La Lucciola - Luglio 2020

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EDITORIALI IMPRONTE

di Riccardo Magnanelli

Tutti gli esseri umani, sin da quando la nostra specie ha preso coscienza di sé, hanno cercato di lasciare una traccia, qualcosa che permettesse loro di essere ricordati. Se c’è una cosa che ho imparato dopo aver letto, tradotto e studiato decine di letterati e filosofi per cinque anni è che la vita è caduca e il tempo che abbiamo a disposizione in questo strano universo è un lasso terribilmente ristretto per le nostre potenzialità. Ed è forse per questo motivo che abbiamo la scrittura e le arti: certo, sono strumenti che ci hanno permesso di condividere pensieri, idee, prospettive, ma intrinsecamente a questi pilastri fondanti della nostra umanità c’è il solo desiderio di oltrepassare i limiti della nostra vita, permanere nella memoria degli altri eternamente. Pensiamo semplicemente alle impronte di mani lasciate dagli uomini primitivi di 40000 anni fa nelle caverne: non sappiamo perché i nostri antenati lasciarono questi disegni, ma possiamo supporre che fossero proprio il modo migliore che conoscessero per dimostrare ai posteri che loro erano passati di lì, che erano vivi. Oppure pensiamo alle opere d’arte di tutti gli artisti susseguitisi in questi anni, di cui apprezziamo la bellezza o il loro significato e grazie alle quali gli artisti sopravvivono tuttora nei libri di storia dell’arte. E i greci classici per i quali gli eroi, morendo, pur non potendo godere della divinità per più di un solo attimo, raggiungono l’immortalità grazie al ricordo degli uomini. E magari, indirettamente, è proprio a questo bisogno primario di non sparire che assolve La Lucciola da quando con Aureliano è nata, nel 2001. Non fraintendetemi, non voglio fare paragoni azzardati, ma nel piccolo della mia vita scolastica ‘A ‘UCCIOLA si è effettivamente rivelata un mezzo importante per lasciare qualcosa di personale ad una scuola che, a suo modo, in questi ultimi anni mi ha cresciuto. Un modo per dimostrare che anche noi della generazione Z siamo degni di memoria e che, alla faccia di chi ci considera buoni solo a spizzare Instagram, siamo capaci di grandi cose di cui andare fieri e per cui essere ricordati, come la stessa cura di un vero giornale, siamo esseri pensanti, siamo vivi. La mia vita non è nemmeno all’inizio del suo terzo decennio ma già ora c’è un limite che sto per valicare, oltre cui non so cosa mi aspetti. Il futuro che ho davanti è incerto, sicuramente diverso dalla mia esperienza passata: compagni di banco, di classe, di teatro, di MUN, di redazione; ore di lezione, di buco, in corridoio; la mia giornata era scandita da una campanella difettosa, da una bustina di pizzette e dalle lamentele su quel professore o quell’altro con gli amici. Impossibile non citare quindi la situazione attuale, che ci ha impedito di sorridervi distribuendo questo fascicolo e annunciando il nostro trionfale arrivo come arrotini e ombrellai o, banalmente, di vivere la noiosa routine a cui tanto – almeno io – mi sono affezionato. Ormai mi resta solo una cosa da dire a questo austero edificio, a chi vi lavora, a chi vi ha studiato e a chi vi sta ancora studiando: grazie, perché voi avete voluto lasciare nel mio cuore un disegno pigmentato della vostra mano per il quale sarete sempre felicemente ricordati. Spero che, con le mie azioni, con le mie parole e con questo giornale, abbia lasciato in voi la mia impronta.

4 MARZO, ULTIMO GIORNO DI SCUOLA di Jacopo Augenti E dunque ci siamo. Ma dove? Dove siamo? Per quanto ne sappiamo ci siamo nel tempo, scuola sta finendo, questi sono gli ultimi giorni da calendario, eppure fisicamente non ci siamo. Fisicamente siamo fermi a marzo, magari con qualche chilo in più (o in meno per gli sportivi), siamo immobili. Fissi a guardare uno schermo illuminato che ora chiamiamo “scuola”, siamo rimasti immobili a fissare sul divano quella conferenza stampa che inizialmente ci ha fatto gioire: abbiamo saltato verifiche e interrogazioni; ma che adesso con tutti noi stessi ripudiamo. Questo virus mi ha portato via qualche progetto, qualche idea, un paio di ansie -almeno all’inizio-, ma soprattutto, mi ha portato via da scuola in anticipo. Forse il mio editoriale d’addio dovevo scriverlo del numero immediatamente successivo al lockdown, eppure eccomi qui, come ogni giorno, davanti al computer. Niente più chiacchierate con Francesco e Loredana tra un’ora e l’altra, niente più discussioni con la preside, sono finite anche le risate che ci facevamo in cortile e le sigarette che fumavamo di nascosto. A marzo ho perso tutto ciò, quel quattro marzo, un giorno come tutti, quello è stato il mio ultimo giorno di scuola, l’avessi saputo prima avrei salutato con un abbraccio ognuno di voi, ogni singolo studente, studentessa e student* del Manara. Perché tutti mi avete cambiato, certo qualcuno in maniera più “significativa”, ma tutte, tutti e tutt* voi mi avete dato qualcosa, anche non volendo, anche se vi sono sempre stato sul cazzo. E poi La Lucciola. Entrata prepotentemente nella mia vita due estati fa, mi ha fatto conoscere persone straordinarie (due delle quali saranno direttrici l’anno prossimo) e fare esperienze indimenticabili. Non posso rimanere troppo vago, qualcuno lo devo citare: ai miei più grandi amici, sapete chi siete, grazie di avermi reso una persona migliore; al mio avversario politico, Filippo Gattini, dico grazie di avermi aperto gli occhi su molte cose pur avendo meno esperienza di me; alla professoressa che mi ha seguito per cinque anni, che mi ha visto crescere e che -in parte- mi ha cresciuto come una “Zia”, per lei il grazie è quantomeno doveroso, ma in questo caso veramente sentito; infine grazie a tutt*, tutte e tutti voi compagni in un viaggio che si è concluso prima del previsto. Non dimentichiamoci che sono 100 aziende a produrre il 73% delle emissioni globali di CO2 nell’atmosfera, ma oggettivamente. Tornerò a trovarvi, quando il più grande ladro di tempo degli ultimi settantacinque anni sarà stato sconfitto. Non sono più uno studente del Manara, ma sarò sempre un manariota.

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