Tesi_Terre rosse. Centro culturale e di ricerca nel Parco Minerario dell'Isola d'Elba

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Università degli Studi di Firenze DiDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico in architettura anno accademico 2017-2018

Terre rosse Centro culturale e di ricerca nel Parco Minerario dell’Isola d’Elba

progetto Chiara Caroli relatore Fabrizio F. V. Arrigoni



indice |

Abstract

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Aithalìa

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Le miniere

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Il periodo antico Aithalìa Statuta Rivi e Medio Evo Principato di Piombino e Granducato di Toscana Epoca francese Restaurazione granducale Dall’unità d’Italia all’epilogo Il parco Minerario

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Paesaggio minerario Terre rosse

Il progetto

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I minerali

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Riferimenti progettuali

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Riferimenti Bibliografia Fotografie e illustrazioni

Ringraziamenti

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Terre Rosse Centro culturale e di ricerca nel Parco Minerario dell’Isola d’Elba

There is nothing there, yet it is still a sculpture. Double Negative, Nevada, 1969-70 Michael Heizer

Territori scavati, lacerati e violati si mostrano privi dello strato superficiale che naturalmente li ricopre. Spogliati dalla vegetazione appaiono come territori non appartenenti al nostro pianeta, inospitali e aridi. Colori insoliti e contrastanti: profonde ombre riempiono i vuoti degli scavi, il cielo che per i forti venti è di azzurro intenso, il verde della vegetazione che rigogliosa cerca di ricoprire tutta la superficie ed infine il rosso ferro, bruno, color sangue, giallo ocra e tutte le sfumature delle terre del ferro. Ogni variazione di rosso è la dimostrazione della diversità dei minerali di cui questa terra è composta: limonite, ematite, pirite, magnetite e ossidi di ferro. Un mondo che si intreccia con tutto l’ambiente circostante: la vegetazione che a stento cerca di rimarginare le ferite del passato, le abitazioni dei paesi minerari che brillano sotto i raggi del sole per le scaglie di pirite che si trovano anche nella calce degli intonaci. L’acqua che riempie i vuoti lasciati dagli scavi a contatto con la superficie più intima della terra ne prende il colore e si trasforma in diverse tonalità

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di rosso. Non solo nei materiali e nei colori si percepisce la presenza del ferro, anche attraverso l’olfatto è possibile sentire in queste terre rosse un chiaro sapore di ruggine. Queste terre orientali sono state lo scenario di secoli di scavo e il passato minerario qui è ancora presente. Rovine di ferro sono testimoni dell’intenso sfruttamento dell’isola e delle sue risorse, punteggiando la costa rocciosa e selvaggia si alternano alle voragini che segnano il territorio. Paesaggi arrugginiti fermi nel tempo rimandano a quel momento in cui le miniere cessarono la loro attività secolare. Il progetto di tesi si propone di aggiungere un nuovo capitolo al racconto già iniziato dal Parco Minerario dell’Isola d’Elba, nato in seguito alla dismissione delle aree minerarie dop la loro definitiva chiusura nel 1981. Componendosi di nuovi spazi per la conservazione e valorizzazione di ciò che resta di quasi tre millenni di cultura, segnata dal minerale e dal lavoro dell’uomo, prendono vita nuovi ambienti espositivi e laboratori per la ricerca delle risorse storiche e paesaggistiche del territorio. Percorsi trekking

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1.Double Negative, Nevada, 1969-70,

Michael Heizer

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sulle vie dei minatori completano la visita e offrono la giusta dimensione per comprendere a pieno le caratteristiche di queste aree. Il progetto si inserisce all’interno di uno dei cantieri di scavo della Miniera di Rio Albano ricavando la sua origine direttamente dalle suggestioni degli scavi. La presenza di rocce nude che disegnano il luogo rimangono nella percezione come scultura naturale da preservare come traccia del passato diventando cosÏ il centro attorno cui il progetto si genera e si sviluppa.

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(1) Calvino, La spada nel sole, in Palomar, Mondadori, 1994

“Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete. Le barche bianche controluce si fanno nere, perdono consistenza ed estensione, come consumate da quella picchiettatura risplendente. E’ l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra nell’acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte s’allunga fino a lui. A ben pensarci, una tale situazione non è nuova: già per la durata di milioni di secoli i raggi del sole si posavano sull’acqua prima che esistessero degli occhi capaci di raccoglierli. Il signor Palomar nuota sott’acqua; emerge; ecco la spada! Un giorno un occhio uscì dal mare, e la spada, che già era lì ad attenderlo, poté finalmente sfoggiare tutta la snellezza della sua punta acuta e il suo fulgore scintillante. Erano fatti l’uno per l’altro, spada e occhio: e forse non la nascita dell’occhio ha fatto nascere la spada ma viceversa, perché la spada non poteva fare a meno d’un occhio che la guardasse al suo vertice. Il signor Palomar pensa al mondo senza di lui: quello sterminato di prima della sua nascita, e quello ben più oscuro di dopo la sua morte; cerca d’immaginare il mondo prima degli occhi, di qualsiasi occhio; e un mondo che domani per cata strofe o lentacorrosione resti cieco. Che cosa avviene (avvenne, avverrà) mai in quel mondo? Puntuale un dardo di luce parte dal sole, si riflette sul mare calmo, scintilla nel tremolio dell’acqua, ed ecco la materia diventa ricettiva alla luce, si differenzia in tessuti viventi, e a un tratto un occhio, una moltitudine d’occhi fiorisce, o rifiorisce… Ora tutte le tavole del surf sono state tirate a riva, e anche l’ultimo bagnante infreddolito - di nome Palomar - esce dall’acqua. Si è convinto che la spada esisterà anche senza di lui: finalmente s’asciuga con un telo di spugna e torna a casa.” (1)

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“The Sea Horizon pictures are not moments in time and I decided not to record the exposure and the time of the day. Conceptually they have no beginning and no end. The sea was there before I started and will still be there afterwards. The actual moment is not important. It was about capturing the flux of activity, about being alive and seeing this timeless performance in front of me, from my home: this continuous change, these massive shifts in weather and water. This was my domestic landscape. It was endless. I could have photographed the sea horizon for the rest of my life.� Time Passage, Garry Fabian Miller. James Hyman Gallery, 2008

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2. Scogliera della costa Ovest

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Aithalìa

È l’isola dagli infiniti orizzonti. Lo sguardo si perde nel mare senza fine nella continua ricerca delle terre vicine. È un luogo di silenzio in cui poter ascoltare la natura: l’aria di salsedine che viene dal mare trasporta le voci lontane, il vento muove le foglie che lentamente si sfiorano e profumano l’ambiente. Chi giunge per la prima volta sull’Isola rimane colpito dai mille toni di colore presenti sulle pendici dei rilievi digradanti verso il mare. Spiagge dorate carezzano le acque cristalline, massicci granitici emergono dalla macchia verde intenso e paesaggi lunari constraddistinguono le aree minierarie. Il vento, i profumi ed i colori forti non sono altro che l’inizio della scoperta di un’isola con una storia importante. Oggi al centro delle mete turistiche europee, l’isola nel passato ha ricoperto un ruolo importante per la sua posizione strategica nelle rotte commerciali del Mediterraneo. Scalo cruciale negli itinerari marittimi tra il continente e le grandi isole del Tirreno, attraverso l’Elba era possibile raggiungere la Corsica, la Sardegna e la Sicilia, quindi l’Africa, le isole Baleari e la Spagna. Anche la costa meridionale della Francia con la fiorente colonia greca di Marsiglia era una meta di que-

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3. La via del Granito e l’orizzonte Sud

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4. M/N Aethalia, 1967

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ste rotte. Sono testimonianza di tali attività i relitti di alcune naves onerariae affondate nelle acque di Sant’Andrea, Procchio e Chiessi. Per sfruttare al meglio le risorse uniche che l’Elba poteva offrire si potenziarono porti, vennero costruiti insediamenti produttivi, militari e abitativi in buona parte del territorio isolano. Nasce così la storia di un’isola e delle sue risorse: il ferro e il granito.

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le miniere |


5. Aree minerarie Rio, Volo GAI, 1978

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6.Isola d’Elba, aree minerarie Rio

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La risorsa mineraria più importante è stata rappresentata dai giacimenti di ferro della costa orientale dell’isola, che hanno costituito, fino a pochi anni fa, il pilastro fondamentale dell’economia dei comuni di Rio Elba, Rio Marina e Capoliveri. Gli scavi susseguitisi nel corso dei secoli sono divenuti sempre più evidenti negli ultimi anni di lavorazione a causa dell’uso frequente di esplosivi e potenti mezzi meccanici. Le aree minerarie rappresentano un policromo paesaggio artificiale che in parte la natura è riuscita a riconquistare. Di grande fascino ambientale e di notevole rilievo scientifico rappresentano un importante testimonianza storica di millenni di lavoro. Il quantitativo totale del minerale di ferro estratto non è valutabile con certezza assoluta per la mancanza di dati per il periodo che va dall’antichità al 1700. Sulla base dell’entità dei vuoti di coltivazione, si suppone che la produzione fino al 1751, anno in cui iniziarono registrazioni più o meno attendibili, sia stata di 10 milioni di tonnellate. Da questa data al 1917 la produzione è stata stimata da 10 a 15 milioni di tonnellate, dal 1918 al 1949 furono prodotte 11 milioni di tonnellate e dal 1950 alla chiusura degli impianti 6 milioni di tonnellate.

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7. Aree minerarie Punta Calamita, Volo GAI, 1978

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7.Isola d’Elba, aree minerarie Punta Calamita

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Quindi sarebbero stati estratti dalle miniere elbane circa 50 milioni di tonnellate di grezzo, una quantità considerevole che rende l’Isola d’Elba il giacimento principale italiano. La chiusura delle miniere elbane non è comunque dovuta all’esaurirsi dei giacimenti, ma in parte alla qualità del minerale non più in linea con le esigenze produttive delle acciaierie di Piombino, ed in parte alle diverse politiche economiche intraprese negli anni ’70.

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9. Punte di freccia in selce e siaspro dalla grotta di San Giuseppe, Rio Elba, Ferrari, Rosolani, Territorio e civiltà di un’isola, Genova, Rs Editore, 2001

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10. Rappresentazione grafica di un antico centro di riduzione del minerale, illustrazione G. Agricola, De Re Metallica, 1556

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Il periodo antico

Le prime tracce di attività di estrazione e lavorazione dei metalli risalgono a circa 4000 anni fa. Verso la fine del III millennio a.C. furono seppelliti nella Grotta di San Giuseppe, almeno 90 individui con ricchi corredi di vasi, cuspidi in selce e diaspro, e alcuni manufatti in rame (lame di pugnale, lesine). La tipologia dei vasi fa rientrare tutto il complesso nell’ambito della cosiddetta cultura di Rinaldone. Gli individui inumati nella grotta è probabile si trattasse di un gruppo di genti collegabili ai rinaldoniani della terraferma e stanziate all’Elba per attività di sfruttamento delle risorse minerarie relative al rame, presente proprio nella zona di Rio Marina.Oggetti tipici della cultura di Rinaldone quali finissime punte di giavellotto e di freccia e asce piatte di rame, sono stati trovati proprio dove esistono cave di rame, pezzi di rame nativo e scorie di questo metallo, come a Pomonte e a Colle Reciso, sempre all’isola d’Elba. In queste località scorie di lavorazione del rame sono mescolate anche con resti molto frammentari di forni fusori. La grotta San Giuseppe, esplorata accuratamente alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, dopo essere stata utilizzata come stalla e come rifugio durante l’ultima guerra, è una cavità naturale nel

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(2) De Mirabilibus Auscultationibus, 93, opera nota in una redazione del II secolo d.C., ma prodotta verosimilmente intorno al III secolo a.C.

territorio di Rio Marina. Una certa attività di estrazione e lavorazione del rame è sicuramente andata avanti, ma la sua progressiva e rapida diminuzione per esaurimento delle vene accompagnata dal più facile ed economico approvvigionamento che i navigatori egei e sardi potevano fare in altre aree più facilmente raggiungibili e probabilmente più ricche ha determinato un lungo periodo di decadenza delle attività minerarie. Gli scrittori antichi unanimamente considerano l’Elba la terra del ferro. La tradizione nota sotto il nome di Pseudo-Aristotele accenna alle risorse ramifere dell’isola e precisa che furono sfruttate prima di quelle ferrifere. “Si dice che in Tirrenia [Etruria] ci sia un’isola detta Aithaleia, in cui da una certa miniera si cavava inizialmente rame, col quale dicono che presso di loro venisse fabbri-cata ogni cosa, che poi non fu più trovato e che, passato molto tempo, comparve, da quella stessa miniera, ferro, di cui ancora oggi si servono i Tirreni [etruschi] che abitano Populonia.” (2) Se si escludono i casi di val Fucinaia nel Campigliese e, solo occasio-

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nalmente, di Populonia, non si hanno altri scavi sistematici in aree di lavorazione dei minerali o di miniere sfruttate dagli etruschi. Si parla però della presenza di scorie in aree etrusche di interesse minerario, che alluderebbero a una attività in antico, ma è spesso difficile dire se di età preetrusca, etrusca, romana, o medievale. Lo stesso scavo archeologico in un’area mineraria sfruttata a lungo nel corso dei secoli non è di faci-le interpretazione, perché ogni intervento oblitera completamente o quasi i precedenti: di conseguenza se nella miniera si è intervenuto in età etrusca e poi in età medievale o moderna, i segni della lavorazione più antica sono quasi inesistenti. Si aggiunga che se in Etruria, come è usuale nell’antichità, si sfruttarono giacimenti di superficie, così come è accaduto all’isola d’Elba fino all’epoca moderna, viene a mancare la possibilità materiale di considerare questi ultimi, perché qui i minerali vengono estratti senza lasciar traccia. Di norma in Etruria l’attività metallurgica si svolgeva nelle adiacenze dei luoghi di estrazione dei minerali. La destinazione di Populonia a luogo di lavorazione del minerale elbano è dovuta a fattori contingenti: scarsezza di acqua, esaurimento o insufficienza del legname dell’Elba.

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(3) Diodoro Siculo, Biblioth. Historica, V 13, 1-2

Aithalìa

Diodoro Siculo, storico greco di Agirio (Sicilia) vissuto tra l’80 e il 20 a.C. parla dell’attività estrattiva che si pratica all’Elba e delle fasi successive di utilizzazione del minerale. “Vicino alla città chiamata Populonia v’è un’isola dell’Etruria chiamata Aithalia. Questa, distante dalla riva 100 stadi, prese nome dalla quantità di fuliggine presente su di essa. Difatti contiene mi-nerale di ferro in gran quantità e di alto tenore, che viene ridotto in pezzi per essere fuso e per ot-tenere il ferro. I lavoratori spezzano la pietra e bruciano i vari pezzi in fornaci costruite a regola d’arte: fondendoli in queste con una gran quantità di fuoco ripartiscono le pietre a seconda della grandezza e ne fanno pezzi simili a grandi spugne. Dei trafficanti li comprano e li smistano a Dice-rarchia [Pozzuoli] e ad altri empori. Alcuni, acquistando questa merce e riunendo una moltitudine di fabbri, la lavorano e fanno svariati oggetti di ferro. Foggiano delle armi, e anche zappe, falci e altri attrezzi. Siccome queste cose sono diffuse dai mercanti dappertutto, molte parti del mondo ne traggono vantaggio.“ (3)

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Si estrae il ferro, si lavora producendo manufatti e si vende in un circuito commerciale esteso che coinvolge, oltre i cavatori, uomini che lo lavorano, che lo trasportano via mare e che lo commerciano. Non sappiamo se Diodoro abbia mai visitato l’Elba, per cui alcuni rife-rimenti potrebbero essere di seconda mano. Egli insiste su particolari coloristici e anche in questo senso potrebbe essere vista la spiegazione etimologica che riferisce del toponimo, risalente ad Eca-teo (sec.VI a.C.) e riferita alla pesante cortina di fumi che avvolgeva l’isola a causa dell’accensione di numerosi forni. Il geografo e storico greco Strabone, vissuto tra il 60 a.C. e il 24 d.C., ci illustra una situazione parzialmente sovrapponibile a quella illustrata da Diodoro. “Dalla città [Populonia], poi, si riesce a vedere in lontananza , e a fatica la Sardegna e più vicino Cirno [Corsica], che dista dalla Sardegna all’incirca 60 stadi, e molto più di queste, Aithalìa, più vicina al continente alla distanza di 300 stadi, quanti ne dista anche da Cirno. Questa zona costi-tuisce un eccellente punto di imbarco per le tre isole suddet-

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(4) Diodoro, Geogr., V, 2, 6 opp. Strabo, V.2.6

te. Io stesso, salendo su Populonia, ho visto queste e certe miniere nella campagna, abbandonate. E ho visto anche quelli che lavorano il ferro portato da Aithalìa. Infatti sull’isola non si può fondere cuocendolo in fornace, e si porta drit-to dalle miniere al continente. L’isola ha questo paràdoxon e anche il fatto che le miniere si riem-piano di nuovo di minerali col tempo..” (4) Il nome che ci indica è senza ombra di dubbio greco. Aethalia è l’isola “fuligginosa”, con chiara allusione ai fumi dei forni fusori ma anche al colore della massa scura dell’isola vista dal mare. Tracce di forni fusori risalenti al tardo II sec. a.C. sono stati rinvenuti nel territorio elbano delle miniere antecedentemente alla descrizione di Strabone visto che il minerale veniva trasportato a Populonia, sul vicino continente, per l’estrazione della parte ferrosa perché sull’isola non era più possibile fonderlo. Probabilmente il legname necessario per i forni non era più così disponibile come nel passato e si doveva ricorrere a quello che abbondava invece sul continente, così come la scarsa presenza di corsi d’acqua necessari per l’azionamento dei mantici dei forni che

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(5) Virgilio, Aen. X, 170-174: “isola provvida di inesauribili miniere di ferro”.

dovevano rimanere in funzione per mesi. Il nome tuttavia rimaneva, insieme ad una forse modesta parte dell’attività di riduzione del minerale ferroso, se non altro nel ricordo di un’attività massiva ed evidente presente in un passato ancora vicino. All’epoca in cui Strabone fece le osservazioni riportate nella sua Geografia era convinzione che le miniere di ferro fossero capaci di rigenerarsi dopo un periodo di apparente esaurimento . È Virgilio che, celebrando la leggenda dell’Urbe, ribadisce il convincimento diffuso nel mondo an-tico della capacità del minerale locale di rigenerarsi eternamente sullo scavo: “insula inexhaustis Chalybum generosa metallis.” (5) Le Fornaci del Lentisco, delle Fornacelle, della Fegatella, degli Spiazzi e di Capo Pero, nel territo-rio riese, sono documentate tra il III secolo a.C. e il I-II secolo d.c. La loro presenza ci porta a credere che sul posto non venisse applicato l’antico decreto senatoriale inteso ad inibire l’estrazione dei minerali dal sottosuolo italiano ricordato da Plinio il Vecchio .

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Statuta Rivi e

Proprio nel territorio di Rio convergevano significative aliquote di

Medio Evo

quei fabbri che un documento del 1095 ci rivela venissero stagionalmente da Pisa all’Elba a lavorare il ferro l’Elba entrò nell’orbita del Comune di Pisa intorno al X-XI secolo, in presenza evidentemente, di una non episodica attività delle miniere, sulle quali vantavano diritti almeno dal 1066 i vescovi di Populonia. Dal 1260 troviamo attivi due centri: Grassera (Grassula o Grassola, nei documenti contemporanei) e Rio. È ragionevole supporre che essi, gemelli, come altri centri dell’isola d’Elba sebbene accomu-nati dalla coltivazione dei giacimenti ferriferi, differenziassero in qualche misura la loro fisionomia produttiva all’insegna della complementarietà. I resti di alcune officine del XIII-XIV secolo recentemente individuati a Grassera vengono a raffor-zare l’idea di una ‘specializzazione’ metallotecnica locale Centro agricolo posto in una ricca zona mineraria, per di più con affaccio immediato sul mare, e quindi sede e destinazione di facili trasporti. Non un “normale” villaggio di campagna, ma una co-munità che aveva ormai nel proprio patrimonio genetico la familiarità col

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11. Pagina tratta da Statuta Rivi

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lavoro di miniera e tutto quello ch’esso comportava, in termini di trattamento, stoccaggio e spedizione (Ascheri Statuta rivi p.VII-VIII). Gli Statuta Rivi sono un testo risultato di piÚ stesure nel tempo. In esso si riassumono i problemi principali che la convivenza di Rio aveva comportato nel corso dei secoli. L’utilizzo della vena, do-veva avvenire in modo che si conciliasse l’interesse collettivo alla massima utilizzazione ripartita nel tempo, con la giusta valorizzazione del lavoro individuale.

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Il principato di Piombino e il granducato di Toscana

17 marzo 1543: viene stipulato l’accordo per l’appalto generale del minerale dell’isola d’Elba tra Iacopo V signore di Piombino e Cosimo de’ Medici. Ne consegue la creazione del monopolio mediceo del ferro, della sua fabbricazione, lavorazione e vendita. L’accordo del 1543, nato dal mancato conseguimento del possesso diretto del Principato di Piombi-no e dell’isola d’Elba dopo la guerra di Maremma, sanzionava implicitamente la mancata annessione allo Stato di Toscana di quelle terre di grande importanza strategico-militare e soprattutto economica per la presenza delle miniere di ferro elbane. La Magona del Ferro aveva la funzione di gestire l’acquisto del minerale di ferro alla miniera di Rio, di convertire quel minerale in ferro greggio o la-vorato e venderlo al dettaglio all’interno dello Stato o all’estero, in regime di monopolio, nell’interesse del sovrano che vi pose i capitali. Quando nel 1737 la dinastia medicea si estinse l’azienda del-la Magona venne appaltata ad un imprenditore privato, Giovanni Francesco Martin, a cui subentrò nel 1748 Ottavio Cataldi. L’amministrazione privata dell’Azienda del ferro si risolse tuttavia in una gestione essenzialmente speculativa, che portò ad un disorga-

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12. Isola d’Ellba e Principato di Piombino

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nico sfruttamento degli impianti siderurgici e delle risorse boschive. Il ritorno dell’Azienda sotto la gestione statale fu decretato nel giugno del 1767, quando era granduca Pietro Leopoldo. La mancanza di miniere di ferro di una certa importanza nel territorio del Granducato era ancora nei primi anni dell’800 una realtà che certamente condizionava lo sviluppo della siderurgia dello Stato toscano. La Magona infatti non possedeva miniere di ferro importanti e sebbene più volte si fosse tentato di lavorare il minerale proveniente da alcune zone del Granducato, quello dell’isola d’Elba, era stato sempre giudicato di gran lunga il migliore e senz’altro il più adatto alle lavorazioni della Azienda.

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13. Particolare, La cava di Rio14, 1777, Mezzi di trasporto

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Epoca francesce

L’Elba era osservata speciale non soltanto del Granduca di Toscana. Già nel 1797 la Francia, ancor prima del suo arrivo all’Isola d’Elba, aveva elaborato un piano per mettere le mani sul ferro elbano. Nel maggio 1797 Charles Delacroix, ministro degli esteri del Direttorio, in una lettera inviata a Napoleone illustra le sue idee e il piano per entrare in possesso delle miniere di ferro dell’isola d’Elba . Ed è in questo periodo che possiamo collocare il disegno di Anton Giulio Cecchini ricco di riferimenti nella legenda, nelle attrezzature utilizzate e nelle tecniche di scavo praticate. La coltivazione del giacimento risulta essere a cielo aperto, per gradini diritti, a conferma di quanto già conoscevamo per il periodo precedente; la presenza del Conservatorio della Polvere da Sparo ci dimostra l’utilizzo dell’esplosivo per facilitare gli scavi, Nell’inverno le acque piovane si accumulavano sul fondo della conca di scavo rendendo impraticabile la platea stessa. Dopo l’annessione dell’isola d’Elba alla Francia (1802) le miniere vennero gestite direttamente dal governo centrale per poi darle in concessione per un quarto di secolo alla società Boury & Chevalier dalla

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14. La cava di Rio, 1777

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15. Rio Marina e le sue miniere, anno 1845

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quale doveva ricevere un canone annuo di 500.000 franchi oppure ferro per un valore equivalente. La concessione venne tuttavia revocata per grave dissesto economico della società concessionaria e le miniere vennero date in gestione alla Légion d’honneur. André Pons de l’Hérault, un fervente repubblicano che si oppose al colpo di stato del 18 brumaio, ne diventa l’amministratore, grazie anche alla sua amicizia con Lacépède, nuovo gran cancelliere della Légion d’honneur. Pons giunge all’Elba alla fine del 1809. All’isola d’Elba non venne applicato l’art.552 del Code civil francese con cui veniva stabilito che la proprietà di un terreno comprendeva tutto ciò che vi era sopra e sotto il terreno stesso. Il blocco continentale decretato da Napoleone contro l’Inghilterra nel novembre 1806 favorì gli stabilimenti siderurgici locali, il più vicino dei quali era Follonica, che assorbirono gran parte della produzione di minerale.

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16. La cava di Rio

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La restaurazione

Il trattato di Vienna nel 1815 con l’articolo 100 stabiliva che l’isola

granducale

d’Elba ed il principato di Piombino fossero riuniti al Granducato di Toscana. Sebbene durante il governo di Pietro Leopoldo fosse stata emanata la legge sulle miniere del 13 maggio 1788, che affermava il principio della libera disponibilità del sottosuolo da parte del proprietario della superficie. Il motuproprio dell’11 maggio 1816 ne dichiarava la non validità per i territori di Piombino e dell’isola d’Elba. Il Granducato diveniva quindi sovrano e proprietario di quelle miniere mantenendo pertanto l’eccezione a livello locale già attuata nel precedente periodo storico.

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17. Manifestazione con i sindaci dei comuni minerarii

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Dall’unità d’Italia all’epilogo

La storia più recente delle miniere di Rio Marina si collega alla gestione dell’Amministrazione cointeressata delle “Reali miniere di Ferro dell’Isola d’Elba e delle fonderie di Follonica, Cecina e Valpiana” (1851-1881) cui fece seguito tra 1881 e 1888 la Banca generale (dal 1885 insieme alla “Società Veneta per imprese e costruzioni pubbliche”) e dal 1888 al 1897 il notabile elbano Giuseppe Tonietti. Sulla base del capitolato per l’affitto delle Regie miniere dell’Isola d’Elba e delle fonderie di Ferro di Follonica Ugo Ubaldo Tonietti, figlio di Giuseppe, si aggiudicò la concessione ventennale a partire dal 1° luglio 1897. Tale appalto fu trasferito il 5 novembre 1899 a “Elba società anonima di miniere e alto forni” costituitasi a Genova il 29 luglio 1899; ne facevano parte oltre a Tonietti e a Pilade Del Buono, il Credito Italiano e altri azionisti). Elba piantò in Portoferraio uno stabilimento siderurgico già attivo nel 1902. Dal 1924 al 1931 si aggiudicò l’appalto la “Società concessionaria delle miniere dell’Elba” cui fece seguito fino al 1939 Ilva, società fondata nel 1905 che era venuta accorpando società minerarie e siderurgiche operanti in varie regioni italiane. Dopo le gestioni Ferromin

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18. Rio Marina, lavori condotti nell miniera agli inizi del 1900

(1940-1963) e Italsider (1963-1989), Ilva ha riassunto la concessione ormai ridotta al suolo elbano allo sfruttamento di alcune cave di serpentina, essendosi nel frattempo (1981) definitivamente chiuse le miniere.

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19. Panoramica dello stabilimento di Portoferraio intorno al 1910

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20. Palazzo del Burò, Rio Marina Sede del Parco Minerario dell’Isola d’Elba

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Parco minererario

Tremila anni di attività mineraria hanno profondamente inciso sullo sviluppo socio-economico del territorio per queste ragioni, dopo la chiusura delle miniere avvenuta agli inizi degli anni ottanta, sono state sviluppate una serie di iniziative volte alla salvaguardia ed alla valorizzazione di questo unico prodotto di natura ed attività umana per fini principalmente educativi didattici. Questi sforzi hanno portato all’istituzione nel 2001 di un Parco Mineralogico e Minerario. Ad oggi, il Parco è costituito dal Museo dei Minerali e di Arte Mineraria di Rio Marina e da percorsi geo-mineralogici all’interno delle aree minerarie di Rio Marina-Rio Albano e di Calamita-Ginevro. Dal 1996, gran parte delle aree minerarie ricadono all’interno delle aree protette del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. L’attività di gestione del Parco Minerario in quasi dieci anni ha dato risultati positivi, evidenziando come la conservazione e promozione del patrimonio geomineralogico e storico-minerario, oltre ad essere importante dal punto di vista scientifico ed educativo, è molto utile per lo sviluppo eco-sostenibile del territorio.

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il paesaggio minerario |


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Terre rosse

Territori scavati, lacerati e violati si mostrano privi dello strato superficiale che naturalmente li ricopre. Spogliati dalla vegetazione appaiono come territori non appartenenti al nostro pianeta, inospitali e aridi. Colori insoliti e contrastanti: profonde ombre riempiono i vuoti degli scavi, il cielo che per i forti venti è di azzurro intenso, il verde della vegetazione che rigogliosa cerca di ricoprire tutta la superficie ed infine il rosso ferro, bruno, color sangue, giallo ocra e tutte le sfumature delle terre del ferro. Ogni variazione di rosso è la dimostrazione della diversità dei minerali di cui questa terra è composta: limonite, ematite, pirite, magnetite e ossidi di ferro. Un mondo che si intreccia con tutto l’ambiente circostante: la vegetazione che a stento cerca di rimarginare le ferite del passato, le abitazioni dei paesi minerari che brillano sotto i raggi del sole per le scaglie di pirite che si trovano anche nella calce degli intonaci. L’acqua che riempie i vuoti lasciati dagli scavi a contatto con la superficie più intima della terra ne prende il colore e si trasforma in diverse tonalità di rosso. Non solo nei materiali e nei colori si percepisce la presenza del ferro, anche attraverso l’olfatto è possibile sentire queste terre rosse in un chiaro sapore di ruggine. Queste terre orientali sono

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state lo scenario di secoli di scavo e il passato minerario qui è ancora presente. Rovine di ferro sono testimoni dell’intenso sfruttamento dell’isola e delle sue risorse, punteggiando la costa rocciosa e selvaggia si alternano alle voragini che segnano il territorio. Paesaggi arrugginiti fermi nel tempo rimandano a quel momento in cui le miniere cessarono la loro attivitĂ secolare.

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il progetto |


lo scavo

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21. Double Negative, Nevada, 1969-70, Michael Heizer

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il progetto

Il centro culturale e di ricerca aggiunge un nuovo capitolo al racconto già iniziato dal Parco Minerario dell’Isola d’Elba, nato in seguito alla dismissione delle aree minerarie per la loro definitiva chiusura nel 1981. Il progetto si inserisce all’interno di uno dei cantieri di scavo della Miniera di Rio Albano ricavando la sua origine direttamente dalle suggestioni degli scavi. La presenza di rocce nude che disegnano il luogo rimangono nella percezione come scultura naturale da preservare come traccia del passato diventando così il centro attorno cui il progetto si genera e si sviluppa. La miniera di Rio Albano è un vasto territorio che ha vissuto nei secoli un forte cambiamento morfologico per la nascita di svariati cantieri, alcuni molto antichi, altri di più recente scavo. Tutto ciò ha portato inevitabilmente ad una significativa sottrazione di materiale che ha svuotato i profili lasciando il territorio lacerato da profondi vuoti. Il progetto situato nel cantiere Calendozio, uno degli scavi più antichi di questa miniera e abbandonato negli anni ’60, si imposta in posizione dominante il canale di Piombino in uno splendido panorama che comprende, da Nord, il paese di Cavo, le coste toscane, l’isola di Montecristo e le pendici dell’isola che si allungano verso Ponente. Monte Calendozio, infatti, per altezza è secondo solamente al Mon-

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22. La torre del Giove

Planimetria Miniera Rio Albano 01_cantiere pistello 02_cantiere grottarino 03_cantiere puppaio 04_cantiere conche 05_cantiere calendozio 06_cala seregola 07_torre del giove 08_centro culturale

te Giove, sulla cui cima domina il paesaggio l’antica Torre del Giove, oggi in stato di abbandono, ma che negli anni di attività delle miniere di Rio Albano e di Rio-Vigneria ha ricoperto il ruolo fondamentale di avvistamento e protezione di queste terre. Si mantiene così un forte legame visivo tra questo importante punto strategico ed il nuovo centro culturale, che nasce proprio a protezione della memoria di queste terre. Il passaggio dell’uomo nei secoli di scavo ha profondamente cambiato il disegno dell’ambiente: grandi vuoti, voragini, solchi e crateri descrivono il territorio rimasto arido e incolto. Così dai segni delle lavorazioni che hanno violato queste terre prende forma l’idea generatrice del progetto: lo scavo. Il grande scavo disegna il luogo simbolo del centro culturale, un percorso inserito a diretto contatto con la terra rossa che accompagna il visitatore verso un unico punto di tensione: l’orizzonte. Un orizzonte in cui si scorgono le coste toscane principali meta dell’esportazione del ferro in cui erano attivi i centri di fusione di Populonia, Piombino e della Maremma. Da qui l’idea di orientare l’impianto seguendo la direzione Est-Ovest come per creare una linea immaginaria tra questi due punti strategici e sottolineare l’importanza dell’isola nei traffici marittimi. Il visitatore, attratto dall’orizzonte, si muove in uno spazio in cui natu-

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la terrazza

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tavola 4

assonometria

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aree verdi scala 1:5000

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piano terra scala 1:500

ra ed artificio si fondono perfettamente: se da un lato è l’architettura, per mezzo di un lungo setto, a sostenere il terreno, dall’altra la natura è lasciata libera di prendere il proprio spazio ed essere protagonista del luogo. Lungo lo scavo sono inseriti due episodi in cui prendono vita gli ambienti direzionali e di ricerca del centro culturale. Questi, sostenuti da alte travi metalliche che consentono agli edifici di essere sospesi al di sopra dello scavo, lo lasciano libero di mantenere la sua natura. Compongono il percorso unicamente dei piccoli volumi vetrati che accolgono gli ingressi al piano dell’edificio. Questi volumi ospitano spazi per la gestione del centro e per la conservazione e la valorizzazione di ciò che resta di quasi tre millenni di cultura. Uffici, sale riunioni e archivio dei documenti della miniera sono collocati all’interno dell’edificio più ad Ovest, mentre laboratori di petrografia, mineralogia, meccanica delle terre e Gis si inseriscono nell’edificio centrale parzialmente poggiato su travi metalliche ed in parte ancorato a terra. A_parcheggio B_accesso pedonale C_direzione D_centro di ricerca E_museo

b

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01_ingresso direzione 02_ingresso centro studi 03_caffetteria 04_cucina 05_deposito 06_servizi 07_ingresso museo 08_biglietteria 09_guardaroba 10_spogliatoi addetti 11_bookshop 12_sala principale 13_sala espositiva 14_sala dei minerali 15_sala dei minerali 16_sala video 17_deposito 18_magazzino 19_giardino 20_galleria fotografica 21_sala degli utensili 22_galleria fotografica 23_sala espositiva 24_sala conferenze 25_vano tecnico 26_terrazza 27_accoglienza direzione 28_ufficio 29_meeting room 30_sala studio 31_archivio 32_accoglienza centro studi 33_aula didattica 34_laboratorio petrografia 35_laboratorio di meccanica delle terre 36_laboratorio Gis 37_laboratorio di mineralogia 38_archivio 39_sala lettura

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vegetazione

b_macchia alta b1_Arbutus Unedo b2_Rhamnus Alaternus

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a_bosco a1_Pistacia lentiscus a2_Quercus ilex a3_Olea europaea sylvestris

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c_macchia bassa c1_Pinus pinea c2_Erica arborea c3_Rosmarinus officinalis

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ingresso al centro culturale

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23. Cantiere Pistilli

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piante

01_ingresso direzione 02_ingresso centro studi 03_caffetteria 04_cucina 05_deposito 06_servizi 07_ingresso museo 08_biglietteria 09_guardaroba 10_spogliatoi addetti 11_bookshop 12_sala principale 13_sala espositiva 14_sala dei minerali 15_sala dei minerali 16_sala video 17_deposito 18_magazzino 19_giardino 20_galleria fotografica 21_sala degli utensili 22_galleria fotografica 23_sala 24_sala conferenze 25_vano tecnico 26_terrazza 27_accoglienza direzione 28_ufficio 29_meeting room 30_sala studio 31_archivio 32_accoglienza centro studi 33_aula didattica 34_laboratorio petrografia 35_laboratorio di meccanica delle terre 36_laboratorio Gis 37_laboratorio di mineralogia 38_archivio 39_sala lettura

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sezioni

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ingresso al museo

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24. Coste toscane

il museo

Il visitatore, una volta attraversato tutto lo scavo, si trova davanti il mare, luccicante, quasi abbagliante, su cui si adagiano le coste della Toscana. In questo spazio di osservazione e contemplazione del mare si innesta la fabbrica del museo del Parco Minerario. Sono tre i livelli su cui si sviluppa il percorso espositivo, il cui ingresso è situato al piano centrale. Da qui origina una scala circolare, disegnata come un pozzo di luce di una galleria, che rappresenta il perno del sistema. Il visitatore, infatti, percorrendola in direzioni opposte, accede agli altri due piani. Il piano interrato è il cuore del museo. All’interno si apre una grande sala voltata a doppio livello, circondata da spazi piĂš piccoli. Questo ampio spazio accoglie reperti dei macchinari della miniera e campioni di terra del luogo, disposti in maniere semplice. Terra e pietre sono appoggiati sul pavimento, quindi posizionati in maniera tale che il visitatore possa avere un confronto diretto con questi doni della natura. Negli spazi adiacenti, invece, sono conservati i campioni di minerali ritrovati nel corso degli anni nella miniere. Una grande corte chiude la sala principale, rappresentando una delle

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prospetto e pianta

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due fonti di luce per il piano. Grazie ad un’ulteriore scala, situata al termine della sala voltata, il visitatore continua il percorso museale in modo funzionale ritornando al piano centrale, che in parte condivide con quello interrato la copertura curva. Qui, attraverso una prima stanza adibita a mostra fotografica, si raggiunge la sala degli utensili. Le teche in cui sono conservati i piccoli utensili sono stati state disegnate come un unico gesto, rappresentando allo stesso tempo allestimento, parapetto e sedute. Da questo spazio, da cui è possibile ammirare il paesaggio, filtra la luce che scendendo lungo la volta illumina il piano interrato. Una seconda sala fotografica chiude il percorso espositivo e riporta il visitatore nella hall d’ingresso, dove può salire tramite la scala circolare al piano superiore, dove una sala conferenze completa il museo. All’esterno una grande terrazza consente allo sguardo di perdersi in ogni sua direzione e comprendere l’ambiente circostante da una posizione privilegiata.

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sezione e piante

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la sala principale

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sezioni

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01_solaio di copertura terra granulare geotessuto massetto delle pendenze guaina pannello isolante guaina lamiera grecata in acciaio con rete elettrosaldata trave principale in acciaio tipo HEB trave secondaria in acciaio tipo HEB co tro offitto i carto ge o illuminazione 02_coronamento scossalina metallica griglia per ventilazione guaina pannello isolante pannello isolante profilo etallico co te i e to terra raccolta acqua piovana 03_sistema facciata pannello sagomato di lamiera profilo etallico ago ato profilo etallico catolare profilo pannello isolante in lana di roccia pa ello per fi itura i ter a intonaco

200 mm 80 mm 200 mm

70 mm 50 mm 100 mm

140 mm 300x300 mm 300x300 mm

120 mm 50 mm

sp. 2 mm 100x60mm 120 mm 120 mm 15 mm 10 mm

04_chiusura orizzontale solaio intermedio pavimento 20 mm malta di allettamento 15 mm pannelli radianti 90 mm pannello isolante 60 mm guaina lamiera grecata in acciaio con rete 140 mm elettrosaldata travi in acciaio IPE 1000x300 mm travi secondarie HEB 300x300 mm co tro offitto i pa elli i carto ge o per esterni 10 mm fi itura

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05_pavimentazione esterna lastre di granito locale sabbia di allettamento geotessuto misto granulare terreno esistente stabilizzato e compattato 0 _i fi o pannello sagomato di lamiera profilo etallico ago ato profilo etallico catolare profilo pannello isolante in lana di roccia pa ello per fi itura i ter a intonaco 07_parete controterra parete calcestruzzo armato cordolo in CA piastra metallica di collegamento trave in acciaio ancoraggi geotessuto ghiaia di drenaggio terreno stabilizzato

sp. 2 mm 100x60mm 120 mm 120 mm 15 mm 10 mm

500 mm 600x500 mm


dettaglio tecnologico

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sezione verticale 01_solaio di copertura terra granulare geotessuto massetto delle pendenze guaina pannello isolante guaina lamiera grecata in acciaio con rete elettrosaldata trave reticolare struttura metallica per cartongesso pannelli di cartongesso 02_coronamento scossalina metallica griglia per ventilazione guaina pannello isolante pannello isolante profilo etallico co te i e to terra raccolta acqua piovana 03_sistema facciata pa ello i ce e to fibro ri for ato GRC panel profilo etallico ago ato profilo etallico catolare profilo doppio pannello isolante in lana di roccia pa ello per fi itura i ter a intonaco

200 mm 80 mm 200 mm 140 mm

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sp. 2 mm 100x60mm 10 mm 10 mm 12 mm

04_solaio intermedio pavimento lastre di granito locale 20 mm malta di allettamento 15 mm pannelli radianti 90 mm pannello isolante 60 mm guaina lamiera grecata in acciaio con rete 140 mm elettrosaldata travi in acciaio HEB 300x300 mm travi secondarie HEB 300x300 mm struttura metallica per cartongesso co tro offitto i pa elli i carto ge o

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05_parete controterra doppio pannello isolante in lana di roccia barriera al vapore chiusura verticale pannello isolante guaina parete controterra geotessuto ghiaia di drenaggio terreno stabilizzato 06_solaio controterra pavimento in lastre di granito locale malta di allettamento pannelli radianti pannello isolante barriera al vapore getto in calcestruzzo armato con rete elettrosaldata vespaio areato con moduli in plastica massetto in calcestruzzo magro ghiaia di drenaggio terreno stabilizzato 07_espositore elemento di chiusura verticale in lamiera struttura elemento espositvo in lamiera faretti LED orientabili

120 mm 300 mm 80 mm 500 mm

20 mm 15 mm 90 mm 60 mm 150 mm 400 mm 200 mm


dettaglio tecnologico

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la sala degli utensili

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a_bosco a1_Pistacia lentiscus a2_Quercus ilex a3_Olea europaea sylvestris

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b_macchia alta b1_Arbutus Unedo b2_Rhamnus Alaternus

c_macchia bassa c1_Pinus pinea c2_Erica arborea c3_Rosmarinus officinalis


vegetazione

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a1_Pistacia lentiscus Il Lentisco è un arbusto generalmente di modeste dimensioni, sempreverde a portamento arbustivo alto da 1 a 3 m, raramente arboreo alto circa 6-8 m, con accentuato odore di resina. La chioma generalmente densa per la fitta ramificazione, di forma globosa ha rami a portamento tendenzialmente orizzontale, una corteccia squamosa di colore cenerino nei giovani rami e bruno-rossastro nel tronco. Caratterizza versanti assolati ed è una delle specie che contribuisce alla composizione della multiforme, complessa e multicolore associazione vegetale che è la macchia mediterranea spesso in associazione con l’olivastro, la fillirea e il mirto; molto adattabile per il terreno, predilige però suoli silicei.. I suoi frutti sono delle piccole drupe pressocchè globose che a maturità si presentano di un bel colore rosso scuro, quasi nero.

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a2_Quercus Ilex Il Quercus Ilex, comunemente chiamato leccio, è un albero sempreverde, longevo, di media gran-dezza (fino a 30 m), a portamento arboreo ma a volte anche arbustivo, tipico e caratterizzante la macchia mediterranea, diffuso in particolare sulle isole e lungo le coste liguri, ioniche e tirreniche. Il leccio è generalmente dalla chioma ovaleggiante di un bel colore verde scuro, il fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base. Può assumere aspetto cespuglioso qualora cresca in ambienti rupestri. È poco esigente nei confronti di luce e temperatura. Ha accrescimento lento ed è molto longevo, raggiungendo anche mille anni d’età. Le sue caratteristiche spiccatamente xerofile, cioè amante degli ambienti secchi) gli permettono di sopravvivere in condizioni di estrema aridità.

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a3_Olea Europaea Sylvestris Arbusto sempreverde, della famiglia Oleacee, uno dei componenti più diffusi e caratteristici della macchia mediterranea, dove si presenta in forme e razze diverse. Il suo frutto drupaceo ricorda l’oliva, ma è più piccolo. Ma questo nome e più ancora quello di oleastro sono impiegati a designare la razza spontanea o inselvatichita del comune olivo (v.), quale si riscontra nelle proporzioni di un piccolo arbusto spinoso nelle boscaglie litoranee o di alberi elevati più ancora delle comuni razze coltivate e formanti estesi olivastreti.

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b1_Arbutus unedo Tra le specie più significative della macchia mediterranea elbana vi è il corbezzolo (arbutus unedo). Questo arbusto esprime appieno la vivacità dell’associazione vegetale, contribuendo a renderla più interessante. Sclerofilla sempreverde. Sulla sua chioma sono presenti contemporaneamente foglie, fiori bianchi, frutti dai colori accesi tra giallo, arancio e rosso vivo quando è completa la maturazione. Ornamento della macchia selvaggia svolge un’importante funziona non tracurabile nei delicati equi-libri della natura, quella di preziosa riserva di cibo. Anche il suo legno forte ha trovato grande uti-lizzazione soprattutto nella legna da ardere e nella paleria di vigneti. a1_Pistacia lentiscus L’alaterno più noto all’Elba come pruzzolo, è assai frequente nella macchia mediterranea in evoluzione soprattutto nei terreni un tempo boscati, poi utilizzati in agricoltura e in seguito abbandonati a se stessi. Predilige luoghi luminosi e soleggiati per molte ore al giorno, direttamente colpite dai raggi solari, possibilmente esposte a est o a sud. Non teme il freddo, il vento, la salsedine, il caldo torrido dell’estate e gli ambienti eccessivamente umidi. c2_Pines Pinea Il pino domestico, appartiene alla famiglia delle Pinaceae ed ha una crescita abbastanza rapida. Specie del Mediterraneo settentrionale si trova lungo tutte le coste della penisola italiana e delle sue isole. Le foglie sono costituite da aghi flessibili di colore verde intenso. La caduta avviene durante l’estate mentre i nuovi spuntano verso aprile e raggiungono la dimensione finale l’autunno seguente. Il Pinus Pinea è una specie rustica, adattabile a tutti i terreni, poco esigente e gradisce maggiormente quelli sciolti e sabbiosi; non tollera invece i terreni troppo calcarei, compatti ed eccessivamente acquitrinosi. È una pianta spiccatamente eliofila, non tollera l’ombra, ed è molto sensibile alle temperature minime assolute, soprattutto in presenza di umidità. L’albero sopporta invece molto bene l’aridità estiva, con massime superiori ai 30°C e piogge scarse, anche se, contrariamente a quanto si crede, una siccità eccessivamente prolungata nel tempo lo danneggia. In queste aree minerarie questo tipo di vegetazione non raggiunge grandi altezze ma si trova spesso in forma di cespuglio con chioma rotondeggiante che parte direttamente dalla base dell’albero.


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a3_Rosmarinus officinalis Il rosmarino appartiene alla famiglia delle Lamiaceae ed è una pianta arbustiva, perenne con portamento cespuglioso che può raggiungere un’altezza di tre metri. Il fusto all’inizio è prostrato, poi eretto e molto ramificato con radici molto profonde e tenacemente ancorate al terreno. Le foglie sono piccole, prive di picciolo, un po’ coriacee, di un bel colore verde scuro sulla pagina superiore e verde-argentate-bianche in quella inferiore, strette, lineari e molto fitte sui rami e ricche di ghiandole oleifere. I fiori sono riuniti in grappoli di colore azzurro-violetti e presenti quasi tutto l’anno. Nelle basse macchie è frequente anche il rosmarino (Rosmarinus officinalis) dal profumo intenso e penetrante caratterizza pendii più assolati fino verso il mare. È un arbusto sempre verde alto da 30 cm a 2-3 metri molto aromatico, al punto da profumare tutto l’ambiente nel quale vegeta.

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c3_Erica arborea L’erica arborea, nota come scopa è una pianta della famiglia delle Ericaceae. Una delle specie più significative delle macchie elbane soprattutto quando ancora non si sono evolute nel loro dinamismo a macchia foresta. Il bosco spesso riconquista le aree modificate dall’uomo e la scopa è la protagonista di questa vicenda, così come era protagonista quando in fasci veniva quotidianamente usata per riscaldare i forni e accendere i carboni. E’ una specie dell’area mediterranea, dove vegeta spontanea in macchie, boschi radi di leccio e garighe.Spesso la troviamo associata al corbezzolo, con il quale forma delle fitte macchie di copertura ve-getale, nei terreni difficili. Il binomio naturale erica arborea/corbezzolo si sviluppa nei terreni acidi, sottoposti a pascoli intensivi o colpiti da incendi e laddove l’intervento dell’uomo ha ridotto la presenza di vegetazione.La pianta di erica vegeta bene nelle zone non troppo calde o aride, come quelle della prima fascia costiera.L’erica arborea preferisce un terreno con un pH un po’ acido. L’erica ar-borea è un piccolo arbusto sempreverde, che può anche avere forma di alberello, con un’altezza massima di 6 m.I fiori sono belli e numerosi ed emanano un caratteristico e piacevole profumo.

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i minerali |


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25. I cercatori del sabato, cantiere Valle Giove

i minerali

All’Elba si rinviene un meraviglioso patrimonio geologico caratterizzato da un gran campionario di rocce sedimentarie, magmatiche e metamorfiche che si trovano racchiuse in un’area relativamente ristretta e, che, come le pagine di un libro, raccontano la storia geologica del bacino Mediterraneo. Per tale motivo l’Elba ha rappresentato una palestra di studio per generazioni di geologici e mineralisti. A rendere ancora più incantevole ed unico il patrimonio geologico elbano è l’essere inserito in un paesaggio naturale stupendo e circondato da un mare meraviglioso. L’Elba vanta un patrimonio mineralogico di notevole interesse costituito da più di 150 specie mineralogiche che sono di rilevante importanza, sia dal punto di vista collezionistico che da quello museologico e scientifico. Il valore collezionistico delle specie mineralogiche elbane è dovuto ai numerosi minerali rinvenibili nelle aree minerarie e nei filoni pegmatitici, ed alla loro bellezza e rarità. Il valore di questi fiori e tesori della Terra è tale che, specie durante il periodo di attività delle miniere, erano frequenti gli scavi abusivi da parte di collezionisti, che talvolta rischiavano la vita, pur di avere qualche campione.

i minerali

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Numerose specie mineralogiche elbane hanno raggiunto un notevole valore museologico per la loro perfezione, habitus (pirite rombododecaedrica o a croce di ferro), modo di aggregarsi (rose di ferro), rarità (ferropargasite, ilvaite), dimensioni (feldspati) e bellezza (tormaline, in particolare l’elbaite; berillo-rosterite, topazio). Per queste ragioni i minerali elbani sono esposti nei più prestigiosi musei del mondo. È testimoniato anche che alcune specie mineralogiche sono state rinvenute per la prima volta all’Elba: è il caso di ilvaite ed elbaite, che prendono la loro denominazione proprio dal nome latino ed attuale dell’isola e di altre specie mineralogiche come riomarianite, minguzzite, bonattite, rubiclino e ramanite. I minerali elbani ed i corpi minerari all’interno dei quali si rinvengono sono stati inoltre fondamentali per la comprensione dei fenomeni minerogenetici e giacimentologici sia a scala regionale che mondiale. Se i bei e perfetti cristalli di minerali osservati in un museo possono apparire come delle forme innaturali, quasi dei prodotti artificiali, l’osservazione nel loro contesto naturale, permette di comprendere come realmente si manifestano e come si formano.

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Ematite Cantiere Bacino Miniera di Rio Marina-Vigneria

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Ematite Cantiere Bacino Miniera di Rio Marina-Vigneria

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Ematite iridescente Cantiere Bacino Miniera di Rio Marina-Vigneria

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Pirite Cantiere Bacino Miniera di Rio Marina-Vigneria

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Pirite con sfalerite su ematite Cantiere Valle Giove Miniera Rio Marina - Vigneria

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Pirite su ematite Cantiere Bacino Miniera di Rio Marina-Vigneria

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Quarzo prasio Loc. Porticciolo Rio Marina

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Quarzo prasio Loc. Porticciolo Rio Marina

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Ocra gialla e ocra rossa Miniera di Rio Marina Utilizzato come sostanza colorante

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riferimenti progettuali |


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Il progetto per la Sainte-Baume Le Corbusier

riferimenti progettuali

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Igreja de Santo Antรณnio e Centro Social de Sรฃo Bartolomeu Carrilho da Graรงa Arquitectos

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Storm King Art Center Richard Serra

riferimenti progettuali

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Non-site Robert Smithson

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A line of 682 stones Installazione padiglione britannico, 37 esima Biennale Venezia Richard Long

riferimenti progettuali

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Double Negative, Nevada Micheal Heizer

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riferimenti progettuali

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Shepherds building, London Duggan morris architects

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riferimenti progettuali

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bibliografia

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fotografie e illustrazioni |

1. Double Negative, Nevada, 1969-70, Michael Heizer 4. M/N Aethalia, 1967 5. Aree minerarie Rio, Volo GAI, 1978, Geoscopio Regione Toscana 6. Aree minerarie Punta Calamita Volo GAI, 1978, Geoscopio Regione Toscana 9. Punte di freccia in selce e siaspro dalla grotta di San Giuseppe, Rio Elba, Ferrari, Rosolani, Territorio e civiltà di un’isola, Genova, Rs Editore, 2001 10. Rappresentazione grafica di un antico centro di riduzione del minerale, illustrazione G. Agricola, De Re Metallica, 1556, Ferrari, Rosolani, Territorio e civiltà di un’isola, Genova, Rs Editore, 2001 13-14. La cava di Rio nel 1777, S.Lambardi, Memorie dell’Isola d’Elba, Firenze, 1791, pp 6-7 15. Rio Marina e le sue miniere, anno 1845, A. Burat, Théorie des gites metalliferes, Paris, 1845, pp. 250-251, da Vanagolli, Rio Marina e il suo territorio nella storia e nella cultura, Pisa, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1987

fotografie e ill tra io i

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17. Manifestazione con i sindaci dei comuni minerari, Boreali, L’uomo della miniera. Storia recente delle cave dell’Elba, Milano, Editoriale Giorgio Mondadori, 2013 18. Rio Marina, lavori condotti nell miniera agli inizi del 1900, Ferrari, Rosolani, Territorio e civiltà di un’isola, Genova, Rs Editore, 2001 19. Panoramica dello stabilimento di Portoferraio inizio 1910, Lungonelli, Un passato industriale. Miniere e siderurgia all’isola d’Elba fra Otto e Novecento, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1997 26-33. Fotografie concesse dal Parco Minerario Rio Marina

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ringraziamenti |

per il gentile apporto nella ricerca di informazioni e fotografie al Parco Minerario

per la certezza di torvarti sempre al mio fianco a Mattia per il sostegno incondizionato, la forza e la determinazione che mi avete trasmesso, a Caterina, Gabriella e Alberto Emilia, Egidio, Eglantina e Andrea

per l’amicizia vera e profonda che supera tutte le distanze a Matilde e Tessa per il confronto, la leggerezza, i sorrisi e gli abbracci che non si perdono di fronte alle difficoltà a Irene e Paola per ogni motivo di confronto e crescita personale, a tutti coloro che ho incotrato in questo percorso

per la passione, la disponibilitĂ e i preziosi consigli al prof. Fabrizio F.V. Arrigoni

ringraziamenti

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