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Yemen, dove la religione divide

“D io è grande, morte all’America, morte a Israele, morte agli ebrei, viva l’Islam!” queste sono le parole dei bambini che abitano la città di Sana’a, capitale dello Yemen, occupata da ormai 5 anni dalle milizie ribelli degli Huti. Nelle immagini dei vari reportage, le uniche trasmesse raramente, vediamo una capitale distrutta dai bombardamenti di aria e di terra e gruppi di bambini e ragazzi che urlano il motto degli Huti, sognando un giorno di diventare piloti di jet bombardieri. Ma facciamo per un attimo, un passo indietro. Nel lontano 2012, il popolo yemenita venne chiamato alle urne e venne eletto il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, considerato da molti un progressista, vicino all’Arabia Saudita e dunque all’ambiente Sunnita, con una votazione considerata valida dalla comunità internazionale. Nel settembre del 2014, dopo poco meno di due anni di governo, una parte degli abitanti della capitale Sana’a -vicini all’ex presidente Ali Abdallah Saleh (conservatore sciita)- insorse, appoggiata dalle forze dei ribelli Huti già presenti nella regione di Sa’da, governatorato con una forte presenza di musulmani della corrente sciita. Il presidente Hadi dovette scappare ed insieme al suo governo si spostò nella città di Aden, nella regione sud orientale del Paese. Il 19 marzo 2015, le milizie degli Huti lanciarono un’offensiva verso sud per espandere la loro area di controllo, e spostare la linea del fronte più vicina possibile ad Aden, la guerra iniziò ufficialmente in questo giorno. Le fazioni coinvolte dunque sono: il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen, sostenuto dall’Arabia Saudita a capo di una coalizione di Paesi arabi di religione musulmana sunnita, dagli USA, dalla Francia e dal Regno Unito (queste ultime tre forze in teoria sono presenti solo per una generica lotta al terrorismo, con lo scopo di contrastare le forze di Al-Qaida presenti in Yemen); il Consiglio Politico Supremo, appoggiato dalle milizie Huti e -a detta dell’Arabia Saudita e dell’ONU- dall’Iran (anch’esso sciita); infine c’è la fazione terrorista di Al-Qaida, che è attualmente presente nelle regioni sud-occidentali dello Yemen, sotto il controllo militare e politico del governo di Hadi. Attualmente la coalizione Saudita, formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Giordania, Senegal e Sudan, ha imposto un embargo navale, aereo e terrestre su tutto il confine dello Yemen; e per tutta la durata del conflitto, ha condotto secondo Amnesty International, con il supporto degli Stati Uniti, bombardamenti su obiettivi civili e ospedali, utilizzando armi vietate a livello internazionale. Notiamo, come spesso purtroppo avviene in questi casi, che questo scontro, cominciato come una semplice insurrezione popolare, sia diventato una vera e propria guerra per procura, ovvero un conflitto che vede due Paesi nemici (l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita) impegnati in fronti opposti, a sostegno di fazioni opposte. Secondo dati forniti dalle Nazioni Unite, l’Arabia Saudita e la coalizione araba hanno fatto il doppio delle vittime -sia militari che civili- di qualsiasi altro esercito impegnato

nella guerra. Ma se le ostilità vanno avanti da cinque anni, ci sono mai stati tentativi di tregue o accordi di pace? Eccome. La primissima tregua risale al maggio del 2015, i due principali schieramenti si accordarono su cinque giorni (12-17 maggio 2015) di un cessate il fuoco violato al quarto giorno, il 16 maggio. Successivamente l’8 dicembre 2015, presso Ginevra il governo di Hadi e gli Huti, rappresentati dall’ex presidente Saleh, trovarono un altro accordo per un cessate il fuoco che sarebbe dovuto durare dal 14 al 21 dicembre, ma venne violato il 18 dicembre dall’esercito filogovernativo yemenita per condurre un attacco con lo scopo (disatteso) di riconquistare la capitale. Poi ancora, la seconda tregua più duratura del conflitto (anche se violata diverse volte), durò da marzo ad agosto 2016, per permettere una parziale ricostruzione e soprattutto lo scambio di alcuni prigionieri, l’Arabia Saudita si impegnò a non bombardare più la regione di Sa’da; ma fu proprio l’Arabia Saudita a causare la rottura ufficiale di questa tregua quando, dopo cinque mesi, alcuni jet bombardarono “per errore” la città Huti di Sa’da. Da qui il conflitto si inasprisce e si intensificano i bombardamenti, gli attacchi e le rappresaglie di entrambe le fazioni soprattutto su obiettivi civili. Il 13 dicembre 2018, a Stoccolma Hadi e Saleh raggiungono un nuovo accordo per una tregua di sei mesi e per la demilitarizzazione della città di Holeida, importante porto per l’arrivo e il trasporto degli aiuti umanitari dell’ONU e di WFP. Sebbene ufficialmente la tregua sia continuata fino a giugno 2019 (quindi per i sei mesi accordati), gli scontri non si sono fermati in molte zone del fronte. Finito il cessate il fuoco a giugno 2019, la guerra in Yemen va avanti senza sosta da allora, senza che nessuno ne parli, senza che nessuno se ne ricordi. Ma non è finita qui. Come sicuramente già sapete, a patire di più queste guerre civili non sono i ribelli o i presidenti, i saleh o gli Hadi, ma quella fazione inerme di cui si parla poco: i civili. Secondo i dati ONU l’80% dei 28 milioni di abitanti dello Yemen manca di beni di prima necessità e sopravvive solo grazie agli aiuti giornalieri di ONU, WFP e Save the Children e tra questi ci sono circa 12 milioni di bambini (dati UNICEF). Sono sempre dei dati ONU a farci capire quali sono le vittime tra i civili di questo conflitto, l’ultimo dato risale al 2016 e parla di un numero compreso tra le 4mila e le 10mila vittime, queste sono le persone morte tra il 2015 ed il 2016 a causa dei bombardamenti o comunque degli attacchi e delle battaglie. Il dato infatti non tiene conto dei morti di fame o di sete causati dal conflitto, si stima (sempre ONU) che siano 3 milioni le persone che rischiano di morire di fame e tra questi, quasi un milione e mezzo di bambini; il dato totale dei morti di malnutrizione non lo abbiamo, né possiamo immaginarlo. Un dato che invece abbiamo, diffuso sempre dalle Nazioni Unite è il numero di casi di colera registrati: con oltre 1,2 milioni di casi ufficiali, quella dello Yemen è la più grande epidemia di colera mai registrata. E ancora una volta, alla fine di questi articoli-denuncia ci chiediamo: perché ci deve interessare? Come se non bastasse l’orrore che si sta consumando ogni giorno, come se la perdita anche di una singola vita umana non ci debba interessare. Oltre a tutto ciò, noi dobbiamo sapere di questa guerra e dobbiamo fare di tutto per fermarla perché sono anche le nostre bombe a cadere sui bambini di Sana’a o di Sa’da, sono anche i nostri cannoni a sparare sulle persone di Holeida: esatto, l’Italia vendeva fino a pochi mesi fa armi leggere e pesanti all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, due Paesi fortemente coinvolti in questa guerra. Quando tutto questo si è venuto a sapere e la notizia è girata su alcuni telegiornali nazionali per 3 o 4 giorni, a maggio del 2019 il parlamento ha approvato una mozione per cessare la vendita di armi pesanti all’Arabia Saudita ed agli Emirati per 18 mesi, è un primo passo ma non basta. Purtroppo la guerra, e in particolar modo questa guerra, non è mai semplice, non si può trovare una soluzione subito, ma quello che facciamo con questo numero è fondamentale: informare su ciò di cui nessuno parla, soprattutto se si tratta di temi di tale importanza, è fondamentale. Noi, le guerre e le morti silenziose, spesso anche causate dalla necessità di arricchirsi, intrinseca alla nostra società, non le dimentichiamo.

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