Tesi_Entartete Kunst. Nuovo Centro Culturale nell'area di Berlin-Mitte, Berlino.

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Entartete Kunst Nuovo Centro Culturale nell’area del Berlin-Mitte.


Thomas Franci

Entartete Kunst Nuovo Centro Culturale nell’area del Berlin-Mitte.


indice

Abstract

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Berlino: breve storia urbana

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Dal primo insediamento al XVIII secolo

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Dal XIX secolo alla fine della Seconda Guerra Mondiale

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Dal dopoguerra ad oggi

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La Berlino delle avanguardie

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Espressionismo tedesco

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Nuova Oggettività

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Berlino: una città di frammenti

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Memoria Collettiva

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Residui del Tempo

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Il Progetto

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Materiali e Tecniche costruttive

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Maquettes

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Conclusioni

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Bibliografia

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Relatore prof. Fabrizio F. V. Arrigoni

Università degli studi di Firenze DiDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura anno accademico 2017/2018


Abstract

This project inserts itself inside Berlin’s urban context, a symbol of the contemporary city which always rediscovers itself through its constant renewal. This incessant change on one side, and the fragmented expression of its history on the other, lead us to the rediscovery of a past, absorbed and renewed by the city itself. The study area borders the Mitte and the Kreuzberg (areas) and it is crossed by the Sprea river and a mostly residential part of the city. The main feature of the area is the Eisfabrik, an old, abandoned ice factory from the beginning of the Nineteenth century, which was closed down during the ‘70s. The project presents a new cultural centre which could provide the area with a new pole of attraction through the reuse of the factory’s spaces. Its main aim would be to improve the quality of life of a deeply neglected area along the riverside. The project features three new volumetrics, two of which are juxtaposed to the existing factory. The project is composed of an auditorium, a library and a museum of German Expressionism and New Objectivism, both artistic movements from the ‘30s. On the other hand, the Eisfabrik is being reused to house small temporary exhibitions or events, in addition to a modest conference and concert room. The museum, the library and the Eisfabrik, located on the riverside, are all connected by a large hall, while the concert hall welcomes the visitor inside the complex by giving shape to a tree-lined open square linking the rest of the area to the Köpenicker Strasse. In clonclusion, this intervention serves a double purpose: on one hand, it renovates a neglected area of Berlin providing it with public and social functions, while on the other hand, it rediscovers a piece of the city’s long forgotten history.

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Il progetto di tesi si inserisce nel contesto urbano di Berlino, emblema della città contemporanea, che nel suo incessante rinnovamento scopre e ritrova se stessa. Da una parte il continuo cambiamento, dall’altra la manifestazione puntuale della sua storia attraverso frammenti rivelatori, che portano alla scoperta di un passato che la città ha assorbito e rielaborato. L’area di studio si trova al limite fra il Mitte e il quartiere di Kreuzberg, divisa tra la Sprea e un brano di città prevalentemente residenziale; è caratterizzata dalla presenza dell’Eisfabrik, una vecchia fabbrica del ghiaccio abbandonata, risalente agli inizi del 1900 e chiusa alla fine degli anni ’70. L’intervento propone la realizzazione di un nuovo centro culturale da inserire in questo luogo che, riutilizzando anche i locali della fabbrica, possa dotare la zona di una nuova centralità attrattiva, migliorando la qualità della vita e riscoprendo un’area trascurata del lungo fiume. Il progetto presenta tre nuove volumetrie, due delle quali accostate alla fabbrica esistente, ed è composto da un auditorium, una biblioteca ed un museo che ospita una raccolta di opere legate alla città, risalente agli anni ’30: espressionismo tedesco e nuova oggettività. L’Eisfabrik viene invece riutilizzata per ospitare eventi temporanei e piccole mostre, con l’aggiunta di una piccola sala conferenze nell’ex locale caldaie. Museo, Biblioteca e Eisfabrik sono collegati da una hall comune e sono situati sul lungo fiume, mentre l’auditorium, che si attesta sulla strada, invita il visitatore dentro il lotto, definendo una piazza alberata che collega il resto del progetto sulla sponda della Sprea alla Köpenicker Strasse. L’intervento rivela la sua duplice valenza: da una parte rinnova un’area trascurata di Berlino con funzioni pubbliche e di impatto sociale, dall’altra riscopre un pezzo della sua storia, un manufatto che la città aveva abbandonato, quasi dimenticato su una sponda del suo fiume.


Berlino: breve storia urbana

“È la tragedia di un destino, che condanna la pur tanto cresciuta Berlino a un continuo divenire, da insediamento slavo di pescatori a potente metropoli e capitale senza mai giungere al compimento del processo.” Karl Scheffler (1869-1951)

Un alto muro di blocchi di cemento, divide Sebastian Strasse nel distretto di Kreuzberg a Berlino,15 febbraio 1962.

La percezione e l’analisi di un luogo sono alcune delle prime e fondamentali fasi nella redazione di un qualsiasi progetto di architettura. L’architettura deve rispettare il luogo, integrarsi con esso, considerare la sua primaria natura. Berlino è una città mutevole, ricca di contrasti e che non regala mai uno stesso fermo immagine a chi la percorre, a chi si perde in essa; da una parte il suo inquieto divenire, dall’altra la sua grande capacità di sfuggire all’omologazione in cui rischiano di incorrere le città contemporanee. Il suo fascino deriva proprio dalla complessità della propria storia e dal suo presente in costante trasformazione; metropoli dalle mille e più anime, simbolo della trasformazione culturale e sociale contemporanea, teatro di avvenimenti storici, in cui convivono contraddizioni e fiducia nell’innovazione e nel progresso. Dal primo insediamento al XVIII secolo Berlino sorge nella valle del basso corso del fiume Sprea, in una zona pianeggiante circondata da alcune alture. La struttura urbana nasce dall’evoluzione e fusione di due parti cresciute sui due lati del fiume,


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Berlino: breve storia urbana

su due isolotti: Berlino e Kölln. La prima fu edificata da Ottone III a partire dal 1237, mentre la seconda rappresenta il nucleo più antico, di cui si hanno testimonianze già nel 1230. Berlino e Kölln diventano un unico centro fortificato agli inizi del 1300, quando il nuovo nucleo urbano entra a far parte della lega delle città anseatiche1. Fino alla metà del 1600 la storia di questa città resta quella di un piccolo centro fluviale e commerciale della marca di Brandeburgo, popolato da ebrei ed ugonotti, anche se già a metà del XV secolo era diventata residenza dei Margravi di Brandeburgo, poi re di Prussia, assumendo così nel tempo un rilevante ruolo politico. Alla fine del ‘600 vengono impostati i primi due importanti piani di espansione. Nel 1673 il piano di Doroteenstadt prevede l’apertura dell’importante arteria dell’Unter den Linden. A sud di questa, a partire dal 1678, viene edificata la Friedrichstadt completando così il centro amministrativo, commerciale, militare e residenziale di una città riconfigurata. Nel 1701 la Prussia diventa un regno indipendente e Berlino, la sua capitale, assume una forte impronta militare; si realizzano nuovi e ampi viali (Wilhelmstrasse, Friedrichstrasse), piazze monumentali e grandi palazzi in pietra. Tra il 1701 ed il 1812 la città raggiunge il castello di Charlottenburg attraverso la Unter den Linden ed il parco reale Tiergarten. Dal XIX secolo alla fine della Seconda Guerra Mondiale Nel 1815 Karl Friedrich Schinkel è nominato Oberbaurat, consigliere superiore per l’edilizia, dal re Federico Guglielmo III (17971840); è l’inizio di un periodo straordinariamente ricco di realizzazioni architettoniche, sia nelle tenute reali della vicina Potsdam sia nella città di Berlino. Schinkel non avrà mai l’occasione di lavorare su ampie porzioni della città, nonostante questo riuscirà a incidere profondamente sull’immagine del centro della capitale tedesca tramite la realizzazione di singoli edifici di forte valenza urbana. 1. Città alleate nella Lega Anseatica che nel tardo medioevo e fino all'inizio dell'era moderna mantenne il monopolio dei commerci su gran parte dell'Europa settentrionale e del mar Baltico.

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Berlino e Kölln intorno al 1230 in una mappa di Karl Friedrich Klöden.

Karl Friedrich Schinkel, Veduta dello Schloss­ brücke da Unter den Linden, 1823.

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Concepiti come “puri, perfetti, autonomi” tali edifici si propongono di ricucire e razionalizzare il contesto in cui si inseriscono conferendogli forma e identità. Ne sono esempi la Schauspielhaus nel Gendarmenmarkt (1818-1821) e l’Altes Museum (1822-1830). La promozione dell'industria trasformò radicalmente la città nel giro di un secolo: dai 200.000 abitanti del Settecento si arriva, nel secolo seguente, a sfiorare i 2 milioni. Per porre rimedio alla carenza di case, migliorare i canali e le altre infrastrutture, nel 1862 viene creata una commissione presieduta dall’urbanista James Hobrecht, che elabora i progetti di un nuovo piano regolatore. Il piano prevedeva due raccordi anulari attraversati da strade diagonali che si irradiavano dal centro in tutte le direzioni secondo uno schema a raggiera. I terreni compresi tra le varie strade vennero suddivisi in grandi lotti e venduti a speculatori ed impresari, senza l’imposizione di alcuna norma edilizia che regolasse la costruzione. Il risultato del piano Hobrecht fu la proliferazione incontrollata delle Mietkaserne, “caserme d’affitto”, grandi palazzi in pietra costruiti intorno ad una serie di cortili interni stipati fino all’inverosimile. Da una parte si procurò un tetto alla massa di persone che si trasferivano in città, dall’altra però intere famiglie furono stipate in minuscoli appartamenti bui e squallidi dalle condizioni igieniche pessime. L'edilizia privata, supportata dal grande asse viario del Kurfürstendamm, si divide in questi anni tra la costruzione di questi sterminati agglomerati con alta densità di popolazione e di ville eleganti per le persone benestanti; con la disordinata espansione dei sobborghi, Berlino diventa così una città a grande densità proletaria. Quando nel 1871 Guglielmo I viene proclamato imperatore, Berlino si estende secondo un tracciato stellare che segue le direttrici dei vecchi canali navigabili e delle linee ferroviarie, inglobando sobborghi e villaggi rurali; comincia a dotarsi delle prime linee metropolitane e viene cinta perimetralmente dalla Ringbahn, anello stradale con un raggio di 10-15 Km. Tra il 1890 ed il 1900 la borghesia industriale e finanziaria abbandona il centro e si insedia ad ovest: a Charlottenburg. Nella Berli-

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Veduta dall'alto di un isolato di Kreuzberg, caratterizzato dalle "caserme d'affitto", 1929.

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Berlino: breve storia urbana

no fantasmagorica dei primi decenni del ‘900 nessun altro luogo trasmette dinamismo e vitalità come Potsdamer Platz e Alexander Platz, in cui Alfred Döblin ambienta il suo omonimo romanzo incentrato sulla classe operaia berlinese negli anni ’202; non due semplici piazze ma nodi di traffico, luoghi urbani innovativi, sede di edifici ed attività commerciali di scala metropolitana. Il carattere nuovo e dinamico della città è rappresentato dalla Friedrichstrasse, in particolare nel tratto compreso tra la Leipziger Platz e l’ Unter den Linden, dove si aprono nuovi locali, ristoranti, caffè e si concentra la vita notturna. Le stazioni, le strutture destinate ai mezzi di trasporto, gli edifici industriali e le opere d’ingegneria, gli immobili commerciali e amministrativi, i silos, i negozi e i grandi magazzini; sono questi i manifesti della nuova architettura. Nonostante l’inflazione del primo dopoguerra, durante la repubblica di Weimar3, si assiste ad una vertiginosa sperimentazione in quasi tutti i settori, con la nascita dell’Espressionismo tedesco che influenzerà le varie forme artistiche. Questo clima creativo richiama a Berlino alcuni dei maggiori esponenti dell’architettura d’avanguardia, tra cui Bruno e Max Taut, Le Corbusier, Ludwig Mies van der Rohe, Erich Mendelshon, Hans Poelzig e Hans Schauron, che nel 1923 formano un’associazione chiamata Der Ring4, che più tardi sarebbe diventata il nucleo del Bauhaus. Pur non avendo un’impostazione architettonica univoca, i membri avevano in comune il desiderio di rompere con l’estetica tradizionale e di sviluppare un approccio alla costruzione moderno, semplificato e più funzionale, benché a misura d’uomo. Per affrontare una nuova carenza di abitazioni vengono così incaricati da Martin Wagner, responsabile urbanistico della città, di concepi-

Veduta aera della Siedlung Hufeisen nel quartiere di Britz, Berlino.

2. Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz, S. Fischer Verlag, 1929. 3. Denominazione con cui viene normalmente indicato il Reich tedesco nel periodo tra il 1919 ed il 1933. Il primo tentativo di stabilire una democrazia liberale in Germania fu un periodo di grande tensione e di conflitto interno nonché di grave crisi economica, che si concluse con l'ascesa al potere di Adolf Hitler. 4. Associazione fondata nel 1926 a Berlino, che emerge dall'architettura espressionista con un programma funzionalista. Gruppo di giovani architetti, formato con l'obiettivo di promuovere l'architettura modernista.

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Berlino: breve storia urbana

re una nuova forma insediativa che si manifesterà nei Siedlungen, grandi complessi urbani residenziali, quasi colonie indipendenti con parchi, scuole e negozi. Lo stesso Wagner, insieme a Bruno Taut, progetta la Hufeisensiedlung, un grande complesso residenziale a forma di ferro di cavallo con gli edifici disposti attorno ad un parco centrale. Queste politiche saranno interrotte dall’ascesa del nazionalsocialismo hitleriano, con il Piano Monumentale del 1933, progettato da Albert Speer5, il quale immagina un grandioso sviluppo lungo l’asse nord-sud con un ritorno ad ampie visioni scenografiche che non saranno però mai realizzate. Durante la seconda guerra mondiale, i bombardamenti tra il 1943 ed il 1945 distrussero circa la metà dell'edilizia esistente, riducendo la popolazione a 2.700.000 abitanti. Dal dopoguerra ad oggi Nel 1945 Berlino è divisa in quattro settori (americano, francese, inglese e sovietico). Inizia così la guerra fredda, la divisione tra le due Berlino sarà stabilita subito dopo la guerra e permarrà fino al 1989. Le condizioni in cui le due città versano sono però alquanto differenti; Berlino ovest è isolata nel territorio della DDR6, è collegata solo da corridoi terrestri e da due aeroporti, il nucleo urbano conta 2.200.000 abitanti, il centro è permeato dal grande parco del Tiergarten, possiede una struttura industriale, fortemente assistita, e un importante terziario pubblico. Berlino est contiene tutto il centro storico e conta su 1.200.000 abitanti, mantiene parte della sua antica struttura industriale ed ha un forte sviluppo nel settore pubblico. Agli inizi degli anni ’50, nonostante i tentativi di collaborazione, si palesa la necessità di perseguire due politiche urbanistiche se-

Costruzione del muro nei pressi della porta di Brandeburgo, Berlino 1961.

5. Albert Speer (1905 – 1981) è stato un architetto, politico e scrittore tedesco. Fu architetto personale di Adolf Hitler, ruolo che gli valse il soprannome di "architetto del diavolo". 6. La Repubblica Democratica Tedesca (Deutsche Demokratische Republik), comunemente indicata come Germania Est, fu uno Stato esistito dal 1949 al 1990 sul territorio corrispondente alla zona di occupazione della Germania assegnata all'Unione Sovietica alla fine della seconda guerra mondiale.

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parate; nel blocco sovietico, la Stalin-Allee (poi Karl Marx-Allee) è una grandiosa struttura residenziale innestata sul centro storico, che recupera una imponente visione monumentale, determinata da una lunga prospettiva lineare che si completa con la ristrutturazione di Alexander Platz, icona moderna della Berlino socialista. Contemporaneamente inizia la faticosa opera di restauro di molti edifici antichi. La risposta occidentale è Hansaviertel, un quartiere modello fondato sui principi urbani del CIAM7 e promosso dalla nuova organizzazione occidentale dell’Interbau, a ridosso del Tiergarten. In questo caso si decide di innovare profondamente il tessuto urbano, sostituendo al vecchio impianto ottocentesco una serie di edifici di scuola modernista che si stagliano isolati nel verde. La parte pubblica di Berlino ovest è affidata ad Hans Scharoun, che ha finalmente la possibilità di attuare i principi del paesaggio urbano con la realizazzione del Kulturforum: tre grandi edifici per la cultura che si fronteggiano distanti, come una acropoli moderna, la Filarmonica, la Biblioteca di Stato e la Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe. Nel 1961 la divisione politica di Berlino diventa anche fisica: viene costruito dalla DDR il muro che segna il confine tra le due città in maniera violenta, separando famiglie e nuclei sociali. In seguito un ulteriore potenziamento della cortina, determinerà la no man’s land, la terra di nessuno, che occupando una porzione molto ampia del centro urbano determinerà il congelamento di qualsiasi programma di ricostruzione della zona centrale di Berlino. Dal 1961 al 1980, il fabbisogno di abitazioni viene risolto, sia ad est che ad ovest, con grandi quartieri o città satelliti, trascurando appunto il risanamento delle zone centrali. Il cambio di rotta avviene dal 1980 fino al 1989 con l’IBA8 che promuove, a ovest, una politica urbana radicalmente diversa: la ri7. I congressi internazionali di architettura moderna o CIAM, sono nati dal bisogno promuovere un'architettura ed un'urbanistica funzionali su iniziativa di Le Corbusier e altri architetti europei nel 1928 e sono terminati nel 1959. 8. L'Internationale Bauausstellung ("mostra internazionale dell'edilizia"), si tenne a Berlino in due fasi nel 1984 e nel 1987.

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Interno della Biblioteca di Stato, progetto di Hans Scharoun, Berlino 1978.

Vista Esterna della Neue Nationalgalerie, capolavoro di Mies van der Rohe, Berlino 1968.

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costruzione critica della città, ispirandosi a molti concetti esposti da Aldo Rossi nel suo libro “L’architettura della Città"9. L'IBA si tenne a Berlino Ovest in due fasi, nel 1984 e nel 1987 e l’ organizzazione fu divisa in due parti, denominate Neubau-IBA e Altbau-IBA (letteralmente: "IBA della nuova edilizia" e "IBA della vecchia edilizia"). Il dibattito sulla città europea in questi anni del Novecento si rivolge ad un recupero dei valori formali della città e della tipologia edilizia; l’IBA prova a determinare la ricostruzione di Berlino a partire dalla costruzione ex novo di grandi isolati urbani a corte, di natura residenziale, in grado di ribadire l’impianto urbano tardo barocco ed ottocentesco, in un’accezione architettonica moderna. La Neubau-IBA, diretta dall'architetto Josef Paul Kleihues, fu dedicata alle nuove realizzazioni edilizie; essa operò in quartieri caratterizzati da vuoti urbani, lasciati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale (la Südliche Friedrichstadt, il quartiere Tiergarten-Süd, l'area di Wilmersdorf intorno a Prager Platz) o da riconversioni industriali (l'area ex portuale di Tegel). Complessivamente vengono realizzati più di 4000 alloggi, su progetto di architetti di fama internazionale (fra i tanti Rossi, Eisenman, Ungers), ma anche di giovani professionisti. La Altbau-IBA, diretta dall'architetto Hardt-Waltherr Hämer, intervenne nell'area SO 36 (o Luisenstadt) del quartiere di Kreuzberg, caratterizzata da un'edilizia storica in gran parte fatiscente e da problemi sociali rilevanti. Abbandonando la prassi seguita fino ad allora in casi analoghi (demolizione e ricostruzione in stile moderno), si opera secondo il principio del "rinnovamento urbano prudente", con un'estesa opera di manutenzione e restauro del patrimonio esistente e interventi sugli spazi pubblici, anche con il coinvolgimento degli abitanti; complessivamente si recuperano 5000 alloggi, più altri 600 di nuova costruzione. Alcuni interventi perseguono una ricostruzione quasi filologica della vecchia Berlino. Ad esempio la Prager Platz, riconfigurata su disegno di Gottfied Bohm e Rob Krier oppure al quartiere della 9. Aldo Rossi, L'architettura della città, Marsilio, 1966.

Berlino: breve storia urbana

Uno dei numerosi esempi delle realizzazioni dell'IBA 84, Bonjour Tristesse progettato da Alvaro Siza, Berlino 1986.

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Berlino: breve storia urbana

Berlino: breve storia urbana

• Uno dei due isolati progettati d a Ald o Ro s s i per l'IBA 87, nel quartiere di Friedrichstadt, Berlino 1990.

Stadtvilla al Tiergarten con otto edifici disegnati da diversi architetti, tesi a riproporre la tipologia della struttura residenziale suburbana isolata nel verde. Più imponenti le operazioni edilizie promosse a Kreuzberg ma soprattutto nella Friedrichstadt, dove i grandi isolati urbani si ripropongono in una maggiore libertà di linguaggio architettonico e soprattutto di scarti volumetrici e formali. Quando nel 1989 le due città vengono unificate, la decisione di ridare a Berlino il ruolo di capitale della Germania unita richiama sulla città l'attenzione degli architetti di tutto il mondo che affollano i molti concorsi internazionali, indetti per costruire il contesto urbano del nuovo millennio. Molto rapidamente si delineano due tendenze specifiche: la prima, riassumibile nel concetto di “ricostruzione critica” che fa capo ad H. Stimman, H. Kollhoff, M. Dudler, definiva alcuni criteri per la costruzione di Berlino capitale, per non cadere in una totale anarchia di stili e per cercare di conferire alla città un carattere riconoscibile. La seconda, invece, con Daniel Libeskind e gli architetti della corrente High-Tech, ricercava un nuovo linguaggio architettonico, ricco di sperimentazioni audaci, contro la ripetitività e la fissità della “Berlino di pietra” e che alla lunga ha avuto modo d'imporsi. Dal punto di vista urbanistico le operazioni più significative sono state quelle che si sono poste l'obiettivo di recuperare una dimensione di collettività urbana, nelle grandi aree che erano state abbandonate perché nella fascia di confine tra Est e Ovest. Paradigmatico risulta invece il grande progetto di riqualificazione della Potsdamer Platz, che ha coinvolto molteplici firme dell'architettura contemporanea; la proposta di Renzo Piano è stata scelta perchè ritenuta la più convincente, sia per il modo con cui si intendeva edificare i lotti interni, sia per la soluzione con cui il Kulturforum veniva messo in comunicazione con la prevista edificazione a blocchi della zona. La progettazione urbanistica complessiva e la supervisione artistica dell’intero complesso è stata assegnata a Piano, che ha poi affidato la progettazione dei singoli interventi a vari studi professionali.

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Berlino: breve storia urbana

Berlino: breve storia urbana

L’ultima parte della ricostruzione della città pubblica ha interessato l’Isola dei Musei, nel pieno del centro storico sulla Sprea e si sostanzia in una serie notevole di restauri, volti da una parte ad un recupero filologico delle forme e del carattere stilistico dei prestigiosi manufatti della Berlino settecentesca ed ottocentesca, dall’altra anche in una modernizzazione degli apparati tecnologici tesi ad un riutilizzo funzionale delle strutture. Unico intervento di nuova progettazione, la Nuova Galleria espositiva di David Chipperfield che conferma il tenore aulico e classico dell’architettura dell’isola, proponendo una lunga facciata di colonne proprio sul lungo fiume. In definitiva, la lezione che proviene da Berlino è data dalla costruzione di una città moderna che continuamente cerca di misurarsi con il peso della storia. Questa analisi evidenzia la complessità del caso di scuola della città europea, ricca di stratificazioni e tensioni culturali che si riversano nelle formulazioni, a volte anche in forte tensione dialettica, dei piani urbani proposti nel tempo. Inoltre, mostra come sia ancora viva e piena di sfide la ricerca dei modi dell’abitare contemporaneo, in grado di fondersi in uno spazio urbano e di rappresentare questa ricchezza e varietà di propensioni, garantendone articolazione e diversità, preservandola tuttavia da un miscuglio di forme ed immagini che, in una acritica eterogeneità, rischiano di privare lo spazio urbano di una delineata identità.

Le torri di Potsdamer Platz, al centro quella progettata da Hans Kholoff, Berlino 1999.

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La Berlino delle avanguardie

“Mi è sempre sembrato che la cosa più importante sia cogliere l’oggetto che vedo, perché il che cosa conta più del come. Solo dal che cosa nasce il come.” Otto dix, L’oggetto è la cosa fondamentale, 1927.

Il Gabinetto del Dottor Caligari, R. Wiene, 1920.

La storia dell’Europa contemporanea comincia alla metà del XIX Secolo, quando il settore industriale registra la prima grande espansione, rivoluzionando usi e costumi millenari di una società prevalentemente agricola, legata ai ritmi naturali, alla sfera religiosa, a un certo fatalismo e all’accettazione della misera realtà quotidiana che affondava le sue radici nell’età feudale. La nuova società, basata sull’elemento industriale, rispondeva a nuove logiche di efficienza e di profitto. Questo fece sì che i rapporti fra le classi sociali e la mentalità delle classi stesse subissero cambiamenti radicali; grandi masse contadine si riversarono nelle città in rapida espansione e divennero masse operaie, sfruttate senza pietà dal nascente capitalismo. Le condizioni di vita nei grandi quartieri operai portarono con sé abbrutimento e miseria, alcolismo e disperazione, realtà difficilmente conosciute dalle plebi contadine, povere sì ma dignitose. Il quadro socio-politico, di conseguenza, conobbe un’evoluzione non sempre pacifica, stante la presa di coscienza delle classi operaie che cominciarono la lotta per i loro diritti.


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La Berlino delle avanguardie

La Berlino delle avanguardie

La Germania fu uno dei Paesi maggiormente interessati dal nuovo corso, non casualmente il Manifesto del Partito Comunista vide la luce nel 1848 per mano di Marx ed Engels, entrambi tedeschi, economisti ma anche sociologi, che colsero in pieno il nuovo vigore di masse fino ad allora politicamente inerti. Le città e le fabbriche divennero il luogo di una dialettica anche violenta, e il sorgere del movimento operaio, socialista e anarchico, portò a una decisa radicalizzazione del governo imperiale. Tensioni che inevitabilmente si riverberavano sulla vita di tutto il popolo tedesco, sul suo modo di guardare e interpretare la realtà, con un conseguente aumento dell’insicurezza e della frustrazione. La logica del profitto economico aveva ridefinito i rapporti fra classi, lo Stato autorizzava lo sfruttamento in nome del denaro, il ceto operaio conosceva solo miseria, fatica e alienazione. In nome del profitto e della ricchezza si inasprisce il colonialismo europeo, caratterizzato anche da forme di aperto razzismo. La sfrenata fiducia nella scienza, nella tecnica, nel denaro, che inebria le classi dirigenti, trascina la Germania e l’Europa in un vortice di violenza che si apre con la guerra franco-prussiana del 1870, prosegue con l’ondata di antisemitismo negli anni Ottanta, e infine sfocia nella Prima Guerra Mondiale. La fine della Grande Guerra, che vide l’abdicazione del Kaiser, portò alla nascita della Repubblica di Weimar, flagellata da enormi problematiche quali la povertà, la disoccupazione, la carestia, la necessità di ricostruire città e impianti industriali e di pagare le riparazioni di guerra. Espressionismo tedesco In questo contesto nasce e si sviluppa l’espressionismo tedesco, che trova le sue radici nel 1905 con la costituzione a Dresda di un gruppo di artisti che si diede il nome "Die Brücke"1. I principali protagonisti di questo gruppo furono Ernest Ludwig Kirchner e Emil Nolde. In essi sono presenti i tratti tipici dell’espressionismo: la violenza 1. Die Brücke, "Il Ponte", è stato un gruppo di artisti dell'avanguardia tedesca formatosi a Dresda il 7 giugno 1905. Il gruppo fu all'origine di un più vasto e localmente diversificato movimento, denominato espressionismo tedesco e caratterizzato da atteggiamenti di decisa opposizione politica e sociale.

Manifesto del gruppo Die Brücke, realizzato da Ernest Ludwig Kirchner nel 1906.

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cromatica e la deformazione caricaturale, ma in più vi è una forte carica di drammaticità; nell’espressionismo tedesco, infatti, prevalgono sempre temi quali il disagio esistenziale, l’angoscia psicologica, la critica ad una società borghese ipocrita e ad uno stato militarista e violento. Si pone in antitesi con l’impressionismo che fino a quel momento era la corrente artistica di riferimento in Europa. Gli Impressionisti furono accusati di riprodurre oggettivamente la realtà mentre per gli espressionisti l'arte non doveva essere imitazione, né mimesi della natura. L’impressione è l’impatto della realtà dentro l'animo, l’espressione cerca di essere esattamente l'opposto. E' l'artista che imprime il suo animo nella realtà, l'arte è intesa come emozione che trasforma la realtà, la deforma con forza violenta proiettandosi su essa, alterando le linee, le forme e i colori. L’arte muta l’aspetto delle cose, i sentimenti dell'artista colorano di sè la sua visione. Il pubblico spesso non capì queste deformazioni, ma vi vide delle caricature e criticò la scelta del pittore di imbruttire il soggetto anziché idealizzarlo come era abituato nella tradizione. Ma gli espressionisti sentivano così profondamente emozioni come angoscia, sofferenza umana, miseria e violenza, che rifiutavano armonia e bellezza come scopo dell'arte.Volevano rappresentare la crudezza della vita, rifiutare ogni retorica a costo di scandalizzare i borghesi soddisfatti, mostrando loro i diseredati, i brutti, gli infelici. Il cuore dell’espressionismo coincide con il cuore della Prussia: è Berlino, luogo di una generazione che si definisce nuova per eccellenza. L’espressionismo è una corrente marginale ed emarginata, una controcultura che sta in un rapporto reciproco di frizione con la città. Di contro, lo specifico berlinese di questa avanguardia è costituito in larga misura dalla sua sostanza metropolitana; una città la cui fisionomia vive proprio in quegli anni profonde modificazioni nel processo di trasformazione in grande capitale. A tracciare la nuova immagine della città, accanto agli edifici, ai grandi magazzini, alle architetture, insomma agli elementi fissi, contribuiscono anche elementi mobili come i mezzi di trasporto, il traffico, ma anche elementi effimeri come ad esempio i manifesti pubblicitari.

La Berlino delle avanguardie

George Grosz, Metropolis (sguardo sulla metropoli), 191617.

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La Berlino delle avanguardie

La Berlino delle avanguardie

Ernst Ludwig K i r c h n e r , L e i p z i g e r straße con tram elettrico, 1914.

Gli spazi in cui gli espressionisti si muovono sono quelli di una città in movimento, con il suo rapido sviluppo urbanistico, accanto alla quale si definisce un’altra Berlino costituita all’interno del laboratorio espressionista, ricostruita da pittori, scrittori e intellettuali. Divisi tra la fascinazione della metropoli e il suo rifiuto, gli espressionisti riproducevano non di rado una città in cui i tratti reali vengono sostituiti da quelli del loro immaginario. Viene disegnata una seconda topografia della città; le impronte del moderno vengono recepite come segni ora infernali, ora fascinosi. Ogni aspetto urbano diventa soggetto delle opere espressioniste, la ferrovia urbana e quella sotterranea, i cui vagoni vengono descritti da Gottfried Benn come il luogo che si accende dalla sensualità di una figurazione femminile2. Il tram elettrico diventa il centro di una scena urbana dipinta da Kirchner. Nasce anche l’idea della strada che entra in casa, con la trasposizione di stimoli acustici in stimoli ottici; l’esterno cresce al di fuori di sé e si spinge verso l’interno. Le piazze, le strade dei pittori sono rese aggressive dai colori e dalle prospettive concentrandosi sulle zone più animate e dense di traffico. Non solo opere d’arte, ma anche poesie e testi raccontano ed esaltano la grande metropoli: Ernst Blass ad esempio, riesce a sintetizzare nella metropoli moderna l’immagine della velocità e dei suoi rischi nel suo racconto “Autofahrt”3, mentre Goll nella sua “Ode an Berlin”4, scompone la città che viene antropomorfizzata, citando il suo “cuore d’asfalto” o il suo “occhio elettrico”. La trasfigurazione allucinatoria del luogo e lo scambio di funzione commercio/culto sono insiti in tutte le descrizioni dei nuovi grandi magazzini cogliendone così la loro valenza simbolica; a questi luoghi si aggiunge un altro edificio, 2. Gottfried Benn (1886-1956), Ferrovia Sotteranea. 3. Ernst Blass (1890-1939), Corsa in automobile. 4. Yvan Goll (1891-1950), Ode a Berlino.

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Max Beckmann, Cafèmusik, 1918.

definito come un tempio della modernità metropolitana, il Palazzo dello sport, dove si esaltano le sensazioni e in cui la vertigine dei corridori sulla pista si duplica in quella del pubblico sulle gradinate, creando così l’effetto di un doppio spettacolo. Prima ancora di trasformarsi in circolo letterario, in palcoscenico per proclamazioni di manifesti, in luogo di esposizioni e di provocazioni, è il caffè in quanto locale e ritrovo pubblico ad essere il vero domicilio degli espressionisti; fitto di gente come nelle immagini di Beckmann, o visto come ambiente esclusivo nelle raffigurazioni di Kirchner. Come già detto, essendo l’espressionismo un’avanguardia in contrasto con la cultura di quegli anni, da cui l’opinione pubblica prendeva le distanze, i caffè diventano lo spazio rifugio per una comunità ribelle ed emarginata. Tali luoghi vengono scelti come spazi alternativi di cultura che consentivano libertà di incontro e di discussione corrispondente ad uno stile di vita antiborghese e antiaccademico. Gli espressionisti rifiutano infatti tutti i luoghi istituzionalmente deputati, ritenuti ormai fossilizzati e privi di vita, e cominciano a privilegiare i caffè e i piccoli circoli letterari; uno dei più famosi è il “Cafè des Westens”, nato nel 1893 nel Kurfüstendamm, non elegante né appariscente, aveva subito assunto l’aspetto, nell’ottica dei borghesi, di una “sede dell’inferno”, con le pareti tappezzate, per volere del gallerista Paul Cassirer, da quadri di Klimt, definiti dall’opinione pubblica “opere di Satana”. Nel momento il cui caffè diventa ritrovo letterario, entra nella scena culturale come il luogo in cui vengono fondate associazioni, nascono iniziative, si stringono e si sciolgono gruppi. Esso si presenta anche come l’istituzione destinata all’educazione dell’artista; svolge dunque non solo un ruolo di raccordo tra gli intellettuali ma anche di modello e di scuola. Un altro luogo di riferimento dell’espressionismo berlinese è senza dubbio l’atelier, le cui finestre sono spesso il punto di osservazione da cui è fissata sulla tela la topografia metropolitana dei pittori; lo studio di Kirchner affacciava sulla ferrovia per il Wannsee e questa prospettiva è presente in numerosi suoi dipinti. Alcune volte invece è lo studio stesso a diventare soggetto pittorico e ad entrare nel quadro.

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L’atelier è fondamentalmente il luogo della progettazione, del lavoro individuale e insieme di quello collettivo come concretizzazione dello spirito delle comunità artistiche. Le intersezioni tra i diversi linguaggi artistici, lo stretto rapporto tra intellettuali e il vicendevole contributo creativo trovano qui una loro simbolica cornice. Gli esempi di collaborazione diretta tra le arti sono numerosissimi: gli scrittori compongono soggetti originali per la nuova musa del cinema, i pittori danno il contributo a circoli letterari con progetti di manifesti e programmi. Nel 1929 il critico d’arte Paul Westheim nega a Berlino la definizione di città dell’arte, attribuendole l’etichetta di città degli artisti5. Tale distinzione si fonda su un’immagine urbana caratterizzata da ritmi incalzanti, in costante movimento, la cui vitalità ha costituito un indiscutibile polo d’attrazione e un importante fattore di simbolo estetico. Già dal 1919 si registrava la crescita d’importanza delle gallerie nei dibattiti e nelle discussioni artistiche, le battaglie estetiche si erano spostate all’interno dei saloni d’arte privati, che diventarono il punto di riferimento per la vita artistica berlinese. Una delle più importanti sarà la galleria Cassirer6, la cui progettazione fu affidata a Henry van de Velde, realizzata con una particolare articolazione spaziale. Il salone farà subito scandalo con una mostra di Cezanne a inizio secolo, seguita da una di Matisse, e poi nel 1913 di Max Beckmann. Negli spazi del salone si realizza la congiunzione, programmatica per l’espressionismo, tra arte, letteratura e altri linguaggi. In alcuni momenti particolari, diventa anche un' occasionale tribuna politica con performance di artisti di ideologia pacifista, subendo poi ripercussioni come perquisizioni e piccoli atti di vandalismo. A Berlino il teatro era un fatto strettamente e imprescindibilmente legato al tessuto della città, in un modo del tutto diverso da quanto accadeva nel resto della Germania. Il protagonista indiscusso è Max 5. Paul Westheim, Berlin, die Stadt der Kunstler, 1929. 6. Galleria d'arte, famosa assieme all'omonima rivista, entrambe con sede al primo piano della propria casa presso Viktoriastrasse al n°35, fondata dai cugini Paul e Bruno Cassirer nel 1898.

La galleria Cassirer, in uno scatto del 1908.

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Reinhardt7, che nel 1901 inaugura il cabaret “Schall und Rauch” in alcuni locali per la cui ristrutturazione coinvolgerà Peter Behrens; accanto ad esso Reinhardt assume anche la direzione del “Neues Theater”, che nel 1928 vedrà la prima del “L’opera da tre soldi”8 di Brecht e Weill. Nel 1917 Reihnardt crea nell’ambito del “Deutsches Theater” una tribuna per i giovani autori, con un allestimento del “Il mendicante”9 che mette insieme un cast d’eccezione tra cui due attori emblematici della recitazione espressionista come Ernst Deutsch e Paul Wegener, aprendo di fatto il cartellone del teatro alla suddetta avanguardia. Sul piano delle innovazioni registiche, a Reinhardt si deve l’introduzione in città del palcoscenico girevole, ed il coinvolgimento per scenografie e costumi di pittori come Lovis Corinth e Edvard Munch. Lo stile di Reinhardt è però tuttavia caratterizzato per un verso da un multiforme eclettismo, dall’altro da una tendenza alla spettacolarizzazione, non certo riconducibili ad una cifra espressionista. Un regista come Leopold Jessner introduce sulla scena più di una componente espressionista puntando su quella che appare come l’idea centrale di un dramma e sulla geometrizzazione degli spazi. L’espressionismo scenico berlinese, ma più in generale quello tedesco, è decisamente spostato in avanti rispetto al suo manifestarsi in altri ambiti, viene infatti a coincidere con le trasformazioni introdotte durante la Repubblica di Weimar anche sul piano dell’organizzazione dei teatri. Scena espressionista significa anche danza espressionista, il dialogo e le intersezioni tra i diversi campi non mancano anche in questo caso, ne è un esempio la “selvaggia Anita Berber”, che in un dipinto di Otto Dix riceve i tratti della femme fatale. 7. Max Reinhardt (1873-1943) è stato un regista teatrale, attore teatrale, produttore teatrale, drammaturgo e regista cinematografico austriaco naturalizzato statunitense. 8. Bertolt Brecht, Die Dreigroschenoper, 1928. L'opera offre una feroce critica socialista del mondo borghese, parodiato e condito da un umorismo cinico dei rapporti umani 9. Reinhard Johannes Sorge, Der Bettler, scritto nel 1912 (e rappresentato nel 1917, dopo la morte dell'autore, con la regia di M. Reinhardt), costituisce il primo esempio di dramma espressionista nelle sue caratteristiche più tipiche: dalla trama irreale ai caratteri astratti, dal linguaggio esaltato alle scene lampo.

La prima del "L'opera da tre soldi", di Brecht e Weill, Neues Teather, 1928.

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A fare da cassa di risonanza per la popolarità degli attori sarà il cinema, che attinge al teatro per registi e scenografi; esempi noti sono “Lo studente di Praga” di Stellan Rye del 1913, “Golem” di Henrik Galeen del 1915 e ancora “Il Gabinetto del Dottor Caligari” di Robert Wiene del 1920. Sono gli anni in cui il cinema raggiunge il suo massimo sviluppo. Nascono nuovi cinema e riviste dedicate; è comunque evidente che il film espressionista, nel panorama della cinematografia contemporanea, rappresenta un’eccezione, ma non c’è dubbio che proprio la costellazione espressionista abbia contribuito a fare del cinema un fattore culturale. Anche nei film degli anni seguenti si notano richiami all’espressionismo, ad esempio nel film di Walter Ruttmann, per il suo “Berlin, Die Sinfonie der Großstadt"10, alcune scene ricordano quadri espressionisti; senza l’espressionismo non sarebbero stati possibili nemmeno film come il capolavoro di Fritz Lang “Metropolis”, sempre del 1927, che riassume in modo estremamente emblematico la visione della città del futuro. Anche in architettura, l’espressionismo trova in Berlino il centro dell’avanguardia, a cui però contribuiscono in misura minima gli architetti berlinesi. Più numerosi sono gli apporti esterni come Eric Mendelsohn, Bruno Taut, Ludwig Mies Van der Rohe e Hans Schauron. Come negli altri ambiti, è necessario sottolineare la marginalità dell’architettura espressionista rispetto all’architettura dominante, nonostante la presenza di figure di spicco. Nello spirito di uno scritto programmatico firmato da Taut, che invitava alla “raccolta di tutte le arti sotto le ali di una nuova architettura”11, in quanto “tutto è architettura”, è di nuovo quest’ultima che viene ad assumere un ruolo di primo piano. Ma le difficoltà economiche del primo dopoguerra, con la conseguente riduzione delle committenze, limitano gli interventi degli architetti alla sola progettazione. Nel 1919 la galleria Cassirer espone i disegni di Erich Mendelsohn,

Henrik Galeen e Paul Wegener, Il Golem, 1915.

10. Walter Ruttmann (1887-1941), Berlino, sinfonia di una grande città, è un film documentario sperimentale tedesco girato a Berlino nel settembre del 1927. 11. Bruno Taut, Architekten Programm, 1918.

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Ludwig Mies van der Rohe, progetto di grattacielo in vetro nei pressi della stazione di Freiderichstraße, Berlino 1921.

eseguiti durante la guerra, di cui van de Velde si fa promotore; mentre Taut nello stesso anno si fa promotore della “Gläserne Kette”12. All’interno di questo sodalizio, un gruppo di amici architetti e artisti figurativi, nascosti sotto nomi di fantasia, raccoglierà, sotto la forma di un finto scambio epistolare, visioni di un’architettura utopica. Tra le forme più spettacolari in cui si esprime la progettazione utopica degli architetti, c’è senza dubbio la “visione” del monumento dedicato da Wassili Luckhardt “Alla gioia”. Questa linea dell’architettura immaginaria di Taut può in qualche modo trovare conferma nell’influenza che su una gran parte di essa ha avuto uno scrittore come Paul Scheerbart, che con il suo libro “Glasarchitektur”13, dedicato proprio allo stesso Taut, illustra il principio di un’architettura che costruisca cattedrali di vetro sui ghiacciai, lontano dalle città. Il trattato, seppur stravagante e visionario, diventa suggeritore di architetture concrete, interpretando una “civiltà del vetro” fatta di trasparenze e torri di luce, in rapporto con la natura; la città del futuro sarà immersa in “notti di luce” e avrà fisionomia continuamente mutevole. Al di là dell’architettura immaginaria, la progettazione per la città riceve un primo impulso concreto nel 1921, quando viene bandito un concorso per un grattacielo nei pressi della stazione di Freidrichstraße, a cui partecipano tra gli altri Mies van der Rohe, Scharoun e Mendelsohn. L’edificio sarà però destinato, ancora una volta, a rimanere sui tavoli da disegno. Sarà solo con l’inizio della stabilizzazione economica, avviata nel 1924, che i grandi progetti per la città diventeranno possibili. Il riassetto urbano di questi anni comincia dall’assetto delle strade per arrivare ai margini della città con la realizzazione delle caserme d’affitto. La nuova Berlino ha un suo punto di forza nella dinamica degli edifici, le cui facciate prendono slancio da ardite linee curve e sono movimentate dall’uso combinato di materiali, come vetro e clinker. 12. La catena di vetro o catena di cristallo (Die Gläserne Kette) era una corrispondenza a catena, iniziata da Bruno Taut, che si svolse tra il novembre 1919 e il dicembre 1920. tra alcuni architetti, con l'intenzione di scambiarsi visioni di architetture utopiche. 13. Paul Scheerbart, Glasarchitektur, Verlag Der Sturm, 1914.

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Nuova Oggettività All'inizio degli anni ’20, nel cuore di Berlino, si sviluppa un'altra corrente artistica: la “Neue Sachlichkeit”, la Nuova Oggettività. Essa si afferma come reazione ai soggetti simbolici e fantastici dell'espressionismo e come esigenza di un ritorno alla realtà oggettiva. Tale rivalutazione del dato oggettivo si concretizzò in una pittura governata dal rigore dei presupposti teorici che negavano ogni partecipazione umana. In altri casi, si risolse in raffigurazioni di crudele e impietosa ironia, sollecitata dalla messa a fuoco di una realtà scoperta in tutta la sua autentica verità. Un motivo non indifferente nel determinare il clima culturale in cui sorge la produzione artistica cui si tenta di sovrapporre la cornice della Nuova Oggettività, è il precipitare di alcune delle istanze proclamate nei giorni rivoluzionari dell’autunno del 191814. Non appena conclusa la Prima Guerra Mondiale, infatti, il più grande massacro organizzato che l’umanità avesse conosciuto fino a quel momento, in Germania fioriscono fantastiche visioni di altri mondi, liberi dal dominio della tecnica, in cui il singolo avrebbe potuto compiutamente sviluppare la propria individualità e, al tempo stesso, sarebbe sorto, irrefrenabile, uno spirito comunitario. Tali aspirazioni palingenetiche sarebbero ben presto state deluse. Alle speranze di un mondo diverso farà seguito il lento ma deciso rimettersi in moto della macchina politica e industriale tedesca. Nel maggio 1923, da poco assunta la direzione della Städtische Kunsthalle di Mannheim, il critico d’arte Gustav Friedrich Hartlaub invia a critici, direttori di musei e galleristi una circolare a cui ne fara seguito una a Luglio, inviata agli artisti, in vista di una mostra sulla Neue Sachlichkeit, che verrà inaugurata il 14 Giugno 1925 con il titolo “Die Neue Sachlichkeit”. La Nuova Oggettività non solo non nasce come movimento unitario, ma nemmeno come movimento vero e proprio. Per Hartlaub, 14. La rivoluzione di Novembre del 1918-19 condusse, nell'ultima fase della Prima Guerra Mondiale, alla trasformazione dello stato tedesco da una monarchia costituzionale in una repubblica pluralista, parlamentare e democratica.

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Manifesto della mostra della Neue Sachlichkeit alla Städtische Kunsthalle di Mannheim, 1925.

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aperto sostenitore sino a pochi anni prima dell’espressionismo, si tratta sia di prendere atto di un avvenuto mutamento nel campo artistico, sia di pilotarlo. Nel far questo, con la mostra di Mannheim, tenta ambiziosamente di definire una cornice unitaria per modalità e impostazioni non di rado contrastanti, anche nel recuperare all’arte tradizionalmente intesa alcuni artisti come George Grosz che, passati per il dada berlinese15, rinnegano lo stesso concetto di arte. Certo è che, più che una tendenza o un movimento, la Nuova Oggettività è un clima, e pure assai sfaccettato. La vaghezza della sigla sotto cui gli artisti vengono raccolti a Mannheim, insieme all’intrinseco spessore metaforico che essa possiede, dall’aderenza alle cose, all’obiettività dello sguardo fino a un senso più generale di sobrietà, finisce col rivelarsi particolarmente indicata per un fenomeno arduo da definire, ma comunque percepito come omogeneo. In misura diversa, su tutti gli artisti della Nuova Oggettività agirono anche influenze della pittura metafisica italiana16, che valse al movimento, per quel che di inquietante e di ambiguo vi traspare, anche la definizione di “realismo magico”. Molti dei pittori che aderirono a questa corrente avevano fatto esperienza nel realismo, nell'espressionismo o nel dadaismo, e questa rappresentava una naturale evoluzione. Il movimento non fu caratterizzato da uno stile unitario né da alcun raggruppamento ufficiale, ma la tendenza generale vide l'impiego meticoloso del dettaglio e una violenta satira volta a rappresentare il volto del male al quale si volevano ribellare. Gli artisti della Nuova Oggettività cercarono di creare opere che fossero come freddi specchi riflettenti la società tedesca malata e corrotta. 15. Il Dadaismo o Dada è una tendenza culturale sviluppatasi tra il 1916 e il 1920. Il movimento, che ha interessato soprattutto le arti visive, la letteratura e il teatro, incarnava la sua politica antibellica attraverso un rifiuto degli standard artistici tramite opere culturali che erano contro l'arte stessa. 16. La Pittura metafisica è una corrente pittorica del XX secolo che vuole rappresentare ciò che è oltre l'apparenza fisica della realtà, al di là dell'esperienza dei sensi. Ha tra i suoi maggiori esponenti i pittori Giorgio De Chirico e Carlo Carrà.

George Grosz, Giorno grigio, 1921.

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Rudolf Schlichter, Atelier Dada su tetto, 1922.

La Neue Sachlichkeit, pur avendo nel realismo la stessa radice, si distingue da questo nel tentativo di mantenere una certa componente emozionale, tipica della tradizione culturale tedesca: accentuando ed intensificando alcuni particolari, al limite del caricaturale. Non molto sembra accomunare gli artisti esposti a Mannheim. Il fatto che fosse prevista la presenza di opere di Picasso è sintomatico dell’attitudine inclusiva dell’operazione. Hartlaub tentò di identificare una “ala sinistra” detta anche “ala verista”, costituita da artisti passati in buona parte per il dada berlinese, come George Grosz, Otto Dix, Georg Scholz, Rudolph Schlichter e Hans Grundig, che propone un’arte aggressiva e fortemente connotata in termini politici. La “ala destra” invece, detta anche “ala classicista”, è costituita da artisti soprattutto monacensi, come Heinrich Maria Davringhausen, Georg Schrimpf, Carl Mense e Alexander Kanoldt, e propone atmosfere trasognate, naïf, pur senza restare aliena da preoccupazioni di ordine politico. Questa divisione traccia una linea di demarcazione fittizia, che non tiene conto degli intrecci tra gli artisti e della loro parabola individuale. La scena della Nuova Oggettività è infatti molto più complessa e variegata; nel suo non essere un movimento organizzato, è policentrica per costituzione: come propri perni ha numerosi locali, gallerie e riviste, spesso in fitta relazione reciproca. Superata la crisi economica, la Germania si risveglia con i propri sogni infranti, ma in condizioni economiche e sociali tutto sommato sopportabili, malgrado i colossali debiti di guerra e la disoccupazione e la criminalità dilaganti. Non vi è però più spazio per i grandi sogni. La ripresa dell’andamento della vita sociale e politica, quasi indifferente a esperienze decisive della grande guerra e della rivoluzione, costituisce lo sfondo su cui la classe intellettuale tedesca si trova a operare a partire dai primi anni Venti. Senza ormai alcuna speranza di un mutamento radicale, si trova gettata nella realtà di tutti i giorni, priva di qualsiasi prospettiva più ampia. Gli artisti delusi, disincantati, amareggiati spesso fino al cinismo, divenuti pessimisti dopo aver vissuto un’epoca in cui avevano nutrito

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speranze immense, quasi apocalittiche, nel vortice della catastrofe riflettono su quanto c’è di più concreto, sicuro, e duraturo: la verità e il mestiere. All’espressionismo postbellico, che alla massificazione e alla nullificazione dell’essere umano aveva reagito con l’esaltazione dell’individualità, una parte cospicua dei pittori tedeschi inizia a rispondere con un atteggiamento opposto: l’accettazione. L’artista non è più l’eroico tramite tra divinità e comunità, ma un distaccato e non di rado sensibilmente disgustato osservatore dalla realtà, cinico e talvolta sarcastico quanto basta per non soccomberle. Il linguaggio della pittura si fa asciutto, chirurgico; i soggetti su cui si concentra concernono il presente, nei suoi inquietanti protagonisti, nella sua irresistibile brutalità e oscenità. La grande e tutt’altro che idilliaca città e il ritratto, privo di qualsiasi vena idealizzante, sono occasione per l’esercizio di uno sguardo analitico: lo sguardo dell’ingegnere, dello scienziato o del giornalista da feuilleton, non disposto a concedersi illusioni di sorta, che volentieri osserva il suo soggetto nel suo luogo di lavoro o circondato dai ferri del mestiere, come ne “Il medico” di Otto Dix o ne “L’affarista” di Heinrich Maria Davringhausen. Le cose, estrapolate ed esposte in una nitidezza allucinata, si pongono dal canto loro come indizi e come emblemi di un mondo nel quale tra di esse e l’uomo non sembra più sussistere significativa distinzione. Pur rivolte a una committenza costituita prevalentemente dai “nuovi ricchi”, come nota il critico Behne17, le nuove tendenze artistiche di cui Hartlaub rileva il “sapore socialista”, in genere non rinunciano a una forte critica nei confronti del presente. Questa oggettività risulta urtante per l’uomo medio: non ha il minimo rispetto per la sua sensibilità, perché non ha in sé nessuna gioia e sottopone alla cruda luce dei proiettori il terribile deserto di un mondo senza Dio. Il borghese vorrebbe un po’ di romanticismo, magari un’infarinatura di tragedia, in una forma qualsiasi, invece qui trova solo un’assoluta negazione del romanticismo, e di

Heinrich Maria Davringhausen, L'affarista,1922.

17. Adolf Behne (1885 - 1948) fu critico, storico dell'arte, scrittore di architettura e attivista artistico. Era uno dei leader dell'avanguardia nella Repubblica di Weimar.

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qualsiasi parvenza di bellezza e di illusione che potrebbe ancora illuminare la nostra vita. Il “naturalismo ostinato e impassibile” e l’“intensa veridicità virile, senza errori”18 sono così funzionali a una critica tanto più efficace quanto più sa cogliere i tratti fisiognomici della “vita normale nel suo inappariscente orrore”. In Hausvogteiplatz di Schlichter, così, in secondo piano, irrompe, tra la folla dedita allo shopping, in mezzo a grandi blocchi edilizi, un patibolo insanguinato. Se allo stato di fatto non esiste alternativa, non resta che la disperata operazione di denudare ciò che è, di rivelarne il volto inquietante, e tanto più inquietante in raffigurazioni sobrie e meticolose. D’altro canto, proprio il senso di stasi, di paralisi, che sembra caratterizzare il momento storico agli occhi degli artisti, spiega come mai la critica che la Nuova Oggettività rivolge alla contemporaneità rischi spesso di risultare attenuata, se non inficiata, da un senso di rassegnazione e di cinismo, sempre sul punto di sfociare nell’indifferenza. La Nuova Oggettività è un fenomeno prettamente tedesco. Questo non significa che manchino i riferimenti alla coeva arte europea, e in particolare a quella di Carrà e de Chirico, veicolata da valori plastici. Il linguaggio che ne deriva è “caratterizzato da un assoluto rigore della costruzione pittorica e della raffigurazione della realtà nello spazio; da una rappresentazione perfino troppo corretta – e di conseguenza abbastanza gelida ma anche stravolta – della prospettiva e della volumetria dei corpi; da una penetrante precisione dei particolari […] e, non da ultimo, da un’attrazione gelida sia per l’esattezza fotografica, portata a una fissità quasi priva di vita, sia per l’esattezza della macchina, che con la sua precisione porta nella costruzione e nella fisionomia dell’immagine una logica implacabile fino all’orrore”19. La coeva arte italiana viene ripresa, ma come in uno specchio deformante, più naïf o più allucinata e stravolta, come accade a quella del Rinascimento italiano e degli antichi maestri tedeschi. Tutti questi modelli tendono a definire una pittura che si basi nuovamente su solide capacità tecniche: 18. Otto Dix, Annotazioni dal suo diario,1918. 19. Paul F. Schmidt, I veristi tedeschi, 1924.

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Rudolf Schlichter, Hausvigteiplatz, 1926.

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l’arte viene intesa come un mestiere. Non sono pochi i pittori della Nuova Oggettività a scegliere deliberatamente di insegnare presso l’Accademia, integrandosi così nelle strutture educative. Nulla resta, in questo, della contestazione dada; d’altro canto, attraverso l’accettazione del proprio status, l’artista depone l’aureola e scruta il mondo come borghese tra i borghesi. Quando, nel 1927, Kurt Tucholsky20 afferma che “ieri erano tutti espressionisti, oggi tutti vogliono appartenere alla Nuova Oggettività”, non è detto che si riferisca soltanto alla pittura. In architettura, soprattutto, la definizione di Nuova Oggettività gode di particolare successo, come anche in altri ambiti espressivi, relativamente, ad esempio, al cinema di Georg Wilhelm Pabst, della fotografia di Albert Renger-Patzsch, W. Petry e August Sander, della letteratura di Alfred Döblin, dello Schönberg di Von Heute bis Morgen, in ambito musicale, o della Gebrauchmusik di Paul Hindemith . Il vocabolo Sachlichkeit viene usato in ambito architettonico molto precocemente. Ai tempi della mostra, Hartlaub osserva che la salutare disillusione operata dalla Nuova oggettività trova in Germania la sua più chiara espressione nell’architettura. Se a questo si aggiunge il fatto che i rapporti tra il critico e il Deutscher Werkbund21 sono fitti e solidi, diviene comprensibile come a partire da un certo momento Nuova Oggettività divenga sinonimo di Neues Bauen22, fulcro in quel momento dell’attività del Werkbund. In cosa essa consista, per contro, in architettura è ancor meno chiaro che in pittura. Ben prima della mostra di Mannheim, i principali architetti e critici di architettura che, nell’immediato dopoguerra, si erano attestati su posizioni radicali come Bruno Taut, Walter Gropius e 20. Kurt Tucholsky (1890 – 1935) è stato uno scrittore, poeta e giornalista tedesco. 21.Il Deutscher Werkbund (Lega tedesca degli artigiani), è stata un'associazione tedesca, fondata a Monaco di Baviera nel 1907, su iniziativa dell'architetto Muthesius, dell'imprenditore Karl Schmidt e del pastore protestante e politico liberale Friedrich Naumann. La Werkbund rappresenterà una tappa importante nello sviluppo dell'architettura moderna e del disegno industriale, in particolare nella successiva fondazione del Bauhaus. 22. Neues Bauen (Nuova Costruzione) è un nome spesso dato all'architettura moderna che è emersa in Europa, principalmente l'Europa di lingua tedesca, negli anni '20 e '30.

Otto Dix, Alla Bellezza, 1922.

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Behne su tutti, mostrano un deciso mutamento di orientamento. Ancor più che nel mondo della pittura, in quello dell’architettura i protagonisti della cosiddetta Nuova Oggettività sono i medesimi che, prima della guerra, erano stati membri del Werkbund e che, subito dopo, avevano salutato colmi di speranza la nascita di un mondo nuovo. Non è però possibile interpretare per comparti stagni l’architettura tedesca del dopoguerra, così come il Werkbund, in termini di semplice continuità con quella degli ultimi anni dell’impero guglielmino, e la fase rivoluzionaria come una mera deviazione dalla retta via oppure un’apertura subito negata. È ad esempio evidente come quella medesima carica politica che, tra il 1918 e il 1919, irrompe sfrenata, negli anni successivi si ripiega come su se stessa ma, pure, permane. A ben vedere, sembra essere la modalità con cui perseguire gli obiettivi a mutare: l’aspirazione a un mutamento totalizzante della realtà, preconizzato dai radicali, sembra imboccare una via alternativa per il proprio realizzarsi, in una parabola che, a partire dalle cattedrali del futuro, porta alle Siedlungen operaie. L’alleanza tra Werkbund e radicali, che nel dopoguerra si era lacerata, si ricompone; ora a governare la scena sono quest’ultimi, disposti tuttavia ad agire nel contesto e con le armi di questo mondo. Rimane un grande problema: quanto in architettura viene identificato come Nuova Oggettività non sembra costituire una categoria unitaria e utilizzabile. Anche un’icona della Nuova Oggettività come il quartiere sperimentale del Weißenhof23 del 1927, nasconde sotto una patina unitaria istanze irriducibilmente contrastanti, le stesse che, d’altro canto, stanno alla base dell’ambigua sigla di Nuova Oggettività in pittura. La Nuova Oggettività, dopo il 1930, nelle sue ultime fasi evolutive, si volse verso un oggettivismo sempre più preciso e distaccato, fino

C o m p l e s s o residenziale al Weißenhof, Ludwig Mies van der Rohe, Stoccarda, 1927.

23. Il Weissenhof è un quartiere costruito a Stoccarda nel 1927, in occasione dell'esposizione organizzata dal Deutscher Werkbund. È stato una sorta di "vetrina" internazionale, per mostrare le innovazioni architettoniche e sociali proposte dal Movimento Moderno. Il comprensorio includeva ventun edifici, per un totale di sessanta abitazioni, progettate da sedici architetti europei, la maggior parte dei quali tedeschi.

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a decadere in uno stanco realismo illustrativo in cui si sono viste le premesse del verismo fotografico dell'arte ufficiale nazista. Con la fine della Repubblica di Weimar nel 1933 e con la presa del potere da parte dei Nazisti, numerosi artisti emigrarono, per lo più verso gli Stati Uniti. Nel 1937 le autorità naziste epurarono i musei dall'arte considerata "degenerata". Tra le opere confiscate ne individuarono 650 che esposero in una speciale mostra itinerante chiamata Entartete Kunst. L'Espressionismo era la corrente artistica più presente tra le opere condannate. La mostra fu inaugurata a Monaco di Baviera il 19 Luglio 1937. La mostra fu aperta da Joseph Goebbels. Era richiesto il pagamento di un biglietto di entrata per una cifra irrisoria, per far sì che fosse visitata dal maggior numero di persone possibile. Si spostò in 11 città della Germania e dell'Austria. Diversi tra gli artisti i cui lavori furono condannati e che erano in vita a quei tempi, furono esiliati, mentre quanti erano di religione israelita e non riuscirono a fuggire in tempo dalla Germania, morirono nella Shoah.

Manifesto della mostra "Entartete Kunst", Monaco di Baviera, 1937.

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“Guardare indietro è possibile e magari necessario, ma forse è più urgente anticipare il domani su un orizzonte mutevole e dinamico. Come se il passato si fosse rifugiato in pochi dettagli, in resti slabbrati dal tempo, in angoli appartati. Non è scomparso, anzi, ha lasciato indizi che la città accantona, nel suo febbrile rinnovarsi”. Luigi Forte, Berlino città d’altri, 2017.

Kani Alavi, es geschah im november, East Side Gallery, Berlino, 1990.

Nell’epoca del trionfo dell’urban-age, dove la città viene celebrata al massimo delle sue espressioni materiali e immateriali, Berlino è protagonista, traendo linfa dalla sua storia, dalla sua memoria e dalla sua capacità di innovarsi. Il suo fascino deriva proprio dalla complessità della sua storia e dal suo presente in veloce trasformazione. Berlino restituisce un’immagine di museo an plen air, dove è possibile cogliere una chiara contrapposizione tra due mondi: da una parte l’Ovest con i suoi spartani grigi e fatiscenti edifici “monoblocchi”, vicino ai quali sorgono elementi urbanistici moderni e innovativi, ma che possiedono talora un senso d’incompiuto. Dall’altra, l’Est, con un’atmosfera tradizionalmente mitteleuropea amplificata da spazi, luci, ed enormi centri commerciali. Arte, storia, cultura e politica hanno plasmato l’identità della città. I movimenti artistici, i loro esponenti e le loro installazioni, temporanee e permanenti, hanno contribuito a rivitalizzare ampie zone della città: la East-Side Gallery, uno dei nodi della rete artistica di Berlino; rimangono memorabili il successo dell’impacchettamen-


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to del Reichstag di Christo1 nel 1995 e l’installazione permanente di Molecule Man di Borofsky2 dal 1999 sul fiume Sprea. Muovendo da questa vibrante atmosfera negli ultimi venticinque anni la città si è sempre più caratterizzata come un mix di elementi culturali, artistici, religiosi, politici e da una forte voglia di libertà, talora espressa anche con forti controversie. Lo spaccato sociale contemporaneo mostra una metropoli che non ha perso, del tutto, il gusto delle sue tradizioni. Berlino appare oggi più che mai più cosmopolita, popolata da una densa schiera di bohémien, da legioni di artisti e intellettuali. La memoria pubblica, tassello fondamentale per la formazione di un’identità condivisa europea, assume un profilo sempre più incerto: instabile dal punto di vista epistemologico e ambiguo sul versante politico. Il ricordo, infatti, deve fare i conti tanto con il mutare delle condizioni materiali di fissazione e trasmissione, quanto con un’esibizione pubblica eccessivamente ritualizzata che tende a smorzarne il contenuto reale. Memoria Collettiva A partire dagli anni Ottanta, il nesso tra memoria collettiva e scrittura viene declinato in chiave geografico-spaziale: la città assume i connotati di un’immensa superficie scritturale, una tavoletta di cera che conserva i segni del passato. La convinzione che i luoghi possano essere soggetti e portatori del ricordo e, magari, avere a disposizione una memoria che trascende gli uomini, può essere considerata una costante della memoria culturale. La memoria collettiva, quella che interessa l’intera comunità, è profondamente legata alla storia di un paese e agli avvenimenti intercorsi nel suo passato. Nella versione più semplice, viene portata avanti attraverso l’attribuzione di nomi di strade, targhe, statue o 1.Christo e Jeanne-Claude, o più spesso semplicemente Christo, è il progetto artistico comune dei coniugi statunitensi Christo Yavachev (1935) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (1935 - 2009), fra i maggiori rappresentanti della Land Art e realizzatori di opere su grande scala. 2.Jonathan Borofsky (1942) è uno scultore e incisore americano che vive e lavora a Ogunquit, nel Maine.

Christo and Jeanne-Claude, W r a p p e d Reichstag, Berlino, 1995 .

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veri e propri monumenti. La Germania in generale, e Berlino in particolare, hanno vissuto in questo ultimo secolo avvenimenti talmente significativi e forti, che la città rischia in un certo senso di trasformarsi in un enorme impianto commemorativo. Si deve però essere onesti nell’osservare che, sebbene i tedeschi non abbiano fatto esperienza di molti avvenimenti positivi nel XX secolo di cui è necessario lasciare traccia nella collettività, il loro sforzo in tal senso è veramente grande. Non esiste nessuna città al mondo dove il senso del proprio fallimento è così fortemente riconvertito nella necessità del ricordo. Esistono varie motivazioni legate a questa catarsi, innanzitutto l’elevatissimo senso di colpa per essere stati protagonisti o spettatori di tali avvenimenti e l’obbligo morale di dare a tutti il giusto spazio per ricordare. Non manca altresì la volontà di riscatto, di prender finalmente distanza da un passato ingombrante e arrivare ad un’emancipazione. S’immagina la memoria collettiva, quella che è fondamento della nostra identità culturale, come qualcosa di stabile, di dato per scontato, di attribuito al passato e su cui si sorvola. Brian Ladd nel suo libro “Ghosts of Berlin”3, riprendendo un pensiero di Nietzsche, afferma che la società ha bisogno di cancellare selettivamente alcuni avvenimenti storici per poter poi guardare avanti verso il futuro. Sebbene questo sia vero da una parte, e pericoloso dall’altro, cancellare gli ingombri della storia e riempire la città di monumenti non è sufficiente. Questi infatti possono diventare monoliti granitici senza sostanza, se non esiste un percorso di sensibilizzazione e se di fatto oltre il monumento non esiste la possibilità di approfondimento. Per questo la memoria è invece qualcosa che va di giorno in giorno rinvigorita, aiutata, che necessita di uno sforzo attivo per compiersi, poichè il solo esserci non costituisce la base per una collettività più attiva e vigile. Si dice spesso, usando un mantra di cui si ignora il senso profondo, che è necessario ricordare affinché 3.Brian Ladd, The Ghosts of Berlin: Confronting German History in the Urban Landscape, 1991.

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A n h a l t e r Bahnhof, Berlino, 1982 .

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quello stesso evento tragico non si verifichi di nuovo nel futuro. Sfortunatamente quest’attitudine, assolutamente giusta, non basta a creare i presupposti perché la storia non si ripeta. Sostanzialmente perché le persone che necessitano di ricordare non sono state protagoniste di quelle storie, ma ne sono state per la maggior parte o spettatori o nei casi dei berlinesi moderni, il frutto culturale di un periodo; quindi più che la necessità del ricordo, hanno bisogno di arrivare a ricostruire la storia dei luoghi e degli avvenimenti di cui è necessario fare tesoro e con cui è necessario costruire un legame empatico. La maggior parte dei Gedenkstätte, ovvero i memoriali tedeschi, non sono solo monumenti, ma sono qualcosa di più, sono luoghi dove la memoria viene riscoperta, dove è possibile, oltre al monumento commemorativo, trovare una serie di informazioni e di chiarificazioni che accompagnino questo percorso. Per quanto il monumento necessiti di una forma tale da attirare l’attenzione del visitatore per costruire un legame empatico rispetto all’argomento trattato, è poi necessario veicolare quell’attenzione verso informazioni più specifiche, senza le quali gran parte dell’energia andrebbe sprecata. E’ necessario costruire un binomio tra l’emozione suscitata dal monumento e la documentazione proposta. È difficile, per una città in espansione e in continuo rinnovamento, riuscire a bilanciarsi tra la necessità del ricordo e le potenzialità del movimento.

Una doppia fila di pietere ricorda il percorso del muro, Berlino.

Residui del Tempo Berlino guarda finalmente altrove, e passato e presente non vivono più in un rapporto dialettico: il presente corre senza sosta e rigenera intere zone lasciando al margine frammenti di una civiltà ormai estinta. Berlino è viva non solo come laboratorio di futuro, ma anche come sito archeologico della modernità e dei suoi drammi. La città conserva il suo passato in forma di lacerazioni lungo tutta la sua storia. Dietro i suoi vuoti o fra vecchi stabili riempiti di graffiti, traspare un mondo che nemmeno i nuovi templi della modernità

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Gunter Demnig, Pietre d'inciampo in ricordo di due vittime dell'olocausto, Berlino.

possono cancellare; i fantasmi di un tempo riemergono con forza. Una pluralità di scenari che rende così singolare la sua storia, coinvolgendo città e campagna, metropoli e provincia, Oriente e Occidente. La convinzione che si possa già programmare il futuro vivendo in un presente generoso e ricco di proposte stimola attualmente a considerare Berlino una città che ha i piedi nell'oggi e la testa nel domani. Riflettere sul passato diventa così un modo per integrare e aggiornare la memoria collettiva. Berlino contiene al suo interno molti esempi di piccoli lasciti del passato, frammenti che la città nel suo incessante cambiamento ha mantenuto nel tempo. Non si parla in questo caso di monumenti più antichi e imponenti, come ad esempio i tre edifici che sorgono in Gendarmenmarkt, forse la più maestosa piazza berlinese risalente al 1700, il Deutscher Dom (duomo tedesco), il Französischer Dom (duomo francese) e la Konzerthaus (sala dei concerti), che insieme formano un trittico architettonico senza pari. Si parla piuttosto di alcuni frammenti architettonici che la guerra ha lasciato dietro sè e che la città ha cristalizzato, singolare l'esempio dell'Anhalter Bahnhof, una delle più grandi stazioni ferroviare di Berlino, nel quartiere di Kreuzberg, inaugurata nel 1841. Dopo aver subito pesanti bombardamenti, fu chiusa definitvamente nel 1952. Ciò che rimaneva dell'edificio dell'Anhalter Bahnhof, la porzione centrale del portico di ingresso è stato restaurato nel periodo 2003-2004, assurgendo a monumento, ed alcune copie delle statue riposizionate. In un contesto ormai modificato e rielaborato dalla crescita urbana, un'emergenza storica riporta alla memoria un passato, neanche troppo lontano ma ormai estinto. Il grosso dell'area della stazione è divenuto un'area verde, e solo a sud del Landwehrkanal si trova la gran parte dell'esteso parco binari. La storia si incunea invece anche in piccoli dettagli, come ad esempio succede per il muro di Berlino che, pur pressochè ormai completamente distrutto, lascia una propria traccia. Una doppia fila di

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ciottoli segna il percorso del Muro attraverso la città. A partire dalla East Side Gallery, dove il muro, ancora in piedi, diventa esposizione d’arte sulla riva del fiume Sprea, attraverso Potsdamer Platz fino alla Bernauer Strasse. Una linea che, pur sottile, accompagna ed è presente nelle pieghe e nel caos della città contemporanea. Si pensi, ancora, alle Stolpersteine dell'artista tedesco Gunter Demnig, le “pietre d’inciampo” che interrompono il passo spedito e sicuro del presente: semplici targhe in ottone, incastonate nel suolo in concomitanza dell’ingresso dei vecchi domicili dei deportati nei campi di concentramento, riportano i dati anagrafici di numerose vittime e, quando possibile, le coordinate storico-geografiche del loro assassinio. L’installazione, micrologica e discreta, non codifica un modello memoriale precostituito, ma riporta semplicemente alla luce le tracce del passato, spesso sepolte dai rapidi mutamenti urbani. In modo analogo, ma agendo per sottrazione, "La maison manquante" di Christian Boltanski trasforma una superficie vuota, resto altrimenti muto di un edificio abbattuto dai bombardamenti, in un indice della scomparsa di coloro che un tempo risiedevano nell’abitazione distrutta. L’artista, infatti, ha applicato sulle pareti degli edifici perimetrali alcune targhe che espongono informazioni relative agli ex abitanti della struttura crollata: a un’altezza ipotetica, stimata su quella presunta che fu degli appartamenti, sono segnati i nomi delle famiglie che un tempo abitarono lo stabile e la durata della loro permanenza. Il ricordo delle deportazioni assume, così, una concretezza disarmante: tra coloro che abitano accanto alla casa mancante, con buona probabilità, alcuni conoscono i nomi e i volti di chi, in passato, fu un vicino, sanno cosa è accaduto a quei corpi, sanno di non averlo impedito. Chi invece, più semplicemente, osserva la maison manquante senza conoscere il quartiere, è comunque sorpreso dall'assenza, da un vuoto insolito. Un'opera che invece mette in relazione in modo ambiguo i temi del monumento, della memoria e del frammento storico è il "Denkmal für die ermordeten Juden Europas", il Memoriale agli ebrei assassinati d’Europa, progettato dall’architetto americano Peter Ei-

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C h r i s t i a n Boltanski, La maison manquante, Berlino, 1990.

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senman e inaugurato a Berlino il 10 maggio 2005. L’opera, infatti, è concepita sia come monumento centrale dell’Olocausto, sia come maggior monumento nazionale tedesco postriunificazione. La tensione tra i due motivi si riflette nell’aspetto schizofrenico dell’oggetto che da un lato conserva – e addirittura esaspera – alcune caratteristiche dei monumenti tradizionali, ma dall’altro diserta ogni funzione simbolica. Nonostante le dimensioni e la centralità topografica nella geografia della città riunificata, il Memoriale mantiene infatti una vocazione contro-monumentale riconducibile anzitutto al suo carattere volutamente a-semantico. Lo slittamento dal simbolo alla traccia, a cui si è fatto riferimento sopra, si manifesta nell’opera di Eisenman in modo esplicito e programmatico: al pari di un fossile o di un reperto archeologico, l’opera appare disseppellita nel cuore di Berlino. Il suolo diviene oggetto e viceversa, mentre la pratica costruttiva si trasforma in una vera e propria attività di scavo. Tracciare linee nel terreno, solcare il suolo cittadino, incidere cicatrici simboliche nel tessuto urbano, sono infatti pratiche riconducibili al concetto derridiano di “archi-scrittura”4, che assegna alla traccia un primato ontologico rispetto al significato. Il Denkmal assolve dunque alla funzione primaria della memoria: un silenzioso tener traccia. Come un promemoria, ricorda la necessità di ricordare, senza garantire a priori il successo dell’atto stesso. Il valore segnico dell’oggetto sostituisce così la pienezza del simbolo disinnescando la routine commemorativa: attraverso l’equiparazione al fossile, il memoriale focalizza l’attenzione sulle condizioni di produzione del senso cercando di correggere il tendenziale ammutolire dei ricordi, pur nel loro dilagare.

4. Jacques Derrida, nato Jackie Élie Derrida (1930 - 2004), è stato un filosofo, saggista, accademico ed epistemologo francese. Considerato l'iniziatore del discorso decostruzionista, anche se la genesi su cui si basa il Decostruzionismo può essere rintracciata prima di tutto nella linguistica strutturale e poi nella filosia di Nietzsche e di Heidegger.

Peter Eisenmann, Memoriale per gli ebrei assassinati d ' E u r o p a , Berlino.

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Il Progetto

“Il contemporaneo è una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze, è un’abilità particolare, che equivale a neutralizzare le luci che provengono dall’epoca per scoprire la sua tenebra, il suo buio speciale.” Giorgio Agamben, Che cos'è il contemporaneo?, 2008.

E i s f a b r i k , Köpenicker Straße 40, Berlino.

La presenza dei frammenti della memoria in una città come Berlino, il manifestarsi di piccole tracce del suo passato, è uno dei primi momenti in cui è possibile raggiungere la vera essenza della metropoli tedesca. Una città ricca di contrasti: la metropoli in costante evoluzione intrappolata nel suo moto perpetuo che si contrappone a piccoli luoghi, angoli nascosti di quello che è stato, celati in contesti contemporanei. Sono questi ultimi che tengono ancorata Berlino alle sue radici, alla sua storia, alla sua vera identità contrastando il rischio di incorrere in un’omologazione comune a tutte le metropoli del mondo. Da queste prime considerazioni nasce la scelta del sito per il progetto di tesi, una grande area abbandonata al limite fra il quartiere del Mitte e quello di Kreuzberg, incorniciata a nord dalla Sprea e a sud dalla Köpenicker Straße, lunga strada parallela al fiume, costruita nel XVI secolo e che nel dopoguerra fu divisa dal muro e spartita tra le due parti di Berlino. Nella zona, la più densa di abitazioni di tutta la città, negli anni settanta, a causa dello stato


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Il progetto

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Prospetto Sud

Prospetto Nord

Prospetto Ovest

Prospetti fabbrica

di forte degrado, nacque un forte movimento di protesta sociale. Kreuzberg divenne il centro della scena punk rock e alternativa di Berlino Ovest. La mostra internazionale di architettura "IBA 84", tentò di porre rimedio alla situazione: le demolizioni vennero bloccate, e si iniziò una faticosa opera di ricostruzione e restauro degli edifici più fatiscenti, introducendo forme limitate di progettazione partecipata. Dopo la riunificazione, Kreuzberg è diventato un quartiere particolarmente apprezzato da giovani e studenti, per via della vicinanza al centro e del multiculturalismo. Permangono tuttavia fenomeni di degrado, piccola criminalità e spaccio di droga. L’area oggetto di studio è inserita in un contesto per la maggior parte residenziale, che presenta ancora alcuni edifici in stato di abbandono e che necessita di un polo attrattivo, una centralità che si affermi con forza per restituire un’identità definita a tutto il quartiere. È caratterizzata da una forte emergenza storica, uno di quei lasciti del passato che la città sembra aver accantonato nel suo costante divenire: l’Eisfabrik, una vecchia fabbrica del ghiaccio, rivestita in mattoni, risalente agli inizi del’900 e oggi in stato di abbandono. Essa è stata realizzata nel 1896 per volere dell’industriale Carl Bolle in un lotto di sua proprietà sulla Köpenicker Straße, lungo la Sprea. La fabbrica fu completata entro lo stesso anno e iniziò a produrre barre e blocchi di ghiaccio per rifornire birrerie, pub, negozi di alimentari e case. Nel 1910 furono completati un edificio supplementare per uffici e due edifici residenziali, mentre nel 1914 fu installata una nuova macchina per il ghiaccio che ne aumentò le capacità produttive. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti distrussero la parte destra dell’edificio residenziale causandone la totale demolizione. L’Armata Rossa prese in carico la fabbrica e la mise sotto un’amministrazione forzata fino al 1948, quando fu ceduta ad una cooperativa. Nonostante il susseguirsi, nel corso degli anni, di molti proprietari e, nonostante il calo della richiesta di ghiaccio, l’Eisfabrik ha continuato sorprendentemente la sua produzione

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fino all’Ottobre del 1991. Nel 1995 venne decisa la demolizione di tutti i fabbricati dell’edificio, provvedimento che non è mai stato eseguito. L’Eisfabrik è diventata, tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000, sede di numerose feste non autorizzate, fino a quando un incendio sotto il tetto di uno dei fabbricati ha costretto i proprietari a mettere sotto sorveglianza l’edificio. Parti della proprietà sono state vendute, tra cui l’Engine House, la Boiler House e la Ice Production Machinery, ma nonostante questo i corpi principali della fabbrica sono ancora in piedi. L’edificio è composto da due corpi di fabbrica distinti e realizzati in mattoni. Il primo contiene la vera e propria fabbrica del ghiaccio, caratterizzata da una corte centrale, che suddivide due zone di produzione: la zona macchine (Maschinehaus) e la zona di stoccaggio del ghiaccio (Eisfabrik), e da una torretta (Turm) contenente le scale che portano fino al tetto. L’altro corpo di fabbrica presenta invece un tetto a capanna, occupato dalle caldaie (Kesselhaus), a cui infatti è accostata la ciminiera, alta oltre 30 metri. Nonostante l’immobile sia stato inserito nella lista degli edifici del patrimonio di Berlino, la proprietà ha deciso di abbattere gli Hochkuhlhäuser, i magazzini frigoriferi, i più antichi di quel genere in Europa. Il destino dell’Eisfabrik è ancora incerto. L’azienda proprietaria, nonostante l’obbligo imposto dal Comune di manutenere i corpi di fabbrica ancora esistenti, ad oggi non ha effettuato nessun tipo di intervento. Il progetto si propone quindi un duplice obiettivo: da una parte l’inserimento di una nuova centralità, una funzione collettiva che possa diventare un nuovo polo attrattivo per la zona, così densa di residenze e di uffici, una nuova realtà in cui gli abitanti del quartiere possano identificarsi. Dall’altra il recupero della vecchia fabbrica, della sua fruibilità e del suo utilizzo per restituire alla città un altro piccolo pezzo della sua storia. L’intervento prevede la realizzazione di tre nuovi edifici, tutti a carattere pubblico: un auditorium, una biblioteca e un museo. È

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Planivolumetrico

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inoltre predisposto il riutilizzo della vecchia fabbrica per ospitare mostre ed eventi a carattere temporaneo. La biblioteca e il museo si accostano alla fabbrica esistente. I tre volumi sono tenuti insieme da una hall di ingresso comune, una grande copertura incastonata tra gli edifici che costituisce l’ingresso principale alla parte dell’ intervento più vicina al fiume. L’auditorium, invece, posizionato vicino alla strada, segnala l’ingresso sul lotto dalla parte urbana, invitando sulla nuova piazza alberata che inquadra il prospetto della biblioteca e proietta il visitatore verso la sponda della Sprea. Il progetto si inserisce con forza sulla morfologia del lungo fiume, dal percorso pedonale esistente costringe al passaggio, attraverso una serie di rampe o di una piccola gradonata, sulla piazza e alla riscoperta dell’Eisfabrik. Viene disegnata anche una lunga terrazza che affaccia sul fiume e permette di scendere quasi al livello dell’acqua su di un piccolo molo, per l’attracco di piccole imbarcazioni. Il prospetto sul fiume della biblioteca, con la volumetria articolata delle sue sale lettura, è prevalentemente vetrato, con un grande sistema di frangisole, al quale si accosta la facciata massiccia, rivestita in clinker, del museo che si apre sul fiume in modo puntuale sull’angolo. La presenza della fabbrica è segnalata in modo inequivocabile dalla ciminiera, che svetta su tutto l’intervento e rivela la presenza del manufatto antico, altrimenti celato dalle nuove volumetrie. La hall è il fulcro intorno al quale sono disposte le altre funzioni e contiene gli ingressi agli altri volumi. Il piano terra ha un’altezza costante di 6 metri, dettata dall’altezza dei piani dell’ Eisfabrik, il cui prospetto si inserisce nella spazialità dell’atrio comune andando a costituire un filtro per il foyer della fabbrica. Con la stessa logica gli altri due volumi, si accostano e chiudono il sistema distributivo. Il soffitto della hall è rivestito da una doppia pelle che a livello di finitura, presenta dei pannelli microforati, sorretti da un’intelaiatura metallica che sostiene un’illuminazione a led che corre lungo tutta la stanza e la illumina con una luce diffusa.

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Vista dal ponte

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_Livello 4 Biblioteca: sale lettura archivio spazio per gli impianti

Livello 4

_Livello 3 Biblioteca: sale lettura archivio mediateca

Livello 3

_Livello 2 Auditorium: regia spazio per gli impianti Biblioteca: sale lettura archivio mediateca _Livello 1 Auditorium: sala concerti sala prove Biblioteca: sale lettura archivio mediateca Museo: spazi espositivi Eisfabrik: spazi eventi temporanei

Livello 2

Livello 1

Livello 0

_Livello 0 Auditorium: foyer camerini Biblioteca: foyer emeroteca caffetteria uffici amministrativi Hall Comune Museo: foyer spazi espositivi Eisfabrik: foyer sala conferenze spazi eventi temporanei _Livello -1 Eisfabrik: spazi di servizio Museo: spazi espositivi magazzino

Livello -1

Assonometria funzionale

La biblioteca presenta un’articolazione spaziale sostanzialmente divisibile in due grandi categorie: la parte pubblica e la parte privata. La parte degli spazi serviti che affacciano principalmente sul fiume, e la parte degli spazi serventi, più chiusi, rigidi e severi che si collocano sulla piazza. La grande divisione, che caratterizza l’impianto di ogni biblioteca, è la separazione tra le zone dello scaffale aperto e di lettura con la zona dell’archivio, la grande massa che contiene i libri. Il piano terra ospita un foyer, con un bancone per le richieste d’archivio, una caffetteria che d’estate è espandibile sulla terrazza situata lungofiume, un’emeroteca con spazio riviste e l’accesso agli uffici amministrativi, impostati su due livelli all’interno dei suddetti 6 metri dal piano terra. I tre livelli superiori presentano, sul fiume, la zona della sale lettura e scaffale aperto, con i tre volumi appoggiati sul basamento, due orientati in verticale che aggettano rispetto al piano inferiore e l’altro in orizzontale. In opposizione a queste sale, separato da un triplo volume con luce zenitale, troviamo la grande massa atona dell’archivio, che ha un accesso indipendente su ogni piano, e la zona della mediateca, che prende luce da una grande vetrata bianca che si apre su una tasca, un’asola che la separa dal grande blocco archivistico in modo inequivocabile. Il rapporto tra pubblico e privato, tra archivio e scaffale aperto si rivela anche in prospetto, facendo corrispondere alle sale lettura una grande massa vetrata, trasparente, che lega l’edificio con il fiume e la città. Sulla piazza si impone la massa dell’archivio, accentuata da due grandi ombre, quella dell’ingresso arretrato e coperto da una pensilina, e quella della tasca, che divide l’archivio dalla mediateca. L’archivio prende luce, ai piani inferiori, grazie a due piccole finestre a nastro che incidono il prospetto, mentre per gli ultimi due piani, è illuminato, grazie all'arretramento dei solai, da una luce zenitale proveniente da un lungo lucernario sul tetto. Gli spazi della lettura sono divisi e impostati secondo un doppio registro: un unico grande tavolo è accostato al triplo volume, permettendo lo studio o la lettura dei volumi, a stretto contatto visivo

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Hall

con il grande contenitore archivistico, bagnato dalla luce. Dall’altra parte, nelle grandi stanze vetrate, alle quali si accede tramite il filtro delle grandi librerie dello scaffale aperto, si trovano tavoli accoppiati con quattro, o in alcuni casi, due sedute per lato. L’unica eccezione alla regola si ha nell’ultimo livello dei due blocchi verticali, con la presenza di un doppio volume, caratterizzato da un ballatoio con tavoli per lo studio, accessibile tramite una piccola e leggera scala a chiocciola realizzata in acciaio. La fabbrica viene riutilizzata in tutti i suoi spazi, gli ambienti rimangono invariati nelle loro forme e dimensioni. Vi si accede attraverso delle aperture in facciata sul prospetto principale, quello a nord, che estendono la hall, una piccola vetrata separa il foyer dalle vere e proprie sale. Nel corpo principale, entrambi i piani sono articolati intorno ad una corte centrale che separa due grandi sale, la zona delle macchine (Maschinehaus) e la zona di stoccaggio del ghiaccio (Eisfabrik), e scandite da un sistema strutturale puntiforme. L’altezza di circa sei metri di entrambi i piani e la pianta libera, permette una notevole flessibilità spaziale, che può consentire l’allestimento per mostre temporanee, eventi o feste. La luce è garantita dal prospetto ovest, che presenta una notevole superficie vetrata, a piano terra con grandi finestre e due vetrate, al primo livello con due file seriali di aperture che danno ritmo alla facciata, soprattutto nella parte dell’Eisfabrik. Accanto al corpo principale della fabbrica, si trova la Kesselhaus, l’ex zona delle caldaie a cui è accostata la ciminiera alta oltre trenta metri, caratterizzata da un tetto a capanna, che copre un'unica sala di circa undici metri di altezza dalla forma allungata che viene riutilizzata per ospitare una grande sala conferenze. La luce filtra dai grandi finestroni che si aprono sul lato ovest. La torretta (Turm) ospita il vano scale e l’ascensore, che salgono fino al tetto, dove si trova una terrazza che permette di godere di una bella vista su tutto il panorama circostante. L’intervento sulla fabbrica è capillare e il meno invasivo possibile. Oltre ai normali interventi di consolidamento delle strutture, pulizia ed eventuale sostituzione dei mattoni, il progetto aggiunge solo un blocco di servizi che funge da cerniera tra il corpo principale e

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la Kesselhaus. Prevede inoltre la sostituzione della scala, con una nuova che rispetta le normative vigenti, e l’aggiunta di un ascensore. La scelta di inserire degli spazi museali all’interno del progetto nasce dall’esigenza di conferire all’intero intervento un forte legame con la città non solo dal punto di vista formale, espressivo e materico, ma anche sotto l’aspetto sociale e culturale. Da qui la scelta di realizzare un museo che ospiti una collezione permanente di opere appartenenti a due avanguardie degli anni’20 che proprio in Germania, e soprattutto a Berlino, hanno conosciuto il periodo del loro maggiore sviluppo e notorietà: Espressionismo e Nuova Oggettività. Un’unica grande sala, pensata per ospitare invece piccole esposizioni con opere di maggiori dimensioni, si posiziona in stretto legame con il resto dell’esposizione ed è destinata a raccogliere opere di artisti, comunque tedeschi, ma più contemporanei: Beuys1o Kiefer2, solo per citarne alcuni. Si ricerca un continuo confronto tra presente e passato, tra ciò che è stato e ciò che è, e ciò rappresenta una sineddoche dell’intero progetto. Il foyer del museo si apre direttamente sulla hall comune, incorniciato da due pilastri in acciaio che inquadrano il bancone della biglietteria e del guardaroba; il livello a cui si accede non è il più basso dell’edificio, il volume si abbassa infatti fino a scomparire nell’acqua del fiume. Il percorso museale costringe a scendere per poi risalire, fino all’ultimo piano allineato con quello della fabbrica antica che gli si contrappone. La visita inizia dalla grande sala: un enorme triplo volume a cui si accede scendendo una scala morbida e distesa che 1.Joseph Beuys (1921 – 1986) è stato un pittore, scultore e performance artist tedesco. Uno dei rappresentanti più emblematici delle correnti concettuali nell’arte della seconda metà del Novecento. La sua è un’arte che si muove lungo percorsi del tutto inediti, fondendo in maniera totale la sua esistenza con il suo essere artista. 2. Anselm Kiefer (1945) è un pittore e scultore tedesco. Attraverso la sua ricerca artistica, molto elaborata e spesso tormentata, ha indagato nella storia e nel mito. Le sue opere pittoriche, frutto di una lunga e lenta elaborazione, appaiono spesse e aspre, fatte di tinte cupe e terrose, crettature, sfogliamenti e stratificazioni, e l'inserimento di materiali eterogenei ne accentua l'idea di tridimensionalità.

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dona ritmo alla discesa. Il soffitto è a sua volta scandito da enormi travi shed inclinate, che mantengono un profilo molto sottile nella parte terminale, e bagnano con una luce diffusa l’intero ambiente. La grande parete in clinker, che entra con forza nel linguaggio materico della stanza, porta il materiale usato per gli esterni in questo spazio ponendolo in contrasto con il resto delle pareti in intonaco bianco. Il percorso prosegue in due sale gemelle, una a questo livello e una a quello superiore, caratterizzate da una serie di setti murari che scandiscono lo spazio, quasi a dividerlo in tante sale espositive, illuminate artificialmente. La risalita avviene tramite una scultorea scala elicoidale incastonata in un altro piccolo triplo volume, messo in stretto rapporto con la Sprea tramite una grande finestra molto vicino all’acqua; nella sala si riscopre il fiume e un brano di città da un’altra prospettiva, insolita all’interno di un edificio. Le sale museali che ospitano la collezione delle avanguardie berlinesi permettono un percorso ad anello che inizia e termina con un doppio affaccio sulle due sale a tripla altezza: quella dell’esposizioni contemporanee, in cui una finestra incornicia uno scorcio del manufatto antico, portando un nuovo confronto tra l’innesto contemporaneo e la preesistenza storica, e quella con la scala. L’ultimo piano, rispetto agli altri due, ha un’altezza maggiore, ed è dotato di un’ultima sala, in fondo al percorso, illuminata a soffitto da un lucernario celato da un controsoffitto ribassato che bagna di luce le pareti laterali, e serve ad ospitare piccole statue, foto e stampe storiche. La volumetria del museo, dall’esterno, non rivela la sua complessità interna, ma rimane un blocco compatto e massiccio e sottolinea il suo carattere plastico, interamente rivestito in clinker. L’ultimo edificio rimasto da analizzare è l’Auditorium, che contiene la grande sala concerti e che può ospitare fino a 460 persone. La nuova volumetria, dalla forma molto allungata e protesa verso il resto dell'intervento, si accosta a due edifici residenziali esistenti, chiudendo un lato della piazza. Il grande volume della sala stacca dal resto dell’edificio rivestito sempre in clinker, stagliandosi con il

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Sezione

Pianta livello 1

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Sezione museo

Sezione biblioteca

Sezione hall

Museo

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Pianta livello 0

suo acciaio nero e incombendo sullo spazio sottostante. L’ingresso pubblico è ricavato sull’angolo tra la Köpenicker Straße e la nuova piazza pedonale, una grande vetrata che gira sull’angolo, sottesa da una pensilina in cemento bianco che richiama quella dell’ingresso all’altro complesso. Il foyer è caratterizzato da una grande cubatura in altezza, sui cui si affacciano gli altri piani dell’edificio, ed è illuminato da un grande lucernario. Il bancone della biglietteria e del guardaroba è sistemato in fondo accanto alla scala che permette di salire al piano superiore, dove si trova il vero e proprio ingresso alla sala concerti. Sul retro dell’edificio, a circa metà della piazza, troviamo un secondo ingresso, quello riservato ai musicisti, che immette in un piccolo distributivo collegato ai camerini. Sopra di essi al piano superiore, una grande sala prove occupa lo spazio, illuminata da una grande vetrata, che richiama per tipologia quella del museo, che inquadra il resto del progetto. La sala concerti presenta due gradonate, da dieci file ciascuna, ed è avvolta da un guscio di legno che la isola acusticamente e, con i suoi toni caldi, riscalda l’ambiente. All’esterno due scalinate vanno a costituire le principali vie di fuga, conducendo alle uscite di emergenza posizionate accanto all’entrata di servizio. Il soffitto è composto da grandi pannelli, rivestiti di un materiale che riflette il suono, la cui forma e altezza sono studiate in modo tale da avere la maggior resa acustica possibile per la sala. I pannelli sono sfalsati tra loro e permettono, se necessario, alla luce naturale di penetrare nella sala dall’alto, attraverso un sistema di lucernari che si alternano al sistema strutturale, con un sistema di riflessioni dovuto alle geometrie dei pannelli stessi, realizzati con una forma convessa. Il palco è leggermente rialzato ed è caratterizzato da un fondale composto da tanti piccoli listelli di legno affiancati e posti su tre pannelli curvi, sfalsati tra loro. La regia, infine, è posizionata all’ultimo piano, sopra l’ingresso alla sala, e vi si accede tramite una piccola scala di servizio che serve a raggiungere anche il locale impianti posizionato sul tetto.

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Sala concerti

Materiali e Tecniche costruttive Tutto l'intervento mantiene una certa uniformità, sia nelle scelte architettoniche e volumetriche, sia per quanto riguarda le scelte materiche effettuate. L’impianto strutturale è composto da travi e pilastri in acciaio, scelta dovuta sia alla facilità di messa in opera che per la grande resistenza alle sollecitazioni. All’esterno, il materiale principale che riveste i volumi è il clinker, un tipo di laterizio ottenuto con la cottura delle materie prime a temperature molto elevate, tali da indurre quasi una vetrificazione del materiale. Tale trattamento rende il materiale particolarmente denso e resistente, anche dal punto di vista meccanico, e gli conferisce una superficie estremamente dura e non igroscopica. Ne esistono di varie colorazioni, quella utilizzata nel progetto è dovuta al confronto che le nuove volumetrie devono sostenere con la fabbrica, realizzata in mattoni di un rosso quasi bruno. La scelta materica del clinker deriva, inoltre, dal massiccio utilizzo che ne viene fatto in tutta la Germania. Numerosi sono infatti gli esempi di edifici con questo tipo di materiale a Berlino, da piccole residenze a imponenti edifici. Il materiale stesso stringe un rapporto con il luogo in cui si inserisce e si integra con la città diventandone parte. Per le aperture e le grandi vetrate viene utilizzato un vetro antiriflesso, tripla camera e leggermente oscurato, che consente il mantenimento del comfort termoigrometrico all’interno, sia in estate che in inverno. Gli infissi, invece, sono realizzati in acciaio nero, che contrasta con il clinker e conferisce una nota industriale a tutto il progetto. In pannelli di acciaio nero è anche il rivestimento del grande volume della sala concerti, che spicca e incombe sulla piazza. Le pensiline, gli attacchi a terra e le scossaline delle parti in clinker, sono realizzate in cemento bianco, che, oltre a creare un ottimo contrasto materico e cromatico, accentuano le volumetrie dei nuovi edifici. In tutto l’intervento, con qualche piccola eccezione, le pareti e i soffitti sono intonacati di bianco, e la pavimentazione è realizzata

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in calcestruzzo grigio scuro con finitura lucidata. Il primo dettaglio costruttivo rivela la struttura di uno dei blocchi delle sale lettura che affacciano sul fiume, la grande facciata in vetro, orientata a nord, è divisa e schermata da una serie di frangisole verticali, con spessore 10 cm. Il solaio è arretrato di 60 cm, sfruttando un profilato in acciaio che supporta l’ultima parte della pavimentazione e si attacca al telaio dei frangisole, che supportano anche gli infissi. Le travi HEB 450 compongono l’orditura primaria e sono realizzate con asole di alleggerimento da cui passano gli impianti, mentre l’orditura secondaria è composta da travetti IPE 270. Il controsoffitto è isolato acusticamente da un materassino fonoassorbente, così come il pavimento galleggiante, appoggiato sul massetto con la rete elettrosaldata. I pilastri in acciaio sono lasciati a vista e arretrati rispetto alla facciata. I tetti sono praticabili solo a scopo manutentivo, mentre il solaio di fondazione è areato con il sistema a igloo. La fondazione è realizzata a travi rovesce. L’isolamento termico è ottenuto tramite l’utilizzo di blocchi in calcestruzzo cellullare, che garantiscono buoni valori di trasmittanza termica e velocità di posa, nonostante un peso specifico ridotto. Dove l’utilizzo di questi non è possibile, vengono inseriti pannelli accoppiati di lana di roccia. Nel dettaglio si nota anche la scala a chiocciola in acciaio che serve per raggiungere il ballatoio all’ultimo piano, inserito nel doppio volume. Il secondo dettaglio è invece esplicativo per le parti di rivestimento in clinker, in quanto analizza la grande facciata dell’archivio. La facciata ventilata è ottenuta tramite una griglia di sostegni in acciaio, che ha la duplice funzione di distanziatore e sostegno per i pannelli su cui vengono applicati i mattoni. I mattoni in clinker, di dimensione 25x12,5x7,5 cm, più grandi dei mattoni tradizionali, sono posati secondo file orizzontali sfalsate e al livello del tetto è inserito un ricorso in cemento bianco con gocciolatoio che funge da scossalina. La facciata a sbalzo presenta dei profilati strutturali in acciaio che irrigidiscono la struttura. Il lungo lucernario sul tetto è leggermente rialzato per permettere il corretto deflusso dell’ac-

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Vista d'insieme

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Dettaglio Costruttivo

3 Legenda 1_Solaio di Copertura ghiaia strato di tessuto - non tessuto pannelli isolanti in lana di roccia barriera al vapore massetto di pendenza (2%) massetto + rete elettrosaldata lamiera grecata collaborante trave secondaria in acciaio IPE 270 trave in acciaio HEB 450 sostegni controsoffitto pannelli fonoassorbenti pannelli in gesso alleggerito intonacati luci led a soffitto a sospensione

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2 x 80 mm 10 mm 50 mm

40 mm 30 mm

2_Attacco Parete Vetrata - Solaio scossalina pannelli in fibra di cemento 900 x 900 x 20 mm guide in acciaio per pannelli blocchi di calcestruzzo cellulare 500 x 400 x 250 mm intonaco cementizio travetto in acciaio 120 x 120 mm pannelli fonoassorbenti 40 mm oscurante automatizzato telaio infisso in alluminio vetro temperato tripla camera frangisole a lamelle rettangolari fisse 3_Solaio Interno pavimentazione in cls lucidato sostegni pavimentazione galleggiante membrana fonoassorbente massetto + rete elettrosaldata lamiera grecata collaborante trave secondaria in acciaio IPE 270 trave in acciaio HEB 450 sostegni controsoffitto pannelli fonoassorbenti pannelli in gesso alleggerito intonacati luci led a incasso

30 mm 50 mm

40 mm 30 mm

4_Vetrata telaio infisso in alluminio vetro temperato tripla camera pilastro HEB 400 5_Solaio Controterra pavimentazione in cls lucidato sostegni pavimentazione galleggiante membrana fonoassorbente barriera al vapore pannelli isolanti in lana di roccia massetto + rete elettrosaldata vespaio ventilato cupolex magrone barriera al vapore terra di riporto fondazione a travi rovesce magrone barriera al vapore terreno

30 mm 10 mm 2 x 80 mm 200 mm 40 mm 10 mm 200 mm 10 mm

6_Pavimentazione Esterna pannelli defender per isolamento controterra sostegno pannelli pavimentazione esterna in granito membrana impermeabile 10 mm massetto di pendenza (2%) vespaio 300 mm terreno

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Dettaglio Costruttivo

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Legenda 1_Solaio di Copertura ghiaia strato di tessuto - non tessuto pannelli isolanti in lana di roccia barriera al vapore massetto di pendenza (2%) massetto + rete elettrosaldata lamiera grecata collaborante trave secondaria in acciaio IPE 270 trave in acciaio HEB 450 sostegni controsoffitto pannelli fonoassorbenti pannelli in gesso alleggerito intonacati luci led a incasso

3 2 x 80 mm 10 mm 50 mm

40 mm 30 mm

2_Attacco Parete - Solaio scossalina pannelli in fibra di cemento 900 x 900x 20 mm guide in acciaio per pannelli lucernario per tetti blocchi di calcestruzzo cellulare 500 x 400 x 250 mm struttura metallica controparete controparete rivestita con clinker 3_Finestra telaio infisso in alluminio vetro temperato tripla camera montante in acciaio rettangolare 4_Solaio Interno pavimentazione in cls lucidato sostegni pavimentazione galleggiante membrana fonoassorbente massetto + rete elettrosaldata lamiera grecata collaborante trave secondaria in acciaio IPE 270 trave in acciaio HEB 450 sostegni controsoffitto pannelli fonoassorbenti pannelli in gesso alleggerito intonacati luci led a incasso

400 x 150 mm

30 mm 50 mm

40 mm 30 mm

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5_Pensilina scossalina pannelli di rivestimento in cls barriera al vapore travetto IPE 140 sostegni per pannelli pannelli di rivestimento in cls 6_Vetrata telaio infisso in alluminio vetro temperato tripla camera pilastro HEB 400 7_Solaio Controterra pavimentazione in cls lucidato sostegni pavimentazione galleggiante membrana fonoassorbente barriera al vapore pannelli isolanti in lana di roccia massetto + rete elettrosaldata vespaio ventilato cupolex magrone barriera al vapore terra di riporto fondazione a travi rovesce magrone barriera al vapore terreno

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6 30 mm 10 mm 2 x 80 mm 200 mm 40 mm 10 mm 200 mm 10 mm

8_Pavimentazione Esterna pannelli defender per isolamento controterra sostegno pannelli pavimentazione esterna in granito membrana impermeabile 10 mm massetto di pendenza (2%) vespaio 300 mm terreno

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qua piovana. Per quanto riguarda le pavimentazioni esterne sono stati usati tre materiali: dei piccoli ricorsi in cemento bianco scandiscono la piazza, definendo delle geometrie che suddividono lo spazio minerale in due tipologie di rivestimento. La prima, più nobile, è composta da lastre di granito chiaro con finitura liscia, che sottolineano gli accessi principali e le zone a stretto contatto con gli edifici. La seconda, classica per una città come Berlino, è invece realizzata con il granito slesiano, cavato e importato dalla Polonia, costituito da tante piccole pietre appena sbozzate e incastrate l’una con l’altra di un classico colore grigio scuro. Anche lo studio dei materiali delle pavimentazioni, infatti, contribuisce a integrare al meglio un progetto di architettura nel suo contesto. Maquettes Per la migliore comprensione possibile delle volumetrie, della spazialità urbana e architettonica del progetto di tesi, oltre agli elaborati grafici, sono stati realizzati tre modelli in cartonlegno. Il primo, con un ingombro di 60x60 centimetri, rappresenta una scala urbana (1:1000) del contesto in cui il progetto si inserisce e definisce il suo rapporto con un brano di città. Il secondo scende ad un livello più architettonico (1:200), e analizza la parte di progetto più vicina al fiume. Comprende l'Eisfabrik, il museo e la biblioteca ed è realizzato su una base di 90x60 centimetri. Il terzo, e ultimo, analizza uno dei blocchi vetrati delle sale lettura, scendendo in una scala più di dettaglio (1:50). Il modello aiuta a comprendere lo spazio interno e il rapporto tra le stanze sui vari piani.

Piazza

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Modello scala 1:1000, vista zenitale.

Modello scala 1:1000, vista volo d'uccello.

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Modello scala 1:200, vista volo d'uccello.

Modello scala 1:200, vista volo d'uccello.

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Il progetto

Modello scala 1:50, vista accidentale.

Modello scala 1:50, vista frontale.

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Conclusioni

Uno Scorcio della città dal tetto dell'Eisfabrik, Köpenicker Straße 40, Berlino.

Durante tutto l’iter progettuale si è cercato di tenere in considerazione, da una parte, il contesto urbano nel quale gli edifici prendono forma, dall’altro, l’obiettivo che il progetto si proponeva. Allo stesso tempo, lo sforzo di una continua lettura e scoperta del contesto berlinese, sotto ogni aspetto, da quello umano a quello urbanistico, ha portato ad approfondire storie e realtà eterogenee che confluiscono nella città. Dallo studio delle avanguardie degli anni venti, alla riflessione dei frammenti storici, una rilettura dei lasciti del tempo che la città conserva anche in angoli remoti, insoliti e poco conosciuti. Si è così delineata una gerarchia di priorità che la progettazione ha cercato di rispettare: dalla creazione di un nuovo polo attrattivo alla riscoperta di un manufatto storico abbandonato sulla sponda della Sprea. Il risanamento di un brano di città, il rinnovato rapporto tra la collettività ed il suo fiume. All’interno dell’area, il progetto del centro culturale diventa uno spazio messo a disposizione della comunità, volto a far riscoprire una zona che la città sembrava aver dimenticato. Il progetto si impone come luogo centrale per il quartiere nel quale è inserito. Grazie alle sue molteplici e diversificate funzioni, garantisce una certa continuità attrattiva durante l’arco della giornata. Un luogo volto a creare un forte senso identitario sotto ogni aspetto culturale; il museo che ospita collezioni di avanguardie tedesche, la biblioteca che invita a scoprire, esporre e approfondire le diverse culture e tradizioni, e l’auditorium volto ad ospitare concerti classici o contemporanei. La restituzione alla collettività di un manufatto antico che racconta una parte della complicata storia di Berlino, attraverso i segni sulla propria pelle, o semplicemente attraverso le sue volumetrie. Il progetto mantiene una certa dualità stilistica, da una parte parla un linguaggio contemporaneo ma identitario per la realtà berlinese, dall’altra si confronta con la fabbrica in una sorta di dialogo con il passato.


Bibliografia

Bibliografia Agamben Giorgio, Che cos'è il contemporaneo?, Nottetempo, 2008. Arrigoni Fabrizio F.V., Note su progetto e metropoli, Firenze University Press, 2004. Benjamin Walter, Infanzia Berlinese: intorno al millenovecento, Adorno, 1950. Benn Gottfried, Lo smalto sul nulla, Adelphi, 1992. Bishop Claire, Museologia radicale. Ovvero, cos'è «contemporaneo» nei musei d'arte contemporanea?, Johan & Levi, 2017. Chiarini Paolo e Gargano Antonella, La Berlino dell'espressionismo, Editori Riuniti Roma, 1997. Döblin Alfred, Berlin Alexanderplatz, S. Fischer Verlag, 1929. Forte Luigi, Berlino città d'altri. Il turismo intellettuale nella Repubblica di Weimar, Neri Pozza, 2017. Gargano Antonella, Progetto metropoli: la Berlino dell'espressionismo, Silvy, 2012. Hegemann Werner, La Berlino di pietra. Storia della più grande città di caserme d'affitto, Mazzotta, 1975. Lehmann Niels e Rauhut Christoph, Fragments of metropolis - Berlin, Hirmer, 2015. Norberg-Schulz Christian, Genius loci. Paesaggio, ambiente, architettura, 1979. Pontiggia Elena, La Nuova Oggettività tedesca, Abscondita, 2002. Rossi Aldo, L'architettura della città, Marsilio, 1966. Scheerbart Paul, Glasarchitektur, Verlag Der Sturm, 1914. Simmel Georg, Le metropoli e la vita dello spirito, 1903. Stimmann Hans, Berlino: fisionomia di una grande città, Skira, 2000. Weitz Eric D., La Germania di Weimar. Utopia e tragedia, Einaudi, 2008. Zevi Adachiara, Monumenti per difetto, Donzelli, 2014.

Sitografia Berlino abbandonata: https://www.abandonedberlin.com Edifici di Berlino, la sua architettura e i suoi luoghi storici: www.elephantinberlin.com Foto storiche: http://www.bilderbuch-berlin.net Ministero Sviluppo Urbano di Berlino: https://www.stadtentwicklung.berlin.de Quotidiano online: https://www.ilmitte.com Sito dedicato all'Eisfabrik: https://www.berlin-eisfabrik.de Sito sui musei di Berlino: https://www.kulturprojekte.berlin/

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Filmografia Asfalto (Asphalt), Joe May, 1929. Berlin Alexanderplatz, Rainer Werner Fassbinder, 1980. Berlino, sinfonia della grande città (Berlin, die sinfonie der großstadt), Walter Ruttmann, 1927. Cabaret, Bob Fosse, 1972. Christiane F., Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (Christiane F., Wir Kinder vom Bahnhof Zoo), Uli Edel, 1981. Faust (Faust, eine duetsche volkssage), Friedrich Wilhelm Murnau, 1926. Germania anno zero, Roberto Rossellini, 1948. Good Bye Lenin, Wolfgang Becker, 2003. I Nibelunghi (Nibelungen), Fritz Lang, 1924. Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin), Wim Wenders, 1987. Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari), Robert Wiene, 1920. Il Golem, come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welt kam), Paul Wegener Carl Boese, 1920. L'angelo azzurro (Der blaue Engel), Josef Von Sternberg, 1930. L'uovo del serpente (Das schlangenei), Ingmar Bergman, 1977. La caduta degli dei, Luchino Visconti, 1969. Le vite degli altri (Das Leben der Anderen), Florian Henckel von Donnersmarck, 2006. Metropolis, Fritz Lang, 1926. Mephisto, István Szabó, 1981. Nosferatu, il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), Friedrich Wilhelm Murnau, 1922. Scandalo internazionale (A foreign affair), Billy Wilder, 1948.


Ringraziamenti

In conclusione del lavoro di tesi, è necessario ringraziare alcune persone, che mi hanno accompagnato in questo percorso con saggezza e utili consigli, senza le quali, la redazione del mio lavoro non sarebbe stata possibile. Al professore Fabrizio F.V. Arrigoni, relatore di questa tesi di laurea, oltre che per l’aiuto fornitomi in tutti questi anni e la grande conoscenza e consapevolezza che mi ha donato, per l'enorme disponibilitĂ , precisione e gentilezza dimostratemi durante tutto il periodo necessario al compimento del lavoro. Ringrazio il professore Roberto Bologna, per i preziosi consigli sugli aspetti tecnologici e ambientali del progetto, il professore Alberto Bove per la risoluzione di alcuni aspetti strutturali e costruttivi e il professore Simone Secchi per lo studio effettuato sull'acustica della sala concerti e i preziosi consigli sul posizionamento e il dimensionamento degli impianti. A Emma, per la pazienza e l'infinito supporto durante tutto il percorso universitario, per i suoi consigli, il suo amore e la sua costante presenza che mi hanno aiutato a crescere in questi anni. Sono fortunato ad averti con me, ogni giorno della mia vita. Ai miei genitori Alberto e Daniela e a mia nonna Carla, per gli incoraggiamenti, il sostegno morale e l'affetto che non mi hanno mai fatto mancare in tutti gli anni della mia formazione, tutto questo non sarebbe stato possibile senza di voi. Agli amici di sempre, Chiara, Ilario e Tommaso, che con la loro presenza e in modi diversi, attraverso parole, gesti, messaggi e risate mi hanno incoraggiato e aiutato a migliorare.

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A Tommaso, Edoardo, Marina e Francesca, compagni imprescindibili di questo cammino universitario, senza i quali non sarei riuscito ad affrontare gioie e dolori di questi anni, che hanno arricchito la mia vita e reso piĂš leggero il mio percorso. Grazie per ogni momento trascorso. A Leonardo, Valeria, Giulia, Isabella, Iacopo, Federico, Andrea, Emilio, Chiara e Stella con cui ho condiviso gran parte di questo percorso, per le risate, l'incoraggiamento e le serate passate insieme davanti a un bicchiere di vino, grazie di cuore.



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