Tesi_Volsinii novii

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universitĂ degli studi di firenze DIDA a.a. 2013_2014 scuola di architettura corso di laurea magistrale in architettura anno accademico 2013-2014

Volsinii Novi

museo e parco archeologico per la cittĂ di bolsena

progetto daniela zuanigh relatore fabrizio arrigoni

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1 perimetro murario della volsinii etrusco-romana , III sec a.c.

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a_cinta muraria di Volsinii Novi b_viabilitĂ b1 strada verso orvieto (via Cassia) b2 cardo massimo b3 decumano massimo c_edifici c1 area del foro c2 domus del Ninfeo e delle Pitture c3 cisterna c4 anfiteatro c5 santuario del Pozzarello c6 tempio di Poggio Cassetta c7 santuario del Poggetto

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« Le baccanti cominciano ad agitare il tirso per i loro riti... l’eccitazione si era trasmessa all’intero bosco, alle belve: non c’era più niente di fermo, tutto si agitava in frenesia. » (Euripide, Le Baccanti)

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Il sito di progetto


2 localizzazione del lago di bolsena nel lazio.

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Il sito archeologico di Poggio Moscini nel distretto lacustre Il sito di progetto, collocato all’interno del territorio del Comune di Bolsena, distante 23,5 chilometri da Orvieto, è contiguo al sito archeologico di Poggio Moscini, antico fulcro di Volsinii Novi, città urbanizzata su disposizione di Roma, durante tutto il III sec. a.C., successivamente alla distruzione della etrusca velzna-Orvieto nel 264 a.C.. La nuova area urbana viene delimitata da un circuito murario in opera isodoma quadrata che, sviluppandosi per oltre 4 chilometri di lunghezza e superando un considerevole dislivello (da 350 a 590 m s.l.m.), cinge una superficie collinare di circa 65 ettari, anche se l’area urbanizzata coincideva soltanto con la parte più bassa del perimetro e, per estensione, superava di poco la metà di quella circondata dalle mura. Queste non disegnano una pianta dal perimetro geometrico, ma seguono le asperità del terreno, inglobando a nord le alture strategicamente importanti. Anche l’impianto urbanistico non può fare a meno di adeguarsi alla situazione geomorfologica, secondo un modello che si riscontra in altre importanti città romane come Norba, Alba, Fucens e, in Etruria, a Cosa. Muri di terrazzamento permettono la sistemazione del pendio digradante verso il lago in terrazze. Su queste si dispongono gli isolati rettangolari, delimitati da un reticolo viario urbano ortogonale ma non orientato sui punti cardinali. Il reticolo è articolato in una serie di assi paralleli NO-SE, messi in comunicazione da assi ortogonali NE-SO, che attraversano in senso longitudinale l’area urbana. Entrambi si dispongono a intervalli variabili, ma pur sempre calcolati sulla base dell’ac7


tus romano (1) . Nelle costruzioni intramuranee si fa uso pressochè esclusivo della tecnica edilizia della muratura a secco. Le aree sacre sono in buona parte individuate già in questo primo periodo, alcune forse preesistenti e rispettate dal nuovo insediamento urbano. Il tempio di Poggio Casetta, il santuario del Pozzarello e, forse, quello del Poggetto sono infatti costruiti nel corso del III sec. a.C.. Anche gli spazi pubblici ricevono una prima sistemazione nella terrazza inferiore di Poggio Moscini e , forse, sull’altura del Mercatello, ove andrebbe ricercata una prima piazza forense. Già in epoca etrusca il distretto lacustre, sotto l’egemonia della Volsinii orvietana, era disseminato di insediamenti denominati castella, ovvero, abitati fortificati posti a controllo delle zone più delicate dal punto di vista strategico e che, per questo motivo, furono i primi a essere eliminati dai romani, al fine di isolare sempre più la città egemone e accellerarne il processo di indebolimento che culminerà con la sua definitiva distruzione e rilocalizzazione sul territorio bolsenese. Dalla Civita di Grotte di Castro a nord fino all’estremo limite meridionale indicato dal complesso Fondaccio-Casale Marcello, incontriamo un vero e proprio corollario di insediamenti, tutti in rapporto ad alture più o meno elevate e, comunque, tutti in diretto contatto visivo con le sponde lacustri. Per quanto riguarda il sito di progetto, anche se non si è avuto alcun ritrovamento archeologico in grado di documentare in modo esplicito la presenza di un insediamento etrusco arcaico sulla rupe che occupa il quartiere medievale della città di Bolsena, alcuni indizi di un certo rilievo depongono a favore di questa ipotesi (2) . La rupe in questione si trova, difatti, al centro di due modeste zone sepolcrali, dove sono identificabili strutture funerarie di epoca arcaica. Una di queste viene 8


3 individuazione della cittĂ di bolsena rispetto al lago.

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_il distretto lacustre in epoca etrusca (castella) a1 Bolsena a2 Monterado a3 Civita D’arlena a4 Montefiacone-Rocca a5 Fondaccio-Casale Marcello a6 Bisenzio a7 Isola Bisentina a8 La Montagna a9 Monte Becco a10 Poggio Evangelista a11 Civita di grotte di Castro a12 Monte Landro a13 Barano


4 chiesa del SS. salvatore. 5 rocca monaldeschi della cervara.

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identificata proprio sul sito di Poggio Moscini, nell’area dove agli inizi del II sec. a.C. si sarebbe esteso il tessuto urbanistico della città etrusco-romana. Questa, infatti, venne riutilizzata successivamente come ingresso per l’apertura di una grande cisterna. La presenza di queste strutture funerarie che precedettero di vari secoli la fondazione della nuova Volsinii, fa quindi pensare ad un modesto centro abitato posto con ogni probabilità sulla rupe del Castello; un luogo di considerevole valore strategico in quanto munito di adeguate difese naturali e a ridosso dell’antico tracciato stradale che, verso la metà del II sec. a.C., sarebbe stato ricalcato dalla via Cassia. La posizione strategica di Bolsena rispetto a uno dei maggiori assi viari romani, ha influenzato non poco lo sviluppo della città stessa nel susseguirsi delle varie epoche. Il borgo medievale, ad esempio, è legato allo sviluppo della via Francigena, il cui asse viario, successivamente, cede il passo alla valorizzazione di un’arteria che attraversa Orvieto: ciò determina il temporaneo abbandono della città. Il fulcro storico della Bolsena attuale è rappresentato dal borgo medievale; il tessuto urbanistico dell’epoca risulta formato principalmente dall’unione di due castelli, Castrum Capitis e Castrum Ritopii, il primo comprende il quartiere della Rocca con il sottostante “borgo dentro”, il secondo la parte di abitato sviluppatosi probabilmente intorno alle catacombe di S.Cristina nel corso del VI secolo d.C., dopo l’abbandono dell’antica Volsinii. Artefici della costruzione della Rocca furono gli Orvietani, che avevano iniziato a esercitare una qualche forma di controllo su Bolsena già alla fine del XII secolo. Negli anni questa subì numerosi rimaneggiamenti sia dal punto di vista strutturale che da quello funzionale rischiando addirittura di essere mutata in chiesa nel 1855. Fortunatamente il progetto

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6 allestimento museo territoriale del lago di bolsena all’interno della rocca.

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non fu mai realizzato. Soltanto nel 1900 vennero gettate le basi per la costruzione della chiesa del SS. Salvatore: inizialmente avrebbe dovuto costituire una perfetta imitazione della Rocca, ma in seguito assunse l’aspetto di ciò che adesso vediamo posizionato nei pressi di questa, vale a dire un edificio religioso in stile gotico (per quanto opinabile). A partire dal 1991, La Rocca Monaldeschi della Cervara, è divenuta la sede del Museo Territoriale di Bolsena. La rupe tufacea su cui sorge il quartiere del castello, è delimitata verso NO dalla Rocca stessa, che domina dall’alto le zone del paese urbanizzate in epoca moderna. Le tendenze contemporanee nell’organizzazione spaziale delle strutture museali all’interno di edifici storici subiscono tutta una serie di conseguenze dovute alla complessa problematica di trovarsi di fronte a uno spazio già fortemente caratterizzato e non progettato per lo scopo finale a cui è destinato. I problemi che solitamente insorgono riguardano soprattutto il livello di comunicazione che può essere negativamente condizionato dal rapporto tra gli ambienti e l’apparato museografico stesso, molte volte complesso e disomogeneo. Obiettivo della presente tesi è quello di creare un ambiente strutturato che valorizzi al meglio i reperti da esporre, e che possa essere collocato a stretto contatto con l’area archeologica. Questo cercando di potenziare tutte quelle funzioni collettive che alimentino l’interesse della popolazione stessa nei confronti della propria storia.

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7 foto aerea di Bolsena con individuazione del sito archeologico di Poggio Moscini.

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8 foto aerea della città.

Il paese e l’area di progetto Cenni storici. Velzna, identificabile con l’odierna Orvieto, è uno dei centri di maggiori importanza della dodecapoli etrusca. Il primo scontro con Roma si verificò all’indomani della caduta di Veio, nel 392 a.C.; la guerra si concluse con la vittoria dei romani e la concessione di una pace ventennale. Dopo un silenzio di circa 80 anni, le fonti ci informano dello scoppio di un nuovo conflitto con Roma, verificatosi nel corso della seconda guerra punica. Dal 308 al 294 a.C., i consoli romani Decio Mure e Postumio continuarono a imporsi sul territorio etrusco conquistando alcuni dei più importanti centri strategici di Velzna (castella), fino alla disfatta totale della città avvenuta nel 280 a.C. ad opera del console Coruncanio. In seguito alla caduta di Velzna, si scatenarono turbolenze sociali concluse con la perdita di potere dell’aristocrazia a vantaggio degli strati inferiori della popolazione: gli oiketai (plebe appena uscita dalla schiavitù) cercarono, attraverso la rivolta, di resistere fino all’ultimo alla fastidiosa egemonia romana. Arresasi definitivamente, la città etrusca venne distrutta e i difensori trucidati: la fazione aristocratica e i propri fedeli clienti subirono la deportazione “in un altro luogo”, vale a dire nella nuova Volsinii, ormai identificata in maniera convincente con Bolsena (Volsinii Novi). La nuova città è culturalmente etrusca e tale rimane fino all’inizio del I sec. a.C., quando, grazie alla lex Iulia de civitate danda, diviene municipio e viene ascritta alla tribù Pomptina. La città, fortificata, beneficia dell’attività edilizia e dell’evergetismo (3) fino al III sec. d.C., periodo in cui si manifestano i primi sintomi di una generale decadenza. Alla fine del secolo anche i santuari urbani vengono abbandonati e all’eclissi della religione tradizionale fa riscontro nel IV sec. d.C. il venire allo scoperto della comunità cristiana. 14


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Nel V secolo e più ancora in quello successivo, la destrutturazione della città appare come un fenomeno inarrestabile. Le motivazioni del processo di decadenza e abbandono della Volsinii romana sono probabilmente da ricercare nello spostamento dell’area urbana verso la zona più a valle interessata dall’attraversamento della via Cassia, dove si svilupperà in seguito il nucleo medievale di Bolsena, con l’asse viario della via Franchigena. Tra il VI e il VII secolo, molto probabilmente, le sede vescovileviene trasferita da Bolsena a Orvieto o Bagnoreggio; per i secoli successivi è quindi difficile risalire a una documentazione che attesti l’occupazione della città, il che fa supporre che si trovasse in stato di abbandono dovuto probabilmente all’impianto di un nuovo asse viario che sostituisce la via Cassia riprendendo una vecchia direttrice etrusca in direzione nord-sud. Le prime opere murarie medievali di difesa di cui si abbia notizia vengono fatte costruire da papa Adriano IV (11541159), preoccupato di rafforzare i domini della Chiesa posti al confine del Patrimonio. Per la costruzione della fortificazione vengono impegnati conci di pietra lavica provenienti dalle rovine di Volsinii messi in opera in modo disomogeneo. A partire da questo periodo (XII secolo) e nei tre secoli successivi, si possono distinguere, a Bolsena, tre nuclei abitativi: uno sull’altura, nel luogo in cui sorgerà il castello, un altro nella sottostante pianura (qui la vicinanza del lago permetteva di praticare la pesca e di irrigare con facilità le coltivazioni), e infine un terzo intorno alla Chiesa di Santa Cristina. Cenni urbanistici. Il comune di Bolsena si estende attualmente su una superficie di 63,92 kmq, ad un altitudine media di 350 metri sul livello del mare. 16


Lo sviluppo urbanistico della città post-medievale ha spostato il centro dal borgo antico, rappresentato nel suo fulcro dalla Piazza del castello, sempre più verso il lago, raggiungendo una popolazione di 4180 abitanti. Il territorio bolsenese è compreso tra le sponde del lago e le alture che che costutuivano l’orlo dell’antico vulcano da cui lo stesso ha avuto origine. Il paese si sviluppa lungo due direttrici principali: la strada che da Orvieto prosegue fino al lago e la viabilità principale ortognoale, vera e propria infrastruttura del tessuto urbano moderno, su cui si affacciano sedi istituzionali e religiose, attività commerciali e il primo nucleo residenziale fuori dall’antico borgo. Il traffico veicolare a rapido scorrimento in corrispondenza del tratto di strada dove è presente l’ingresso agli scavi, impedisce a questo luogo di assumere i caratteri di spazio culturale di relazione e di vitalità cittadina che meriterebbe di avere; da qui il bisogno di dare un’identità al parco archeologico e la volontà di creare un complesso che riesca a valorizzare l’area. Le istituzioni religiose del paese sono ben collocate e capaci di esercitare una funzione aggregante: il primo spazio collettivo che incontriamo è quello costituito dalla Rocca Monaldeschi della Cervara (divenuta dal 1991 sede del Museo Territoriale del Lago di Bolsena), e la chiesa del SS. Salvatore, situato a pochi passi dall’ingresso pedonale alle rovine di Poggio Moscini, che rappresenta il nucleo storico medievale; scendendo verso il lago troviamo la piazza principale da cui si apre il viale in direzione di questo. Qui individuiamo lo spazio che caratterizza il “borgo di sotto” ovvero quello collocato al di fuori del castello e che comprende la Chiesa di San Francesco, laddove hanno preso piede le funzioni istituzionali moderne.

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9 planimetria dell’area degli scavi. 10 modelli.

L’area di progetto. L’area di progetto si colloca in posizione rialzata rispetto alla conformazione orografica della città. Il sito archeologico di Poggio Moscini, inserito in un contesto suggestivo e isolato nei confini dall’abitato, è delimitato a NO e SE dalla viabilità principale di collegamento tra Bolsena e Orvieto, a NE da una strada di servizio immersa nel verde, mentre a SO la visuale si apre verso il Lago di Bolsena. Il progetto verrà studiato al di sopra della arteria stradale sovracitata per non alterare l’equilibrio consolidato all’interno dell’area del foro. Proseguendo lungo la via orvietana verso il centro abitato, incontriamo l’antico borgo medievale che si erge in posizione privilegiata affacciata sul paesaggio e, successivamente il resto della città digradante verso il Lago. In particolare l’area di progetto si estende su un terreno in pendenza, il cui massimo dislivello - 15 metri - si sviluppa su una lunghezza di circa 100 metri sull’asse NE-SO e permette di avere la visuale libera sul distretto lacustre da qualsiasi punto dell’area. Anche all’interno del sito archeologico sono presenti dislivelli, come ad esempio quello che riguarda le due macroaree del foro e delle domus fra le quali corrono quasi due metri che ad oggi sono colmati da una rampa formata da blocchi lapidei. Il sito archeologico è attualmente raggiungibile tramite un ingresso posto sulla strada orvietana ed è servito da un parcheggio che verrà mantenuto in fase di progetto. All’interno del sito non è attualmente presente alcun intervento che faciliti l’abbattimento delle barriere architettoniche e un agevole visita tra le rovine. Sono tuttavia presenti alcuni pannelli illustrativi per l’individuazione sommaria degli elementi architettonici presenti.

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Il complesso archeologico Come abbiamo osservato, le aree sacre della nuova Volsinii risalgono al III sec. a.C. e, insieme agli spazi pubblici, trovano posto nella terrazza di Poggio Moscini. Nella seconda metà del secolo, iniziano a delinearsi gli isolati abitativi e commerciali, portati alla luce grazie alle campagne di scavo dell’Ecole Française de Rome effettuate tra il 1964 e il 1982. L’urbanizzazione del sito decolla all’incirca un secolo dopo la fondazione della città, quando subentra l’impiego della tecnica muraria dell’opera a scacchiera. In questo mezzo secolo il complesso delle botteghe forensi riceve una prima sistemazione e, nel settore NO di Poggio Moscini, si costituisce il primo impianto della Casa delle Pitture, che fa seguito alla distruzione del santuario di Dioniso dovuta alla repressione dei Bacchanalia del 186 a.C. Lo sviluppo edilizio, non a casa, si verifica negli anni in cui la via Cassia viene progettata e realizzata: questa attraversa l’area urbana da SO a NE, facendo assumere a Volsinii un ruolo strategico nel controllo della via a lunga percorrenza. La frenetica attività edilizia continua nella seconda metà del II sec. a.C., periodo in cui l’isolato della terrazza NO di Poggio Moscini acquisisce una nuova fisionomia con la costruzione di una seconda grande domus ad atrio e l’allargamento delle botteghe forensi, in cui si impiega per la prima volta il cementizio e il paramento in opera incerta. Il periodo di maggior sviluppo dell’attività edilizia coincide a Volsinii con l’età triumvirale e augustea, intorno agli anni 4030 a.C., quando le case ad atrio della terrazza NO vengono lussuosamente ristrutturate. Questo periodo coincide con l’entrata in gioco della pratica dell’evergetismo privato, sia in ambito urbano che rurale, favorendo l’ingresso di tipologie monumentali innovative in una città ancora sostanzialmente etrusca. Nella tarda età giulio-claudia si assiste poi a una radicale 20


11 veduta generale del foro di Poggio Moscini.

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12 passaggio coperto tra l’area del foro e quella delle domus.

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ristrutturazione dell’insula delle botteghe, posta a NO della futura piazza forense. Utilizzando un’opera reticolata mista a rari ricorsi di laterizio viene ora monumentalizzato e coperto a volta il passaggio (via tecta) tra l’area pubblica e il quartiere residenziale. Il complesso commerciale , realizzato nella stessa tecnica muraria, comprende, nella sua fase finale, tre tabernae aperte a NO sulla “Rue aux Boutiques” (come la definirono gli archeologi francesi), due spaziosi ambienti interpretabili come horrea e una forica accessibile dalla via voltata. Nel corso della seconda metà del I sec. d.C., viene portato a compimento il piano di rinnovamento urbanistico che aveva avuto inizio con l’età augustea. In questo contesto nasce la nuova monumentale piazza forense, con annessa basilica civile sul pianoro di Poggio Moscini, e l’attività edilizia ed evergetica si mantiene a un buon livello fino alla metà del III sec. d.C.. Le botteghe forensi e le case di Poggio Moscini sono fatte oggetto di alcuni interventi di manutenzione e restauro, ma anche di ridecorazione, come testimoniano gli affreschi della Casa delle Pitture databili intorno al III sec. d.C.. La seconda metà del III sec. d.C. e la prima metà del secolo successivo, vedono rovina e distruzione diffondersi un po’ ovunque a Volsinii. Le botteghe del foro e la Casa del Ninfeo sono distrutte da violenti incendi, grosso modo sincronici. Alla fine del III secolo anche i santuari urbani cessano di essere frequentati, fino all’eclissi totale della religione tradizionale a favore dello sviluppo della comunità cristiana nel corso del IV sec. d.C.. Questa elegge a proprio edificio pubblico la basilica forense trasformandola in chiesa e, nel frattempo, limitate risistemazioni indicano una occupazione, ma in forma degradante, delle botteghe forensi e della Casa delle Pitture. Se il IV sec. d.C. aveva visto segni di una timida ripresa dopo il 22


13 opera reticolata mista a ricorsi in laterizio.

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crollo tetrarchico, nel V sec. e più ancora nel secolo successivo, la destrutturazione della città appare ormai come un fenomeno inarrestabile, un insieme di rovine a cui si alternano piccoli nuclei abitati, che soltanto scavi rigorosi possono documentare. Foro e basilica. All’estremità occidentale della terrazza meridionale di Poggio Moscini, affacciata sul lago, si trova una struttura rettangolare che, da una quota prossima a quella della basilica, domina un’ampia piazza (60 x 45 m) posta a una quota inferiore. Queste strutture, in opera poligonale, sono state interpretate come podio di un edificio templare. In età flavia, probabilmente secondo un piano di rinnovamento urbanistico ben delineato, l’area forense e tutti gli annessi che precedentemente venivano individuati nella zona del Mercatello, vennero spostati sul sito di Poggio Moscini. Le indagini archeologiche indicano che l’imponente complesso di strutture forensi venne realizzato soltanto in questo periodo e che in precedenza l’area era attraversata dal sistema stradale repubblicano. La grande piazza di età flavia, larga 57 metri, era delimitata e est, ovest e nord da strade basolate, e a sud, verso il lago, dalla basilica. Includendo quest’ultima nel computo, si arriva a una superficie di 71,20 x 105,60 metri, vale a dire 2 x 3 actus, rapporto vicino a quello raccomandato da Vitruvio in base alle norme adottate per la costruzione di fori successivamente alla Guerra Sociale. Sulle lastre pavimentali conservate rimangono le impronte dei piccoli monumenti che vi erano sovrapposti, quali ad esempio altari, epigrafi, onorarie, basi di statue, etc. La basilica civile si estendeva lungo tutto il tratto meridionale della piazza. L’edificio, di pianta rettangolare (27,70 x 57 metri) era suddiviso in tre navate da un colonnato interno continuo su quattro lati. Al fondo del lato breve NO 23


14 abside in opus vittatum che invade la strada basolata.

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era il tribunal, vano absidale per raccogliere i magistrati. L’accesso alla piazza era costituito da tre portici monumentali, circondati da un protiro di colonne in granito rosa, di cui rimangono numerosi resti sparsi nell’area e reimpiegati in ambito cittadino. Verso la strada NO e, forse anche sull’altro lato corto, si affacciava un ordine di semicolonne ioniche. La navata centrale doveva innalzarsi al di sopra di quelle laterali ed essere contornata da due ordini sovrapposti, uno dei quali corinzio. Nel IV secolo, come abbiamo visto, la basilica civile viene trasformata in chiesa, con l’aggiunta, nella navata centrale, di un abside assiale in opus vittatum che invade la strada basolata a NO. Una scala nella stessa tecnica fu realizzata al centro del lato lungo meridionale, per consentire l’accesso dalla sottostante terrazza. La presenza di tombe nelle navate laterali indica che l’area occupata dalla chiesa si limitava alla navata centrale della basilica. Il complesso di botteghe tra foro e terrazza NO. Le prime strutture appartenenti a questa tipologia risalgono alla seconda metà del III sec. a.C. . Si tratta di un sistema di cisterne, vasche, canali interpretati nel loro insieme come vivarium per l’allevamento dei pesci nel lago. Tra il 180 e il 160 a.C. , l’area conosce un’intensa attività edilizia, che tuttavia si concentra nella sola metà SE. Qui si costruisce un edificio, articolato in almeno due sale coperte realizzate in opera a scacchiera; il precedente sistema idraulico viene rispettato. Una nuova importante fase nella sequenza edilizia dell’area è rappresentata dall’ingrandimento dell’edificio mediante muri in opera incerta. Questo, infatti, viene prolungato con l’aggiunta di altri due ambienti verso la strada che, in età imperiale, diventerà l’entrata voltata al foro. Un altro edifi-

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15 veduta delle botteghe e della forica.

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cio, allineato con il precedente, occupa l’altro lato di detta strada. Il complesso assume una nuova fisionomia attraverso una radicale ricostruzione in opera reticolata mista a rari ricorsi i laterizi. Le strutture precedenti sono obliterate, rasate o inglobate dalle nuove costruzioni. L’insula (4) così ricostruita è delimitata a NO e a SE da due vie parallele, l’una bordante il foro, l’altra il quartiere abitativo, ed è chiusa, per quanto riguarda i lati brevi, a SO dal passaggio, ora coperto, al foro, e a NE verosimilmento da un cardine secondario non raggiunto dagli scavi. Il complesso si articola longitudinariamente in tre registri digradanti verso NO. Il registro inferiore, che si affaccia a NO sulla Rue aux boutiques è costituito da una latrina pubblica (forica), tre tabernae e un vasto ambiente interpretato come magazzino (horreum). Nella parte mediana del complesso si trovava una lunga corte aperta e pavimentata in terra battuta; i suoi lati lunghi sono mossi da un portico. La vecchia taberna in opera incerta diventa uno spazio morto situato all’estremità SO chiuso su tutti i lati successivamente alla ristrutturazione del passaggio voltato. Il livello superiore, quello adiacente al foro, è costituito da un solo ambiente, esteso per tutta la lunghezza dell’insula, non accessibile dal foro bensì dalla corte mediana. Sembra dunque trattarsi di una galleria, dotata certamente di un piano superiore, aperta sullo spazio del registro centrale. Nella tarda età giulio-claudia, il cardine di collegamento tra il foro e il sottostante quartiere residenziale viene pesantamente ristrutturato; il suo asse ruota rispetto al periodo precedente verso est, così da risultare obliquo rispetto alla tessitura ortogonale dell’isolato. Nuove pareti in opera reticolata chiudono le precedenti aperture e solo la latrina e l’ambiente corrispondente sull’altro lato della strada risultano accessibili da 25


16 rilievo archeologico.

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a_basilica a1 abside della basilica-chiesa b_botteghe b1 horreum b2 tabernae b3 forica b4 passaggio coperto b5 corte b6 taberna b7 galleria c_casa del ninfeo c1 atrium c2 tablinium c3 oecus triclinare c4 triclinium c5 corte c6 ninfeo d_casa delle pitture d1 atrio con tablinium centrale d2 alae d3 triclinium d4 accesso alla sala sotterranea d5 secondo atrio d6 fullonica d7 cubicula

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17 veduta delle domus con le coperture attuali.

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questa. Una breve scalinata colma il dislivello tra il lastricato stradale e il piano di calpestio del foro. Due archi in blocchi segnavano le facciate verso il foro e verso la Rue aux boutiques. Sul lato SO del passaggio voltato si dispone un altro blocco edilizio, che ripete gli allineamenti e le ripetizioni interne del primo e risulta di difficile collocazione in assenza di uno studio più approfondito. Fino al III sec d.C. inoltrato, il complesso si mantiene in funzione senza importanti rifacimenti, ma con l’inizio del secolo successivo si va a delineare una progressiva rovina degli ambienti; crolli nelle coperture, svalorizzazione delle funzioni a meri depositi e abbandono delle tabernae, testimoniano il definitivo stato di degrado. Dopo la fine dell’originaria funzione commerciale, il complesso non rimane però del tutto disabitato; la parete NO, infatti, mostra segni di una rioccupazione, nel horreum si impianta un edificio absidato con fondazioni in cementizio, mentre la restante parte del complesso è di ignota nuova destinazione. Le domus: Casa del Ninfeo. La prima occupazione dell’area risale verosimilmente all’ultimo quarto del III sec. a.C. con la presenza di alcune strutture murarie costruite a secco. Qualche decennio dopo (200 - 180 a.C.) vengono effettuati nuovi interventi edilizi realizzati in opera a scacchiera: opera quadrata in cui i blocchi di tufo sono separati tra loro da interstizi regolari riempiti da pietrame. Verso la fine del II sec. a.C., si impianta la domus, costruita seguendo l’opera muraria a scacchiera. Questa si apre con un prothyron che corre a NO singolarmente posizionato in parallelo all’asse viario. La ripartizione interna ruota intorno a un grande atrium tuscanico con impluvium e cisterna 28


18 Casa del Ninfeo: opera muraria a scacchiera.

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per la raccolta delle acque piovane. Due alae fiancheggiano l’atrio e sul fondo si apre un grande tablinium. A nord est di questo un’ampia sala doveva svolgere le funzioni triclinari. Ambienti di servizio si dispongono a NE dell’atrio. Nella prima metà del I sec. a.C., la domus subisce alcuni rimaneggiamenti: un lithostrotum pavimenta l’ambiente, il triclinium viene esteso e compaiono un angiportus e tre tabernae. Negli anni 40 - 30 a.C., alcuni ambienti vengono monumentalizzati e cambiati di funzione come ad esempio il triclinium che viene trasformato in un elegante oecus triclinare. Da quest’ultimo si accede così all’adiacente ninfeo che si compone di una sala stretta e allungata, le cui pareti NE e SE sono mosse da 3 e 7 nicchie rispettivamente, al di sopra delle quali tubature terminanti in protomi leonine adducevano l’acqua che poi si riversava in una vasca circolare. Una prima distruzione della domus sembra verificarsi intorno alla fine del I sec a.C.; successivamente una serie di interventi di ripristino fanno pensare a una ripresa dell’occupazione stabile durante il II e il III sec. d.C. fino al definitivo abbandono della casa avvenuto presumibilmente intorno al III sec d.C. Casa delle Pitture. Nell’ultimo terzo del III sec. a.C., prima della costruzione della casa, esisteva già una sala sotterranea di pianta quadrata, rivestita in “signino” e coperta da una pseudo-volta conica che faceva parte di un singolare complesso sotterraneo formato anche da una cisterna ed una rete di corridoi. Verosimilmente questo insieme di ambienti è stato identificato come un templum sub terra, ovvero un santuario dedicato a Dioniso che dovette subire una pesante e violenta distruzione in seguito alla repressione dei Bacchanalia (186 a.C.), come testimoniato dalla distruzione del celebre

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19 decorazione pittorica dei cubicula all’interno della casa delle pitture.

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“trono delle pantere” rinvenuto proprio in corrispondeza di quell’area. Strati con tracce di incendio, databili alla prima metà del II sec. a.C. sembrano confermare questa ipotesi. Alla prima metà del II sec. a.C. risale la costruzione della casa ad atrio realizzata con muratura a scacchiera in tufo. L’impianto è contraddistinto da un atrio con impluvium centrale, pavimentato con lastre di pietra lavica e bordato da alae. Il tablinium si dispone sull’asse dell’atrio e ad ovest di questo si incontra il triclinium, una vasta sala rettangolare con pavimentazione in mosaico bianco e tarsie marmoree inserite. In età imperiale la casa conosce un allargamento verso NE, con la trasformazione dell’originario spazio porticato, retrostante la casa, in sale, realizzate in opus vittatum, con cortina a pietre di forma regolare, cui si alternano ricorsi in laterizio. Il nuovo settore si articola intorno a un secondo vasto atrio da cui si accede a due sale poste sul lato orientale. Dal nuovo atrio si entra in un piccolo vano a destinazione utilitaria (fullonica) e a due cubicola, posti all’estremo limite settentrionale. I pavimenti di questi due ambienti sono in “signino” decorato con tessere calcaree, le loro pareti si conservano fin quasi al soffitto, con tutta la loro decorazione pittorica, che può essere datata su basi stilistiche al III sec. d.C.. La composizione si articola in riquadri geometrici policromi ornati da esili motivi architettonici, su fondo bianco, in cui insistono figure di uccelli, cantari ed elementi vegetali stilizzati. Nel IV sec. d.C. la casa sembra essere ancora occupata, ma sicuramente in forme più degradate.

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20 veduta del ninfeo.

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Riferimenti progettuali


musei the pulitzer foundation for the arts_tadao ando kolumba museum_peter zumthor liangzhu culture museum_david chipperfield sines center for the arts_aires mateus

interventi su aree archeologiche riqualificazione del foro romano di empuries_lola domènech musealizzazione del sito archeologico di praça nova_carrilho da graça padiglione archeologico in elisengarten_kadawittfeldarchitektur copertura dei resti romani a coira_peter zumthor

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21 modello.

Tadao Ando The Pulitzer Foundation for the Arts Saint Louis_Missouri

Il nuvo edificio per la Fondazione Pulitzer per le arti è ingannevolmente semplice composizione di spazio e luce. L’edificio, prima struttura pubblica di Ando negli Stati Uniti, è stato concepito sia come un abiente sereno per la contemplazione dell’arte, che come contributo per rivitalizzare il paesaggio urbano del centro storico di Saint Louis. Ando stesso definisce l’opera come un “luogo di possibilità” o un “luogo di scoperta reciproca”; l’obiettivo è la creazione di uno spazio stimolante dove le opere d’arte non sono esposte come campioni, ma parlano al fruitore come esseri viventi. Alcuni spazi sono opportunamente pensati per ospitare determinate opere d’arte creando quindi una stretta relazione tra queste e la morfologia dell’edificio. “La sorpresa, l’emozione, di come si percepisce uno spazio viene da ciò che si vede prima e quello che vediamo dopo, questa è architettura”; con questa affermazione Ando sottolinea come ogni parte ne enfatizza un’altra e, con l’installazione di opere come quelle esposte di Ellsworth Kelly e Richard Serra, vi è un ulteriore complicazione di questi rapporti. Lo spazio diventa ancora più interessante e stratificato e lo strato finale è rappresentato dalle persone che portano movimento e esperienza.

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22 planimetria. 23 vista della vasca d’acqua.

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Peter Zumthor Kolumba Museum Colonia_Germania

Il Kolumba Museum, con portamento da fortilizio che preserva al proprio interno le rovine, pare negarsi al rapporto verso l’esterno. In esso, in vicendevole armonia, convivono, senza costringersi o soffocarsi, due elementi: l’esposizione museale e l’architettura che ne costruisce l’itinere, entrambi in aderente e sottile relazione con la qualità architettonica originaria. È con audacia e franca decisione nell’interesse della nuova funzione che Zumthor, come l’architetto rinascimentale, prosegue le antiche mura della chiesa tardogotica – ritesse con trame di muratura piena le sue aperture – costruendovi sopra il nuovo. Ripercorrendo il profilo planimetrico della chiesa originaria, le pietre si intrecciano alla nuova muratura, a divenire un massivo paramento che declina ancora una volta in modo inedito il principio della stratificazione. Presso la promenade archeologica che si svolge alla quota inferiore del complesso, costeggiando esternamente le cappelle “del Sacramento” e la “Madonna delle Macerie” di Böhm, l’ordine spaziale che si avverte è dettato dalla presenza dei sottili pilastri in acciaio fasciati nel cemento che – aghi sul corpo dell’architettura – sostengono assieme alla muratura gli spazi costruiti sovrastanti. Ai livelli superiori le sale del museo. Ora ambienti aperti, ora spazi raccolti si susseguono e, mentre muta la percezione, il comfort rimane costante. 36


25 planimetria. 26 vista del rivestimento esterno.

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David Chipperfield Liangzhu Culture Museum Hangzhou_Cina

Il museo ospita una collezione di reperti archeologici del periodo Liangzhu ed è situato nel punto piu settentrionale del “Liangzhu Cultural Village”, una città giardino di nuova formazione nei pressi di Hangzhou. L’edificio sorge su un ex sito industriale contaminato, trasformato in un lago artificiale e collegato al parco tramite una serie di ponti che rievocano i sistemi di acquacoltura e di irrigazione del popolo Liangzhu. La qualità scultorea del complesso si rileva gradualmente, tramite un disegno architettonico geometrico astratto, man mano che il visitatore percorre il parco paesaggistico. Ogni volume contiene un cortile, e questo funge da spazio di collegamento tra i vari padiglioni espositivi che invitano il visitatore a soffermarsi e rilassarsi e che consentono l’ingresso della luce naturale. Nonostante la linearità delle sale, la visita del museo rivela una varietà di singoli percorsi che si differenziano in base alle necessità espositive. Il concept guida per i materiali è quello di sceglierne di solidi e durevoli come legno e travertino iraniano, presenti in tutte le aree pubbliche del museo.

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28 planimetria. 29 vista dell’ingresso.

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Aires Mateus Sines Center for the Arts Sines_Portogallo

Situato nella parte iniziale della strada principale che collega la città al mare, l’edificio segna l’ingresso tradizionale al nucleo storico. Il centro comprende diverse attività le quali concorrono alla generazione di un edificio eccezionale: sale espositive, biblioteca, cinema-teatro e archivio storico municipale. Tale programma ad ampio raggio comprende tutta la superficie del progetto inglobando la strada sotto al livello della strada e adattando la sua volumetra esterna alla scala delle mura del castello. Quattro moduli sono distribuiti ai piani superiori in fasce parallele intervallati da patii. I passaggi, tra questi, sono sospesi tramite una struttura a ponte sostenuta dai soli muri perimetrali. Questo sistema permette una configurazione spaziale del seminterrato adattabile alle aree comuni. Al livello della strada, viene garantita una vista ininterrotta attraverso l’interno dell’edificio che integra l’attività del centro nella vita quotidiana della città. La sua architettura audace e innovativa lo rende un monumento contemporaneo e uno dei migliori esempi di architettura portoghese degli ultimi tempi.

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31 planimetria. 32 vista

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Lola Domènech Riqualificazione del foro romano di Empuries Empuries_Spagna

Il restauro archeologico del foro romano di Empuries ha permesso di recuperare uno degli spazi più importanti all’interno dell’antica città romana. Il foro, centro dell’attività politica, economica, religiosa e giudiziaria della città, era circondato da diversi tipi di edifici dedicati a funzioni diverse. Le linee guida per il progetto si sono basate sui problemi chiave del sito, ovvero la difficoltà, da parte del visitatore, di riconoscere i vari spazi del foro e gli antichi edifici che vi insistevano, e in secondo luogo la messa in sicurezza del sito stesso. Il nuovo percorso è stato concepito preservando in primo luogo i resti archeologici e, successivamente, in modo da rendere l’area visitabile e comprensibile. Il risultato ottenuto è frutto di una stretta collaborazione tra architetti e archeologi attraverso lavori di demolizione delle riproduzioni imprecise al fine di preservare il valore delle rovine originali e consolidamento o costruzione delle strutture considerate più significative. Un’altra scelta è stata quella di recuperare i livelli di piano originali così da poter differenziare gli spazi aggregati successivamente. Il visitatore percorre il foro tramite le due direttrici dettate da cardo e decumano massimo potendo comprendere così chiaramente la relazione tra i diversi spazi. Il progetto sostanzialmente mira a ricreare l’atmosfera di ordine che regnava nella città romana.

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34 planimetria. 35 vista del foro.

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Carrilho da Graça Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova Lisbona_Portogallo

Questo intervento si propone di affrontare i temi della protezione, rivelazione e leggibilità. In primo luogo la chiara delimitazione del sito attraverso una membrana di acciaio corten contiene la superficie perimetrale superiore, consentendo l’accesso e una visione panoramica. Scendendo verso le rovine, una struttura in bilico protegge i mosaici esistenti; la parte inferiore, rivestita in specchio nero, permette ai visitatori di vedere riflessa la prospettiva verticale della pavimentazione. Per quanto riguarda la protezione e la valorizzazione delle strutture domestiche del XI secolo e degli affreschi, è stata sfruttata l’opportunità di riprodurre, attraverso l’interpretazione congetturale, l’esperienza spaziale antica tramite una serie di camere indipendenti disposte attorno ad un patio che permette l’ingresso di luce e ventilazione naturali in una dimora altrimenti esteriormente isolata. L’insediamento restante è protetto tramite un volume indipendente che si estende dalle pareti perimetrali in corten e va ad abbracciare la profondità necessaria alla sua rivelazione. Obiettivo del progetto è quello di preservare la tutela dei materiali attraverso la loro musealizzazione. 44


37 planimetria. 38 vista di una sala espositiva.

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39 modello.

Kadawittfeldarchitektur Padiglione archeologico in Elisengarten Aquisgrana_Germania

L’unicità del sito archeologico all’interno del parco di Elisengarten è dovuta al sovrapporsi di reperti risalenti a diversi momenti della storia di Aquisgrana. Durante gli scavi archeologici sono state fatte scoperte sorprendenti: spaziando dal neolitico (4700 a.C.), al tardo medioevo (910-1500 d.C.), sono messi in evidenza tutti i periodi fondamentali della storia degli insediamenti di Aquisgrana, dalla nascita di Cristo al presente. Questa stratificazione viene rispecchiata nel concept del padiglione: la struttura esterna consiste di due sistemi di profili in acciaio che si intersecano diagonalmente tra di loro: un rifugio contemplativo in mezzo al caos urbano. Lo spazio tra questa maglia aperta e il volume vitreo che protegge il sito archeologico è un percorso che invita i visitatori a scoprire i reperti. La costruzione puntuale e trasparente risponde, oltre che alle esigenze funzionali, alla particolare area climatica dove si colloca. Il padiglione, pensato per integrarsi all’interno di uno dei maggiori parchi cittadini, si fonde con le cinque “finestre archeologiche” cittadine e diventa elemento di riconoscimento della Charlemagne Rute, percorso storico della città di Aquisgrana. Una linea temporale girevole, una mappa del sito e un’illustrazione organizzata delle strutture e dei reperti trovati (su pellicola traslucida), informano il visitatore senza oscurare la visione del sito. 46


40 planimetria. 41 vista del percorso.

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42 modello.

Peter Zumthor Copertura dei resti romani di Coira Coira_Svizzera

La copertura degli scavi di Coira, opera tra le prime di Zumthor, impressiona per la semplicità assimilabile all’esperienza quotidiana; caratterizzata da un approccio senza stupore, ne scopre la vera essenza, e la tensione nella sovrapposizione di mondi. Le assi di legno, assemblate in orizzontale, non si toccano ma lasciano che una lama d’aria le separi. Solo una visiona ravvicinata permette una simile constatazione, la visione d’insieme tradisce l’accorgimento tecnico e questa pelle sembra riacquistare una propria compattezza. I tre corpi che costituiscono la copertura si distinguono nettamente; nelle loro linee sono rigorosi e perfetti. La tensione prodotta è frutto della sovrapposizione generale-particolare che coinvolge il fruitore e innesca un processo di scoperta. La “povertà” dei materiali, il modo in cui sono assemblati, ricorda gli edifici rurali della zona, frutto di una cultura sapiente e esperta. “...produrre delle immagini interiori è un processo naturale che tutti conosciamo; è parte integrante del pensare” (Pensare architettura - Peter Zumthor)

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43 planimetria. 44 vista dei padiglioni.

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Il progetto


Dinamiche dell’area. All’origine del progetto. La scelta di progettare un parco archeologico e il corrispondente museo, sull’area dove insistono le rovine dell’antica Volsinii, nasce da una volontà di ravvivare un luogo che ha lentamente perso il vigore originario ma che trasmette ancora la forza del tempo tramite le sue tracce. La città di Bolsena, pur essendo equilibrata nelle sue aree collettive, manca di un centro culturale all’altezza dell’importanza che essa ha storicamente avuto. Il Museo Territoriale situato attualmente all’interno della Rocca Monaldeschi della Cervara, non riesce da solo a dare la spinta necessaria ad incrementare il flusso di visite all’interno dell’area archeologica, e, anch’essa presenta, così come è adesso strutturata, alcuni problemi sia per quanto riguarda l’essere priva di un vero e proprio percorso di visita che abbatta le barriere architettoniche, ma anche per la difficile lettura degli edifici presenti. Nella nuova proposta il museo verrà affiancato da tutta una serie di funzioni quali caffetteria, auditorium e teatro all’aperto per poter creare un polo ricettivo proprio dove questa finalità era venuta meno. Inoltre, per non rischiare che il nuovo Museo Archeologico assuma un’identità puramente culturale, l’idea di progetto comprende un polo scientifico costituito da laboratori di restauro, strutturato in modo da poter essere utilizzato anche al di fuori delle necessità del sito archeologico bolsenese. La proposta progettuale avanzata nella tesi prende le mosse da questo insieme di considerazioni, ed è indirizzata a cogliere le potenzialità di valorizzazione dell’a51


45 esploso.

rea archeologica a partire dalla realtà costruttiva dell’architettura e dalle regole ordinatrici dell’urbanistica. A seguito di questa scelta il progetto di tesi si struttura attraverso tre polarità: il parco archeologico, il polo museale ed i laboratori di restauro. Questi tre sistemi prefigurano, per l’area, un utilizzo sociale per la collettività e per le sue espressioni culturali e scientifiche, che non trovano attualmente luoghi adeguati all’interno del tessuto urbano di Bolsena. Il filo conduttore che lega le tre polarità del progetto è rappresentato dall’identità degli elementi che si ripetono tramite episodi diversi ma con lo stesso linguaggio stilistico e materico. Il concetto guida per la sua conformazione è quello di riuscire ad avere un’architettura che si integri con il contesto per materiali e dimensioni, mentre la funzione culturale delle quattro sale espositive del museo permanente è sottolineata da un carattere materico singolare. Il susseguirsi di elementi ritmici, di pieni e di vuoti e le continue variazioni di quota, contribuiscono a scandire lo spazio in modo vario mantenendo comunque lo stesso lessico progettuale. Le nuove funzioni. tre sistemi - parco archeologico, polo museale e laboratori di restauro - composti in quantità variata di pieni e vuoti, si sviluppano a nord-est dell’area archeologica, al di sopra dell’asse viario che delimita il sito. La scelta di non posizionare il nuovo museo a contatto diretto con il sito archeologico è mossa dalla volontà di non alterare l’equilibrio del parco nella sua integrità; tuttavia alla fine del percorso museale è prevista la possibilità di raggiungere il sito dall’area di progetto tramite un passaggio sotterraneo strutturato in modo da influire il meno possibile sull’esistente. Quest’ultimo, inoltre, costituisce il primo 52


piano coperture

piano primo

piano terra

vista d’insieme

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46 pianta piano terra.

piano terra: funzioni primo deposito reperti servizi e locali tecnici hall segreteria lavaggio asciugatura materiali sala esposizioni temporanee laboratorio ceramica laboratorio metalli laboratorio intonaci secondo deposito reperti

foresteria sala comune alloggi studiosi

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47 vista della rocca dal sito.

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elemento guida per la visita delle rovine di Poggio Moscini. Dalla viabilità principale si entra all’interno del progetto tramite uno spazio di sosta che funge da filtro con l’arteria stradale e individua sia l’ingresso pedonale che quello carrabile. Una volta all’interno, si inziano a delineare i vari interventi, posizionati su quote diverse per motivi funzionali e di adeguamento all’orografia del terreno che presenta un dislivello di oltre 15 metri dalla quota di calpestio dell’ingresso del museo all’area del sito archeologico. Entrando nel vivo del progetto possiamo notare come gli spazi verdi vengono studiati per dividere e proteggere le varie parti, come accade ad esempio tra il blocco dei laboratori di restauro e gli alloggi degli studiosi, posizionati allo stesso livello, ma totalmente indipendenti. La presenza di una foresteria e di una serie di stanze usufruibili dagli addetti ai lavori, denota la volontà del progetto di rendere l’area completamente vivibile fornendo, a chi proviene da fuori, per periodi di tempo più o meno lunghi, la possibilità di potersi stabilire in loco, e agevolando in questo modo lo sviluppo delle attività. Dalla quota zero vi è inoltre, tramite una scala coperta, l’accesso alla casa del custode, totalmente indipendente dal resto del complesso ma collocata in posizione strategica. Dal disegno del prospetto dei laboratori riusciamo a percepire quali sono i principali temi affrontati all’interno del progetto: preponderante in primo luogo è l’impiego di una muratura di tamponamento in tufo, materiale che più si addice al contesto in cui è inserito, e che viene utilizzato in gran parte dell’edificio; in secondo luogo l’uso di schermi formati da appoggi in legno che creano una condizione di riparo e che si adattano alle più svariate funzioni; sono presenti sotto forma di parapetti, di-

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48 vista del prcorso basso attuale sul sito archeologico.

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visori, o semplicemente come protezione dalla luce solare diretta e contribuiscono a qualificare le varie parti del progetto. Anche il cemento a vista come richiamo dello scheletro portante assume una valenza rilevante che ritroviamo sia sulle rifiniture che su alcuni punti chiave. La struttura formata da pilastri in cemento armato, viene inserita all’interno del tamponamento in tufo tramite una trama che la ingloba, grazie anche al considerevole spessore che questo va a creare, combinandosi in blocchi. La scelta di utilizzare il tufo come materia principale è mossa dalla volontà di rimanere fedeli alla tradizione del luogo; abbondantissimo nei distretti vulcanici del Lazio, infatti, esso cominciò a essere usato come materiale da costruzione sin dal VII secolo a.C., sfruttando le proprietà di questa roccia piuttosto resistente ma leggera e lavorabile. Per procedere con l’analisi dell’intervento, occorre salire ad una quota di 3,5 metri superiore, tramite due rampe di scale, una principale accessibile dal parcheggio, e una considerata di servizio per i fruitori del laboratorio, e mediante un ascensore. Entriamo così nel vivo del progetto: il polo culturale. Risulta immediatamente evidente come il paesaggio diventa parte integrante dell’elemento architettonico nella promenade da percorrere per arrivare all’ingresso del museo. Il tema della scansione in legno questa volta si manifesta come un suggestivo filtro tra il progetto e lo sfondo del lago di Bolsena. Anche qui uno studio attento del verde consente ad un tetto giardino, realizzato sopra gli alloggi degli studiosi, di schermare la passeggiata dalla vista sui laboratori, e questo grazie ad un filare di arbusti bassi che accompagnano il visitatore in direzione del museo. All’ingresso, corrisponde un’apertura totale sul paesaggio tra57


49 pianta piano primo.

piano primo: funzioni casa del custode archivio sala riunioni uffici bilioteca servizi e locali tecnici segreteria

foyer sale esposizioni temporanee sale esposizioni permanenti stanza conferenziere sala conferenze caffetteria cucina biglietteria teatro teatro

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50 sezione A-A: percorso semi coperto. 51 sezione B-B: profilo principale longitudinale.

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52 pianta piano coperture.

piano coperture: funzioni sale espositive

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53 ingresso attuale all’area archeologica dalla via orvietana.

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mite una finestra tagliata nel tufo che delimita anche l’inizio del secondo percorso longitudinale, leggermente ribassato rispetto al primo, e che conduce alla zona puramente collettiva dell’intervento. In questo secondo tratto, cui si scende tramite una rampa o una gradonata, la luce viene filtrata dall’alto attraverso lame di cemento che fungono da semi copertura creando un interessante gioco di luci ed ombre fino ad arrivare sotto una grande tettoia che scandisce lo spazio della piazza. Qui troviamo, a chiusura del blocco del museo, l’auditorium e la caffetteria con relativi servizi, e speculare ad essi rispetto alla piazza, il teatro all’aperto; quest’ultimo chiude l’intervento ed ha una capienza di 150 posti, con la particolarità di non possedere un fondale scenico, bensì di essere delimitato idealmente dalla vista naturale sul Lago. Le quinte della scena vengono definite superiormente dai supporti in legno ricorrenti nel progetto, che in questo caso fungono da divisorio per l’alloggiamento degli impianti di illuminazione o, più in generale, possono essere utilizzati come spazi di servizio; si viene così a creare una stessa identità di linguaggio, filo conduttore dell’intervento. I locali di accoglienza, e la biglietteria della struttura teatrale con i relativi servizi igienici, sono disposti in un piccolo volume allineato a quello della caffetteria. Dalla tettoia che copre parte della piazza si accede, tramite una scalinata che compensa un dislivello di 15 metri, all’area del foro. Questo passaggio è stato studiato come possibile conclusione alla visita del museo ma non costituisce necessariamente l’ingresso principale all’area archeologica; l’ingresso pedonale principale resterà infatti invariato rispetto a quello odierno, ovvero sarà servito dal parcheggio esistente e avverrà tramite il passaggio che si apre sulla via Orvietana. 64


54 muro di tamponamento in tufo.

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Gli elementi maggiormente caratterizzanti del progetto, rimangono tuttavia le quattro sale espositive del museo permanente in cemento faccia a vista, che insistono al di sopra della composizione basamentale in tufo e ne delineano il profilo principale. Questi quattro ambienti a tutta altezza sono perfettamente congruenti, ma vengono slittati sul loro asse, l’uno rispetto all’altro, aprendosi a formare visuali sempre nuove nel contesto. Questo permette l’inserimento fra le sale sia di tetti giardino a cui si accede direttamente, sia di vasche d’acqua che creano interessanti giochi di luci e riflessi oltre a diventare esse stesse parte dell’esposizione con l’introduzione di opere al loro interno. Il percorso museale, che riprende quello strutturato oggi all’interno del Museo Territoriale per quanto riguarda la scansione temporale delle sale espositive, viene integrato nell’ambiente tramite una serie di spazi aperti e percorsi che si aprono sul lago verso l’area archeologica. Il visitatore è libero di ammirare la collezione ma anche di rendersi conto del contesto naturale in cui è inserito. Anche qui lo studio delle essenze, peraltro, è parte integrante dell’itinerario, e fa da guida tra i reperti grazie ad un tetto verde situato sopra al blocco dei laboratori. Qui, vengono sistemate essenze atte a creare un “giardino di profumi e colori”; queste accompagnano il visitatore lungo la passeggiata finale dell’esposizione, e fanno da filtro tra il panorama sul lago e il verde boschivo lasciato volutamente naturale a nord. Piante di Rosmarino e di Lavanda vengono combinate insieme per creare un suggestivo percorso lineare che termina in un ulteriore specchio d’acqua.

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55 vista del fronte principale dell’intervento.

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Il polo scientifico. Il polo scientifico è il primo intervento che troviamo una volta entrati dalla strada principale nel parcheggio. La necessità di inglobare una funzione così specialistica all’interno di un progetto volto alla valorizzazione culturale di Bolsena, nasce dalla volotà di non voler confinare l’intervento alle esigenze della sola città ma avere la possibilità di utilizzare gli spazi dedicati alla ricerca e allo studio anche per qualsiasi altra area. Inoltre, essendo il sito archeologico di Volsinii un cantiere in continua evoluzione, esso si rivela anche funzionale alle esigenze del luogo e anzi potrebbe creare un incentivo rispetto alla ripresa degli scavi molto spesso abbandonati per motivi economici. Il laboratorio di restauro. Per poter mantenere questa dupilce funzione - sostegno all’area archeologica presente e possibile utilizzo per un altro qualsiasi sito - il laboratorio suddivide la sua struttura su 2 livelli. Alla quota più bassa vengono sistemate le stanze di lavoro vere e proprie mentre in quella superiore, la stessa dell’ingresso del museo, vengono inseriti gli uffici di amministrazione, l’archivio e la biblioteca, necessaria agli studiosi per poter analizzare i reperti ma anche aperta alla collettività. Osservando la composizione del prospetto di questo blocco, si denota come il primo livello con ampie finestre suggerisce un ambiente di studio e lavoro, mentre il livello superiore scandito dal filtro formato da appoggi in legno contribuisce a dare dignità agli spazi retrostanti di rappresentanza. Entrando nel vivo degli elementi da cui è composto il laboratorio, questi sono stati pensati con la collaborazione di 67


56 spazi studio sainsbury laboratory , stenton williams architect, 2010.

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alcuni esperti nel settore, che, tramite la visita ad un cantiere aperto (Cantiere Navi antiche di Pisa), hanno contribuito a chiarire la quantità e la qualità degli spazi necessari per poter svolgere in maniera ottimale il lavoro di restauro. Il modello che è risultato più efficace, corrisponde a una stecca lineare di aree di lavoro che si susseguono cronologicamente dall’arrivo del reperto in base alle varie lavorazioni necessarie. Il primo step è rappresentato, infatti, dal deposito dei materiali che è prospicente al parcheggio ed ha un ingresso coperto da una tettoria come protezione dagli agenti atmosferici; si tratta di un magazzino iniziale dove i materiali vengono depositati come appena rimossi dallo scavo, ancora da analizzare e catalogare. In questo ambiente il materiale riceve un primo stoccaggio eseguito principalmente considerando fattori dimensionali e tipologie standard. Dopo uno spazio di filtro che assolve alla funzione di ingresso principale degli addetti ai lavori comprendente di segreteria e servizi igienici, troviamo il blocco lineare dei laboratori affiancato da un lungo corridoio a doppia altezza che garantisce una corretta movimentazione dei reperti e permette, tramite una finestra sul tetto, l’ingresso zenitale della luce. In primo luogo vi è la sala del lavaggio e asciugatura materiali dotata di comode vasche divise per indicazioni di scavo e scaffalature per l’asciugatura. Successivamente troviamo i tre laboratori veri e propri differenziati per tipologia; il laboratorio per la ceramica, dotato di vasche tavoli e scaffali, viene utilizzato per puliture specifiche di questa determinata classificazione, in preparazione per l’esposizione. Il laboratorio metalli, presenta molte analogie con il primo ma necessita in più di una cappa aspirata per disperdere i fumi dovuti alle lavorazioni. 68


57 veduta del percorso coperto che conduce all’ingresso del museo.

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58 frammento pittorico del II sec. d.C., domus di Volsinii.

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Il laboratorio intonaci, infine, viene utilizzato per la pulizia e lo studio di manufatti di grandi dimensioni e quindi necessita di ampi tavoli dove poter ricomporre le tessere di un mosaico o, ad esempio, parti di affreschi. Ognuna di queste aree di lavoro prende luce naturale dall’esterno tramite una serie di finestrature a tutta altezza che vengono schermate da alberi caducifoglie presenti nel giardino antistante il blocco dei laboratori, che permettono l’ingresso della luce del sole di inverno e la schermatura dai raggi in estate. In tutti e tre i laboratori, adiacenti alle finestre, che fungono da filtro tra l’esterno e lo spazio di lavoro, troviamo dei luoghi di riflessione utili ai ricercatori per poter analizzare immediatamente qualsiasi reperto senza doversi recare nello spazio studio presente al piano superiore. Continuando l’analisi cronologica della lavorazione, arriviamo allo spazio dedicato al laboratorio fotografico, una piccola stanza dotata di stativo e fondi dove è possibile creare una raccolta fotografica e quindi una più corretta catalogazione degli elementi. L’ultimo step di questa catena di montaggio è rappresentato dal secondo magazzino dove vengono stoccati i materiali, questa volta perfettamente conservati e ricomposti in maniera precisa. Le dimensioni più ridotte rispetto al primo sono dovute al fatto che a questo punto della lavorazione il materiale è depurato di ogni superfetazione e si presenta integro nel suo insieme. Qui, il reperto, può restare fino all’esposizione all’interno del museo oppure rimanere in attesa di una qualsiasi altra destinazione. Lo sviluppo lineare descritto, termina in uno spazio di servizio distributivo che mette in collegamento con la parte superiore e quindi con il livello del nuovo museo.

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59 studio del verde e localizzazione nel progetto.

Lo studio del verde. La ricerca delle essenze, il progetto delle arberature, lo studio degli arbusti da utilizzare all’interno del progetto si sono rivelati un momento importante in quanto contribuiscono a caratterizzare gli spazi, spesso intervenendo a sostegno del progetto. La prima importante area verde è situata al livello del parcheggio e, come è già stato osservato, è disseminata di alberature caducifoglie come il Cercis Siliquastrum, il Giuggiolo e il Melograno, tutti alberi che fioriscono in diverse stagioni garantendo una notevole varietà cromatica. La seconda fascia di verde delimita lateralmente il percorso coperto per arrivare al museo; in quel caso si è optato per due tipi di piante di carattere arbustivo, l’Acanthus Mollis e l’Agapanthus: il primo necessita di ombra e quindi viene posizionato a ridosso della copertura del passaggio mentre il secondo, necessitando della luce solare viene posizionato a ridosso della balaustra. L’intervento di maggior valenza stilistica per quanto riguarda la scelta delle essenze, si trova nel piano delle coperture che corrisponde al percorso museografico permanente esterno. Qui la presenza dei quattro parallelepipedi slittati uno rispetto all’altro, apre il campo a diverse combinazioni di aree verdi e specchi d’acqua. Per il prato, la scelta ricade sulla Lippia Nodiflora, tappezzante di facile manutenzione ma nello stesso tempo d’effetto con la sua fioritura presente durante quasi tutto il corso dell’anno; le piscine, invece, vengono disseminate di Equisetum Hyemale Robustum, pianta perenne che conferisce un aspetto lacustre. Il percorso longitudinale che porta all’ultima piscina, è creato da un insieme di profumi e colori dati dal Rosmasino e dalla Lavanda che si fondono in un giardino sensoriale che accompagna il visitatore lungo la passeggiata.

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cercis siliquastrum

lippia nodiflora

albero caducifoglie altezza fino a 10 metri

erbacea tappezzante stolonifera altezza 4-5 cm

ziziphus jujuba giuggiolo

rosmarino officinalis rosmarino

albero caducifoglie altezza fino a 7-8 metri

portamento arbustivo altezza 50-300 cm

punica granatum melograno

lavandula angustifolia lavanda

albero caducifoglie altezza fino a 5-7 metri

pianta perenne sempreverde altezza 50-70 cm

ficus carica fico

equisetum hyemale robustum

albero sempreverde altezza fino a 6-7 metri acanthus mollis arbusto sempreverde altezza fino a 30-80 cm

pianta perenne erbacea altezza 80-120 cm

spartium junceum ginestra portamento arbustivo altezza fino a 2 metri

acanthus mollis arbusto sempreverde altezza fino a 30-80 cm

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I laboratori di restauro: dettagli costruttivi

SEZIONE VERTICALE 1_solaio verde praticabile di copertura _ strato di terra 15 cm _ strato drenante _ tessuto non tessuto 2 cm _ guaina isolante 1 cm _ massetto di pendenza 1,5 % _ isolamento termico 2,5 cm _ solaio di copertura in C.A. prefabbricato 30 cm 2_parete esterna verticale _ tamponamento in blocchi di tufo 50 cm 3_porta finestra _ infisso in legno e alluminio _ vetrocamera _ sistema di oscuramento 4_solaio intermedio _ pavimanto in cemento 2 cm _ massetto riscadato in C.A. 5 cm _ isolamento acustico 4 cm _ barriera al vapore 1 cm _ massetto di completamento alleggerito per impianti 6 cm _ solaio in C.A 30 cm 5_solaio controterra _ pavimanto in cemento 2 cm _ massetto di completamento alleggerito per impianti 6 cm _ isolamento termico 8 cm _ barriera al vapore 1 cm _ soletta in calcestruzzo 7 cm _ vespaio areato _ magrone SEZIONE ORIZZONTALE 1_ vetrata fissa con infisso in legno e alluminio 2_ porta finestra con infisso in legno e alluminio 3_ struttura portante in C.A. 4_ pavimentazione esterna in pietra naturale

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60 sezione C-C: laboratori di restauro e foresteria. 61 sezione D-D: teatro all’aperto. 62 sezione E-E: sala del museo.

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63 vista delle sale del museo.

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Il polo museale. Il polo museale rappresenta il fulcro dell’intero intervento. Visibili dall’area archeologica, le quattro sale del museo permanente, impongono tutta la loro forza come a segnalare il focus del progetto in corrispondenza degli elementi che esso espone. Il museo, infatti, si fonde a livello basamentale con le altre strutture collettive tramite la matrice tufacea, ma si eleva a dominare la composizione, attraverso le sale in cemento faccia a vista. Come abbiamo visto, l’accesso avviene al piano rialzato rispetto al parcheggio, a conclusione della promenade paesaggistica che incornicia lo sfondo sul Lago. Il nuovo Museo Archeologico. Come precedentemente accennato, attualmente, il Museo che espone parte delle rovine del sito archeologico di Poggio Moscini, è allestito all’interno della Rocca Monaldeschi della Cervara. Si tratta di un edificio storico profondamente caratterizzato a livello architettonico dalla funzione militare per cui, nel Medioevo, venne costruito, per di più quasi del tutto riedificato nelle superfici coperte con sostanziali modifiche in tempi recenti. L’adattamento di sedi monumentali a strutture museali, rischia di sacrificare parte dell’esposizione per poter essere inserita all’interno di spazi non progettati per la questa funzione. Il nuovo museo, si propone come obiettivo principale, quello di creare le condizioni necessarie per poter valorizzare i reperti da esporre ed inoltre, di creare un percorso architettonicamente interessante che possa mettere in relazione le varie sale con il contesto naturale in cui sono inserite. Una volta entrato nel museo, il visitatore si trova in 79


64 padiglione barcellona, mies van der rohe 1929.

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un’area di accoglienza e distribuzione, dove sono presenti la biglietteria e il blocco dei servizi igienici. Da qui si aprono due possibili percorsi; il primo, aperto in asse con l’atrio, è quello dedicato alle esposizioni temporanee. Si tratta di uno spazio illuminato artificialmente e volutamente lasciato libero nelle sua organizzazione interna per potersi adattare a qualsiasi tipo di intervento museografico. Viene diviso longitudinalmente in due parti per fornire una gerarchia da poter valorizzare con l’allestimento. Il secondo percorso, quello dedicato all’esposizione permanente, si apre a destra dell’ingresso principale e, differentemente dal primo, viene studiato in base alle necessità di esposizione. Le prime tre sale, anch’esse illuminate artificialmente, sono disposte in serie e vengono collegate tramite delle rampe che contraggono progressivamente l’altezza degli ambienti per concentrare l’attenzione sui reperti di grandi dimensioni che testimoniano la pratica del culto bacchico nell’area di Volsinii. La volontà di inserire questo tema nella zona più intima e nascosta del museo, vuole riprendere l’idea di celebrazione del culto in epoca romana effettuata in locali nascosti e angusti per via della repressione dei Bacchanalia del 186 d.C., votata dal senato romano. Con questo provvedimento, infatti, si ordinava la distruzione dei luoghi di culto e lo scioglimento dei tiasi (associazioni di fedeli di Bacco) che non si fossero accordati alle precise norme contemplate dal decreto. Entrando nella quarta sala si avverte un cambio drastico di scala, infatti dallo spazio ristretto si passa al doppio volume creato dal primo parallelepipedo in cemento. Da qui, tramite una scala ed un ascensore, si sale al livello superiore, dove inizia il percorso cronologico delle quattro sale con l’esposizione in successione di reperti 80


65 vista dall’interno della sala verso il lago.

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66 (pag. sinistra) vista della sala romana.

di epoca etrusca, romana e infine le ceramiche medievali. I muri delle sale vengono lasciati trattati in cemento a vista e la pavimentazione, anc’essa in cemento scuro conferisce austerità e semplicità all’ambiente. L’illuminazione dei reperti avviene tramite esili luci pendenti dal soffitto che concentrano l’attenzione sulla singola opera. Anche l’allestimento è studiato in base alle dimensioni di ogni singolo elemento tramite un involucro leggero in modo da non distogliere l’attenzione sull’esposizione ma, al contrario, di valorizzarla. Dalle sale, attraverso delle finestre a nastro che inquadrano sempre scenari differenti vi è il costante ingresso di luce naturale e, inoltre, il visitatore rimane continuamente in contatto con la natura circostante e con il Lago di Bolsena che fa da fondale paesistico. Lo spazio esterno si rivela fondamentale nel percorso museografico ed è accessibile in due diversi punti dalle sale. A contrapposizione dei quattro volumi, vengono inseriti degli specchi d’acqua che riflettono materiali e natura, dove vengono collocate opere d’arte che esulano dalla collezione e provengono dalla tradizione romana o rinascimentale. Il percorso si conclude con una lunga passeggiata delineata dal “giardino di profumi e colori”, che si estende per tutta la lunghezza dei laboratori di restauro sottostanti dove piante di Rosmarino e Lavanda accompagnano il visitatore nel cammino verso l’ultima grande vasca d’acqua. Una volta ultimato il percorso, un corpo scala posizionato perpendicolarmente all’ultima sala, riporta il fruitore nel grande atrio di ingresso. 83


Il museo: dettagli costruttivi

SEZIONE VERTICALE 1_solaio di copertura _ strato di ghiaia 15 cm _ guaina bitumosa 1 cm _ isolamento termico 6 cm _ solaio di copertura in C.A. prefabbricato 30 cm _ controsoffitto in cartongesso per alloggio impianti 2_parete esterna _ calcestruzzo alleggerito di tamponamento 15 cm _ barriera al vapore 1 cm _ isolamento termico 8 cm _ calcestruzzo alleggerito di tamponamento 15 cm 3_solaio intermedio esterno _ strato di terra 15 cm _ strato drenante _ tessuto non tessuto 2 cm _ guaina isolante 1 cm _ massetto di pendenza 1,5 % _ isolamento termico 2,5 cm _ solaio in C.A. 30 cm _ controsoffitto in cartongesso 4_solaio intermedio interno _ pavimento in cemento 2 cm _ massetto in C.A 5 cm _ isolamento acustico 2 cm _ barriera al vapore 1 cm _ massetto di completamento 6 cm _ solaio in C.A. 30 cm _ controsoffitto in cartongesso 5_solaio controterra _ pavimento in cemento 2 cm _ massetto di completamento alleggerito per impianti 6 cm _ isolamento termico 8 cm _ barriera al vapore 1 cm _ soletta in calcestruzzo 7 cm _ vespaio areato _ magrone SEZIONE ORIZZONTALE 1_ vetrata fissa con infisso in legno e alluminio 2_ struttura di tamponamento in cemento 3_ pavimentazione esterna in pietra naturale

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67 gregorio lazzarini, orfeo e le baccanti, 1710.

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La collezione. L’esposizione permanente si propone come obiettivo quello di non rimanere statica nel tempo ma di adottare un approccio dinamico soprattutto grazie alla presenza del laboratorio di restauro e quindi alla possibilità di modificare spesso l’esibizione utilizzando i vari reperti conservati nel deposito, oppure affidandosi all’eventualità di incentivare nuove operazioni di scavo. Il percorso museografico studiato, inizia con l’individuazione di reperti di grandi dimensioni riferibili al culto Bacchico. Il sarcofago a lènos (a vasca), in marmo greco variamente datato tra la fine del II e la metà del III secolo d.C., un tempo collocato nella piazza della chiesa di Santa Cristina e quindi esposto al degrado degli agenti atmosferici, è decorato per intero con scene in altorilievo tratte dal mito dionisiaco, con protomi e leonie sul fronte principale. La raffigurazione, svolgentesi su tutta la superficie della cassa, rappresenta due momenti diversi del mito dionisiaco: l’epifania divina e il mito di Arianna. Questo oggetto costituisce uno dei reperti di maggior pregio dell’intera esposizione, insieme al “Trono delle Pantere”. Quest’ultimo, rinvenuto in frammenti nella sala sotterranea della Casa delle Pitture a Volsinii, e adesso ricostruito con l’aggiunta di integrazioni in cera e gesso, rappresenta la testimonianza diretta della repressione dei Baccanali. Si tratta di un trono in terracotta costituito da una base quadrata (76 cm di lato ca.) che sostiene il piano del sedile, ora scomparso, e da una spalliera semi-circolare. L’altezza totale era verosimilmente di 1,35 metri circa. Un trono di questo tipo, interamente modellato e riccamente decorato con motivi ad alto livello, è il solo esempio noto in questa materia a scala naturale. La sua struttura evoca troni 86


in marmo di teatri greci (luoghi consacrati a Bacco-Dioniso), ma l’esuberanza dei motivi decorativi e la loro stretta rispondenza ad esigenze culturali, offrono differenze notevoli con l’aspetto e la funzione dei modelli greci sopraddetti. Per quanto concerne gli oggetti esposti nelle sale al livello superiore, questi, come abbiamo visto, vengono classificati in base al periodo storico al quale appartengono. La prima delle quattro sale, a doppia altezza, è dedicata alla sezione protostorica e, in particolare, vengono approfondite l’età del rame e del bronzo. La seconda sala al piano superiore, è dedicata al periodo etrusco; i contesti archeologici esposti in questa sezione attraverso un ampia gamma di reperti, illustrando i principali momenti storici che contraddistinsero la fase etrusca nell’ambito del comune di Bolsena: il periodo arcaico e quello ellenistico. La terza sala racchiude la storia della città etrusco-romana di Volsinii; un ruolo primario nell’esposizione è rivestito ovviamente dalle ceramiche, a cui è affidato il compito di scandire le fasi di fondazione (ceramica a vernice nera), di sviluppo (ceramica a parete sottile e sigillata) e di abbandono dell’abitato (ceramica sigillata chiara). Inoltre vengono esposti manufatti che facevano parte della vita quotidiana come oggetti di uso comune e tecniche di illuminazione (lucerne), insieme alle principali testimonianze epigrafiche conservate su ceramiche risalenti alle prime fasi dell’abitato. L’ultima sala è riservata alla sezione dedicata al Medioevo e Rinascimento dove sono esposti principalmente ceramiche databili tra il XIV e il XVI secolo.

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ceramica a vernice nera Bolsena (IV - III sec a.C.) Questi vasi, presenti a Bolsena durante tutto il II secolo, sono stati prodotti in Etruria settentrionale interna. Le forme della ceramica a vernice nera la designano come vasellame da tavola, con preponderanza di forme aperte. ceramica a vernice rossa Bolsena (I sec a.C.) Rimaneva qualche imprecisione circa la data di apparizione della ceramica a vernice rossa, situata attorno al 50 – 40 a.C. La scoperta, nel 1967, di un piatto di ceramica aretina della forma più antica in un relitto affondato vicino a Marsiglia, ha stabilito che il passaggio è avvenuto verso il 50 a.C., o poco prima. ceramiche comuni Bolsena (III sec a.C.) Le ceramiche comuni, oggetti utili in terracotta, spesso di fabbricazione grossolana e a volte lavorati senza l’ausilio del tornio veloce, sono abbondanti negli scavi e presentano una grande varietà. ceramiche a pareti sottili Bolsena (I sec d.C.) Le ceramiche a pareti sottili rinvenute a Bolsena, sono riservate al servizio da tavola e più precisamente a quello delle bevande. ceramiche aretine Bolsena (I sec d.C.) I primi vasi aretini a rilievo, il cui repertorio decorativo, molto ricco, riflette influssi greco – orientali, sono stati prodotti intorno al 30 a.C.; dopo la metà del I secolo d.C., la loro produzione smette, ma tecniche e motivi decorativi vengono ripresi nella produzione delle officine ceramiche tardo – italiche. ceramiche di importazione africana Bolsena (III - VII sec d.C.) I resti dei vasi esportati permettono di seguire la diffusione di queste produzioni: dapprima lenta, nel corso del II secolo, fino a imporsi nettamente nel secolo successivo e conservare un’importanza eccezionale fino al VI sceolo, e talvolta fino al VII secolo nel corso del quale queste attività cessano. lucerne Bolsena (IV sec d.C.) Le lucerne sono state oggetto di diversi repertori di forme a Bolsena nei primi due secoli di vita della città. Attraverso il loro esame si può vedere l’Etruria, e Bolsena in particolare, aprirsi a poco a poco a influenze economiche esterne.

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lastre campana Poggio Moscini (I - II sec d.C.) Le lastre Campana sono state prodotte in un periodo che va verosimilmente dall’età siliana all’età antonina. Hanno in Roma il loro centro di produzione e sono spesso esportate in luoghi anche molto lontani. Si conoscono tuttavia esempi di produzione locale, versioni provinciali di più colti motivi urbani. Sono state impiegate sia nell’edilizia pubblica (templi, terme, etc.) che privata (case, ville, etc.). terracotte architettoniche Poggio Moscini (III - II sec.d.C.) In età ellenistica, l’antica tecnica delle terrecotte architettoniche che avevano funzioni di rivestire e ornare il tetto degli edifici conosce nuovi sviluppi. Le terrecotte di Poggio Moscini si inseriscono in questo nuovo discorso tecnico – decorativo, anche se il loro stato di conservazione non consente una attribuzione sicura a un fregio, a un frontone, o ad altre parti degli edifici dai quali provengono. Sono tutte databili tra il III e il II secolo a.C. e il loro stile palesa il modo in cui gli artigiani di Bolsena hanno interpretato i modelli della grande arte ellenistica.

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trono dionisiaco Poggio Moscini, casa delle pitture (III sec a.C.)


68 veduta della strada basolata sul foro.

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Il parco archeologico Quello che attualmente si presenta come il sito archeologico della città di Bolsena in realtà non si concretizza in un’area strutturata, mancando di adeguati accogimenti per l’abbattimento delle barriere architettoniche ed essendo priva di un percorso di guida definito che possa aiutare a comprendere le dinamiche dell’area. Il parcheggio che serve il sito situato sulla via Orvietana, viene mantenuto secondo l’idea di progetto, insieme all’ingresso principale, a NE dell’area del foro. Il percorso di visita. Obiettivo del nuovo progetto di visita del parco è quello di fornire una semplice lettura degli elementi che costituiscono le rovine dell’antica Volsinii cercando di agevolarne la percorrenza. Oltre al già citato ingresso principale è possibile raggiungere l’area del foro direttamente dal nuovo Museo Archeologico tramite un passaggio con una scalinata di collegamento, passante al di sotto della strada. Quest’ultimo percorso è considerato parte integrante dell’esposizione in quanto il cammino dal progetto alle rovine viene valorizzato dalla presenza di una sorta di Lapidarium rettilineo dove vengono esposte epigrafi romane ed altri elementi lapidei ad antica destinazione funeraria. Il fatto che questi reperti possano essere conservati in un involucro che li protegge ma non li isola totalmente dagli agenti atmosferici, è dovuto al loro utilizzo originario in modo analogo, infatti, per la loro realizzazione venne impiegato un particolare tipo di pietra lavica, dura e compatta (detta “occhio di pesce”), 90


69 stato di fatto area archeologica.

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70 planimetria dell’intervento sull’area archeologica.

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71 planimetria dei singoli elementi: domus del ninfeo domus delle pitture botteghe basilica.

praticamente insensibile all’aggressione degli agenti esterni. Il percorso di visita che collega i due ingressi al parco è realizzato mediante un sentiero in legno che segue orientamenti differenti per guidare il visitatore nella scoperta delle vestigia antiche rispetto alle quali risulta a volta tangente, altre volte le interseca o se ne discosta, sempre però attento a rispettarne le geometrie e le giaciture; Due sono i possibili percorsi di percorrenza del parco: il primo supera l’aera del foro e conduce tramite una scalinata sostenuta da un’ossatura in acciaio, base in corten e sovrapposizioni di assi di legno, all’area delle domus, mentre, il secondo, non presenta dislivelli importanti ed è quindi completamente accessibile grazie al tavolato che, adattandosi alla conformazione del terreno, permette di raggiungere le abitazioni, godendo di una spettacolare vista sul Lago. Per quanto riguarda la copertura degli scavi, attualmente sono presenti alcuni elementi provvisori in alluminio ondulato che descrivono una soluzione di fortuna per garantire la protezione delle aree più delicate. Le nuove coperture vengono pensate in sottilissimo alluminio lucidato sostenuto da esili colonnine che siano il più possibile regolari e adeguate alle reali necessità. La basilica rimane l’unica traccia a cielo aperto mentre gli altri manufatti architettonici vengono trattati a seconda delle esigenze. La sezione delle botteghe che necessita di protezione riguarda quella corrispondente alla latrina e alle tre botteghe che si aprono sulla via basolata in quanto presentano affreschi e elementi deteriorabili al loro interno. Similare condizione può essere ritrovata nella domus delle Pitture dove ad oggi sono ancora attivi i lavori di restauro per portare alla luce le pitture parietali presenti nei cubicula adiacenti all’atrio. 94


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72 vista dell’intervento sul sito archeologico.

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Nelle stessa abitazione, inoltre, risulta necessario proteggere l’apertura a volta che sfocia dalla sala sotterranea in un oculo, per evitare possibili allagamenti. L’ultimo intervento da segnalare per quanto riguarda l’inserimento di protezioni è quello che riguarda la domus del Ninfeo. Qui viene studiato un modulo per la copertura che permette di aprire un foro rettangolare in corrispondenza del Ninfeo in modo da poter preservare l’insieme ma non alterare l’idea spaziale che questo luogo evoca. Anche a ridosso del sito, ritroviamo come lo studio del verde aiuta a comprendere la morfologia del luogo: per identificare le strade basolate presenti all’interno dell’area ma non chiaramente riconoscibili data la mancanza di elementi lapidei, il percorso originario di queste direttrici, viene sottolineato da composizioni lineari di Ginestre che oltre a chiarificare i percorsi, offrono un limite naturale all’area del foro e creano una gradevole cornice cromatica.

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Note e bibliografia


Note

(1) unità di misura basilare per le superfici corrispondente a 120 piedi romani; corisponde al tratto di terreno arato da una coppia di buoi pungolati una sola volta. (2) ipotesi formulata per la prima volta nel 1972 da R. Staccioli e ripresa successivamente da P. Gros. (3) nel mondo ellenistico, pratica per cui un privato elargiva doni alla colletività . (4) struttura costituita da ambienti che non hanno una destinazione d’uso prestabilita posti secondo una sovrapposizione rigorosa.

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Bibliografia

_Fabrizio Arrigoni, Sinopie architettura ex atramentis, Die Neue Sachlichkeit editore, 2010 _Paolo Sommella, Italia antica. Urbanistica Romana, Jouvence editore, 1988 _Milena Matteini, Pietro Porcinai. Architetto del giardino e del paesaggio, Mondadori Electa editore,1991 _Andreina Ricci, Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli editore, Roma, 2006 _Giuseppe Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, edizione nuova e aggiornata, a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, Firenze _Romolo Augusto Staccioli, Strade romane, L’erma di Bretschneider editore, 2003 _Euripide, Baccanti, Feltrinelli editore, 1993 _Fouilles de l’École française de Rome à Bolsena (Poggio Moscini), volume II, Les Architecture, École française de Rome editore, 1981 _Fouilles de l’École française de Rome à Bolsena (Poggio Moscini), volume VI, Les abords du forum, École française de Rome editore, 1981 _Pietro Tamburini, Un museo e il suo territorio: dalle origini al periodo etrusco, Città di Bolsena Editrice, 1998

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_Pietro Tamburini, Un museo e il suo territorio: dal periodo romano all’età moderna, Città di Bolsena Editrice, 2001 _Peter Zumthor, Pensare architettura, Electa editore, 2003 _Anelinda Di Muzio, Rovine protette: conservazione e presentazione delle testimonianze archeologiche, L’Erma di Bretschneider editore, 2010

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Ringraziamenti


per il gentile apporto nella raccolta dei documenti: pietro tamburini per gli utili consigli progettuali: marinella spagnoli, roberto bologna per i bei momenti passati tra le mura della facoltà: a alessandro, pietro, niccolò e valentina

per essere da sempre le mie uniche certezze: ad alessio, alessandra e armando per l’affetto incondizionato e il sostegno ricevuto in questi anni: ad edoardo e jennifer per la disponibilità e la sincera amiciza: a nicola per riuscire sempre a regalarmi un sorriso: a leandro, valentina e valerio per l’importanza della condivisione: a davide e alessandro per la passione e la pazienza, la dedizione al lavoro e la qualità dei suoi insegnamenti: al prof. fabrizio arrigoni


universitĂ degli studi di firenze


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