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EDITORIALI
IMPRONTE
di Riccardo Magnanelli Tutti gli esseri umani, sin da quando la nostra specie ha preso coscienza di sé, hanno cercato di lasciare una traccia, qualcosa che permettesse loro di essere ricordati. Se c’è una cosa che ho imparato dopo aver letto, tradotto e studiato decine di letterati e filosofi per cinque anni è che la vita è caduca e il tempo che abbiamo a disposizione in questo strano universo è un lasso terribilmente ristretto per le nostre potenzialità. Ed è forse per questo motivo che abbiamo la scrittura e le arti: certo, sono strumenti che ci hanno permesso di condividere pensieri, idee, prospettive, ma intrinsecamente a questi pilastri fondanti della nostra umanità c’è il solo desiderio di oltrepassare i limiti della nostra vita, permanere nella memoria degli altri eternamente. Pensiamo semplicemente alle impronte di mani lasciate dagli uomini primitivi di 40000 anni fa nelle caverne: non sappiamo perché i nostri antenati lasciarono questi disegni, ma possiamo supporre che fossero proprio il modo migliore che conoscessero per dimostrare ai posteri che loro erano passati di lì, che erano vivi. Oppure pensiamo alle opere d’arte di tutti gli artisti susseguitisi in questi anni, di cui apprezziamo la bellezza o il loro significato e grazie alle quali gli artisti sopravvivono tuttora nei libri di storia dell’arte. E i greci classici per i quali gli eroi, morendo, pur non potendo godere della divinità per più di un solo attimo, raggiungono l’immortalità grazie al ricordo degli uomini. E magari, indirettamente, è proprio a questo bisogno primario di non sparire che assolve La Lucciola da quando con Aureliano è nata, nel 2001. Non fraintendetemi, non voglio fare paragoni azzardati, ma nel piccolo della mia vita scolastica ‘A ‘UCCIOLA si è effettivamente rivelata un mezzo importante per lasciare qualcosa di personale ad una scuola che, a suo modo, in questi ultimi anni mi ha cresciuto. Un modo per dimostrare che anche noi della generazione Z siamo degni di memoria e che, alla faccia di chi ci considera buoni solo a spizzare Instagram, siamo capaci di grandi cose di cui andare fieri e per cui essere ricordati, come la stessa cura di un vero giornale, siamo esseri pensanti, siamo vivi. La mia vita non è nemmeno all’inizio del suo terzo decennio ma già ora c’è un limite che sto per valicare, oltre cui non so cosa mi aspetti. Il futuro che ho davanti è incerto, sicuramente diverso dalla mia esperienza passata: compagni di banco, di classe, di teatro, di MUN, di redazione; ore di lezione, di buco, in corridoio; la mia giornata era scandita da una campanella difettosa, da una bustina di pizzette e dalle lamentele su quel professore o quell’altro con gli amici. Impossibile non citare quindi la situazione attuale, che ci ha impedito di sorridervi distribuendo questo fascicolo e annunciando il nostro trionfale arrivo come arrotini e ombrellai o, banalmente, di vivere la noiosa routine a cui tanto – almeno io – mi sono affezionato. Ormai mi resta solo una cosa da dire a questo austero edificio, a chi vi lavora, a chi vi ha studiato e a chi vi sta ancora studiando: grazie, perché voi avete voluto lasciare nel mio cuore un disegno pigmentato della vostra mano per il quale sarete sempre felicemente ricordati. Spero che, con le mie azioni, con le mie parole e con questo giornale, abbia lasciato in voi la mia impronta.
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4 MARZO, ULTIMO GIORNO DI SCUOLA
di Jacopo Augenti E dunque ci siamo. Ma dove? Dove siamo? Per quanto ne sappiamo ci siamo nel tempo, scuola sta finendo, questi sono gli ultimi giorni da calendario, eppure fisicamente non ci siamo. Fisicamente siamo fermi a marzo, magari con qualche chilo in più (o in meno per gli sportivi), siamo immobili. Fissi a guardare uno schermo illuminato che ora chiamiamo “scuola”, siamo rimasti immobili a fissare sul divano quella conferenza stampa che inizialmente ci ha fatto gioire: abbiamo saltato verifiche e interrogazioni; ma che adesso con tutti noi stessi ripudiamo. Questo virus mi ha portato via qualche progetto, qualche idea, un paio di ansie -almeno all’inizio-, ma soprattutto, mi ha portato via da scuola in anticipo. Forse il mio editoriale d’addio dovevo scriverlo del numero immediatamente successivo al lockdown, eppure eccomi qui, come ogni giorno, davanti al computer. Niente più chiacchierate con Francesco e Loredana tra un’ora e l’altra, niente più discussioni con la preside, sono finite anche le risate che ci facevamo in cortile e le sigarette che fumavamo di nascosto. A marzo ho perso tutto ciò, quel quattro marzo, un giorno come tutti, quello è stato il mio ultimo giorno di scuola, l’avessi saputo prima avrei salutato con un abbraccio ognuno di voi, ogni singolo studente, studentessa e student* del Manara. Perché tutti mi avete cambiato, certo qualcuno in maniera più “significativa”, ma tutte, tutti e tutt* voi mi avete dato qualcosa, anche non volendo, anche se vi sono sempre stato sul cazzo. E poi La Lucciola. Entrata prepotentemente nella mia vita due estati fa, mi ha fatto conoscere persone straordinarie (due delle quali saranno direttrici l’anno prossimo) e fare esperienze indimenticabili. Non posso rimanere troppo vago, qualcuno lo devo citare: ai miei più grandi amici, sapete chi siete, grazie di avermi reso una persona migliore; al mio avversario politico, Filippo Gattini, dico grazie di avermi aperto gli occhi su molte cose pur avendo meno esperienza di me; alla professoressa che mi ha seguito per cinque anni, che mi ha visto crescere e che -in parte- mi ha cresciuto come una “Zia”, per lei il grazie è quantomeno doveroso, ma in questo caso veramente sentito; infine grazie a tutt*, tutte e tutti voi compagni in un viaggio che si è concluso prima del previsto. Non dimentichiamoci che sono 100 aziende a produrre il 73% delle emissioni globali di CO2 nell’atmosfera, ma oggettivamente. Tornerò a trovarvi, quando il più grande ladro di tempo degli ultimi settantacinque anni sarà stato sconfitto. Non sono più uno studente del Manara, ma sarò sempre un manariota.
COMPAGNI
di Filippo Perticara Eccoci qua, no non è l’inizio di una maratona Mentana, ma l’unico modo simpatico che ho trovato per iniziare questo editoriale. Siete abituati a leggere la mia firma sotto gli articoli di attualità, spero mi perdonerete se invece di trovare la puntuale analisi politica, vi lascio con questo incrocio tra lettera ed editoriale che altro non è se non il mio saluto al giornale, ma soprattutto alla grande scuola che mi ha accolto per cinque anni e che spero continui a stampare questo giornale. Stampare: non ho usato questo verbo perché il più comune quando si parla di un giornale, ma perché torno a ribadire come ho sempre fatto in questi anni, di cui gli ultimi due passati nella redazione, che La Lucciola è nel rito delle copie stampate da Loredana e poi distribuite a ricreazione nelle mani di tutti gli studenti e lasciate nelle classi. La Lucciola è nella soddisfazione di aprire e vedere come è stato impaginato il proprio articolo. La Lucciola è un giornale che vive sulla carta e tale deve rimanere. Ciclicamente si propone di tagliare il numero di copie perché è una spesa per la scuola o perché bisogna essere ecologici. E io che avevo la presunzione di farlo eliminando la mole di carta che va prodotta anche per la più banale richiesta a scuola, come in qualsiasi ente pubblico. Non me la prendo con nessuno, ma dato che ogni anno ritorna la solita proposta ci tengo a fissare qui, su carta, la mia opinione che è senza dubbio quella di tutte le redazioni che si sono avvicendate negli anni. Questo discorso non vale solo per il nostro giornale, ma per tutta l’informazione. Sono ben consapevole dei vantaggi della tecnologia, ma non lasciate morire la carta stampata perché nulla può sostituire l’andare a riprendere la copia conservata di un giornale e risfogliarlo lasciando venire alla mente i ricordi. Concluso il capitolo “feticismo per la carta”, voglio ringraziare questo spazio che mi ha sempre offerto le sue colonne per far arrivare a chi mi leggeva ciò su cui sentivo il bisogno di accendere e dirigere un faro. Fare questo da un periodico mi ha dato la possibilità di approfondire e riflettere prima di ogni parola senza dover sentire l’urgenza dell’uscita imminente, anche se il più delle volte questo ha provocato le ire di Jacopo, a cui però voglio tanto bene e ringrazio per aver diretto questo giornale insieme a Riccardo con tutti gli oneri a cui non si sono mai sottratti neanche con la maturità alle porte. Se La Lucciola è preziosa perché è cartacea in un’epoca segnata da un dominio tecnologico sempre più avanzato, perché spazio di approfondimento curato nei minimi dettagli, tutto questo lo deve al contesto in cui è nata e continuerà a crescere e migliorare: il Liceo Classico Statale “Luciano Manara”. Qui si fa scuola con la S maiuscola, perché in una piccola realtà di una stradina di Monteverde c’è una scuola che ti non ti lascia mai indietro, da tutti coloro che vengono a scuola anche la domenica perché l’orientamento non è lasciato al caso, passando per due colonne portanti e oso dire istituzioni di questo Liceo come i mitici Giovanni e Deborah ( vi saluto per nome) che fanno le ore piccole per pubblicare la circolare o organizzare la supplenza, fino a ogni singola persona che contribuisce a rendere il Manara “oggettivamente, la scuola più bella del mondo”. È una scuola dove “ a scuola non si fa politica” è un concetto che non è mai entrato e mai dovrà farlo, perché come fa la fucina delle nuove generazioni, il luogo dove i giovani formano le proprie menti, a non essere politica. Come fai a studiare i più grandi pensatori e non sentirti in dovere di dire la tua sulla notizia di oggi e fare a testate, metaforicamente, con il mio omonimo dal cognome felino che vuole fare la rivoluzione pure per il rubinetto che perde o che decide di rappresentare la Cuba di Fidel in quel fantastico progetto che è il MUN. Questo intendeva Calamandrei quando diceva che la prima istituzione democratica è la scuola, o almeno io così interpreto e metto in pratica quelle parole dette agli studenti milanesi che tutti dovremmo leggere. Questo e molto altro è il Manara, e la Lucciola sarà sempre un megafono acceso per i suoi studenti. Ora immaginateci abbracciati in cortile, tutti noi terzi, e sappiate che quando perdiamo le nostre corde vocali a dire che “ questi sono e resteranno per sempre i migliori anni della nostra vita”, non stiamo solo portando avanti una tradizione , ma vi stiamo raccontando una verità innegabile che viene dal cuore e ora sta nelle lacrime che mi scendono mentre scrivo. Spero che abbiate letto qualcosa che già sapevate o altrimenti vi invito a scoprirlo presto e rendervi conto di quanto sia enormemente bello tutto ciò. Lasciatemi concludere nel modo più familiare, Ciao Compagni
LASCITI
di Giulia Appetiti Scrivo questo editoriale a quindici giorni dalla maturità, con mille preoccupazioni e ancora più ansie che mi affollano la mente. Negli anni passati mi sembrava che la maturità fosse qualcosa di lontano e quasi non ci pensavo, invece ora è alle porte e non assomiglia minimamente a come l’avevo immaginata. Ogni tanto penso a quell’ultimo giorno di scuola e a come io non riesca a ricordare fino in fondo come l’abbia trascorso. La cosa che so è che era un mercoledì come un altro, ma niente di incredibile era successo. Era una giornata pesante e volevamo andare tutti a casa a preparare le valigie per partire per i 100 giorni. Chi l’avrebbe detto che quella sarebbe stata l’ultima campanella che avremmo sentito nella nostra vita da liceali. Mi ricordo l’ultimo giorno di scuola dell’anno scorso: eravamo tutti in cortile e dalle casse era partita “notte prima degli esami”; ho visto i ragazzi dell’ultimo anno prendersi per mano in cerchio per poi cantarla a squarciagola, con le lacrime che rigavano i loro volti. Mi ricordo che osservavo i loro sguardi pieni di amore, paura, ricordi, dolore, e immaginavo quando
anche io mi sarei ritrovata a guardare negli occhi i miei amici durante l’ultimo giorno di scuola, ricordando tutti i momenti passati insieme. Penso alla me che ha varcato quel cancello rosso cinque anni fa: mi sentivo sola, incompresa ed insicura. Già dai primi giorni capii che invece sarebbe tutto cambiato, e so che quella ragazzina ora sarebbe molto fiera di me. Tanti piccoli momenti e scelte mi hanno portata ad essere quella che sono ora e mi hanno aiutata a trovare persone con cui spero di passare tutta la mia vita. Non riesco ad esprimere a parole tutto ciò che devo a questa scuola, nella quale ho trovato una seconda famiglia, e, pensando a tutto l’amore che ho provato dentro a queste mura, già sento la vista appannarsi e le lacrime scendere. Qui ho passato i giorni più belli e più brutti della mia vita, ho riso e ho pianto, ho fatto i miei primi litigi, ho abbracciato e preso a spintoni, ho provato ansia e stress come mai prima, e, soprattutto, ho conosciuto persone meravigliose. Eppure a questo punto, a due settimane dalla maturità, mi rendo conto che tutta quell’ansia in fondo era inutile e che tra vent’anni, l’unica cosa che ricorderò non saranno i voti, ma i momenti che mi hanno resa quella che sono, i preparativi per le uscite con gli amici di sempre, lo scherzo al compagno di banco, le torte e i fiori per i compleanni, i viaggi con il MUN, la settimana bianca, le file alla macchinetta, le entrate tattiche in seconda. Pensare che non mi sono potuta godere gli ultimi mesi di scuola è un dolore lancinante al petto, perché so che non potrò mai averli indietro. L’idea che l’anno prossimo sarà tutto diverso mi lascia senza parole… non farò trecento metri per arrivare a scuola, non berrò il tè seduta al mio banco chiacchierando, non aprirò più il famigerato Rocci, non camminerò tra i corridoi del sotterraneo e molto altro ancora. Nonostante ciò mi rendo conto che è arrivato il momento di lasciar andare questo posto, di lasciarlo nelle mani di coloro che cominceranno a settembre. So che se li incontrassi direi loro di vivere al massimo questi cinque anni, di non stare troppo in ansia per le verifiche, di fare pace con quell’amico, di andare in cortile a ricreazione, di fare più corsi possibili e di far sentire la loro voce, perché è più importante di quanto pensano. La verità è che il tempo vola, e, prima che se ne possano accorgere, si ritroveranno come noi dell’ultimo anno a dire addio a questo posto magico, quindi spero siano in grado di farlo senza avere rimpianti. Per concludere, vorrei semplicemente dire grazie, di tutto. Lascio qui, al liceo Manara, un pezzetto di cuore.