Tesi_ Ad statuas

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Ad Statuas Antonio Acocella



universitĂ degli studi di firenze DiDA a.a. 2012_2013 scuola di architettura corso di laurea magistrale in architettura anno accademico 2012-2013

ad statuas progetto antonio acocella relatore fabrizio arrigoni

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1 tabula peutingeriana, XIII sec

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‘Postulante ergo Lucio Pisone socero testamentum eius aperitur recitaturque in Antoni domo, quod Idibus Septembribus proximis in Lavicano suo fecerat demandaveratque virgini Vestali maximae.’ svetonio, de vita caesarum - divus julius

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Il sito di progetto


2 localizzazione del sito di progetto

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Il sito archeologico Ad Statuas nel contesto dell’ager romanus Il sito di progetto, collocato all’interno del territorio del Comune di San Cesareo, distante 29 chilometri da Roma, è contiguo ai resti archeologici di una villa - formata da due complessi architettonici d’età tardorepubblicana ed imperiale - solo recentementa rinvenuta e scavata, sia pur notoriamente citata nelle fonti documentaristiche del passato. L’antica via Labicana – che ha costituito in origine l’infrastruttura viaria di servizio del territorio a sud-est di Roma, spingendosi fino all’area di San Cesareo dove si diramava in più strade per collegare le vicine città di Tusculum, Praeneste, Gabii – restituisce in filigrana il palinsesto in cui poter inscrivere il sito archeologico. Una ricostruzione organica dell’assetto antico del territorio attraversato dalla via Labicana è stata, comunque, impraticabile per la ricerca archeologica a causa delle sostanziali e impetuose trasformazioni che la capitale ha subito soprattutto nell’ultimo secolo. Restano, comunqe, tracce significative a testimoniare l’importanza di questa arteria posta a sostenere il processo di penetrazione, di controllo del territorio a est di Roma; territorio divenuto, poi, di rilevante importanza per la capitale sia per l’imponente rete di acquedotti che lo attraversava risolvendo gran parte del fabbisogno idrico, sia per le risorse agricole – in relazione alla grande fertilità dei terreni - o estrattive legate a vari litotipi impiegati nei programmi costruttivi di Roma: il tufo rosso, il lapis tiburtinus disponibile nella piana sottostante Tivoli, il tufo grigio di Gabii (il lapis gabinus, l’attuale “pietra sperone”) utilizzati largamente nell’edilizia 5


romana senza soluzione di continuità fino ai nostri giorni. Percorrendo l’asse della via Labicana, a cui si è sovrapposto quello della Casilina, è possibile imbattersi in testimonianze dell’antica organizzazione del territorio che si riconnettono idealmente, sia pur in forma puntuale ed episodica, fino al sito oggetto del nostro progetto. L’antica via Labicana, con partenza dalle mura repubblicane (dove oggi insiste l’arco di Gallieno, in origine la Porta Esquilina), esce poi – dopo un breve tratto in cui corre parallela alla via Prenestina – in forma divergente dalle mura aureliane da uno dei due fornici della monumentale Porta Maggiore. La via, nota con certezza ed evidenza nel suo tratto iniziale urbano, trova – poi – nelle fonti letterarie ed itinerarie antiche elementi di riferimento che aiutano, parzialmente, a ricostruire la prosecuzione del tracciato e la sua infrastruttura di servizio. Quest’ultima è conosciuta soprattutto attraverso la Tabula Peutingeriana (copia medioevale del XII-XIII secolo di una cartografia stradale dell’Impero Romano redatta nel IV secolo) che indica la direzionalità dell’arteria di comunicazione e le stazioni di sosta (mansio) lungo il percorso precisandone le distanze intercorrenti fra di loro; da Roma: la prima è Ad Quintanas (XV miglia); la seconda Ad Statuas (III miglia), toponimo che, storicamente, è stato sempre collegato da parte degli studiosi ed eruditi alla presenza di una ricca e sontuosa “villa d’ozio” romana nei pressi di San Cesareo); la terza Ad Pactas (VII miglia); la quarta al Compitum Anagninum (X miglia). Percorrendo la via Casilina (sia pur non sempre fedele nel ricalcare il tracciato antico della via Labicana) che oggi si spinge, attraverso un percorso più lungo, fino all’attuale Capua (Casilinum) si può cogliere lo stratificarsi delle vicende storiche e, soprattutto, il tumultuoso ed intensivo sviluppo edilizio del suburbio della capitale che sino ai primi decenni del Novecento ancora restituiva i tratti “ameni” e “romantici” della Campagna romana cosi come documentati in tante foto d’epoca. L’espansione macroscopica non controllata dei quartieri periferici - sommata alla creazione delle reti ferroviarie, stradali ed autostradali - ha pesantemente modificato, se non addirittura cancellato l’ambiente e il tessuto storico di questa ampia fascia di territorio. Nei casi più fortunati, in presenza di manufatti monumentali dalla grande mole, si è registrata una loro so6


3 relazione del sito con l’urbs e l’ager romanus

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4 la porta maggiore 5 il mausoleo di eurisace

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pravvivenza sia pur in contesti urbani contemporanei del tutto inadeguati rispetto alla loro valorizzazione. Caposaldo monumentale della via Labicana è Porta Maggiore in forma di arco di trionfo, contrassegnata dalla forza ed imponenza dell’ordine bugnato in travertino, a cui si affianca il singolare monumento funebre del ricco fornaio Eurisace; all’intorno tutto il tessuto antico, al di là della monumentale porta in forma di arco di trionfo, è perduto e le preesistenze superstiti, lungo lo snodarsi della via Casilina, assumono il carattere di lacerti isolati e solitari. Così appare, a qualche chilometro di distanza, il Mausoleo rotondo di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino. Lo stato odierno del monumento, da poco restaurato, consiste nella sola parte basamentale e del settore d’imposta della volta. Poi, lungo il tracciato antico della via Labicana prima di giungere al territorio di San Cesareo, è possibile rintracciare la presenza di molte torri mediovali sorte sulle fondamenta di cisterne d’acqua romane utilizzandone i materiali di recupero. Il comune di San Cesareo, parte dell’antico agro labicano, è stato sempre indicato dalle fonti letterarie come depositario di memorie e testimonianze antiquarie. Numerosi i reperti archeologici portati alla luce nei secoli, sin dal Medioevo quando il territorio di San Cesareo è indicato come “statuario” per la numerosità delle statue marmoree rinvenute. Tredici, pare, siano state le statue “panneggiate” d’epoca imperiale (II sec. d. C.) rinvenute a metà Ottocento nell’area di Colle Noci dal principe Don Giulio Cesare Rospigliosi Pallavicini. A fronte dell’indicazione della Tabula Peutingeriana - che localizza lungo la via Labicana nel territorio di San Cesareo, una mansio (stazione di ristoro e di sosta per dignitari e ufficiali) - alcuni eruditi, invece, hanno assegnato al topo-

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6 j.h.w. tischbein, goethe nella campagna romana, 1787

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nimo “Ad Statuas” una interpretazione diversa. Più che ad una stazione il toponimo è riferito, ad esempio, nel caso di Giuseppe Tommasetti autore Della Campagna romana: illustrazione delle vie Labicana e Prenestina... (1) alla “memoria di una sontuosa villa romana relativa a Giulio Cesare”, collegandosi a quanto tramandato da Svetonio (Caes. 83) circa possedimenti nel labicano e una stessa villa in cui Cesare redige il testamento alle idi del settembre 45 a. C. Poi, ancora, troviamo Eutropio e l’Epitome de Caesaribus a riportare che la villa in labicano di Cesare fu restaurata nei primi del IV sec. d. C. da Valerio Massenzio. Solo recentemente, negli anni 2009-2012, è stato portato alla luce, all’interno del Comune di San Cesareo, una importante realtà archeologica che sembra confermare quanto riportato dalle fonti erudite antiche. Sono state disseppellite - in una prima fase - strutture murarie appartenenti ad una residenza di prestigio di epoca tardo republicana e, successivamente, in posizione contigua spiccati murari più elevati d’età imperiale. L’estensione di questi due complessi insediativi antichi è davvero notevole; coprono almeno 13.000 mq. Gli archeologi della Soprintendenza affermano che, con buona probabilità, questa scoperta può essere la testimonianza tangibile di quanto riportato dalle fonti antiquarie: la villa di Cesare che fu, poi, di Massenzio.

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7 la via labicana

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8 foto aerea del paese

Il paese e l’area di progetto Cenni storici. Secondo gli studiosi ed antiquari del territorio labicano il toponimo di San Cesareo, benchè riferito ad un santo, è da collegare - come evidenzia Fancesco De Ficoroni in Le memorie ritrovate nel territorio della prima e seconda citta di Labico e i loro giusti siti (1975) - a Caio Giulio Cesare ottenuto, conseguentemente, per processo di “corruttela” dal nome del Divino Caesar. In epoca tardo imperiale i territori di San Cesareo appartennero alla Chiesa che ne entra in possesso attraverso donazioni e progressive acquisizioni; nel 1050 dai monaci della comunità di San Basilio fu costruito una deposito fortificato e una Chiesa proprio sul terreno della villa imperiale. Durante il Medioevo, i terreni passano di proprietà dei Conti di Tuscolo. Possiamo seguire, poi, le vicende dell’agro sancesareo attraverso quanto riportato dagli autori della pubblicazione locale San Cesareo. Storia di un paese senza storia: «Nel 1191 diventato feudo della famiglia Colonna, fu zona di rifugio della popolazione in fuga dalla città di Tuscolo che fu distrutta da Roma e prese il nome di “Burgus et Castrum Sancti Caesarii”. Il 6 maggio del 1333 a San Cesareo furono uccisi Bertoldo Orsini Duca di Bracciano ed il cognato Conte dell’Anguillara, da Stefanuccio figlio di Sciarra Colonna, mentre si stavano recando ad attaccare Stefano Colonna che si trovava nel Castello di Zagarolo. Così iniziarono le guerre tra i Colonna e gli Orsini che continuarono per secoli, ed il Castello di San cesareo fu più volte distrutto finché non fu abbandonato e lasciato in rovina. Nel 1622 la tenuta di San Cesareo fu venduta alla famiglia Ludovisi di Bologna, i quali iniziarono gli scavi per riportare alla luce le opere dell’epoca romana, soprattutto le statue. Nel 1670 fu rivenduta alla famiglia Rospigliosi Pallavicini, che la resero una ricca tenuta agricola, lavorata dai 12


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contadini provenienti da Capranica Prenestina, che si stabilirono sul Colle Marcelli edificando un villaggio di capanne. Nel 1928, l’Opera Nazionale Combattenti che aveva espropriato la tenuta già nel 1921, concluse i lavori per la costruzione del paese per ospitare gli ex combattenti di Capranica Prenestina che popolavano la baraccopoli di Colle Marcelli. All’insediamento fu dato il nome dell’antica tenuta, San Cesareo, e alle prime vie costruite fu dato il nome degli eroi della Prima guerra mondiale come Filippo Corridoni, la strada principale, Cesare Battisti, Enrico Toti, Antonio Cantore, od anche Via dei Cedri, strada costeggiata dai cedri del Libano fatti portare lì da Giulio Cesare.» (3) Cenni urbanistici. Il comune si estende attualmente su una superficie di 22,72 kmq, ad un altitudine media sul livello del mare di 312 metri. Alcune condizioni favorevoli, tra le quali la vicinanza dell’allacciamento dell’Autostrada del Sole e la breve distanza da Roma (soli 30 km), hanno portato ad un costante e cospicuo aumento demografico di San Cesareo negli ultimi due decenni: dai circa ottomila residenti al momento dell’avvenuta autonomia comunale (fino al 1990 San Cesareo è frazione di Zagarolo), il paese conta oggi circa il doppio degli abitanti e le proiezioni per gli anni a venire confermano questo trand di crescita. Si può però evidenziare come l’aumento quantitativo dell’edificato, conseguente all’incremento demografico, non è stato sviluppato in maniera qualitativamente apprezzabile. San Cesareo si caratterizza, al pari di tanti altri centri italiani cresciuti velocemente senza una vera pianificazione, per la mancanza di un coerente disegno urbano e per l’assenza di luoghi identitari o di spazi civili per la comunità. 14


Il paese si sviluppa principalmente lungo la Casilina, vera e propria infrastruttura del tessuto urbano di San Cesareo, strada su cui si affacciano le principali sedi istituzionali e religiose, le attività commerciali e il primo nucleo residenziale. Assumono evidenza, lungo questo asse viario, alcuni vuoti, in particolare quello lasciato dalla dismissione della stazione ferroviaria ed attualmente destinato a parcheggio. La continuità del traffico veicolare a rapido scorrimento impedisce a questo “corridoio viabilistico” di assumere i caratteri di spazio di relazione e di vitalità cittadina; ad una lettura attenta del centro si rileva come tali funzioni e aspettative non hanno trovato sbocchi in altri spazi nodali quali piazze, giardini, aree a fruizione pubblica. Nè le istituzioni civili nè quelle religiose del paese dispongono di spazi collettivi capaci di esercitare una funzione aggregante: il Municipio si apre su una piccola piazza (stretta tra l’asse carrabile principale e il tessuto residenziale) ed è privo di spazi di servizio capaci di esercitare un richiamo sulla popolazione. La chiesa cittadina di San Giuseppe, edificata nel 1928 in epoca fascista con il contributo dell’Opera Nazionale Combattenti, è un organismo a tre navate caratterizzato da un’austera semplicità di superfici; unica nota di rilievo è data dal timpano, sorretto da agili colonnine che arricchiscono il portale. Le timide dimensioni e la disarmonia nel rapporto tra superficie orizzontale e le “quinte” della piazza antistante la chiesa (difficilmente definibile sagrato) rendono l’edificio sacro simbolicamente poco significativo e architettonicamente di scarso rilievo. Vicino alla chiesa sorge il monumento ai caduti, realizzato con numerosi reperti rinvenuti nella zona dove si ritiene fosse ubicata la villa di Cesare.

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9 planimetria dell’area di progetto 10 modelli

L’area di progetto. L’area di progetto si colloca in posizione baricentrica rispetto alla configurazione che il centro urbano di San Cesareo assumerà appena saranno ultimate le trasformazioni in atto al suo intorno. Nelle adiacenze dell’area di progetto si registra l’immissione in corso di importanti funzioni collettive quali un ampio centro commerciale, una struttura cimiteriale, una scuola elementare, oltre un notevole incremento di edilizia residenziale legato all’espansione demografica dovuta alla rapidità di collegamento con la capitale (e con destinazioni di raggio più ampio) data la vicinanza dell’uscita autostradale A1. In particolare l’area di progetto si estende su un terreno in pendenza, il cui massimo dislivello - quasi 15 metri - si sviluppa su una lunghezza di circa 400 metri sull’asse nord-sud. Lungo questa direzione il sito è attraversato da due arterie carrabili: la via Casilina e la via della Resistenza; nei lati est ed ovest, rispettivamente, il sito d’intervento è segnato dalle ultime propaggini del paese e da un grande complesso di edilizia residenziale, denominato Colle del Noce. I fronti sud ed ovest si interfacciano con gradevoli aree verdi di carattere boschivo; il fronte meridionale gode di un bel fondale paesaggistico, costituito dal profilo dei Colli Albani che accolgono il Comune di Rocca Priora (768 metri s.l.m). I fronti nord ed est sono, invece, caratterizzati dall’essere in tangenza con l’edilizia residenziale, prevalentemente villette unifamiliari, figlie dello sprawl urbano che, soprattutto nel secondo Novecento, ha radicalmente trasformato il paesaggio italiano senza pervenire - in questo territorio come in altri - ad una apprezzabile qualità architettonica. 16


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Il complesso archeologico Sembra orami accertato che la villa aristocratica romana dalle dimensioni notevoli (circa 13.000 mq) emersa alla luce a seguito degli scavi recenti nel Comune di San Cesareo presso le vie Petrara e via della Resistenza, si inscriva cronologicamente - quanto ad originario insediamento - in età tardo repubblicana, presumibilmente al I sec. a. C. e sia tipologicamente rispondente ai primi modelli di ville romane “a blocco” che si sviluppano, a partire dal secolo precedente, nelle campagne e siti paesaggistici intorno a Roma. «Caratteristica comune delle ville del II secolo a. C. e di varie epoche successive - come evidenzia Harald Mielsch in La villa romana - è la tendenza a organizzarsi con articolazione assiale in forme architettoniche compatte (a “blocco”). Grazie ai muri di terrazzamento alzati su più lati, la villa appare più elevata del terreno circostante, ma una simile impostazione architettonica non significa comunque chiusura verso l’esterno: gli assi di fuga, che fin dall’ingresso permettono la vista degli ambienti principali, si uniscono infatti ad altri, aperti verso l’esterno.» (5) Insediarsi in siti dominanti, capaci di instaurare un rapporto privilegiato nella fruizione del paesaggio, è acquisizione cosciente dell’architettura tardo repubblicana romana così come testimoniato dagli spettacolari santuari terrazzati della Fortuna Primigenia a Palestrina o di Giove Anxur a Terracina, solo per citare degli esempi noti. Queste espressioni dell’architettura religiosa che maturano lontane dalle tendenze più accademiche del centro di Roma - al pari delle “ville d’ozio” del II e I sec. a C., che rappresenteranno un’espressione tipica ed originale della civiltà romana - sono influenzate, indubbiamente, dai modelli delle città e dei palazzi ellenistici eretti spesso su promontori, sia per il loro senso di insediamento e di “presa 18


11 foto aerea degli scavi

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12 la piazza basolata

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di possesso” del paesaggio, sia per il trattamento lussuoso ed elitario degli ambienti e dei partiti decorativi con impiego di mosaici, intonaci colorati e affrescati, di arredi preziosi. Attraverso grandi ville lussuose, l’aristocrazia senatoriale romana riinterpreta a suo modo l’insegnamento ellenistico ostentando, nei latifondi lontani da Roma, la ricchezza e il prestigio della propria condizione sociale elitaria. Le stesse potenzialità espansive dei terrazzamenti quali prolungamenti degli edifici pubblici tardo repubblicani, con ruolo di piattaforme-belvedere poste ad attivare prospettive profonde sul paesaggio, non tardano ad influenzare l’architettura delle ville. L’importanza del paesaggio, della visione panoramica, sarà una delle prerogative principali del “vivere in villa”, del soggiornare piacevole e ameno a contatto con la natura “vicina” (i giardini, i viridaria delle ville stesse) o di quella “più o meno lontana” (la campagna produttiva del latifondo con la sua vegetazione e le sue colture, il paesaggio a grande scala territoriale); a queste aspettative si sommano, poi, quelle legate agli otia artistici, letterari, conviviali praticati durante i temporanei soggiorni degli aristocratici lontani dai costumi e dai rituali pubblici istituzionalizzati della capitale. I personaggi più influenti e possidenti costruiscono grandi ville poste in località anche molto lontane fra loro (in luoghi interni della penisola italiana, sulle coste del Lazio e della Campania, sui laghi) volendo godere di paesaggi unici, di climi particolari, di “luoghi alla moda”, di tenute agricole - connesse alla pars rustica delle ville - portatrici di raccolti diversi. Non sfugge a questa tendenza, oramai diventata una moda nel I sec. a. C., l’esteso complesso scavato recentemente a San Cesareo su un terreno degradante composto da due ben distinti settori edilizi: una residenza di rappresentanza, ampia e sfar20


13 la villa tardo-repubblicana

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zosa, risalente all’età tardo repubblicana (I sec. a. C.) con sviluppo Est-Ovest e un organismo termale monumentale a Nord, impostato a quota più bassa, riferibile agli inizi del III sec. d. C. La villa tardo repubblicana. La villa, insediata su una posizione dominante e aperta ad una visione paesaggistica, s’inscrive nelle forme residenziali tardo repubblicane con tipologia assiale terrazzata a blocco rettangolare con impiego di tecniche edilizie tipiche del I sec. a. C. (opus quasi reticulatum e reticulatum); rifacimenti e restauri dell’apparato decorativo interno - soprattutto pavimentali - risalgono invece ad un’epoca più tarda (I-II sec. d. C.). Il complesso della villa, incentrato intorno ad un ampio peristilio, presenta uno sviluppo che vede un piano terra con locali principali di rappresentanza aperti sulla corte interna e un piano superiore di cui si è conservato solo l’avvio delle strutture di risalita. Mancano completamente ambienti ed annessi agricoli (pars rustica) che potrebbero essere stati dislocati in altre aree del praedium. La regolarizzazione e funzionalizzazione del sito, in significativa pendenza, è effettuata mediante la realizzazione di una grande terrazza ottenuta grazie ad un muro di contenimento. Il muro longitudinale in opera quasi reticulatum, lungo circa 60 m e posto controterra, presenta dei contrafforti in forma di setti perpendicolari con un aggetto di circa un metro in opus mixtum (mattoni e pietre di forma regolare); si tratta di un rinforzo realizzato, molto probabilmente, nell’epoca di costruzione del secondo complesso edilizio sia per motivi statici di ulteriore consolidamento del pendio, sia per assicurare la continuità di utilizzo alle due distinte parti del complesso. All’estremità del muro, quasi a cerniera fra le due parti 21


14 opus reticulatum

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dell’organismo scavato, insistono le testimonianze di una esedra (15 m in larghezza, 5 m in profondità) con due nicchie; l’esedra è posta, molto probabilmente, a conclusione di una passeggiata che attraversava i giardini della villa. Lo scavo archeologico ha restituito soltanto alcuni settori (lato Sud e lato Est) dell’impianto planimetrico della villa tardo repubblicana. La maggior parte degli ambienti abitativi sono dislocati lungo i portici (profondi 5 m) di un peristilio ad U di cui si conserva come testimonianza tangibile solo il canale di scolo delle acque piovane provenienti dalle falde dei tetti; del peristilio sono documentate solo due delle tre ali probabili. Completamente perdute le tracce dei settori esposti ad Ovest e a Nord; per il lato a settentrione è ipotizzabile un porticobelvedere aperto, attaverso finestre, verso il paesaggio di pianura e il panorama in direzione di Praenestae e Tusculum. Dallo scavo del nucleo più antico emergono strutture poco conservate in altezza (max 1 m) unitamente a quantità significative di frammenti di tessere musive e di marmi pregiati; emerge, allo stesso tempo, con evidenza che il sito sia stato, in tempi passati, già “frequentato” con asportazione dei materiali ed elementi di pregio, decorazioni architettoniche, opere d’arte. In compenso - l’esplorazione del lato Sud della villa restituisce una serie di piani pavimentali a mosaico in buono stato di conservazione che diventano, nel progetto di tesi, alcuni degli elementi della collezione da esporre e valorizzare, insieme ad altri reperti antichi emersi nel territorio più vasto di San Cesareo, all’interno del progetto del Museo archeologico. Della struttura complessiva della villa tardo repubblicana sono emersi dagli scavi unicamente i settori Sud ed Est attestati ed affacciati, entrambi, sul peristilio con porticato (profondo 5 m) pavimentato in

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15 mosaico con motivo a meandro

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opus signinum ed snodantesi su tre lati del complesso. Lo sviluppo dell’ala Sud - alla luce degli attuali rinvenimenti e decorativi pavimentali e dell’ampiezza degli ambienti - individua il quartiere più importante e di rappresentanza dell’abitazione. Volendo ripercorre attraverso una breve descrizione la sequenza degli ambienti riportati alla luce è istruttivo iniziare dall’esterno della villa dove insiste un’area esterna lastricata. Dall’area esterna pavimentata a basolato si accede, attraverso un grande spazio rettangolare (L) per lo stoccaggio di merci e derrate, direttamente nel portico alla cui sinistra si trova un primo blocco edilizio quadrato (M) di 10x10 m con suddivisione interna in tre vani ed atrium; sembrerebbe che questo blocco individui una sorta di macromodulo architettonico posto a strutturare anche le restanti parti della villa. Proseguendo oltre il blocco (M) si incontra un unico grande vano (7x10m), completamente aperto sul portico, ritenuto un ambiente con destinazione a triclinio il cui ruolo di rappresentanza e di elitarietà è testimoniato sia dalle notevoli dimensioni, sia dalle impronte sulla malta di allettamento dell’opus sectile pavimentale (è avanzata l’ipotesi di un disegno a rombi in giallo antico e rettangoli in nero di lavagna, vicino ad alcune redazioni compositive pavimentali di Villa Adriana a Tivoli). Proseguendo lungo il portico, dopo il vasto ambiente triclinare, si giunge in un settore dell’ala Sud di identiche dimensioni dei precedenti (10x10m) suddiviso in quattro ambienti simmetrici (B,H,C,G) serviti da un lungo corridoio che termina con quattro gradini, avvio di una scala che originariamente conduceva al piano superiore della villa. Gli ambienti (B) e (H) sono privi di pavimentazioni ma restituiscono al suolo, sulla malta di allettamento, impronte di opus sectile; lo stesso si rilevano impron23


16 rilievo archeologico

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17 l’euripo

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te per gli ambienti (C) - anche qui con tracce di opus sectile - e (G), quest’ultimo pavimentato a mosaico. «Fanno seguito - come si legge nello studio di Marisa De’ Spagnolis, La scoperta della villa imperiale di Cesare e Massenzio a San Cesareo, a cui si devono molte delle informazioni contenute nella nostra relazione di tesi - due piccoli ambienti quadrangolari (m 4x4), vani “D” ed “E”. Il vano “D” reca una pavimentazione a mosaico, con cornice a meandro prospettico con balza marginale nera con ordito dritto e cornice a fascia nera seguita da una bianca. Negli angoli compaiono kantharoi dai quali si dipartono girali vegetali con volute a riccciolo e a virgola. Tra i due vasi angolari è raffigurato un volto vegetalizzato, probabilmente una sommaria raffigurazione di Oceano. L’assenza della parte centrale farebbe pensare all’asportazione di un emblemata di pregio. L’ambiente “E” ad O del precedente di analoghe dimensioni si apre sul portico; ha pavimentazione a mosaico bianco mentre la parte centrale presenta una cornice a treccia policroma, che probabilmente circoscriveva un emblema (anch’esso risultato mancante o perchè asportato o distrutto). L’ambiente “F” è un ambiente di dimensioni notevoli (m 6x13), il più grande finora rinvenuto, di circa mq 80. Esso doveva essere l’ambiente più rappresentativo della villa considerata la posizione aperta sul portico e la ricca decorazione musiva parietale con una raffinatissima decorazione a reticolo di rombi su sfondo bianco delineati da una duplice fila di doppie tessere nere, intervallata da una doppia fila di tessere bianche. Esso è ancora in discreto stato di conservazione e richiama quello della Villa di Livia a Roma e della villa in località S. Basilio.» (6) L’ultimo ambiente significativo di questo settore della villa aristocratica è il vano (N), sempre aperto sul portico del pe26


18 la vasca del frigidarium

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ristilio e di dimensioni 5x5 m, con pavimentazioni in opus sectile; nelle fasce retrostanti sono stati scavati vani minori che non hanno riportato alla luce attestazioni di rilevanza per la lettura del settore di rappresentanza della residenza. La restante ala Est rinvenuta negli scavi sviluppa una estensione di 22x7 m, con strutture murarie in opus reticulatum che si elevano di poco dal suolo (max 0,60 m). Tutti i restanti ambienti - (Q), (R), (S), (T), (U), (V), (Z) - appaiono di modeste dimensioni e si riferiscono ad un piccolo impianto termale legato al nucleo originario e alle esigenze della villa tardo repubblicana La grande cisterna d’acqua e il complesso termale. Con il proseguimento dello scavo dell’area sottostante alla piattaforma della villa tardo repubblicana sono emerse nuove, più consistenti e ben conservate, strutture murarie attinenti ad un complesso termale composto da una monumentale cisterna d’acqua fuori terra e, ancora più a valle, da un grosso edificio termale. Il serbatoio d’acqua assume una valenza volumetrica autonoma ed enucleata rispetto alle terme vere e proprie risultando rispetto a queste ultime leggeremente ruotato. Si tratta di una costruzione imponente a due piani con una pianta di 24x24 m e uno sviluppo di circa 500 mq con perimetro murario conservato nella sua parte basamentale per un’altezza minima di 1,60 m (lato S) e massima di 3,60 m (lato N). Le ossature murarie portanti della cisterna sono in opus mixtum, ovvero in opera listata con stratificazione in filari alterni di mattoni cotti di laterizio (in numero di cinque ricorsi) e spezzoni di pietra allettati con malta. L’interno del castello d’acqua, la cui funzione è eminentemente di contenimento e tesaurizzazione, risulta ca-

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19 opus mixtum

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ratterizzato - nel centro - da quattro pilastri posti a sorreggere il piano superiore attualmente perduto e, sulle superfici pavimentali e parietali, da un riverstimento in opus signinum, ovvero il cocciopesto impermeabile dei romani. L’esterno dei muri del serbatoio d’acqua è risolto attraverso nicchie aggettanti con ruolo sia di contrafforti strutturali (per il contenimento delle forti spinte prodotte dalla grande cubatura d’acqua), sia di elemento decorativo con uso di intonaci colorati (rosso, giallo), crustae di marmi pregiati di cui ci sono trovati frammenti nel terreno. Da parte della ricerca archeologica è stata avanzata l’ipotesi che tali nicchie possano aver ospitato statue marmoree assegnando alla cisterna anche il ruolo architettonico di ninfeo. Sul lato Nord è stato pure rinvenuto il canale-euripo con undici fusti di colonne di riutilizzo. Ad una quota più bassa della cisterna sono emerse dagli scavi le strutture di un secondo manufatto architettonico a planimetria rettangolare (70x25 m, per un totale di circa 2500 mq) afferenti ad un impianto termale di cui ancora non sono emersi indizi precisi circa la sua destinazione pubblica o di sola pertinenza della villa.

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20 la cisterna d’acqua monumentale

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Riferimenti progettuali


chiese domikuszentrum_meck architekten chiesa parrocchiale di san jorge_tabuenca y leache mei li zou church_tsushima design studio chiesa parrocchiale di sant’antonio_carrilho da graca

musei kolumba museum_peter zumthor fondazione beyeler_renzo piano museo del louvre_sanaa padiglione della fondazione insel hombroich_alvaro siza e rudolf finsterwalder

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21 modello

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Meck Architekten Domikuszentrum Monaco-Germania

Il complesso parrocchiale, gestito dall’ordine dei frati domenicani, è facilmente individuabile all’interno del tessuto urbano esistente grazie alla particolare posizione planimetrica, all’essenziale forma architettonica e alla compattezza del materiale edilizio impiegato. Il progettista, per sua stessa ammissione, ha voluto realizzare una grande “scultura” monolitica in mattoni, una “ casa senza tempo” che rimandi alla mente il materiale da costruzione primigenio: la terra. Il complesso domenicano, alto due piani (eccetto la cappella), si sviluppa attorno ad un’ampia corte di forma rettangolare, al cui centro sono stati piantati simbolicamente due alberi. La cappella, le cui proporzioni rettangolari, in pianta e in altezza, sono desunte dalla sezione aurea, si contraddistingue, inoltre, per il colore blu delle pareti interne e per il fatto che due di esse, “fuori asse”, siano leggermente ruotate rispetto all’angolo retto. I cinque grandi portali di accesso, rivestiti di bronzo, sono stati progettati in modo da poter essere tenuti aperti e così espandere lo spazio liturgico anche all’esterno; gli elementi sacri e i mobili sono stati realizzati in quercia con un disegno rigoroso ed essenziale. Il piano terra del complesso, raccolto intorno ad una corte di circa 25x28 m, ospita inoltre la casa parrocchiale, il centro Caritas della zona nord della città e la scuola materna per 75 bambini. 32


22 planimetria 23 vista della corte

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24 modello

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Tabuenca y Leache Chiesa Parrocchiale di San Jorge Pamplona-Spagna

La chiesa sorge perpendicolare alla via principale del quartiere, posizionata in modo che sia conforme alla sequenza della linea esistente di edifici, facendole seguire la stessa linea gli altri. Questo aiuta l’edificio ad occupare il suo posto nel quartiere, senza soluzione di continuità e con discrezione. Un grande atrio agisce come un ingresso esterno per collegare le due piazze menzionate in precedenza e per la creazione di uno scenario urbano per quelle persone che semplicemente passano attraverso di essa, mentre allo stesso tempo, serve come punto di incontro e di ritrovo per i fedeli appena prima di entrare nel tempio. L’atrio collega anche la chiesa al centro parrocchiale, che contiene gli appartamenti per i sacerdoti al piano superiore. Un patio rialzato che corre per tutta la lunghezza della facciata permette un’illuminazione senza disturbare la privacy di altri. Questa trinità delle sue parti principali (l’atrio, tempio e centro parrocchiale) unite sotto un aspetto unitario, come quello di una chiesa-fortezza che protegge tutto ciò che è dentro e intorno a lei, ma serve anche come un fondale neutro per l’ambiente costruito. 34


25 planimetria 26 vista della corte

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27 modello

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Tsushima Design Studio Mei Li Zou Church Hangzhou-China

Il complesso della chiesa è costituito da tre edifici, ancora collegati separate (la cappella Mei Li Zhou, la più piccola cappella del Giardino, gli uffici) ed il campanile. La Cappella Mei Zhou Li funge da ingresso tanto per il progetto dell’ architettura quanto per quello della natura. La sua pianta è semplice, un ampio spazio interno e grandi facciate aperte permettono un flusso ininterrotto di natura e di illuminazione naturale all’interno dell’edificio. Insieme con le due grandi aperture nella parte anteriore e posteriore della cappella, una serie di grandi lucernari verticali si trovano sopra il pulpito creando una sensazione effimera all’interno della chiesa. La cappella del Giardino e gli uffici tentano anche di portare la natura dentro, ma in modo molto più sfumato. Mentre la cappella principale utilizza la sua altezza e la larghezza di vedute per portare dentro il contesto naturale, i due edifici più piccoli utilizzano finestre a terra molto accuratamente posizionate per consentire agli spazi di fluire senza soluzione di continuità. Situata al centro di tutti i tre i volumi vi è una grande corte pubblica all’aperto, sul cui perimetro è collocato il campanile. Il cortile agisce come un dispositivo, che continua attraverso ciascuno dei tre edifici, collegandoli tra loro così come la natura. Nei due edifici galleria, ogni camera è accuratamente collegata a questo cortile, creando una serie di spazi interconnessi. Ogni spazio è unico e offre diversi punti di vista sul paesaggio circostante. 36


28 planimetria 29 vista della corte

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30 modello

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Carrilho da Graca Chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio Assentos-Portogallo

La chiesa insiste sulla parte terminale di un isolato in accentuata pendenza, tentando di chiudere lo schema introdotto dalle unità abitative preesistenti – perpendicolari al declivio – con due corpi che si relazionano volumetricamente con queste, configurando assieme alla chiesa che li unisce, il sagrato. La complessa relazione fra le differenti quote viene risolto il sezione. La chiesa rimane arretrata verso la porzione interna del complesso e stabilisce un rapporto visivo con il declivio risultante dal “movimento” delle quote del terreno e un rapporto fisico con la città attraverso lo spazio risultante. Questo spazio è interpretabile come una nuova declinazione del sagrato, o del chiostro, tema calzante se si prende in considerazione che nel progetto è incluso un insieme di attività complementari alla chiesa. E’ qui, fra la logica di un edificio istituzionale, l’emozione da esso provocata e l’astrazione ricercata del progettista nei confronti di una realtà cui non poteva riferirsi, che incontriamo la natura della provocazione di dare alla città l’asciuttezza di una serie di piani bianchi. 38


31 planimetria 32 vista dalla corte

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Peter Zumthor Kolumba Museum Colonia-Germania

Il Kolumba Museum, con portamento da fortilizio che preserva al proprio interno le rovine, pare negarsi al rapporto verso l’esterno. In esso, in vicendevole armonia, convivono, senza costringersi o soffocarsi vicendevolmente, due elementi: l’esposizione museale e l’architettura che ne costruisce l’itinere, entrambi in aderente e sottile relazione con la qualità architettonica originaria. È con audacia e franca decisione nell’interesse della nuova funzione, che Zumthor, come l’architetto rinascimentale, prosegue le antiche mura della chiesa tardogotica – ritesse con trame di muratura piena le sue aperture – costruendovi sopra il nuovo. Ripercorrendo il profilo planimetrico della chiesa originaria, le pietre si intrecciano alla nuova muratura, a divenire un massivo paramento che declina ancora una volta in modo inedito il principio della stratificazione. Presso la promenade archeologica che si svolge alla quota inferiore del complesso, costeggiando esternamente le cappelle “del Sacramento” e la “Madonna delle Macerie” di Böhm, l’ordine spaziale che si avverte è dettato dalla presenza dei sottili pilastri in acciaio fasciati nel cemento che – aghi sul corpo dell’architettura – sostengono assieme alla muratura gli spazi costruiti sovrastanti. Ai livelli superiori le sale del museo. Ora ambienti aperti, ora spazi raccolti si susseguono e, mentre muta la percezione, il comfort rimane costante. 40


34 planimetria 35 vista di una sala espositiva

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Renzo Piano Fondazione Beyeler Basilea-Svizzera

Il museo è organizzato da quattro pareti parallele, lunghe 120 metri, orientate da nord a sud e distanti fra loro sette metri, che sostengono un’ampia copertura vetrata. Lungo il lato che si affaccia verso la strada, in aderenza all’esistente muro di cinta, si trova la fascia dei servizi che separa il resto dell’edificio dal rumore della strada e si pone come filtro fra l’interno delle sale espositive e l’ingresso al museo. Dalla parte opposta, verso i campi, un sottile e lungo spazio vetrato, crea un luogo di sosta e contemplazione per i visitatori (Piano parla di “spazio di compensazione” dove “si passa dall’emozione dell’arte al godimento della natura”). Questo spazio fornisce anche accesso e illuminazione ai sotterrane. Tra queste due fasce, al piano terra, si trovano le sale espositive, organizzate su una trama modulare di sette metri per undici, che permettono con la loro disposizione un percorso di visita libero. Tutte le sale, eccetto quelle che si trovano in corrispondenza delle testate e che si affacciano verso l’esterno con grandi vetrate, sono chiuse e illuminate dall’alto attraverso soffitti realizzati in griglia metallica filtrante, un misto di luce naturale e artificiale. 42


37 planimetria 38 vista di una sala espositiva

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39 modello

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Sanaa Museo del Louvre Lens-Francia

La scelta di collocare il museo in una ex miniera illustra l’intento del museo di partecipare alla trasformazione della zona mineraria, pur mantenendo la ricchezza del suo passato industriale. Il sito del Louvre-Lens si trova su 20 ettari di terra desolata che un tempo era un importante miniera di carbone e da allora è stato preso in consegna dalla natura fin dalla sua chiusura nel 1960. Il terreno presenta qualche lieve elevazione, il risultato di un eccesso di riempimento dalla miniera. Gli architetti giapponesi di SANAA hanno voluto evitare di creare una fortezza che domina, optando invece per una struttura bassa, facilmente accessibile che si integra nel sito senza imporsi su di esso con la sua presenza. La struttura è composta da cinque costruzione di acciaio e vetro. Le facciate sono in alluminio lucidato, in cui il parco si riflette, assicurando la continuità tra il museo e il paesaggio circostante. I tetti sono parzialmente in vetro, che riflette un vantaggio particolare a portare in luce, sia per esporre le opere sia per poter mirare il cielo dall’interno dell’edificio. La luce naturale è controllata per mezzo di un dispositivo di oscuramento nel tetto. L’intera struttura quadrati si estende lungo 360 metri da un’estremità di un atrio centrale in vetro trasparente all’altra. Gli edifici situati ad est dell’ingresso - la Grande Galerie e il Padiglione di vetro - ospitano le collezioni del Louvre. Ad ovest dell’ingresso si trova la galleria espositiva temporanea e La Scène, vasto auditorium, i cui programmi sono in relazione diretta con le mostre. 44


40 planimetria 41 vista di una sala espositiva

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Alvaro Siza e Rudolf Finsterwalder Padiglione della Fondazione Insel Hombroich Neuss-Germania

Il padiglione si inserisce nel più ampio disegno di museo diffuso, utilizzando lo stesso mattone degli altri volumi, riprendendone molti dettagli, e con un simile tetto in acciaio zincato . Ma è meno astrattamente geometrico, più tipologicamente caratterizzato e paesaggisticamente correlato. Si compone di due parti : la più grande, a forma di U, come tre lati di un cortile conterrà gli spazi espositivi . Un lungo muro la collega ad un volume di accoglienza, che conterrà un archivio fotografico. Al volume principale a forma di U si accede da un portale in pietra bianca . All’interno ci sono spazi museali, destinati a mostre di architettura. Una volta entrati nell’edificio, dovete girare due volte per vedere di nuovo il paesaggio, sequenza visiva spesso utilizzata da Siza. All’interno, i dettagli sono ricchi ed eseguiti in modo esemplare. Il soffitto è costituito da legno massello di quercia da ed è parte della struttura del tetto insieme alle travi in legno lamellare . Quando la si guarda, si può vedere lievi torsioni tra le travi. Il museo è volutamente tenuto abbastanza scuro, su richiesta del committente.

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43 planimetria 44 vista di una sala espositiva

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Il progetto


Le dinamiche reali dell’area. La scelta di progettare un parco archeologico e un complesso parrocchiale, sull’area dove sono recentemente venuti alla luce i resti della villa imperiale di Cesare e Massenzio, non nasce da una mera ipotesi accademica, ma si inserisce all’interno di un processo in atto e di un dibattito cittadino che sta coinvolgendo l’amministrazione comunale di San Cesareo, la Soprintendenza per i Beni Culturali del Lazio, potenziali investitori e professionisti locali e che investe proprio la trasformazione del sito in questione. L’area di progetto insiste su un terreno di proprietà privata di una società immobiliare, che pochi anni fa ha commissionato ad uno studio professionale la redazione di un Piano Integrato d’Intervento (PIN), inserito nel più ampio programma di sviluppo urbano, che contempla 87.885 metri cubi di nuove costruzioni da edificare su una superficie di ben 78.857 mq, di cui residenze per 411 nuovi abitanti, edifici commerciali e il nuovo complesso parrocchiale di San Giuseppe. L’attuale chiesa, posta al centro del nucleo storico del paese, oramai non è ritenuta più adeguata alla comunità dei fedeli di San Cesareo, per cui la Diocesi di Palestrina ha deciso di costruirne una di maggiori dimensioni e qualità architettonica; a tal fine, in accordo con l’amministrazione comunale, l’organo ecclesiale ha indicato come idonea l’area del PIN, che già prevedeva la realizzazione di un’opera a servizio della comunità locale. L’attuatore del piano ha accettato tale indicazione inserendo nel progetto privato il nuovo complesso parrocchiale. Come anticipato, i sondaggi archeologici, propedeutici alla redazione del progetto definitivo, hanno portato alla luce le vestigia di un manufatto architettonico di epoca romana di cui sin dalle prime murature emerse è stato chiaro il valore 49


45 esploso

artistico e storico, secondo alcuni uno dei fatti di maggiore importanza per l’archeologia del nostro Paese degli ultimi anni. La necessità di conservare e valorizzare l’area archeologica emersa dagli scavi ha, di conseguenza, richiesto l’avvio di un procedimento di tutela, ai sensi della Legge 241/1990 (conclusosi con l’apposizione di un “vincolo diretto” da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali il 07/02/2012 ai sensi degli artt. 10 e 13 del D.L. n. 42/2004). Il Decreto Legislativo ha richiesto una revisione del progetto, la cui variante è stata adottata all’unanimità dall’Amministrazione Comunale di San Cesareo e sta per essere inviata alla Regione Lazio per l’approvazione, mentre la Soprintendenza Archeologica sta rilasciando il parere definitivo A completare questo scenario fatto di ipotesi trasformative dell’area, di interessi privati e di aspettative pubbliche che si concentrano su questi 50.000 metri quadri circa di terreno, va segnalata l’attività di cittadini, singoli o organizzati in comitati, in netta opposizione alla realizzazione del progetto, in entrambe le sue versioni, in quanto, a loro giudizio, non rispettoso della realtà archeologica emersa dagli scavi. All’origine del progetto. La proposta progettuale avanzata nella tesi prende le mosse da questo insieme di antefatti, con cui si pone in posizione dialettica, senza voler necessariamente intercettare aspettative o interesse per quello che concerne lo sviluppo reale delle dinamiche di trasformazione, e altrettanto mai schierandosi a favore dei diversi interlocutori di questo processo, in modo da poter sviluppare una narrazione autonoma, slegata dai limiti e condizionamenti burocratici (peraltro continuamente in modificazione), ed in50


piano coperture

piano primo

piano terra

piano interrato

vista d’insieme

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piano coperture chiesa complesso parrochiale biblioteca museo direzione e centro studi del museo parcheggio interrato

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45 parkway

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dirizzata a cogliere le potenzialità di valorizzazione dell’area archeologica a partire dalla realtà costruttiva dell’architettura e dalle regole ordinatrici dell’urbanistica interessata al sociale. Scelta fondamentale nella definizione del programma di progetto è stata quella di elìdere, rispetto al palinsesto della proposta privata, la componente residenziale. La motivazione che sta alla base di tale decisione deriva dall’aver valutato, attraverso l’analisi svolta, una situazione che già prefigura un livello molto alto del carico antropico di tipo insediativo, e l’inopportunità di un ulteriore aumento dello stesso in un’area che, per la posizione baricentrica rispetto allo sviluppo urbano, e per la presenza del complesso archeologico, testimonia in maniera palese la sua vocazione di centralità collettiva urbana. A seguito di questa scelta il progetto di tesi si struttura attraverso tre polarità: il parco archeologico, il polo museale ed il complesso parrocchiale. Questi tre sistemi prefigurano, per l’area, un uso eminentemente, sociale per la collettività e per le sue espressioni culturali e civili che non trovano attualmente luoghi adeguati all’interno del tessuto urbano di San Cesareo. Il parco archeologico I tre sistemi – parco archeologico, polo museale e complesso parrocchiale - composti in quantità variata di pieni e di vuoti, di materia naturale e artificiale, di strutture antiche e contemporanee, si sviluppano su un’area delimitata su tre lati (S, E, N) dalle preesistenze e sul quarto da un elemento lineare di servizio previsto dal progetto: una ‘strada nel parco’ (una sorta di parkway, binario di viabilità carrabile prevista dai Piani urbanistici e necessaria a strutturare gli accessi alle nuove funzioni) che cerca di ostacolare minimanente i flus-

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18 basis villae, villa adriana, tivoli

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si ed i collegamenti tra il bosco comunale di 12 ettari da una parte e le funzioni ed il parco archeologico dall’altra. La volontà di rendere fruibile alla collettività i nuovi spazi aperti e la visita alla rovine si è accompagnata alla consapevolezza che la possibilità di chiusura e controllo dei giardini ha dato, storicamente, risultati positivi per quello che concerne la sicurezza e manutenzione degli stessi. Da questa valutazione discende il progetto che prevede un sistema di accessi multipli al parco, i quali possono essere chiusi al momento opportuno ed impedire il degrado doloso del parco. Principio fondante del disegno di quest’ultimo è stata la coerenza del nuovo sistema di percorsi di visita con quello che era l’assetto originario del complesso, disposto su di un terreno in pendenza lungo l’asse N-S con dislivello altimetrico massimo di circa 11 metri. Procedendo da N, alla massima quota di progetto, una grande terrazza accoglie, sul lato N, i resti della villa imperiale, collocata ad una quota (+11 m) di 6 metri superiore a quella del resto del complesso. Questo podio viene inciso sul versante meridionale per accogliere una scala che raccorda le variazioni altimetriche e rimanda all’antico muro di contenimento contraffortato che fronteggia, ricostruisce l’antica ‘basis villae’ della residenza imperiale, sostruzione tipica delle ville tardorepubblicane con struttura a blocco, la cui funzione di difesa dalla spinta del terreno si accompagnava alla volontà di creare punti di vista dominanti sul paesaggio circostante. Alla stessa quota, sul fronte E, il podio viene scavato in modo da ricavare un teatro all’aperto, un ‘teatro di verzura’ sull’esempio degli affascinanti ambienti realizzati nei giardini all’italiana del XVIII secolo, le cui quinte risultano interamente vegetali in forma di cespugli di bosso. I locali di accoglienza 55


piano terra aula ristoro laboratorio restauro reperti laboratorio pulitura reperti aula studio

foyer aula lettura

sale esposizioni temporanee sala dei mosaici sala audiovisive foyer

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salone parrocchiale cucina foyer locale tecnico aula comune alloggi per i fedeli canonica campanile aula del grande ministero pastorale

battistero penitenzieria deambulatorio aula liturgica sagrestia cappella feriale collegamenti verticali servizi


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46 profil0 C-C: sezione longitudinale 47 profilo D-D: profilo sul parco archeologico

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spazi esterni prati inclinati triticum spelta prati festuca rubra gradoni verdi acanthus mollis vasca fiorita ophiopogon japonicus

alberature giardino spirituale hemerocallis fulva teatro di verdura buxus sempervirens tetti verdi santolina virens paradiso rosmarinus officinalis

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schinus molle platanus orientalis cupressus sempervirens citrus limon


schinus molle

triticum spelta

hemerocallis fulva

è un albero sempreverde, di norma alto dai 5 ai 7 metri e parimenti ampio, conosciuto comunemente come pepe rosa o falso pepe. le bacche, numerose, hanno un odore molto aromatico e intenso. è originario degli altopiani di Bolivia, Perù, Cile.

è una pianta che si sviluppa facilmente su terreni ben esposti al sole anche se poveri. veniva coltivata anche per le sue caratteristiche zootecniche, allo scopo di ricavarne paglia, oppure utilizzata per la copertura di capanne. la sua produzione è ancora attiva soprattutto in Francia, Germania e Svizzera.

è una pianta erbacea perenne, di taglia media, che può raggiungere il metro d’altezza. è un atributto nell’iconografia di S. Giuseppe, santo a cui è dedicata la chiesa: il fiore esprime infatti purezza, e lo troviamo sia singolarmente sia a corona del bastone fiorito del Santo.

cupressus sempervirens

festuca rubra

buxus sempervirens

è un albero sempreverde che raggiunge i 25 m, ma negli esemplari più vecchi può arrivare anche a 50 m. la sua chioma è molto caratteristica. è una pianta molto comune in Italia, ma probabilmente non è autoctono: le sue origini sembrerebbero essere dell’area orientale del mar Mediterraneo.

è una specie erbacea, della famiglia Poaceae. si trova in tutto il mondo ed, essendo una pianta microterme, può tollerare climi che vanno dai 15 ai 25 °C. viene coltivata come pianta ornamentale per l’uso come tappeto erboso. Può essere lasciata completamente incolta.

è una pianta della famiglia delle Buxaceae, spontanea in Italia in zone aride, rocciose, prevalentemente calcaree. è un arbusto sempreverde eretto e cespuglioso di altezza variabile tra i 2 e 4 m, longevo, dall’odore caratteristicoha un areale che va dall’Europa all’Asia occidentale fino all’Africa settentrionale.

platanus orientalis

acanthus mollis

santolina virens

è un grande albero alto fin oltre 40 m, con tronco rastremato, corteccia di colore bianco-giallastra. le foglie sono grandi, semplici, palmate a 5 lobi appuntiti, caduche. è originario del Mediterraneo orientale e dell’Asia occidentale. in l’Italia, è spontaneo nell’Italia meridionale.

è una pianta ornamentale con grandi foglie lobate pennato-partite, dal margine dentato, molto eleganti, lunghe fino a 80 cm, di colore verde-scuro, con fiori dalla corolla bianco-rosea. linee ispirate alle sue foglie furono utilizzate come ornamento dei capitelli nell’antica architettura greca.

è una pianta perenne della famiglia delle Asteraceae, endemica dell’Antiappennino toscolaziale. è una pianta camefita suffruticosa. tipica delle garighe di greto dei fiumi (Paglia, Orcia) e torrenti (Trasubbie) che hanno origine dal Monte Amiata.

citrus limon

ophiopogon japonicus nigra

rosmarinus officinalis

è un albero che raggiunge dai 3 ai 6 metri di altezza. i germogli e i petali sono bianchi e violetti. il frutto è giallo all’esterno e quasi incolore all’interno, di forma sferica fino ad ovale, spesso con una protuberanza all’apice e appuntito all’altra estremità. in clima favorevole, fiorisce e fruttifica due volte l’anno.

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è una pianta erbacea perenne. il nome del genere deriva dal greco ophis, “serpente”, e pogon, “barba”, probabilmente in riferimento alle sue foglie. viene coltivata ed utilizzata a scopo di ornamento. la pianta è originaria dell’India e dell’Asia orientale.

è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. originario dell’Europa, Asia e Africa, è ora spontaneo nell’area mediterranea nelle zone litoranee, garighe, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, può raggiungere altezza variabile dai 50 ai 300 cm.


48 teatro di verzura, villa di marlia, capannori

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della struttura teatrale sono disposti in un piccolo volume al margine E del disegno, all’interno del quale - con accesso indipendente - sono collocati anche i servizi igienici per i visitatori del parco. In corrispondenza si ha un secondo accesso all’area archeologica, poco distante dall’ampia superficie destinata ai parcheggi che ha occupato, lungo la via Casilina, l’area su cui si trova la stazione ferroviaria dismessa di San Cesareo. Una spina verde di alberature ad alto fusto completano, poi, il fronte E schermando le villette prospicienti che, per carattere privato e per scarsa qualità architettonica, non si è ritenuto capaci di costituire un adeguato fondale visivo del parco. Alla quota più bassa (+5.20 m), a cui è possibile accedere dal podio attraverso i due sistemi gradonati o mediante ascensore, si attestano le murature di contenimento dell’antica basis e quelle degli ambienti termali e dei suoi annessi. Il percorso di visita è realizzato mediante un sentiero in legno che segue orientamenti differenti per guidare il visitatore nella scoperta delle vestigia antiche rispetto alle quali risulta a volta tangente, altre volte le interseca o se ne discosta, sempre però attento a rispettarne le geometrie e le giaciture; una piegatura in prossimità del ninfeo consente al percorso di farsi passerella in quota per permettere, da un punto di osservazione interno ed elevato, una suggestiva fruizione delle possenti ossature murarie. Due sono i possibili percorsi per raggiungere la quota minima del parco (+ 0 m). La prima è la prosecuzione del percorso in legno, che raddoppia il tracciato dell’antica via Labicana, al cui sviluppo spezzato contrappone una perfetta linearità (la cui direzionalità è dettata dall’edificato che fronteggia) interrotta unicamente da sottili deviazioni che consentono al visitatore di avvicinare fino a toccare gli antichi basoli pavimentali emersi nel corso degli scavi. L’altro sistema di accesso, che invece si 62


49 santuario della fortuna primigenia, palestrina

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appoggia e sposa l’ortogonalità delle nuove volumetrie, è una grande gradonata verde, incorniciata ai lati da due scalinate litiche di passo differente quale ripresa del tema tipico delle ville romane di età tardo repubblicana, che organizzavano i fastosi giardini su terrazze aperte verso il paesaggio; testimonianza ne è l’abisde che si collega al muro di contenimento della villa imperiale. Riferimento monumentale non distante dal sito di San Cesareo è il Santuario di Fortuna Primigenia a Palestrina.

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50 vista dell’ingresso al museo

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Il polo museale Entrambi i sistemi di collegamento descritti conducono allo spazio pubblico da cui si accede agli edifici del polo museale, il cui significato si lega alla volontà di custodire e di tramandare la conoscenza archeologica del sito, della campagna romana, e più in generale, creare una stabile struttura culturale pubblica. Alla piazza si accede, anche attraverso una risalita, dal parcheggio interrato per 130 posti (a quota - 4 m, la stessa della via Casilina da cui vi si accede) e la cui copertura, risolta a prato, è posta in prosecuzione della superficie orizzontale della piazza; una maglia di pannelli fotovoltaici, collocata sempre sulla copertura del parcheggio, contribuirà alla sostenibilità energetica dei servizi. Il museo archeologico. Il museo archeologico si presenta sulla piazza come un solido geometrico opaco custode delle testimonianze che il disvelamento del complesso archeologico - visibile attraverso la grande loggia d’ingresso all’edificio - ha reso possibile riportare alla luce e alla nostra attenzione e conoscenza. I pannelli in alluminio lucidato che rivestono gran parte del prospetto riflettono, in una visione sfocata e cangiante, il primo piano della pavimentazione in travertino e delle piantumazioni a boschetto interne alla piazza, per sfumare – poi - nel parco retrostante fino al cielo. L’ingresso al museo e ai suoi primi ambienti di accoglienza disvela la continuità geometrica del volume con la gradonata del parco archeologico; elemento di cerniera tra i due è una superficie d’acqua, che si protende - per un tratto – verso entrambi gli elementi, con evidente riferi65


51 l’impluvium della casa del fauno, pompei

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mento all’immagine dell’impluvium delle domus romane. Gli spazi espositivi sono organizzati in due settori: gli ambienti della collezione permanente - ospitata al piano basso - e le sale per le esposizioni temporanee poste alla quota di ingresso. Ai primi si giunge attraverso una rampa tangente al lato lungo dell’edificio e che si inscrive in un volume più basso che assicura il mantenimento della simmetria dell’edificio principale; terminale di questa sezione è la sala principale, la ‘sala dei mosaici’, che raddoppia in pianta le dimensioni e le eleva in altezza fino alla copertura, al fine di consentire l’esposizione in verticale del mosaico a rombi rinvenuto nell’ala di rappresentanza della villa insieme ed altri elementi musivi ed opere di statuaria. Completano il programma funzionale del piano interrato una sala conferenze, i servizi e i locali tecnici e di deposito posti in adiacenza al parcheggio interrato, condividendone l’ingresso carrabile. Al livello della piazza, oltre agli ambienti di accoglienza, si trovano le sale per le esposizioni temporanee, dotate di massima flessibilità per consentire i più vari progetti allestitivi di mostre; l’altezza degli spazi non preclude la possibilità di ospitare anche opere di arte contemporanea di rilevanti dimensioni, superando le limitazioni dei musei di non recente costruzione. In un ambiente rialzato in corrispondenza del foyer è organizzata la caffetteria, aperta visivamente sul parco attraverso la grande vetrata. Gli spazi direzionali e amministrativi sono separati dal volume che ospita le esposizioni, risultando organizzati - insieme ai locali per lo studio, la pulitura ed il restauro dei reperti - in un piccolo edificio che prosegue la traccia del museo, da cui è separato mediante una corte aperta al cielo, con funzione di accesso settentrionale al parco archeologico. 66


52 vista del foyer del museo

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53 (pag. destra) vista della sala dei mosaici

La collezione. Il progetto della collezione del museo si basa sull’idea di utilizzare la nuova struttura come contenitore di opere rinvenute all’interno di un territorio di raggio più ampio rispetto a quello della sola area di progetto. La nuova struttura museale è pensata nel panorama più ampio della campagna romana, dalla volontà di valorizzare i molteplici e prestigiosi reperti che nelle ville d’otium di questo territorio sono stati rinvenuti nel corso dei secoli, ed attualmente collezionati in vari musei nazionali e stranieri. Il focus del progetto di collezione è divenuto la statuaria antica del territorio labicano, motivato dalla testimonianza insita nel toponimo stesso Ad Statuas, che ci ha tramandato la notizia di come questo luogo fosse un tempo ricco di artefatti scultorei. La ricerca svolta da Marina De Franceschini (raccolta nel testo ‘Ville dell’Agro Romano’ (7)) ci ha offerto un panorama ampio delle opere rinvenute in questo territorio e del loro attuale luogo di conservazione. Da tale repertorio abbiamo effettuato una selezione per dar vita ad una collezione, ipotizzando di poter acquisire suddetti pezzi, riceverli in prestito o, nella più realistica delle ipotesi, farne eseguire copie o calchi in gesso per quella che potrebbe assumere sempre di più le sembianze di una gipsoteca. Nucleo fondativo della collezione sarebbero i materiali scoperti durante la recentissima campagna di scavi, reperti che sono solo una piccolissima parte della ricca decorazione originaria della villa imperiale.

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marmi policromi mansio ad statuas tegole bollate mansio ad statuas lastra con scene di venationes mansio ad statuas museo archeologico, sperlonga testa di Apollo mansio ad statuas museo archeologico, sperlonga testa di Apollo villa di massenzio sulla via appia museo capitolino, roma testa di Sofocle villa di casal morena british museum, london testa di Crisippo villa di casal morena british museum, londra testa di Atena villa di casal morena glyptothek, monaco di baviera busto di Marco Aurelio villa di lucio vero all acquatraversa musee du louvre, parigi testa del sileno Marsia villa di massenzio sulla via appia musei vaticani, roma busto di Lucio Vero villa di lucio vero all acquatraversa palazzo torlonia, roma statua di Apollo villa di casale di gregna staatliche museum, berlino statua di Eros villa dei quintili sulla via appia museo chiaramonti, roma statua di Giunone villa di castel di guido musei vaticani, roma statua di Fortuna villa dei quintili sulla via appia musei vaticani, roma statua di Gamenide villa di casal morena museo chiaramonti, roma statua di Artemide villa di lucio vero all’acquatraversa staatliche museum, berlino statua loricata di Augusto villa di livio a prima porta musei vaticani, roma statua di Ariadne villa dei sette bassi british museum, londra

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mosaico ‘optical’ mansio ad statuas mosaico ‘meandro’ mansio ad statuas mosaico ‘trinagoli’ mansio ad statuas

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Il museo: dettagli costruttivi 3

+ 10.80

2 + 4.00

1

+ 0.00

- 4.00

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1. parete esterna . vetrocamera . rivestimento esterno in laterizio . isolamento termico . struttura portante in c.a. . intonaco 2. ingresso . struttura portante in c.a. . isolamento termico . rivestimento esterno in laterizio . cornice in c.a . infisso in vetro 3. loggia . strato di ghiaia . strato di impermeabilizzazione . massetto delle pendenze . soletta rigida in c.a.

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7 + 10.80

4

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+ 0.00

- 3.28 6 - 4.00

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4. parete esterna . rivestimento esterno in pannelli in alluminio a nido d’ape . isolamento termico . struttura portante in c.a. . intonaco 5. solaio intermedio . pavimento radiante con finitura in cemento . isolamento acustico . struttura in c.a. . intonaco 6. solaio controterra . pavimento radiante con finitura in cemento . barriera al vapore . soletta in calcestruzzo con rete elettrosaldata . vespaio areato . magrone 7. copertura piana . strato di ghiaia . strato di impermeabilizzazione . isolamento termico . massetto delle pendenze . struttura in c.a.

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piano primo aula ristoro direzione segreteria aula riunioni

aula lettura emeroteca

sala esposizioni temporanee sala dei mosaici caffetteria foyer

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salone parrocchiale cucina foyer locale tecnico aula comune alloggi per i fedeli canonica campanile aula del grande ministero pastorale

battistero penitenzieria deambulatorio aula liturgica sagrestia cappella feriale collegamenti verticali servizi


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54 profilo B-B: sezione longitudinale 55 profilo A-A: prospetto sulla strada

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56 vista della corte del complesso parrocchiale

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57 il giardino dell’eden, autore sconosciuto, 1410

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Il complesso parrocchiale Gli spazi serventi. Procedendo verso il margine meridionale dell’area di progetto, due scalinate conducono agli spazi su cui si apre il complesso parrocchiale e la chiesa di San Giuseppe. Risalita la prima scalinata, si incontra un piazzale belvedere affacciato sul parco archeologico, protetto dalla loggia sovrastante, che offre un punto di riposo e di sosta. Poco più avanti, alla stessa quota (+ 2.80 m), si accede al complesso parrocchiale. L’edificio, disposto a formare una L attorno ad una corte, organizza al suo interno tutti i locali accessori alla vita della comunità religiosa. Nel volume disposto parallelamente alla strada, un foyer, alla quota di accesso, distribuisce, ma anche in caso di necessità separa funzionalmente, il grande salone parrocchiale, che si sviluppa in altezza abbracciando entrambi i livelli dell’edificio, dall’altro le aule per la catechesi, servite lungo un corridoio a tutta altezza che termina in un piccolo patio, da cui si accede alla canonica del parroco, sviluppata su due piani con possibilità di accesso da entrambi. Al primo livello sono, invece, presenti dei piccoli alloggi per i fedeli, in numero di 3 con letto singolo ed 1 con letto doppio, collegati a locali comuni quali la sala per la preghiera, la cucina, la sala da pranzo. Alla stessa quota, dal lato opposto alla strada, si apre la corte rettangolare del complesso parrocchiale, giardino murato aperto al cielo, per l’incontro e la riflessione dei fedeli. Al centro di tale spazio è un’aiuola rialzata, uno spazio silenzioso circondato dalla pavimentazione perimetrale in ghiaia, che fa esplicito richiamo agli ‘horti conclusi’ di età medievale. Appoggiata al muro che cinge lo spazio e impedisce la vista 81


58 capanne nella campagna di san cesareo

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sul parco archeologico, una rampa conduce alla quota (+ 6.80 m) su cui si sviluppa il braccio corto della L, dove è ospitata l’aula del grande ministero pastorale con i suoi servizi. All’intersezione tra i due volumi, si eleva il profilo slanciato della torre campanaria, che con i suoi 36 metri di sviluppo in altezza si configura come ‘signal’ capace di rendere visibile, su di un ampio raggio territoriale, la presenza della Chiesa, manifestandosi anche attraverso il suono delle sue campane. La chiesa. Sollevato su un podio (+ 8.00 m), i cui bordi si configurano in parte come grande seduta, il sagrato è una piazza con due quinte naturali (il parco naturale ad O, quello archeologico ad E) e due murate: il complesso parrocchiale con il profilo del campanile a N, il fronte principale della chiesa a S. La chiesa si sviluppa longitudinalmente in direzione O-E volgendo ad Oriente, come da tradizione medioevale, il fronte interno su cui è collocato l’altare. La volumetria si compone di due elementi: un parallelepipedo in laterizio in forma di massa continua geometricamente rigorosa e la copertura a capanna con falde rivestite in manto di paglia e i due timpani interamente vetrati per fare entrare la luce all’interno dell’aula. La riconoscibilità dell’edificio sacro, ricerca che ha prodotto risultati tanto mirabili nella tradizione architettonica cristiana, viene affidata a questo elemento ‘povero’, che non risponde tanto ad una logica di arbitrio prefessionale, ma vuole ancorare l’immagine della nuova ecclesia a quello che le analisi storiche ci hanno portato a considerare come momento di centrale importanza per la comunità sancesarese, dal momento che ‘costruire una chiesa «di pietre» esprime una sorta di radicamento della chiesa «di persone» nel territorio (planta82


59 vista dell’ingresso alla chiesa

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60 (pag. sinistra) vista dell’aula liturgica

tio ecclesiae), il che esige un discernimento della comunità a cui il nuovo edifico è destinato’. (8) Intorno alla metà del 1600 questo terreno era in possesso della famiglia Rospigliosi Pallavicini che impiantò una ricca tenuta agricola (oltre 1600 ettari) coltivata da contadini provenienti dai paesi vicini, soprattutto da Capranica Prenestina (i cosiddetti ‘capranicotti’) e da Rocca Priora. Questa lenta migrazione, prima stagionale, poi sempre più stabile, diede vita ad alcuni villaggi presso Carchitti, Marcelli, Vivaro e San Cesareo. I contadini, non avendo la possibilità di costruire case in muratura abitavano in semplici capanne di stoppi e ginestra, edificate sui pendii per permettere lo scolo delle acque piovane. Si trattava di costruzioni di forma circolare, con struttura portante in legno di castagno. La luce e l’aria entravano dall’alto, da una apertura posta al centro; la copertura era conica o comunque arrotondata in cima per garantire anche l’efficace fuoriuscita del fumo proveniente dal focolare allestito al centro della capanna. Attorno al fuoco venivano disposti dei giacigli costituiti da sacchi pieni di paglia (detti rapazzole) sorretti da pali di legno. Dopo la prima guerra mondiale iniziò il risanamento di questi villaggi di capanne. Dell’iniziativa si fece promotore il fascismo che, tramite l’Opera Nazionale Combattenti, fece costruire le case stabili per i coloni, dando così vita ad una borgata rurale nella quale trovarono posto tutti gli abitanti dei villaggi. Le case, una sessantina in tutto, erano fornite di acqua corrente e luce elettrica e a ognuna era annesso un appezzamento di terreno irriguo di mille metri quadrati. La nuova sistemazione non venne accolta con gioia dai “capranicotti”, abituati ormai da tempo a vivere nelle loro povere capanne. Per vincere la riluttanza, nel 1928, vennero dati alle fiamme i vecchi tuguri dai quali, special85


La chiesa: dettagli costruttivi

1. parete esterna . rivestimento esterno in laterizio 600 x 125 x 55 mm . malta cementizia 1,5 cm . isolamento termico 8 cm . struttura portante in C.A. 25 cm . malta cementizia 1,5 cm . rivestimento interno in laterizio 528 x 125 x 55 mm 2. tamponamento esterno . vetro camera bianco con infissi in acciaio inox . diaframma in listoni di legno di cedro del libano spessore 45 cm 3. copertura a capanna . riempimento del colmo in paglia incannicciata 10 . strato in paglia incannicciata 30 . struttura secondaria in legno 30x20 . strato termoisolante 16 . strato fonoassorbente 8 . struttura portante in legno lamellare 120x30 . pannello in legno intonacato 200x2

cm cm cm cm cm cm cm

4. copertura piana . strato di ghiaia . strato di separazione in tessuto non tessuto . barriera al vapore . isolamento termico 8 cm . struttura portante in C.A. a vista 30cm 5. solaio controterra . pavimento in lastre di travertino 6 . massetto portaimpianti in cls alleggerito 6 . isolamento termico 8 . barriera al vapore . soletta in calcestruzzo con rete elettrosaldata 7 . vespaio areato 70 . magrone 25

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cm cm cm cm cm cm


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61 j.e. millais, Gesù nella casa dei suoi genitori, 1850

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mente le persone anziane, si allontanarono a malincuore. I giornali dell’epoca diedero notevole risalto all’avvenimento definendolo “falò espiatorio” e parlando di “ distruzione edificatrice” (9). Il nuovo edificio sacro trova, dunque, in questa forma abitativa arcaica un elemento della memoria collettiva in cui la comunità è capace di ritrovarsi e raccogliersi, scegliendo di non seguire la strada che forse molta architettura colta avrebbe preferito, ovvero il rimando alla tradizione architettonica romana di cui abbiamo tracce sensibili a pochi metri di distanza, in quanto, benchè ritenuto sì importantissimo segno della storia del paese, appare molto lontano nel tempo per poter rappresentare un significativo elemento identitario per la storia e la memoria recente di San Cesareo. L’impianto liturgico. La progettazione di un edificio di culto non può che prendere le mosse da un’attenta ricerca sulla tipologia. L’incipit, nel nostro caso, risulta orientato nella direzione del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II che ha avuto il merito di promuovere una maggiore vicinanza nel rito tra il celebrante e l’assemblea, e tra quest’ultima e i poli della liturgia, princìpi, questi, che hanno favorito impianti con il posizionamento dell’altare collocato al centro dell’aula liturgica. Si giustifica così, nel nostro progetto, come pur non rinunciando allo sviluppo longitudinale dell’aula e alla partizione in tre navate tipiche della tipologa basilicale, le panche per i fedeli si dispongono a ferro di cavallo attorno all’area presbiteriale, podio – quest’ultimo - costituito da tre gradini, su cui poggia il ‘luogo dell’offerta, aperto a tutti gli sguardi’, come nelle parole di Romano Guardini. (x) ROMANO GUARDINI, I SANTI SEGNI) Il pensiero del teologo italiano naturalizzato tedesco ha inspirato profondamente l’organizzazione interna del88


62 cappella degli studenti, abbazia di melk, austria

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la chiesa, il cui disegno prende le mosse dalla liturgia e dai suoi ‘santi segni’, materializzati in ‘figure sensibili’ ma simultaneamente ‘segni visibili della grazia invisibile’. Accedendo dunque alla chiesa da una profonda loggia, filtro tra lo spazio sacro interno e quello laico esterno, oltre che luogo di riparo e riposo per i fedeli, si compie una rotazione a 90 gradi per allinearsi allo sviluppo dello spazio. Il fonte battesimale, l’altare maggiore e la custodia del Santissimo Sacramento lungo l’asse centrale della chiesa non risponde ad un’astratta costruzione geometrica, bensì realizza la possibilità di un percorso, spirituale prima che fisico, che il fedele è chiamato a percorrere. L’aula liturgica si contraddistingue per il contrasto chiaroscurale dato dalle superfici orizzontali in travertino con ricorsi in cemento chiaro levigato, quelle verticali in laterizio di tono chiaro (mattoni albasi) e le panche per i fedeli in legno scuro. Lo spazio, spinto in verticale fino alla copertura che raggiunge l’altezza da terra di 22,5 metri, è orientato verso il grande timpano triangolare da cui, alla mattina, si riceve la massima luce dal sole sorgente, una luce ‘frantumata’ da una trama diagonale di grandi liste lignee, che assieme alla forma archetìpa della copertura, fanno riferimento alla pratica del ‘téktòn’ che la tradizione assegna a San Giuseppe, a cui la chiesa è nominata. Al di sotto del treillage ligeno, un’incisione sulla parete posta a custodire il Santissimo Sacramento, mette in collegamento lo spazio dell’aula con la cappella feriale (alla quota inferiore + 6.80 m), richiesta espressamente dalla comunità per il culto 24 h. La sistemazione del Tabernacolo si collega direttamente ad alcune esperienze del Movimento Liturgico, in particolare la Cappella degli Studenti presso l’abbazia di Melk in Austria. Adiacente alla cappella feriale, si trova il locale della sagrestia, accessibile anche direttamente dall’esterno.

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le campane dalla casa di Dio il campanile si drizza nella libera atmosfera. su di esso sono sospese le campane, gravi di bronzo. esse chiamano l’ ‘uomo dell’anelito’; l’uomo il cui cuore è aperto all’immensa vastità. i gradini quando saliamo i gradini, non sale soltanto il piede, ma tutto l’essere nostro. perciò i gradini che conducono dalla strada alla chiesa dicono: ‘tu sali alla casa della preghiera, più vicino a Dio’. il portale quando uno lo varca, il portale gli dice: ‘lascia fuori quello che non appartiene all’interno, pensieri, desideri, preoccupazioni, leggerezza. fatti puro, tu entri nel santuario’. l’acqua benedetta misteriosa è l’acqua. tutta pura e modesta, ‘casta’ l’ha chiamata San Francesco. dal Battesimo siamo usciti uomini nuovi, ‘rinati in virtù dell’acqua e dello Spirito Santo’.

campanile • luogo di riconoscibilità dell’edificio religioso • funzione di richiamo delle campane • escludere le ‘trombe’ acustiche • dimensioni e struttura contenute per l’economia sagrato • luogo dell’accoglienza e del rinvio, soglia • può essere luogo di celebrazione • adibito ad uso esclusivamente pedonale • preferibilmente dotato di porticato atrio • luogo dell’accoglienza materna della chiesa • dotato di acquasantiera • atte al passaggio delle celebrazioni solenni • dimensioni proporzionate alla capienza dell’aula penitenzieria • luogo del sacramento della penitenza • connesso con l’aula della celebrazione eucaristica • dotato del necessario riserbo • dignitoso, sobrio ed accogliente sacrestia • conservazione di libri, vesti ed arredo liturgico • collegato all’area presbiteriale • coerenza estetica con l’insieme dell’edificio • ambiente decoroso e sufficientemente ampio cappella feriale • atta alla celebrazione con piccoli gruppi di fedeli • distinta dalla navata centrale • può custodire il santissimo sacramento • l’altare deve essere distinto dal tabernacolo

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luce Dio è presente nel pensiero che lo conosce rettamente, vive nello spirito che pensa a Lui veramente, perciò ‘conoscere Dio’ vuol dire: unirsi con Lui, come l’occhio nella visione della luce. l’altare la forza più profonda dell’anima è la sua capacità di offerta. appunto di questo nucleo più intimo, calmo e forte, proprio dell’uomo, l’altare di pietra è il segno visibile. il cero esso sta nello spazio, snello, in una intatta purezza: fa che assurga ad espressione della tua anima. il senso più profondo della vita sta nel consumarsi in verità e amore per Dio, come il cero in luce e vampa. dell’inginocchiarsi ci si fa piccoli: si vorrebbe impicciolire la propria persona, perchè essa non si presenti così, con tanta presunzione: l’uomo si inginocchia. ‘tu sei il Dio grande, mentre io sono nulla’.

altare • punto centrale dei fedeli • collocato nell’area presbiteriale • praticabile all’intorno • realizzato in pietra naturale ambone • luogo della parola di Dio • collocato in prossimità dell’assemblea • visibile dall’assemblea • nobile ed elevata tribuna fissa custodia eucaristica • luogo di custodia del santissimo sacramento • luogo architettonico importante • affiancato dalla lampada dalla fiamma perenne • unico, inamovibile e solido fonte battesimale • luogo del battesimo • consenta anche la celebrazione per immersione • visibile dall’assemblea • decoroso e significativo sede del presidente • distinzione del ministero di colui che guida • comunicante con l’assemblea dei fedeli • visibile dall’assemblea • sia affiancata da altri posti per i concelebranti arredo • suppellettili funzionali, non mero abbellimento • orientate all’educazione dei fedeli • coerenza estetica con l’insieme dell’edificio • nobile semplicità piuttosto che fasto

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63 giotto, il battesimo di Cristo, 1303

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Sul fronte ovest, insieme alle Penitenzierìe, sono organizzati gli ambienti collegati al Sacramento del Battesimo. Accanto all’aula del Fonte, caratterizzata dalla pavimentazione musiva in tessere di pasta vitrea color blu, citazione dei rivestimenti pavimentali in cocciopesto idraulico dei complessi termali romani di cui abbiamo esempio a pochi metri, si situa un’ambiente (alla quota inferiore di +6.80 m), dedicato alla cerimonia del battesimo per immersione, unico utilizzato fino al medioevo, epoca in cui venne introdotta la cerimonia per infusione, la più comune nell’Occidente cristiano moderno. Il battesimo avviene qui all’interno di una vasca d’acqua, ricevente luce dalla copertura, a cui si scende mediante sette gradini che, nella tradizione del culto, simboleggiano i sette vizi capitali da cui si viene mondati attraverso questo sacramento, e di cui abbiamo testimonianza nelle vasche battesimali rinvenute a Nazareth.

L’arredo sacro. Liturgia è azione, movimento tra luoghi salienti; da questa considerazione discende la possibilità di considerare le diverse opere come tappe di un unico percorso dove la reciproca concordia ne diviene la manifesta testimonianza (Sacramentum caritatis). Gli elementi di arredo, ricondotti all’essenziale e privi di decorazione, ’ostentano’ il valore del nudo materiale di cui sono composte. L’altare, l’ambone ed il fonte battesimale sono realizzati in travertino chiaro a pori aperti; l’acquasantiera è un lungo catino in cemento, solo arricchita da una tela ad olio monocroma, color blu Klein; il portacero è infine realizzato in ferro acidato. 92


64 vista dell’ingresso alla chiesa

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L’arredo sacro 1. ambone (travertino chiaro) 2. altare maggiore (travertino chiaro lucido) 3. fonte battesimale (travertino chiaro) 4. acquasantiera (cemento scuro, dipinto ad olio color blu klein) 5. portacero (ferro acidato)

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Note e bibliografia


Note (1) Giuseppe Tommasetti, Della Campagna romana: illustrazione delle vie Labicana e Prenestina...Roma, 1907. (La citazione a p. 66 è tratta dalla ristampa anastatica CPSIA www.ICGtesting.com USA) (2) Francesco De Ficoroni, Le memorie ritrovate nel territorio della prima e seconda città di Labico e i loro giusti siti, Roma, Stamperia Girolamo Mainardi, 1745, p.61 (3) Antonio Nibby, Analisi storico topografica-antiquaria della carta dè dintorni di Roma, Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1837, ed. II, vol.3, p.742. (4) Emilio Ferracci, Simone Masini. Emiliano Ilardi e Davide Pinna, San Cesareo. Storia di un paese senza storia, Roma, 1998. (5) Harald Mielsch, “Origini e sviluppo della villa” p. 47, in La villa romana, Firenze, GIunti, 1990 (tit. or, Die Römische Villa, 1987), pp. 207. (6) Marisa De’ Spagnolis, “La villa tardo repubblicana” p. 21, in La scoperta della villa imperiale di Cesare e Massenzio a San Cesareo, s. ed., 2012, pp. 55. (7) Marina De Franceschini, “Ville dell’Agro romano”, L’Erma di Bretschneider, 2005 (8) Nota Pastorale CEI 18/02/1993 (9) P.W. Di Paola, San Cesareo. Storia e Notizie (10) R. Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Editrice Morcelliana, 2007

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Bibliografia _Alfonso Acocella, L’architettura del mattone a faccia vista, Laterconsult editore, 1981 _Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Alinea editrice, 2004 _Fabrizio Arrigoni, Sinopie architettura ex atramentis, Die Neue Sachlichkeit editore, 2010 _Thomas Ashby, Classical topography of the Roman Campagna, Papers of the British School at Rome, 1902 _Silvia Barbetta, Via Labicana, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1995 _Antonietta Brancati, La cartografia dell’Agro Romano, Fratelli Palombi editore, 1990 _Andrea Busiri Vici D’Acervia, Andrea Locatelli e il paesaggio romano del ‘700, Ugo Bozzi editore, 1976 _Andrea Carone, Descrizione del territorio di Zagarolo, Colonna, Gallicano e Passarano, Manoscritto inedito nella Biblioteca Casanatense di Roma, 1637 _Frederic Debuyst, Il genius loci cristiano, Sinai editore, 2000 _Marina De Franceschini, Ville dell’agro romano, L’Erma di Bretschneider editore, Roma, 2005 _Emilio Ferracci, San Cesareo. Storia di un paese senza storia, San Cesareo, 1998 _Sandra Gatti, Anna Maria Reggiani, Da Fiano Romano a San Cesareo, Silvestrini editore, Roma, 1993

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_Romano Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Morcelliana editore, 2005 _Rodolfo Lanciani, Passeggiate nella campagna romana, edizioni Quasar, Roma, 1980 _Renato Mammucari, Campagna romana. Carte, vedute, piante, costume, Edimond editore, 2002 _Piero Maria Lugli, L’Agro Romano e l’altera forma di Roma antica, Gangemi editore, 2006 _Milena Matteini, Pietro Porcinai. Architetto del giardino e del paesaggio, Mondadori Electa editore,1991 _Antonio Nibby, Analisi storico-topografica-antiquaria della carta dè dintorni di Roma, Tipografia delle arti, Roma, 1849 _Norman Nueurburg, L’architettura delle fontane e dei ninfei nell’Italia antica, Macchiaroli Editore, Napoli, 1965 _Anna Laura Palazzo, Campagne urbane. Paesaggi in trasformazione nell’area romana, Gangemi editore, 2006 _Elena Pierro, ‘A proposito di un sarcofago nella collezione Astor a Hever Castle. Indagine preliminare sul patrimonio scultoreo di San Cesareo’ in Scritti di Antichità in Memoria di Sandro Stucchi, a cura di L. Bacchielli, M. Bonanno, Aravantinos, Studi Miscellani, Roma, 1996 _Andreina Ricci, Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli editore, Roma, 2006 _Giuseppe Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, edizione nuova e aggiornata, a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, Firenze _Eberhard Schunk, Thomas Finke, Richard Jenisch, Hans Jochen Oster, Atlante dei tetti, Utet editore, Torino, 1998

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Ringraziamenti


per il gentile apporto nella raccolta dei documenti: a paolo di paola, gino mistura, marisa spagnolis, cristina recco, alessandro betori, all’associazione le capanne per gli utili consigli progettuali: a maurizio sacchetti, marinella spagnoli, paolo felli per i piacevoli momenti condivisi tra le mura di santa verdiana: ad andrea, francesca, pietro, tommaso

per la dolcezza della sua continua presenza: ad olivia per l’inesauribile sostegno: ad anna maria, alfonso, alessandra per la passione e la pazienza, la qualità e la quantità dei suoi insegnamenti: al prof. fabrizio arrigoni


universitĂ degli studi di firenze


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