sia fra di loro che con i corridoi esterni. Le pareti che le delimitano non arrivano fino al soffitto ma lasciano uno spazio che dall’interno permette di percepire un’unica copertura che abbraccia senza soluzione di continuità l’intera struttura. Il sistema di illuminazione naturale avviene attraverso un grande lucernario che sovrasta le varie sale, questo si compone di diversi strati. Partendo dall’esterno è presente una prima schermatura costituita da una serie di shed in vetro opaco all’80%, questi sono fissati, attraverso degli appositi montanti, alle intelaiature della finestratura sottostante, a loro volta ancorate all’intelaiatura metallica di sostegno poggiata sulle travi alveolari. L’intelaiatura è opportunamente sagomata in modo che l’acqua possa facilmente incanalarsi in appositi condotti senza che si depositi al di sopra del lucernario. Internamente è presente un’altra finestratura che assieme a quella superiore, delinea una camera d’aria con funzione di isolante termico, la luce soffusa e zenitale filtrata dal vetro opaco dello shed attraversa questo spazio e giunge all’ultimo strato che compone il lucernario.

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Fig. 37 Vista della galleria al primo piano


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Si tratta di una lamiera metallica microforata che ha lo scopo di rendere uniforme l’illuminazione, senza ombre o cambiamenti d’intensità, in modo da poter esporre al meglio le opere contenute in ogni sala. Questa è coadiuvata da un vellum in tessuto posto fra l’elemento in vetro e quello metallico, in modo da diffondere ancora più omogeneamente la luce ed eventualmente può essere effettuato un controllo ancora maggiore sulla luce naturale inserendo delle lamelle orientabili nello spessore del lucernario. L’illuminazione artificiale è inserita nell’intercapedine del lucernario ed è integrata da alcuni faretti agganciati al soffitto in modo da poter illuminare opere specifiche nel caso in cui l’esposizione lo richieda. La pavimentazione, per dare più leggerezza rispetto ai piani inferiori, non è in cemento resina ma è un parquet formato da lunghe liste in legno di quercia, in modo da dare, assieme alla luce zenitale, un’atmosfera più intima e tranquilla.

Fig. 38 Sezioni trasversali e pianta al primo piano del Museo

Le pareti sulle quali sono esposte le opere, non raggiungendo il soffitto, sono dovute essere rinforzate tramite una doppia struttura metallica interna. Infatti, oltre ai montanti classici per le pareti in cartongesso, è presente internamente un’altra serie di montanti centrali ancorati a due piastre, una sommitale ed una inferiore, quest’ultima è fissata saldamente al solaio in modo che non ci siano problemi di instabilità. Uscendo dalle sale della galleria e proseguendo lungo i deambulatori troviamo prima il blocco dei servizi, in cui sono poste anche le scale di emergenza, e subito dopo una grande terrazza interna. Questo spazio ha la duplice funzione di essere sia un’area in cui è possibile esporre opere d’arte contemporanea con le quali l’artista si confronta direttamente con il paesaggio della città, sia la degna conclusione del percorso museale nella quale si mostra il soggetto del museo in sé, ovvero New York nella sua vista quintessenziale vista su Lower Manhattan.

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Fig. 39 Sezioni longitudinali e pianta al secondo piano del Museo Fig.40 Vista interna della terrazza coperta 94


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Una volta usciti è possibile accedere all’altro blocco, caratterizzato dalla sua massività in netto contrasto con la leggerezza della struttura in vetro. Morfologicamente si presenta come un cubo in calcestruzzo con una testa liscia ed una parte inferiore trattata con del cemento dalla texture più corrugata data dalle liste in legno delle casseforme, come se i pannelli, presenti nella parte superiore, fossero stati strappati via lasciando dietro di sé una superficie grezza. Le aperture sono presenti solamente nella parte più bassa, corrispondente al primo piano del museo, queste sono essenzialmente gli accessi e le finestrature della zona ristoro, l’entrata degli uffici e l’accesso alla zona di carico e scarico dei magazzini del museo. L’ambiente principale che troviamo in questo livello è la caffetteria, questa consiste in un grande spazio vetrato con accesso sulla viabilità principale del parco, il quale può essere ampliato nella bella stagione all’esterno per godere della vista sulla baia di New York. Sul lato che da verso la biblioteca sono situati gli accessi agli uffici e l’area di carico e scarico dei magazzini, quest’ultima ha essenzialmente la funzione di permettere l’accesso al montacarichi da questo piano più alto, maggiormente accessibile dalla strada. I piani superiori sono occupati dall’attività amministrativa del complesso museale, salendo le scale, il cui accesso avviene con un ingresso apposito, ci si ritrova in una piccola reception con una saletta di attesa. Di fronte si trovano gli uffici, essi sono completamente vetrati sia sul lato interno che su quello esterno, in modo che, la luce filtri in profondità nell’edificio. Non essendoci finestre sui lati esterni la questione dell’illuminazione naturale è stata risolta facendo affacciare gli ambienti su di una corte interna in cui è presente un piccolo giardino. La scelta è stata dettata dalla volontà di creare un luogo di lavoro idealmente isolato dalla caotica vita cittadina, preferendo la scelta del rassicurante Hortus Conclusus alla metropoli. 98

Fig. 41 Pagina precedente Vista esterna del Museo Fig.42 Vista galleria permanente del secondo piano


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_Biblioteca

L’altro edificio che assieme al museo definisce questo nuova area culturale è la biblioteca. Questa, a differenza del complesso principale, non segue il parallelismo dato dal lato corto del lotto, ma cerca la perpendicolarità rispetto al lato più lungo, creando così un dinamismo nell’impianto a terra che, assieme ai vari dislivelli, richiama la land art e l’incessante lavoro dell’uomo che ha trasformato Manhatta in New York. Anche l’edificio in sé è scultoreo nella sua semplicità, si tratta due stecche sfalsate in calcestruzzo armato, spaccate da un lungo nastro di vetro ed incastonate in un dislivello, tra una piazza ed una scalinata. La funzione per cui è stata pensata è duplice, da una parte dovrà servire da approfondimento alla storia della città in ausilio al museo, dall’altra è pensata anche come una biblioteca di quartiere, nella quale gli abitanti del “neighborhood” possano studiare o rilassarsi leggendo un libro con vista sul ponte di Brooklyn. L’accesso alla biblioteca avviene sul livello più alto del lotto e si affaccia direttamente sulla viabilità interna del parco del Brooklyn Bridge, per cui è possibile raggiungerla sia camminando lungo il parco che da Squibb Park mediante la sopraelevata. L’ingresso si trova in corrispondenza della frattura fra i due blocchi, entrando ci si trova subito nel grande corridoio che funge da direttrice principale e sul quale si affacciano tutti gli ambienti. Il primo che troviamo è la hall, questa ha una funzione anche di guardaroba e si tratta essenzialmente di una sala a doppia altezza di proporzioni grossomodo cubiche affacciata direttamente sull’ampio spazio in cui si trovano le altre funzioni.

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Fig. 43 Vista della sala lettura


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Proseguendo lungo il corridoio ci si imbatte in una grande gradonata, questa è uno dei collegamenti tra il piano terra ed il piano interrato, ha la funzione di essere un’area di relax nella quale poter leggere con davanti il panorama di New York ma anche di piccolo teatro per eventuali eventi. L’ambiente che segue, idealmente diviso dal distributivo che prosegue in altezza fino a diventare il lucernario, consta di due parti, la sala lettura e l’area libraria. La prima sorge sopra un ballatoio, questo, assieme a quello superiore, forma una serie di spalti pensati in modo che possano essere ben illuminati dalla luce che entra dalla grande parete vetrata posta sul lato settentrionale dell’edificio. Questa si divide in tre spazi, delimitati dai setti strutturali che sorreggono i ballatoi, in ognuno di questi sono presenti dei tavoli per la consultazione insieme ad un lungo banco che occupa per tutta la lunghezza la balaustra. Dall’altra parte troviamo l’area libraria, questa è composta da un lungo ambiente in cui sono collocate le librerie ed è accessibile attraverso il corridoio che è di fatto in continuità anche con la zona dedicata alla lettura. Le scaffalature in cui sono riposti i libri non sono un mero mobilio ma sfruttano la presenza dei pilastri che sorreggono il piano superiore per integrarli nella propria struttura, questo fa si che il solaio sembri sorretto dai libri, come a rimarcare il ruolo della cultura come valore fondativo della società occidentale.

Fig. 44 Sezioni trasversali e Piante della biblioteca

Salendo le scale, poste nel blocco dedicato ai servizi, il quale è diametralmente opposto rispetto alla hall, si raggiunge il ballatoio superiore in cui si trova l’area studio. Questa rispetto alla sala letture è suddivisa, mediante delle librerie, in più spazi. Ha la funzione di fornire un’ambiente tranquillo e privato a tutti coloro che abbiano la necessità di recarsi nella biblioteca per svolgere attività di ricerca.

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Anche a questo piano si trova una stecca contente le librerie, questa è collegata alla balconata attraverso dei passaggi a ponte che coprono lo sbalzo dato dal corridoio a tutta altezza, estendendosi anche in un terzo piano non presente nell’altro blocco. Se torniamo indietro fino scendendo fino al piano interrato, ci ritroviamo in una grande area aperta sulla quale si affacciano i ballatoi di cui abbiamo parlato. La luce, nonostante ci si trovi circa tre metri più in basso rispetto alla quota del suolo, entra copiosa dalla grande finestra sovrastante, illuminando a dovere le aree dedicate ai bambini, poste sotto la sala lettura. Le aree al di sotto della hall e della stecca libraria, essendo al riparo dalla luce naturale, sono state utilizzate per il collocamento dell’archivio fotografico ed del pozzo librario, quest’ultimo è collegato verticalmente a tutti gli altri piani tramite gli impianti di risalita posti alle estremità dell’edificio. Come già detto in precedenza il masterplan si svolge su due livelli distinti, quello del parco superiore e quello della piazza. Il primo si trova proprio davanti la grande apertura della biblioteca ed è infatti parte integrante del progetto dell’edificio. Dagli spazi dedicati alla lettura o allo studio si gode della vista sui due ponti storici, il Brooklyn ed il Manhattan bridge, ma si vede anche il parco pensato come bosco urbano che entri in contrasto e sublimi la vista della metropoli ed allo Fig. 45 Spaccato assonometrico e stesso tempo dia una sensazione di pace e tranquillità in Prospetti della Biblioteca quanto spicchio di natura fra il cemento della città.

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_Schema funzionale della biblioteca

01_Archivio fotografico 02_Gradonata anfiteatro 03_Ludoteca/area bambini 04_Pozzo librario 05_Hall 06_Sala lettura 07_Area libraria 08_Area studio

Fig. 46 Esploso assonometrico della biblioteca

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_Particolari tecnologici

_Sfogliato assonometrico _Solaio 1_Pavimentazione in parquet di legno di quercia su massetto cementizio 2_Isolamento acustico al calpestio 3_Soletta in calcestruzzo s. 15 cm 4_Lamiera grecata collaborante 5_Trave alveolata in acciaio h. 90 cm 6_Travatura secondaria IPE 300 7_Chiusura tramite controsoffittura in lamiera metallica microforata

Fig. 47 Spaccato assonometrico del museo in corrispondenza delle sale espositive Fig.48 Sfogliato assonometrico del solaio tra primo e secondo piano

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_Particolare tecnologico _Museo 01_Chiusura orizzontale _Sheds in vetro opaco all’80% bianco _Montanti di sostegno in acciaio _Vetro temprato a doppia camera _Intelaiatura di sostegno in acciaio in scatolari 24x10 cm _Trave alveolata in acciaio h.90 cm _Tiranti in acciaio _Vetro temprato a doppia camera _Chiusura in lamiera metallica microforata con velum in tessuto 02_Canalizzazione acque meteoriche _Scossalina metallica _Cordolo in cls alleggerito _Doppia guaina impermeabilizzante _Bocchetta per il drenaggio delle acque meteoriche _Corsia calpestabile formata da blocchi in calcestruzzo 50x50 cm _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 5 cm _Barriera al vapore _Massetto di pendenza al 2% in vermiculite espansa _Soletta in calcestruzzo s.15 cm _Lamiera grecata collaborante _Trave alveolata in acciaio h. 90 cm _Travatura secondaria IPE 300 _Canalizzazione acque meteoriche _Chiusura in lamiera metallica microforata 03_Solaio di copertura _Strato protettivo di ghiaia di fiume lavata s. 5cm _Strato in geotessile _Doppia guaina impermeabilizzante _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 5 cm _Barriera al vapore _Massetto di pendenza al 2% in vermiculite espansa _Soletta in calcestruzzo s.15 cm _Lamiera grecata collaborante _Trave alveolata in acciaio h. 90 cm _Travatura secondaria IPE 300 _Spazi per impianti di areazione ed elettrici _Chiusura in lamiera metallica microforata 04_Parapetto _Scossalina metallica _Cordolo in cls alleggerito _Piega barriera al vapore _Isolante termico in polistirene espanso estruso _Doppia guaina impermeabilizzante _Montante in acciaio 25x12 cm _Scatolare in acciaio 35x20 cm 05_Chiusura verticale _Facciata strutturale con vetro a tripla camera _Travatura reticolare realizzata con profilati di varia grandezza carterizzati da un rivestimento in acciaio 30x30 cm _Facciata strutturale con vetro a tripla camera _Tendaggio interno automatizzato a scomparsa

Fig. 49 Sezione del Museo

06_Chiusura verticale _Facciata strutturale con vetro a tripla camera _Mensola in acciaio con grata per manutenzione _Travatura reticolare (corrente HEB 300) _Cerniera di giunzione _Tendaggio interno automatizzato a scomparsa _Scatolare in alluminio 10x90 _Carter metallico

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07_Chiusura verticale _Facciata strutturale con vetro a tripla camera _Mensola in acciaio con grata per manutenzione _Travatura reticolare (corrente HEB 300) _Appoggio elastomerico 08_Chiusura verticale _Riempimento con inerti di varia grandezza _Strato in geotessile _Guaina impermeabilizzante _Setto in calcestruzzo armato controterra _Scannafosso _Setto in calcestruzzo armato _Isolante termico in blocchi di polistirene espanso s. 40 cm _Pilastro in acciaio (HEM 260) _Setto in calcestruzzo 09_Chiusura verticale interna _Finitura in intonaco s.1.5 cm _Lastre di cartongesso s.1.1 cm _Isolante acustico in lana di roccia _Profilo C in acciaio per la posa del cartongesso 10x5 cm _Lastra orizzontale di irrigidimento _Sistema di sostegno in acciaio _Profilo a C in acciaio per la posa del cartongesso 10x5 cm _Lastre di cartongesso s.1.1 cm _Finitura in intonaco s.1.5 cm 10_Solaio intermedio _Parapetto in vetro ed acciaio _Pavimentazione in parquet di legno di quercia _Massetto s. 5 cm _Isolamento acustico al calpestio _Soletta in calcestruzzo s.15 cm _Lamiera grecata collaborante _Trave alveolata in acciaio h. 90 cm _Travatura secondaria IPE 300 _Spazi per impianti di areazione ed elettrici _Chiusura in lamiera metallica microforata 11_Solaio intermedio _Pavimentazione in lastre in cemento resina 300x300 cm _Isolamento acustico al calpestio _Soletta in calcestruzzo s.15 cm _Lamiera grecata collaborante _Trave alveolata in acciaio h. 90 cm _Travatura secondaria IPE 300 _Spazi per impianti di areazione ed elettrici _Chiusura tramite controsoffittatura pannelli cementizi 12_Solaio controterra _Pavimentazione in calcestruzzo con rete elettrosaldata 5x5 cm con finitura in resina _Isolante termico in polistirene espanso estruso 8 cm _Barriera al vapore _Vespaio a casseri a perdere con moduli in plastica _Malta di allettamento _Fondazione a platea (s.120 cm) su pali (d. 80cm) _Guaina impermeabilizzante _Magrone _Pali di fondazione

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Fig. 50 Prospetto settentrionale


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_Particolare tecnologico _Uffici e caffetteria 01_Solaio di copertura _Pavimento flottante _Strato in geotessile _Doppia guaina impermeabilizzante _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 8 cm _Barriera al vapore _Massetto di pendenza _Solaio prefabbricato in calcestruzzo alveolare _Spazi per impianti di areazione ed elettrici _Chiusura in lamiera metallica microforata 02_Parapetto _Scossalina metallica _Cordolo in cls alleggerito _Isolante termico in polistirene espanso estruso _Doppia guaina impermeabilizzante 03_Chiusura verticale _Finitura in intonaco s. 1.5 cm _Tamponatura in laterizi forati s. 12 cm _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 8 cm _Setto portante in calcestruzzo armato s. 25 cm _Finitura esterna in pannelli di calcestruzzo armato 04_Apertura verticale _Architrave in laterizio _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 5 cm _Porta con apertura a scorriemento ed a battente _Architrave in calcestruzzo armato _Finitura con pannelli in calcestruzzo armato _Pensilina in acciaio 05_Chiusura verticale _Inerti di varia pezzatura _Strato in geotessile _Guaina impermeabilizzante _Setto in calcestruzzo armato controterra _Scannafosso _Setto portante in calcestruzzo armato s. 25 cm _Camera d’aria _Isolante termico in polistirene espanso estruso s. 15 cm _Barriera al vapore _Tamponatura in laterizi forati s. 45 cm _Finitura in intonaco s. 1.5 cm 06_Solaio controterra _Pavimentazione in cementoresina _Isolante termico in polistirene espanso estruso _Barriera al vapore _Vestapaio areato in casseri a perdere con moduli in plastica _Fondazione a platea (s. 120 cm) su pali (d. 80 cm) _Guaina impermeabilizzante _Sottofondo in magrone

Fig. 51 Sezione uffici

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07_Solaio intermedio _Pavimento flottante in gres porcellanato _Solaio prefabbricato in calcestruzzo alveolare _Spazi per impianti di areazione ed elettrici _Chiusura in lamiera metallica microforata 08_Chiusura verticale interna _Infisso in alluminio _Vetro temprato a tripla camera _Profilato scatolare in alluminio 09_Apertura verticale _Trave in calcestruzzo armato 40x75 cm _Setto in calcestruzzo alleggerito

Fig. 52 Spaccato assonometrico del museo in corrispondenza degli uffici e della caffetteria Fig.53 Prospetto settentrionale del blocco degli uffici

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_Riferimenti

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Fig. 54 Museo d’arte di San Paolo, San Paolo, Brasile Lina Bo Bardi

Fig. 55 Museo Brasiliano di Scultura San Paolo, Brasile Paulo Mendes da Rocha

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Fig. 56 Museo della Memoria Santiago del Cile, Cile Mario Figueroa Carlos Dias Lucas Fehr Fig. 57 Beyeler Foundation Riehen, Svizzera Renzo Piano

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Fig. 58 Parallelo, Edificio per uffici Milano, Italia Mario Cucinella

Fig. 59 New museum of Natural History Basilea, Svizzera Durisch + Nolli

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Fig. 60 Milstein Hall Ithaca, USA OMA

Fig. 61 Salt Lake Institute Salt Lake City, USA Louis Kahn

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_Bibliografia • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

F.F. V. ARRIGONI, 000_010 progetti, Edizioni DIDA 2010 F. F. V. ARRIGONI, Sinopie architetture ex atramentis, Die neue sachlichkeit, 2010 F. F. V. ARRIGONI, Incipit. Esercizi di composizione Architettonica, Firenze university press 2006 W. J. R. CURTIS, L’architettura moderna del ‘900, Phaidon 2006 H. FERRISS, Metropolis of Tomorrow, Ives Washburn Publisher 1929 FONDATION BEYELER, Renzo Piano : Fondation Beyler una casa per l’arte, Birkhauser2001 L. GRECO, Architetture autostradali in Italia : progetto e costruzione negli edifici per l’assistenza ai viaggiatori, Gangemi Editore 2010 L. HUBERMAN, We the people - Storia popolare degli Stati Uniti, Rizzoli 1977 B. HARRIS, Mille edifici di New York, Mondadori Electa 2003 F. KAFKA, America, Garzanti 1989 N. LEONARDI, Landscape: Architecture in detail, Scripta Maneant 2012 R. KOOLHAAS, Delirious New York, Mondadori Electa 2001 F. MASI, Costruire in acciaio, Hoepli 1996 E. MENDELSON, Amerika, Rudolf Mosse, 1926 L. MUMFORD, Passeggiando per New York: scritti sull’architettura della città, Donzelli Editore 2000 L. BASSO PERESSUT, Il museo moderno : architettura e museografia da Auguste Perret a Louis I. Kahn, Lybra Immagine 2005 R. PIANO, Beyeler : Fondation Beyeler, Fondazione Renzo Piano 2008 R. PIANO, Che cos’è l’architettura?, Luca Sossella Editore, 2012 S. SUMA, Musei Vol. II :Architetture 2000-2007 Z. DATO TOSCANO , Frank O. Gehry per il waterfront di Lower Manhattan, Gangemi Editore 2002 A. TZONIS, Le Corbusier : la poetica della macchina e della metafora, Rizzoli 2002

_Sitografia •

Brooklyn Bridge Park

Dati e files georefenziati

Storia di Brooklyn

Storia della colonizzazione olandese

https://www.brooklynbridgepark.org/

https://www1.nyc.gov/

https://panologist.wordpress.com/2013/03/31/welkom-in-breuckelenwelcome-to-brooklyn/

https://www.nps.gov/nr/travel/kingston/colonization.htm 124


https://www.history.com/this-day-in-history/new-amsterdam-becomes-new-york https://untappedcities.com/2015/05/06/today-in-nyc-history-how-the-dutch-actually-boughtmanhattan-the-long-version/

Strutture sospese

http://www.arch.mcgill.ca/prof/sijpkes/aaresearch-2012/12-student-files/suspended-structures.pdf https://www.slideshare.net/WolfgangSchueller/the-cable-in-building-structures

Storia del waterfront di Brooklyn e del Queens

Sviluppo urbano di Brooklyn

https://sites.google.com/site/brooklynqueenswaterfront/overall-history

https://ny.curbed.com/2014/7/24/10069912/brooklyns-evolution-from-small-town-to-big-city-toborough https://keithyorkcity.wordpress.com/2012/10/05/the-great-mistake-of-1898-the-consolidation-of-adozen-towns-into-5-boroughs/

_Filmografia • • • • • • • • • • • •

Bladerunner, Ridley Scott 1982 Brooklyn, Nathan Braunstein 1949 C’era una volta in America, Sergio Leone 1984 Construction of Rockefeller Center, Rockefeller Family Audiovisual material 1931 Driving around New York City, Albert DeMond 1928 Making A Skyscraper, Library of Congress Prelinger Archive , ‘30s My Architect: A Son’s Journey, Nathaniel Kahn 2003 New York: The Dinamic City, Castle films 1970 New York: Vacation City, Library of Congress Prelinger Archive 1940 Ritmi di New York, Vittorio Sala 1957 Scenes from the world of tomorrow, Ford Motor Company 1939 1997: Fuga da New York, John Carpenter 1981

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_Ringraziamenti È passato oltre un anno da quando io e Vieri abbiamo deciso di affrontare questa avventura che dalle sponde dell’Arno ci ha portato sulle rive dell’Hudson. Non solo in senso metaforico ma fisico, con due settimane di full immersion nella Grande Mela per capire la città ed individuare i nostri lotti ed i nostri temi. Giunto alla fine di questo lavoro ci tenevo a ringraziare le persone che mi hanno permesso di portare a compimento questo lavoro. Prima di tutto il mio relatore, il Professor Fabrizio Arrigoni, il quale, con la sua sconfinata passione per la materia e l’encomiabile disponibilità, mi ha aiutato a portare a compimento questo progetto al meglio delle mie possibilità. Un particolare ringraziamento va anche al Professor Giovanni Cardinale, il mio correlatore, che mi ha supportato nella parte strutturale del mio progetto, facendomi cogliere aspetti che altrimenti sarebbero stati ignorati. Una doverosa e smisurata riconoscenza a va verso i miei genitori ed i miei nonni, i miei principali sostenitori e “finanziatori”, i quali mi hanno permesso di completare il mio percorso di studi durato quasi venti anni. Voglio ringraziare il mio amico e compagno di studi Vieri Ferrucci, che come già detto prima mi ha accompagnato alla volta di New York, ed i suoi genitori, in particolare suo padre che abitando a Baltimora ci è venuto a trovare a Manhattan. Ringrazio la mia Professoressa di Storia dell’Arte e Disegno Tecnico Simonetta Mannari, grazie alla quale mi sono avvicinato a questa materia insieme a tutti gli altri insegnanti che nel corso degli anni mi hanno dato qualcosa in più che un semplice insegnamento.

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Un pensiero va a tutte quelle persone, amici, colleghi e coinquilini che nel corso di questi anni mi sono stati vicini e che mi hanno accompagnato in questa esperienza universitaria. A Giulio, Dario e Gianni che come unico difetto hanno quello di essere piombinesi. A Lorenzo, amico, bandieraio e storico coinquilino, quasi un fratello maggiore (sic!) in questi anni di vita universitaria. A Thomas e a Bene, che hanno condiviso l’esperienza de’ “I Ragazzi di Via Brunetto Latini”. A Matteo, compagno di gioie (poche) e dolori, con il quale ho condiviso non poche nottate di lavoro. E a tutti gli altri che hanno reso indimenticabile questa esperienza.

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