Lucciola Novembre 2021

Page 1

La Lucciola Novembre 2021


INDICE 04/2021· lucciolamanara.wordpress.com

ATTUALITÀ 4 - G8 ieri... G20 oggi. Da Genova a Roma di Camilla Marconi 7 - Lo scacchiere dopo la caduta di Kabul di Niccolò Rosi SCIENZA 12 - Ti mangerei di baci di Vittoria Serafini CULTURA 14 - Le Baccanti al teatro greco di Siracusa di Caterina Arias 15 - Recensione de “Gli Indifferenti” di Alberto Moravia di Alice Rindone 16 - Ridiamo e scherziamo con Toni Servillo di Anna Agnini 18 - Nel frattempo... di Alessandro Petrassi 21 - Il buco della vita e dell’ignoto di Michele Tantillo 22 - La Playlist di Serena Mavrovic 26 - Scrittura di luce di Carolina Corsetti 27 - Molto più di una ragazza con la Leica di Carolina Corsetti 30 - Galleria fotografica di Carolina Corsetti IDEE 32 - Anche quest’anno di N.H. Gabriele Ascione 36 - Biscotti con gocce di cioccolato di Maria Pavolini SPORT 37 - La rinascita del tennis italiano di Edoardo Appetiti 38 – COMPONIMENTI

LA LUCCIOLA

DIRETTORE: Niccolò Rosi CAPOREDATTORI: Alessandro Petrassi, Camilla Marconi, Carolina Corsetti, Cesare Nardella, Gabriele Ascione, Serena Mavrovic e Vittoria Serafini SOCIAL MEDIA: Camilla Marconi PROGETTO GRAFICO: Riccardo Magnanelli e Alessandro Iacovitti IMPAGINAZIONE: Alessandro Petrassi e Bianca Della Guerra COPERINA/RETRO COPERTINA: Lorenzo Melchiorri ILLUSTRAZIONI: Lorenzo Melchiorri, Caterina Nanni, Simone Grappasonni e Piero Piersante LOGO: Andrea Satta e Lapo D’Alessandris

LASCIATI ILLUMINARE

lucciola.manara@gmail.com lucciolamanara.com @lucciolamanara La Lucciola https://issuu.com/laluccio lamanara

SI DESIDERA RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE HANNO CONTRIBUITO A REALIZZARE IL NUMERO CHE AVETE TRA LE MANI: I MANARIOTI AUTORI DEGLI ARTICOLI, DEI COMPONIMENTI CREATIVI E DELLE ILLUSTRAZIONI, LA SEGRETERIA, IL DOCENTE REFERENTE GIULIO DE MARTINO E IL DIRIGENTE SCOLASTICO IL GIORNALE INTERAMENTE GESTITO DA STUDENTI DEL LICEO CLASSICO “LUCIANO MANARA”


EDITORIALE

Dubbio e verità di Niccolò Rosi

O

re 15:24 di un piovoso mercoledì 3 novembre. La pagina di ricerca fissa su di una pagina: "come scrivere un editoriale". Poi, confidando poco nelle capacità di un valido suggerimento di Internet, mi giro per prendere una Lucciola del passato, un passato che ormai sembra così lontano visti gli ultimi accadimenti geopolitici, e trarne ispirazione. Mi balza all' occhio il numero di Ottobre 2020, che ormai ora tutti noi classifichiamo senza troppi problemi, come Annus Horribilis, e inizio a rileggere gli editoriali delle passate Direttrici: Maria Guerrieri e Bianca della Guerra ( o come eravamo solite chiamarle in Redazione Mary e Bi). Subito mi si accende una lampadina e so come iniziare: un racconto in prima persona. Finito di scriverlo mi balena in testa l' idea di continuarlo ma no, non ora. Ora bisogna parlare più in generale. Il 2021 sta per chiudersi. Tutti avevamo prospettato un anno completamente diverso dal terribile 2020 e in parte é stato così. L' aumento delle vaccinazioni e il conseguente calo delle terapie intensive ci hanno portato a riprendere, almeno in parte, una tanto agoniata normalità. Eppure accanto a questa

speranza abbiamo ancora molti interrogativi: quando finirà la Pandemia? Il recente G20 porterà ad un drastico cambiamento nelle politiche climatiche internazionali? Come andrà a concludersi la crisi in Afghanistan? Il dubbio é sempre stato caratteristica intrinseca dell' umanità, sua forza motrice e suo peggior nemico ed é proprio questa bivalenza a renderlo così interessante. Dietro a questo doppio aspetto che troviamo la nostra risposta: la Verità; la sua ricerca é la soluzione al dubbio. Dopotutto, e noi del Classico lo sappiamo bene, la ricerca della Verità Assoluta é presente sin dall' inizio dei tempi. Attraverso studi e ricerche proviamo costantemente a districarci dalle tenebre e cercare un lume razionale, a liberarci dallo stato di proficua confusione in cui siamo stati immersi sin dalla nostra nascita. Insomma di dubbi ce ne sono molti e di risposte molto poche ma l' informazione non smette mai di andare avanti e così farà anche La Lucciola in questo anno, sperando di accompagnare le vite scolastiche dei Manarioti attraverso le loro stesse idee e pensieri. Lasciatevi illuminare.

3


ATTUALIT­­À

G8 ieri…G20 oggi. Da Genova a Roma

I

l G 8 è il gruppo che unisce gli otto Paesi più industrializzati della Terra: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Si riunisce una volta all’anno a livello di Capi di Stato e di Governo. Si tratta di un gruppo informale di lavoro delle economie avanzate, creato dalla Francia nel 1975 in seguito alla prima crisi petrolifera con, essenzialmente, il ruolo di guida e di indirizzo politico. Per capire l’importanza che detengono questi otto paesi a livello planetario vediamo alcuni numeri: -Rappresentano circa il 15% della popolazione mondiale e tre quarti della spesa militare; -Detengono quasi il 65 % del Pil della terra e gestiscono gran parte degli scambi mondiali; -Soltanto Russia, Usa, Francia e Regno Unito detengono oltre il 96% degli armamenti nucleari;

l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro avanzando la richiesta di annullare il G8 in quanto le riunioni tra Capi di Stato e di Governo erano da considerarsi illegittime, poiché un pugno di uomini potenti non aveva il diritto di prendere decisioni destinate a condizionare l’intera umanità ed il divieto imposto dalle autorità di entrare nella cosiddetta “ Zona Rossa” ( la zona dove si teneva il vertice), costituiva una limitazione delle libertà costituzionali. Tali richieste non furono accolte dal governo con la motivazione che non si poteva venir meno ad impegni assunti a livello internazionale. Ma veniamo al dunque… Cosa è accaduto veramente al G8 di Genova? Non posso non riportare con un velo di preoccupazione le parole del Dottor Zucca, il magistrato che ha condotto il processo contro le violenze all’interno della scuola Diaz: Il P.M. ha dichiarato testualmente “diversi episodi di cronaca di questi anni vedono riproporsi lo schema dell’uso sproporzionato della forza cui segue la copertura con falsità che dimostra come il problema non siano soltanto le responsabilità individuali”. Per Zucca c’è un problema “strutturale” con cui la polizia italiana non ha voluto fare i conti: “Visto che certi comportamenti rappresentano l’opposto di quello che viene insegnato ai poliziotti ai corsi o scritto nei manuali di addestramento, dovrebbe essere la stessa polizia a sanzionare chi esce dai binari del rispetto della legge, ben prima dell’intervento della magistratura che peraltro si scontra con il conflitto di interessi di indagare sui propri collaboratori.”

Gli incontri tra i Big del mondo hanno agevolato la nascita di movimenti di contestazione che ritengono il processo di globalizzazione come causa di inaccettabili iniquità tra vari paesi del mondo e all’interno delle singole società nazionali. I militanti pongono in particolare sotto accusa il potere delle multinazionali e le politiche seguite dal FMI (Fondo monetario Internazionale) e dalla OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). In vista del G8 che si doveva tenere a Genova nel mese di luglio 2001, nell’anno 2000 nasce, nel capoluogo ligure, il Genova Social Forum a cui aderirono 1187 sigle tra cui partiti, associazioni, sindacati, centri sociali, ONG italiane e straniere. I responsabili del movimento Vittorio Agnoletto e Luca Casarini sollecitarono ripetutamente un incontro con le istituzioni che però fu accordato soltanto il 24 giugno 2001 e cioè pochi giorni prima dell’evento. In quella sede incontrarono

Non occorre essere faziosi per rabbrividire di fronte a ciò che è accaduto; sono state le sentenze a dimostrare che le tesi della procura di Genova

4


erano fondate, dalla Cassazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno qualificato quelle violenze come tortura. La Corte europea di Giustizia nel 2017 ha rilevato anche l'assenza di sanzioni per i poliziotti responsabili e l'assenza di identificazione di gran parte degli stessi. Cinque anni prima, nel 2012, la Cassazione aveva condannato in via definitiva per falso 15 funzionari di polizia per aver coperto gli agenti picchiatori con false prove e false accuse nei confronti dei 93 manifestanti che vennero arrestati (79 dei quali dalla scuola Diaz uscirono feriti) e accusati di associazione a delinquere per devastazione e saccheggio, arresti peraltro arbitrari come dimostra il fatto che poi non furono convalidati. I picchiatori sono rimasti senza nome, non essendo identificabili, ad eccezione dei capisquadra: i reati sono finiti prescritti ma i poliziotti sono stati ritenuti responsabili per i risarcimenti in sede civile. Chi non uscì in barella dalla Diaz, venne portato alla caserma di Bolzaneto dove per Zucca è accaduto qualcosa di ancor più grave rispetto all’ assalto alla scuola: “C’è un filo conduttore - dice - che porta dal carcere temporaneo istituito all’interno della caserma di Bolzaneto alle immagini raccapriccianti delle torture all’interno dei centri

di detenzione di Abu Ghraib” (prigione disumana che si trovava ad Ovest di Bagdad e chiusa definitivamente nel 2014). Per il magistrato “le tecniche dei carcerieri sono uguali anche se Genova non è uno scenario bellico ma già le forze di polizia, evidentemente così addestrate, si muovono in questo modo dimenticando codici e leggi nella peggiore tradizione delle dittature”. Il processo per le torture di Bolzaneto (così definite anche in questo caso dalla Commissione europea di giustizia) ha visto 45 imputati tra poliziotti, carabinieri, agenti penitenziari e medici. Gran parte dei reati si sono prescritti già prima dell'appello e in Cassazione sono rimaste 7 condanne penali, ma la Corte ha confermato la colpevolezza di gran parte degli imputati per gli effetti civili. Accanto ai processi contro le forze dell’ordine, il terzo principale filone giudiziario ha riguardato i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: 15 imputati su 25 sono stati assolti fin dal primo grado perché, secondo i giudici, avevano reagito alla carica illegittima sul corteo delle tute bianche di via Tolemaide. Dieci sono stati invece condannati per devastazione e saccheggio con pene dai 6 ai 14 anni di carcere, pene che “non hanno paragoni nel contesto delle democra-

La polizia fa irruzione nella scuola Diaz durante lo svolgimento del G8 di Genova del 2001

5


zie occidentali - ricorda Zucca - e nemmeno con la Russia di Putin che prevede un massimo di 8 anni”. Questa macelleria sociale compiuta dalle forze dell’ordine, in parte ampiamente impreparate ad affrontare una situazione del genere, in parte caricate a pallettoni da sedicenti informative ansiogene sulla massiccia presenza di black block , ha di fatto provocato la sospensione dello stato di diritto e fatalmente portato alla morte in piazza Alimonda di un giovane manifestante di nome Carlo Giuliani che a soli vent’ anni ha pagato con la vita per i suoi ideali. Ovviamente il G 8 di Genova ha costituito una specie di spartiacque con i G8 successivi, segnando emotivamente la memoria collettiva. A questo si deve aggiungere l’innegabile cambiamento dello scacchiere internazionale che negli ultimi venti anni ha portato altri attori ad affacciarsi nell’Olimpo delle grandi economie, come la Cina, l’Arabia Saudita, il Brasile, la Corea del Sud e lo stesso blocco UE. Per tale motivo nel 1999, dopo una successione impressionante di crisi finanziarie, per favorire l’internazionalità economica e la concertazione, è stato creato il G20, un forum dei leader e dei ministri delle finanze dei 20 paesi più industrializzati del mondo, a cui si affiancano una serie di invitati occasionali (di norma uno o due stati

scelti dal paese che ha la presidenza di turno). Il G20 rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale oltre all'80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale ed il 60% della popolazione del pianeta. Si tiene ogni anno e dal 2008 prevede lo svolgimento di un vertice finale con la partecipazione dei Capi di stato e di Governo. Oltre al vertice durante l’anno di presidenza si svolgono incontri ministeriali, riunioni di gruppi di lavoro ed eventi speciali. Insomma il vecchio e desunto abito del G8 è stato rimodernato e modificato secondo l’evoluzione dei nuovi equilibri di geopolitica internazionale. Ed eccoci arrivati ai nostri giorni: il prossimo G 20 si terrà a Roma il 30 e 31 Ottobre 2021. Sperando che il novello G20 si svolga in un clima sereno di “pacifico dissenso”, non possiamo che auspicare un impegno forte dei grandi della terra per riequilibrare gli scompensi del pianeta, causati dalla folle corsa dell’uomo al consumismo compulsivo, ricordando, come dovrebbero averci insegnato questi due anni di pandemia, che non siamo i padroni del pianeta, ma siamo solo degli inquilini morosi che hanno provocato danni gravissimi all’ecosistema. CAMILLA MARCONI

Manifestanti catturati nella scuola Diaz dalle forze dell’ordine

6


lo scacchiere dopo la caduta di Kabul

L

a fase finale del ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan si è dipanata secondo circostanze che ovviamente hanno acceso un dibattito condiviso dalla maggioranza degli osservatori internazionali, ed i cui punti possono essere brevemente sintetizzati nei sei a seguire. In primis: il neo insediato presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è dimostrato decisamente inadeguato e la sua amministrazione del tutto impreparata ad affrontare i postumi di una situazione che era facilmente ipotizzabile, fatto che certamente concorre a screditare le capacità dei servizi d’intelligence statunitensi; Secondo: sempre il neo eletto presidente Biden ha fatto calare il sipario su di un certo immaginario collettivo dichiarando che il suo Paese non combatterà più “le guerre degli altri”, ammettendo, dunque, in buona sostanza, la fine della superpotenza Usa, e dimostrando come l’Occidente non sia più all'altezza di fare i conti con le tragedie interne insite ad ogni conflitto armato; Terzo: l’Europa deve trarre un insegnamento concreto da questa lezione e organizzarsi prontamente per la creazione di una difesa comune, capace di difendere gli interessi dell’Unione nelle aree di crisi, anche indipendentemente, e anzi, senza l’intervento degli Stati Uniti Quattro: Russia e Cina trarranno vantaggio del vuoto geopolitico

seguito al ritiro occidentale, imprimendo definitivamente la propria sfera di influenza in Eurasia Cinque: nonostante 20 anni di coabitazione, l’Occidente non è riuscito ad imporre il proprio modello di democrazia in Afghanistan. Per questo ci sono mille ragioni di tipo etno - antropologico, ma basterebbe anche riconoscere che, molto semplicemente, si tratta di un principio impraticabile e per certi aspetti del tutto ingiusto. Sei: la presenza di un certo Occidente in Afghanistan aveva come fine il controterrorismo più che l’azione politico - umanitaria della ricostruzione. Proprio su quest'ultimo punto vale la pena soffermarsi. Partita come guerra al terrorismo, la missione afghana si è presto trasformata in un goffo e malcelato tentativo di “nation building” e d’imposizione della democrazia. O meglio, di un modello di democrazia inesportabile in quella

7


Situazione attuale durate il regime talebano

complessità etnica e sociale. E tuttavia, seppur l’Alleanza non abbia mai lasciato intendere di voler restare nel Paese per sempre, allo stesso tempo non ha mai favorito né istruito il governo locale, che è rimasto senza poteri chiari, né legittimazione. Al contempo, la struttura multietnica e tribale del Paese non ha mai consentito la creazione di Forze armate unitarie, con una cultura della difesa condivisa. Con ogni probabilità, l’Occidente avrebbe compiuto la sua missione, e sarebbe rimasto fedele ai suoi principi se avesse lasciato l’Afghanistan all’indomani dell’ingresso a Kabul dell’esercito dell’Alleanza del Nord, garantendo allo stesso tempo a quest’ultima una presenza stabile nel governo nazionale, e strutturando nel Paese presidi militari sufficientemente forti da intimorire i talebani. Si tratta tuttavia di supposizioni senza certezza. L’unica certezza è infatti la drammaticità dello status quo, dei diritti calpestati, degli omicidi efferati, della mortificazione della donna. A onor del vero, gli analisti ritengono alquanto improbabile tuttavia che i talebani possano avere nuovo interesse ad offrire rifugio a gruppi terroristici come al Qaeda o ISIS, consentendo loro di colpire l’Occidente come in passato. E se anche i talebani fossero tentati da una simile prospettiva obnubilati dai fumi del loro oltranzismo, è quasi

certo che ii loro stessi protettori dal Pakistan interverrebbero per dissuaderli, temendo di rompere definitivamente le relazioni con gli Stati Uniti. E questo nonostante Islamabad, che un tempo era più strettamente legata a Washington, si sia progressivamente allontanata dalla protezione Usa, confidando piuttosto nell’alleanza con Pechino ed innescando un lento processo di avvicinamento degli Usa all’India. Ciò non vuol dire che l’Afghanistan sia pacificato, affatto. In nessuna direzione. Di fatto, nel Panshir la resistenza dei tagiki fa da catalizzatore ad una nuova Alleanza del Nord che potrebbe dare filo da torcere ai talebani, se sostenuta da qualche partnership esterna. Torniamo un passo indietro, è chiaro come il ritiro degli Stati Uniti rappresenti un importante vantaggio per Cina e Russia. Le posizioni dei due Paesi, però, non sono affatto univoche, anzi, divergenti. L’intelligence russa ha sempre mantenuto una presenza sensibile nel Paese, ma la sua influenza, ad oggi, è limitata. Certo, Mosca può contare sulle minoranze uzbeka, tagika e hazara, per impedire che i talebani prendano pieno controllo dell’Afghanistan, ma è proprio a questo fine ed in nome di questa consapevoelzza che, ancor prima di occupare i capoluoghi Kabul, le milizie talebane hanno preso il controllo dei va-

8


ghana, coltivi l’intento di costruire un’area di influenza favorevole alla pressione sui governi delle repubbliche centrasiatiche: Uzbekistan, Tagikistan, Turkestan e soprattutto Kazakhistan; e se, a questo scopo, abbia recentemente firmato un accordo per collegare con un cavo in fibra ottica Afghanistan, Kirghizistan e Tagikistan. I Russi non hanno certamente usato gli stessi toni, e anzi, hanno dovuto ingoiare l’innaturale apertura con la leadership cinese, che presenta pure molti vantaggi di politica interna, ma che comunque propone un disegno espansionistico che Putin dovrà affrettarsi ad ostacolare cercando un accordo strategico con i nemici di un tempo, l’altra faccia della moneta durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti. Tuttavia, nonostante il lavorio diplomatico con i talebani volto ad un rafforzamento della propria libera influenza in Asia centrale, il governo di Pechino ha accolto con un certo rigore il ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan, intraprendendo una serie di contromisure non dichiaratamente difensive, ma in realtà addirittura molto aggressive, anche dal punto di vista simbolico. Emblematica è infatti la celebrazione del centenario della Repubblica popolare, a cui Xi Jinping si è presentato vestito come Mao Tse Tung, tuonando che chiunque tenterà di fare il gioco duro con la Cina si schianterà contro la “Grande Muraglia d’acciaio costruita con il sangue e la carne di 1,4 miliardi di cinesi”. Lo sforzo

lichi di frontiera con Uzbekistan e Tagikistan. Ecco perché il ritiro delle forze Nato dall’Afghanistan può provocare un ulteriore rafforzamento dell’influenza della leadership cinese di Xi Jinping in Asia Centrale, ed in particolare nelle repubbliche ex sovietiche che vengono considerate da Mosca come “l’estero vicino”: uno spazio d’importanza strategica vitale per la sicurezza del proprio Paese, e forse addirittura per la sua integrità territoriale. A questo fine, il governo russo ha tenuto aperti sia l’ambasciata a Kabul, sia un canale di comunicazione con la leadership dei talebani. Questi, tuttavia, sono stati insediati, armati e addestrati con il lavoro incessante dei servizi d’intelligence pachistani, che da sempre è il principale alleato asiatico della Cina. Non è un caso dunque, se i toni usati dalle diplomazie di Mosca e Pechino, nei confronti dei talebani, siano sostanzialmente differenti. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ricevendo a Pechino una delegazione dei talebani già lo scorso luglio, ha assicurato sostegno, sviluppo, infrastrutture e ha ottenuto in cambio la garanzia che l’Afghanistan non permetterà infiltrazioni islamiste nello dello Xinjiang, lungo la via della seta. Non solo, i grandi gruppi industriali cinesi hanno ottenuto importanti concessioni minerarie e favoritismi economici di diversa scala. Non è un caso dunque, se la Cina, utilizzando la distensione dei rapporti con la leadership af-

Il sogno occidentale

9


stretti a condizioni miserevoli, gravemente sfruttati. Lo shock economico delle tecnologiche, in grado di condizionare il 30% del PIL del Paese, potrebbe lasciare molti di loro senza lavoro, e senza sussidi finanziari. Finora il Partito comunista è riuscito a garantire la pace sociale proprio grazie a questi ultimi e ciò nonostante, ogni anno, nel Paese vengono registrate decine di migliaia di rivolte contadine. Si tratta di una gatta da pelare dunque, anzi di molte, e condivise fra i molti che si augurano di dissetarsi nell’abbeveratoio afghano. In questo scenario, alcune nuove necessità si impongono al Vecchio Continente. In primis un maggiore ruolo ed una leadership più autonoma nello scacchiere geopolitico. Il nostro presidente Sergio Mattarella, ha già dichiaratamente espresso un auspicio a favore di una difesa comune europea, e lo stesso ha fatto il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Posizioni simili sono state condivise da altri leader, fra cui Breton che però estremizza spingendo per “una vera dottrina europea della sicurezza e della difesa” che preveda interventi autonomi rispetto alla Nato. Si tratta di una visione molto estrema e non condivisa in toto dagli altri commissari europei. Borrel, infatti, la mitiga, insistendo sulla necessità di “rafforzare la relazione transatlantica, rendendola più equilibrata”, e propone, per questo, una forza d’intervento di base, costituita da un contingente di circa cinquemila uomini. Tuttavia, come dimostra la vicenda infausta del ritiro dall’Afghanistan, cinquemila uomini non sono sufficienti nemmeno a mettere in sicurezza l’aeroporto di una città come Kabul. L’impressione è dunque che si tratti di una visione ancora embrionale, ma che un rafforzamento delle capacità militari dell’Unione sia fra i desideri degli Stati Uniti, desiderosi di rendersi indipendenti dagli interminabili conflitti mediorientali, emorragici di consistenti risorse economiche, per concentrare piuttosto l’attenzione dell’amministrazione su quella che è l’unica potenza temibile per l’establishment, ovvero la Cina. Stiamo forse assistendo ai prodromi di una seconda guerra fredda?

muscolare di Xi Jinping non era rivolto ovviamente solo agli avversari esterni, ma anche a quella che il Quotidiano del popolo, organo del Partito comunista, definisce “la quinta colonna”, ovvero una forma di resistenza a cui l’Occidente statunitense punterebbe per provocare una rivoluzione colorata in Cina, sulla scia delle molte che hanno attraversato gli stati post sovietici negli anni 2000, traendo guida ed ispirazione dai grandi imprenditori del Paese. Tra di essi infatti, è da tempo crescente il malcontento per la vigorosa politica espansionista di Xi, e le tensioni che ne derivano con le potenze occidentali e asiatiche. E non solo questo, di fatto il suo governo impone severi limitazione alle libere attività all’estero dei colossi cinesi, particolarmente i tecnologici, al punto da metterne a rischio la quotazione in Borsa a New York. Questa incertezza a sua volta ha pesanti ripercussioni sulle piazze finanziarie locali di Hong Kong e Shanghai, dove si è assistito ad un brusco arretramento di tutti gli indici settoriali, non solo tecnologici. Secondo la USChina Economic and Security Review Commission, sono almeno 248 le compagnie cinesi quotate in uno dei tre principali listini della Borsa di New York, per una capitalizzazione complessiva pari a 2.100 miliardi di dollari. Alibaba, il colosso del commercio elettronico fondato da Jack Ma, è stato già costretto nel novembre scorso a limitare la sua quotazione in Borsa e a corrispondere una multa all’Antitrust cinese di 2,5 miliardi di dollari oltre che una tassa di 15,5 miliardi di dollari al nuovo “Fondo per la prosperità condivisa”: un veicolo statale di recente definizione dagli intenti ancora poco definiti, ma con ogni probabilità volti alla militarizzazione dell’area intorno a Taiwan. Al contempo, lo stesso Biden, prima e di fronte a tale esercizio di virilità, non ha revocato alcune delle misure introdotte da Trump per limitare il surplus commerciale cinese. Ciò significa che il principale motore dell’economia cinese, ossia il commercio estero è fortemente a rischio, e potrebbe indurre un brusco calo delle entrate dello Stato e, dunque, anche della capacità del governo centrale di ridistribuire la ricchezza alle regioni più arretrate, conformemente al modello ideologico di appartenenza. In quelle regioni infatti vivono una massa di lavoratori privi dei diritti sociali, come ad esempio l’assistenza medica, co-

NICCOLO’ ROSI

10


11


SCIENZA

“Ti mangerei di baci” È possibile desiderare una persona a tal punto da volerla mangiare?

S

ἀνϑρωποϕαγία, formato da ἄνϑρωπος “uomo” e ϕαγία da ϕαγεῖν, “mangiare”. Conosciuta meglio come cannibalismo, dallo spagnolo Canibal, variante di Caribal, riferito agli abitanti dei Caraibi che si nutrivano di carne umana, rispecchia la pratica aberrante di cibarsi dei propri simili. Nonostante si possa pensare che sia un’usanza legata al passato, risulta che, in sporadiche occasioni, sia diffusa ancora ai giorni nostri. Sono state identificate e studiate diverse sfaccettature di questa pratica singolare, collegata a sacrifici religiosi, alla vendetta personale, alla sopravvivenza o forse solo alla follia di un serial killer. L’antropofagia connessa alla sfera amorosa colpisce in particolar modo e viene studiata approfonditamente dagli studi di psicologia e psichiatria.

igmund Freud è il primo che identifica la bocca come zona erogena e mette in relazione l’alimentazione con il piacere sessuale.Il padre della psicoanalisi definiva “pulsioni di autoconservazione” sia la fame, sia il desiderio sessuale ed ecco perché il legame fra questi due aspetti è molto presente nella cultura di ogni popolo e in ogni epoca storica. Entrambi sono piaceri intensi ed appaganti e sono indispensabili per la sopravvivenza e per l’evoluzione della specie. La psicoanalisi quindi conferma come pulsione normale quella di desiderare l’oggetto amato a tal punto da volerlo incorporare a sé per sentirlo più vicino. In rarissime occasioni questo stimolo naturale sfocia in azioni violente e atroci che si collegano al tema dell’antropofagia. La parola “antropofagia” viene dal termine greco

12


L’atto del cannibalismo è quindi direttamente connesso al piacere, dove vengono implicati due neurotrasmettitori: la dopamina legata soprattutto alla sensazione di euforia e di soddisfazione, e la serotonina, che promuove il buon umore e la tranquillità. Inoltre è fondamentale il ruolo del testosterone, ormone deputato all’aumento del desiderio sessuale e dell’aggressività. Freud spiega che la pratica di mangiare carne umana di un individuo corrisponde a un impulso di interiorizzazione e di appropriazione dell’altro. Il soggetto mangia la sua vittima perché non vuole che questa lo abbandoni e, cibandosi di alcune parti del suo corpo, è sicuro che non lo abbandonerà mai. Afferma inoltre che la crescita del bambino nei primi anni di vita è scandita da una serie di fasi: la prima è la fase orale. In questo periodo, il bambino si nutre dal seno della madre avendo una percezione di fusione, di piacere fisico, di calore. Dal punto di vista psicanalitico l’antropofagia potrebbe rappresentare un’estensione dell’allattamento materno, o al contrario, se in tenera età ci sono state gravi carenze affettive, da adulti, sentendosi inadeguati nell’ottenere

amore da un altro individuo, si potrebbe cercare direttamente di inglobarlo a sé. Questa pratica deriva, seppure in modo “deviato”, da una tendenza amorosa, infatti, molte persone che hanno difficoltà con la sessualità o con la relazione con persone desiderate arrivano a compiere il cannibalismo come gesto estremo di possesso. Quindi bisogna tener conto che alla base di certi comportamenti “disfunzionali” del soggetto, c’è la combinazione tra fattori cerebrali e fattori psicologici, ambientali e familiari. Da un punto di vista più generale, essere cannibali, significa mangiare sé stessi o, più precisamente, mangiare la propria proiezione sull’altro. Divorarsi significa distruggersi, annullarsi, voler scomparire dal mondo. I comportamenti cannibali promuovono così la disintegrazione della personalità. VITTORIA SERAFINI

13


CULTURA

Le Baccanti al Teatro Greco di Siracusa

Q

uest'estate ho assistito ad una delle tragedie più rappresentate di tutti i tempi al teatro greco di Siracusa, messa in scena la prima volta nel 403 a.C. :Le Baccanti di Euripide, con regia di Carlus Padrissa. Il regista spagnolo, uno dei fondatori del collettivo artistico La Fura dels Baus, costruisce un'atmosfera che da subito, appena si prende posto sulle pietre dell'antico teatro, cattura lo spettatore, avvolto da un affascinante tappeto sonoro. In scena vi sono grandi strutture metalliche che piano piano iniziano ad animarsi; mi ha colpito molto quella che rappresenta un corpo umano con una testa di toro, dal cui interno cala giù, sostenuto da corde circensi, Dioniso, interpretato da una superlativa Lucia Lavia. L'attrice per questo ha ricevuto il premio “Stampa Teatro 2021”. Dioniso ci racconta la sua storia e perché è giunto a Tebe: i tebani non lo riconoscono come dio nato da Zeus e Semele e lui vuole vendicarsi. Il dio si vendicherà infatti contro Penteo, giovane re di Tebe, che morirà durante il baccanale sul

Monte Citerone, per mano della sua stessa madre Agave. Il ruolo di Penteo è stato affidato al bravissimo attore Ivan Graziano che per questa interpretazione ha ricevuto anche il premio nazionale “Più a sud di Tunisi”. Il coro delle Baccanti, composto da trentadue interpreti, è emozionante, sorprendente e allo stesso tempo ha una forza mitica antica, gli artisti occupano tutti gli spazi del teatro, arrivano da tutte le direzioni: il pubblico li segue con lo sguardo ovunque, anche nello spazio aereo. Grazie ad un potente ingranaggio scenografico, in alcuni momenti dello spettacolo, le Baccanti sono sospese in aria. Da una vertiginosa altezza recitano, cantano, danzano componendo con i loro corpi geometriche figure che raffigurano vari significati simbolici come per esempio il DNA del dio. La cosa interessante è che, se voleste vedere lo spettacolo, è ancora possibile farlo in quanto disponibile su RaiPlay. Lo consiglio vivamente, buona visione! CATERINA ARIAS

14


LIBRI

Recensione de “Gli Indifferenti” di Alberto Moravia

C

on questo libro Moravia intende proporre un aspra critica alla società, e nel contempo esporla per quello che è in realtà. Quale titolo migliore de "Gli Indifferenti" per portare a termine questo obiettivo? i personaggi del libro sono la perfetta rappresentazione di una società che sembra essersi arresa al suo cattivo fato. La trama appare semplice ma efficace; essa coinvolge una famiglia borghese che, dallo stato di ricchezza in cui si trovava, è costretta a trovare rimedio al vortice di povertà che improvvisamente l’ ha avvolta, dopo essere andata in rovina; la miseria economica funge da specchio verso la miseria interiore dei personaggi, portati a fingere di continuo e senza vergogna, fino a negare anche l'evidenza. È infatti sempre più chiaro, man mano che si sfogliano le pagine, il forte contrasto tra apparenza e realtà, quel che è e quel che sembra. Gli animi dei personaggi vengono rappresentati nudi nella loro piccolezza, e nelle loro debolezze, spesso tramutate in egoismo, e Moravia è molto attento a far trasparire l'aspetto cupo, difettoso e negativo di questi, senza che la sua penna risparmi nessuno di loro, pur mantenendo in vista il lato prettamente umano. I personaggi sono dunque la chiara proiezione di una realtà perversa ed ipocrita, sciocca e superficiale, dove il rammarico si fonde con il disgusto. La protagonista, Carla, è l'esempio lampante della natura tormentata della società; ossessionata ormai dalla finzione in cui vive, compie ogni azione con lo scopo di autodistruggersi. Il fratello Michele è la raffigurazione esplicita di un animo stufo, che cerca di ribellarsi agli stereotipi di ipo

crisia in cui è cresciuto, ma che, pur dimenandosi, non riesce a staccare da sé stesso. Abbiamo poi Maria Grazia, la madre dei due fratelli, che rappresenta l'esasperazione e l'ipocrisia, la falsità e la ridicolaggine del modello sociale del tempo, che racchiude in sé tutte le caratteristiche negative della comunità descritta nel libro, ricevendo l'odio di entrambi i figli. Il concetto del libro è di profonda attualità, ma il linguaggio scorrevole aiuta senza ombra di dubbio ad apprezzare la trama intrecciata e tutt'altro che felice, rendendo il libro degno della fama di cui dispone. ALICE RINDONE

15


CINEMA

Ridiamo e scherziamo insieme a Toni Servillo

R

del ‘900, i teatri e i cinema sono nel pieno della loro fioritura. I cittadini ormai sono innamorati, ammaliati da Scarpetta, colui che è riuscito a far dimenticare Pulcinella con il suo personaggio di Felice Sciosciammocca, lo venerano come se fosse Dio. Eduardo è diventato l’icona del teatro napoletano a tutti gli effetti, nessuno ne ha mai abbastanza. Spettacolare è la scena in cui interpreta il suo iconico soggetto, una ricostruzione a dir poco superlativa da parte di Martone, fedele all’originale, l’ho amata. Per Eduardo il teatro è tutto, mettendo al secondo posto anche la propria famiglia, e sarà proprio questo a determinare il decadimento psicologico del personaggio. Il teatro si trasforma nell’unica ragione di vita, in un’ossessione. Scarpetta, è un uomo determinato, geniale, e nel corso della vi-

omantico, superlativo e passionale, il film di Mario Martone in concorso a Venezia 78 ha fatto emozionare tutta Italia. “Qui rido io” è la biografia del celebre drammaturgo e attore teatrale Eduardo Scarpetta interpretato dal grande Toni Servillo, uno di quegli attori che ho sempre apprezzato per la sua bravura, la passione e l’impegno che mette nell’immedesimarsi nei ruoli è magistrale. Cosa mi ha portato a parlare di questo film? Mi è capitato svariate volte di uscire da una sala cinematografica soddisfatta del film appena visto, raramente però sono uscita da un cinema con il sorriso stampato in viso e gli occhi lucidi dalla commozione, ed è proprio questo ciò che mi ha trasmesso quest’opera. Il film è ambientato nella Napoli dei primi anni

16


sione assisteremo a numerosi episodi che ostacoleranno il continuo della sua carriera (non vi dico nulla, correte a vedere il film). Deliziosa, nonchè inquietante, è la vita privata di Eduardo, il rapporto che ha con i figli è la chiave del film; questo è caratterizzato da menefreghismo da parte del padre e da un grande affetto da parte dei figli, che lo ammirano e lo sostengono in ogni cosa che lui voglia fare, mettendo in discussione anche le proprie passioni. Emblematica in questo senso la scena tra il figlio maggiore e il padre, il figlio infatti vorrebbe entrare nel mondo del cinema, Scarpetta lo denigra, inizia uno scontro tra i due veramente passionale e molto teatrale, questo episodio infatti, è la personificazione della concorrenza tra teatro e cinema, il quale, col passare degli anni, diverrà sempre più un luogo centrale dal punto di vista culturale, oscurando solo in parte il mondo di Scarpetta. Una recitazione veramente impeccabile da parte dei due attori, Toni Servillo, formidabile. Affascinante e anche emozionante è proprio il parallelismo tra Felice Sciosciammocca , un personaggio buffo e caricaturale, che provoca riso a chi lo guarda e trasmette simpatia , ed Eduardo Scarpetta, un uomo avido, che pensa solo ed esclusivamente al bene proprio, un uomo triste e non compreso dagli altri membri della famiglia. Sublime, infine è la fotografia, l’eleganza e la finezza con cui viene rappresentata la Napoli

“casareccia”, le quali rendono estremamente su schermo. Cosa altro dovrei dire? Suppongo nulla, un film del genere deve essere vissuto e vi consiglio di vederlo al cinema, solo lì riuscirete a cogliere ogni emozione che il regista vuole trasmetterci, grazie Martone. ANNA AGNINI

17


Nel frattempo... Disclaimer: contiene spoiler

D

opo la piacevole compagnia di cui abbiamo goduto grazie a “The Falcon and the Winter Soldier”, i Marvel Studios durante il periodo estivo hanno deciso di ampliare l’universo delle serie tv su Disney plus e finalmente hanno rilasciato al cinema i due film apripista della fase 4 dell’MCU. Il primo prodotto di cui vi voglio parlare è la serie tv “Loki”, uscita il 9 giugno e diretta da Kate Herron. La storia comincia riprendendo le vicende del dio dell’inganno da come le avevamo lasciato in Endgame, cioè intento a scappare dagli odiati Avengers con il tesseract. Dopo la rocambolesca fuga, l’asgardiano viene rapito dalla Time Variance Authority, una sorta di polizia temporale. Dopo questo piccolo preambolo, la serie cambia volto e ci svela un mondo stravagante e peculiare che ancora nessuno aveva mai osservato. Le regole dei viaggi nel tempo, accennate in maniera sbrigativa in En-

dgame, ci vengono rese più chiare. La linea temporale è una e indivisibile e il destino di tutti gli esseri è governato dai Custodi del Tempo, esseri cosmici di smisurata potenza. Ma a volte capita che qualcuno non rispetti il sentiero prestabilito. Queste persone vengono chiamate “varianti”. Da questa anomalia si forma una linea temporale parallela a quella principale. Compito della TVA è imprigionare il trasgressore e rimediare ai suoi danni . Così viene mantenuto l’ordine dell’universo. Ma ovviamente in nostro dio dell’inganno non può accettare che il suo destino sia già scritto. Così grazie all’aiuto di alcune varianti di se stesso decide di sovvertire lo status quo e difendere il diritto del libero arbitrio nel Multiverso. Ogni episodio di questa serie ha delle caratteristiche che lo rendono diverso dagli altri: alcuni impressionano per la qualità degli effetti speciali, altri commuovono con una storia d’amore tor-

molteplici varianti del dio dell’inganno

18


tare per l’ultima volta la voce del compianto Chadwick Boseman nei panni di T’Challa. Wakanda forever, my king.

mentata, altri ancora coinvolgono lo spettatore con colpi di scena inaspettati. Loki, secondo la mia opinione, è riuscito laddove “Wandavision” e “The Falcon and the Winter Soldier” avevano fallito: un finale in grado di scuotere l’MCU dalle fondamenta, osando e sperimentando al di là di ogni immaginazione, inserendo il concetto del Multiverso (per chi fosse interessato al tema, rimando al mio articolo sui viaggi nel tempo). Questa serie è stata un innesco, una scintilla che ha dato il via a, letteralmente, infinite possibilità.

Dopo questa prima sezione dedicata al piccolo schermo ora arriva la mia parte preferita: il cinema. Black Widow, il film con cui sarebbe dovuta cominciare ufficialmente la Fase 4 e che invece è stato continuamente rimandato a causa della pandemia, ha debuttato in sala il 7 luglio. Diretta da Cate Shortland, la pellicola è un gigantesco flashback che si svolge interamente nel periodo di tempo che separa il finale di “Captain America: Civil War” dall'inizio di “Avengers: Infinity War” e ci racconta un'avventura di Natasha Romanoff mai narrata. La visione di questa pellicola è coincisa con il mio ritorno in sala dopo un anno e mezzo di chiusura. Non ho parole per esprimere la felicità che ho provato. È stato semplicemente perfetto. Le luci che si spegnevano, la sigla introduttiva dei Marvel Studios a tutto volume. Tutto questo ha reso questa esperienza magica. Annebbiato da questi sentimenti, appena uscito dalla sala con i miei amici ho cominciato a ripetere a me e a loro quanto mi fosse piaciuto il film. Dopo alcuni di giorni però mi sono accorto che quelle affermazioni fatte a caldo, subito dopo la visione, non rappresentavano in pieno la mia opinione. Così ho deciso di fare una cosa che di solito non faccio mai: andare a vedere lo stesso film due volte al cinema. La seconda volta effettivamente ho apprezzato meno il film, e il mio voto complessivo è sceso da un esagerato 9 a un comunque meritato 8. Su alcuni punti però il film però è riuscito a emozionarmi come la prima volta. Le sequenze d’azione frenetiche, la recitazione magistrale della Johansson e di Florence Pugh (che qui interpreta la sorella minore di Natasha, Yelena), il design del villain Taskmaster, la cui abilità è quella di replicare ogni stile di combattimento soltanto guardandolo, e per ultimo il personaggio interpretato da David Harbour, Red Guardian, risposta sovietica all’esperimento del super soldato e spalla comica di Natasha. Questi elementi permettono al film di intrattenere il pubblico in modo straordinario e di non farlo mai annoiare.

Come ci dimostra la seconda serie tv di cui vorrei parlarvi: “What if…”, uscita l’11 agosto. Ogni appassionato di comics sa che i What if erano fumetti one-shot, cioè con nessuna correlazione l’uno con l’altro, dove gli autori della Marvel potevano dare libero sfogo alla propria immaginazione, sconvolgendo e riscrivendo i personaggi e i gruppi di supereroi più amati. Ci sono stati fumetti su cosa sarebbe successo se spider man fosse entrato nei fantastici quattro; se Thanos si fosse unito agli Avengers oppure se Captain America non fosse rimasto congelato nell’artico durante la Seconda guerra mondiale. E la serie omonima fa la stessa cosa. Reinventa personaggi amati da tutti nei modi più disparati, raccontando vicende apparentemente separate tra loro. Cosa sarebbe successo se Peggy Carter avesse assunto il siero del super soldato, se T’Challa fosse stato rapito da Yondu oppure se Ultron avesse vinto contro gli Avengers. La nostra guida in questo infinito multiverso è l’Osservatore, dio cosmico in grado, per l’appunto, di osservare ogni universo parallelo a quello ufficiale dell’MCU ma che non può interferire in alcun modo nelle vicende narrate. La serie, sorprendente e avvincente, seppur tra alti e bassi (dalla perfezione grafica raggiunta nel quarto episodio alla comicità scadente del settimo), ha cercato di unire le storie che stava raccontando, regalandoci un finale mozzafiato pieno di azione e colpi di scena. Elemento che mi ha fatto adorare questa serie è il fatto che da ogni episodio si poteva percepire quasi un genuino entusiasmo fanciullesco da parte degli sceneggiatori nel poter muovere le vicende dei protagonisti come se fossero pezzi di un'enorme scacchiera multiversale. Ma oltre a questo, ciò che mi ha emozionato di più in “What if…” è stato riascol-

E per ultimo, ma non per importanza, vorrei parlare di “Shang Chi”. Il film è uscito il 1° settem-

19


bre al cinema e già nel primo weekend si è imposto nei botteghini con un guadagno di circa 71,4 milioni di dollari solo nel nord America. Le aspettative per la pellicola non erano delle più elevate, il personaggio non era noto ai più e la presenza di grandi nomi nel cast mancava; tuttavia il film è riuscito a sorprendermi. La trama si articola intorno alle vicende familiari del protagonista. Dopo essersi lasciato alle spalle un passato doloroso, all’ombra dello spietato padre, Shang-Chi vive una vita comune a San Francisco in compagnia di Katy, una ragazza di origini cinesi a cui è molto legato. Ma a un certo punto viene raggiunto dalla famigerata organizzazione terroristica dei dieci anelli. Questo incontro porterà Shang a fare i conti col suo passato e a scoprire verità nascoste riguardanti sua madre. I punti di forza di questo film sono due. In primo luogo il reparto degli effetti speciali. La concezione del mondo “orientale” della Marvel è visivamente sublime e completamente diversa da qualsiasi altro film della saga. L’atmosfera, i toni e gli scenari sono particolarmente ispirati: primo tra tutti, la mitica Ta-Lo, una terra incantata e popolata da creature del folklore orientale con bellissime e maestose bestie mitologiche di ogni genere. Inoltre Simu Liu al suo “quasi” esordio sul grande schermo ci regala una performance davvero convincente: la parte del figliol prodigo e dell’eroe improvvisato gli calza a pennello. Altro elemento

che rende davvero spettacolare questa pellicola sono le coreografie dei combattimenti. Le varie battaglie e gli scontri singoli sono orchestrati magistralmente per sembrare quasi delle coreografie di danza, oltre che essere davvero fedeli ai vari stili di arti marziali presenti nella tradizione cinese. Detto tutto questo, vi trattengo un altro minuto per ricordarvi che entro la fine dell’anno usciranno altri due film e una serie tv targati Marvel Studios: “Eternals” diretto dal premio Oscar Chloe Zhao, il 5 novembre che introdurrà un nuovo gruppo di supereroi. Tra gli attori Richard Madden, Kit Harington e Angelina Jolie; la serie “Hawkeye” il 25 novembre, che seguirà le avventure di Clint Barton insieme alla sua protetta Kate Bishop (interpretata da Hailee Stainfield); e per ultimo “Spider-Man: No Way Home” diretto da Jon Watts, il 16 dicembre, la cui trama è ancora oscura ma che, probabilmente, vedrà il ritorno sul grande schermo di Tobey Maguire e Andrew Garfield nei panni delle loro rispettive versioni dell’Arrampicamuri del 2002 e del 2012. Comunque, fino a che questi film non saranno rilasciati al cinema, statemi bene, Veri credenti. Excelsior! ALESSANDRO PETRASSI

Shang Chi che lotta contro suo padre Xu Wenwu detto “Il Mandarino”

20


Il buco della vita e dell’ignoto

Il buco” di Michelangelo Frammartino, premiato dalla giuria a Venezia, è un film di quelli che non ti aspetti, un cinema che racconta solo e solamente con delle immagini e un sonoro stupefacenti. Il regista nostrano prende ispirazione da una storia realmente accaduta agli inizi degli anni ’60 e crea un’opera universale. Ci troviamo nel sud rurale della penisola (per l’esattezza presso l’altopiano calabrese del Pollino) e l’autore ci tiene subito a mettere in chiaro le cose, facendoci respirare un’aria particolare, forse proprio l’aria di quei paesaggi e di quei monti meravigliosi ed estremamente suggestivi che vediamo sul grande schermo. Pecore, buoi, cavalli, un paesino, una grotta e un anziano pastore, il quale ricopre un ruolo ben preciso che non sto troppo ad approfondire per motivi più che ovvi… vi basti sapere che la sua presenza è estremamente simbolica. Una scoperta stupefacente compiuta da un gruppo di giovani speleologi fa da nucleo centrale per ciò che vuole rappresentare Frammartino. L’Italia che vediamo in questo film è estremamente bipartita: da una parte abbiamo il paese del progresso, che viene mostrato attraverso programmi televisivi pomposi e che puntano allo stupire il pubblico medio-basso, dall'altra vi è l'italia rurale del sud; luoghi totalmente dimenticati dal loro stesso paese ma che sono abitati da persone che vivono e hanno sempre vissuto a stretto contatto con la propria terra" A inizio film in tv non a caso si parla di palazzi

alti centinaia di metri per poi osservare poco dopo gli speleologi esplorare una delle grotte più profonde al mondo, queste due realtà creano un contrasto più che evidente, l’uomo moderno va sempre più su ma forse, quello che dovremmo fare realmente, è entrare giù in profondità delle cose. L’uomo torna a contatto con la propria terra madre mentre si costruiscono palazzoni e metropoli, mentre un’intera fetta di popolo (quella che abita i luoghi in cui il film è ambientato) è ancora analfabeta, mentre i pastori parlano una lingua incomprensibile (“tè, tè” è il vocabolario utilizzato dal già citato pastore). Un racconto di vita, di fine e di un cambiamento dal punto di vista sociale, culturale ed economico. In questo film nulla è rappresentato a caso; una grotta diviene luogo simbolico ed un pastore il suo mentore (e non solo della grotta, forse dell’intero territorio). Questo è “il buco”, un cinema apparentemente semplice, ma che proprio in questa genuinità trova il suo reale significato, il film si trasforma in mezzo comunicativo per l’interiorità, e tutto ciò lo fa con immagini potenti ed evocative, che alle volte ricordano un film di Tarkovskij e altre volte ancora ritraggono semplicemente alla perfezione e con delicatezza la storia di un luogo e dei suoi abitanti senza l’uso della parola, ma attraverso la vera e pura forza del cinema. MICHELE TANTILLO

21


MUSICA

La Playlist ▷ di Serena Mavrovic Siamo tornati dopo due anni di sofferenze e dolorose separazioni finalmente tutti insieme, stiamo riassaporando a poco a poco la bellezza di condividere con qualcuno al nostro fianco la vera scuola, quella dove si può tornare a vivere senza gruppi e realtà distinte la collettività del nostro istituto , luogo che da sempre si nutre di socialità la quale sta cercando di tornare, seppur con fatica e ancora non pochi ostacoli. Perciò quello che ci serve ora è qualche brano in grado di darci la carica, o almeno la forza, di continuare ad andare avanti nonostante non tutto sia nella condizione ottimale che vorremmo.

“Model Village”- IDLES: già il nome della loro band dice tutto sulla loro essenza, gli idoli scritti tutti in caps-lock, poiché hanno molto da dire e lo fanno a voce alta. Partiamo con un brano oserei dire potentissimo, dalle opinioni forti e molto schierate in grado di raccontare a pieno l’ Inghilterra moderna usando metafore folkloristiche peculiari. Questo brano è un singolo del 2020 tratto dall’album “Ultra Mono”, capolavoro assoluto in sé che vi invito ad ascoltare nella sua interezza. La visione d’insieme che strumentale e testo ci offrono è un vero e proprio viaggio in un fantomatico villaggio, dove tutti i più grandi stereotipi britannici vengono inquadrati alla perfezione, per essere poi distrutti. La base la trovo per il panorama moderno ben studiata e l’uso delle voci a canone nelle strofe lasciano pensare quasi ad una vera e propria conversazione trasposta in musica. Di questo brano oltretutto è uscito anche un remix, che rende assolutamente omaggio alla canzone originale, caratterizzato dall’aggiunta della voce inconfondibile e le liriche del talentuosissimo Slowthai. Generi: Alternative/Indie, Punk “Only you...and everybody else”- Potwash: Singolo del 2020 che richiama molto la vaporwave e come ritmiche strizza l’occhio agli anni ottanta, nonostante risulti molto moderna e fresca all’orecchio, non vi sono moltissime differenze fra le dinamiche ma non risulta ridondante, al contrario è totalmente ipnotica. Direi che trovo una grossa somiglianza fra questo brano e in generale la fase iniziale del progetto Current Joys, perciò chiunque di voi ha apprezzato il brano “New Flesh” del sovracitato progetto amerà anche questa traccia. Genere: Alternative/Indie, Vaporwave

22


“Dark Entries”- Bauhaus: Celeberrimo brano del 1980 tratto dall’album “In the flat field” che ha fatto la storia della musica, marcando il passo per la scena gotica moderna, per tutte le presentazioni che io possa dare mai nessuna abbastanza potrà riassumere anche solo la cura con cui le liriche sono scritte, perciò ascoltate e godetevi ogni singolo attimo di ciò che sentirete, perché da quel momento, tornare indietro all’ascolto di altri tipi di musica sarà difficile. Generi: Post-Punk, Gothic Rock

“Cherry bomb”- The Runaways: Rilasciata nel 1976 come parte del loro self-titled album “Cherry Bomb” da quel momento ha rappresentato la generazione della ribellione, in cui ragazze di tutte le età hanno cominciato a prendere in mano la loro vita, rivendicando la loro libertà. Il testo è come se fosse una dichiarazione al pubblico da parte della cantante, al tempo adolescente, in cui sottoscrive la sua indipendenza e la sua voglia di vivere al massimo fuori da ogni schema, rinnegando quasi persino i suoi genitori, per lei rappresentazione di ciò che non le ha permesso fino a quel momento, di essere realmente libera. È molto interessante vedere come le liriche siano attuali e a volte vengano sorprendentemente riutilizzate, soprattutto per i concetti espressi, da band di stampo rock o punk moderne. Genere: Hard Rock

“Damaged Goods”- Gang Of Four: Brano del 1979 tratto dall’album “Entertainment!” in grado di racchiudere al suo interno molteplici chiavi di lettura. Di primo acchitto l’approccio sembra quello di una classica canzone post-punk del tempo che parla di amore basato solo su rapporti fisici e non su sentimento, raffigurando la superficialità dell’atto pratico in assenza di qualcosa di vero, tutto ciò invece si svela essere un parallelismo fra il puro sesso fatto per piacere e il piacere del consumatore nel comprare, favorendo una prospettiva che si basa su un esempio pratico di quanto una società basata sul consumismo sia veloce nel cambiare idea e di conseguenza ancor più veloce a dirottare il suo interesse su qualcosa di nuovo, lasciando indietro ciò che sono i beni non considerati più di valore. Il brano a livello ritmico è molto dinamico e aiuta l’ascoltatore a calarsi in una dimensione dove le immagini sono veicolo principale per recapitare il messaggio della canzone, in quanto molto dirette. Genere: Post-Punk

23


“Fire in Cairo”- The Cure: Traccia fra le più politiche dei Cure del 1979 proveniente dall’album “Three Imaginary Boys”. La strumentale rappresenta in pieno il sound iconico della band, fortemente anni ottanta con presenza sia di elementi portati da strumenti organici che da sintetizzatori, il tutto assume un tono austero nonostante la ritmica sia incalzante, forse il merito dell’austerità in questo caso penso proprio vada dato alle liriche, degne di nota e molto impegnate, le quali raccontano un fatto di cronaca del 1952, per l’appunto nella città del Cairo in Egitto, avvenimento che viene definito oggi come il “Black Saturday”; in quell’occasione moltissime persone persero la vita e quello viene ricordato come uno dei più alti momenti di vergogna per l’esercito inglese, Robert Smith, cantante del gruppo, infatti con questo brano ha cercato di mettere in luce di nuovo la questione, caratterizzando il testo con metafore ben elaborate, come del resto tutti i testi del loro repertorio. Vi invito a ricercare in maniera più approfondita poi l’evento storico raccontato dal brano, in modo da comprendere a pieno l’atmosfera e il contesto dell’insieme. Generi: Pop, Rock “I wanna be adored”- The Stone Roses: Dalle strade di Manchester con furore gli Stone Roses sono forse i veri inventori di quello che più tardi si trasformerà in Britpop, questo brano che viene dal loro self-titled album del 1989 racconta in un crescendo continuo il pensiero dei ragazzi figli di una città che ormai ha poco da dare, al tempo città operaia la quale non offriva molte possibilità di crescita ai giovani che avevano solo voglia di evadere, la frase su cui si incentra la canzone infatti “Io voglio essere adorato” indica quanto l’effimero desiderio di vera e propria celebrazione potesse essere carburante, nonché a volte benzina da mettere sul fuoco per quei ragazzi persi in cerca di una vera strada da seguire, che andavano per rave per trovare un vero scopo. Generi:Alternative/Indie, Rock “Dark Red”- Steve Lacy: Traccia del 2017 che proviene da una raccolta di demo del chitarrista della meravigliosa band The Internet, riesumata ultimamente dal pubblico dell’app Tik Tok, il quale nonostante riesca spesso a rovinare buone produzioni pop, riproponendo fino alla nausea brani validissimi che il pubblico generale arriva ad odiare per colpa di questa eccessiva condivisione, questa canzone qui si è riuscita più o meno a salvare in tempo. Il mixaggio come afferma Steve Lacy stesso non è stato frutto di un lavoro complesso ma bensì di un buono studio sulla progettazione della canzone , infatti le linee vocali della demo le registrò con il suo telefono per poi montarle ad arte con garage rock (programma per produzioni musicali targato Apple). Il brano per essere pop mantiene al suo interno l’influenza estremamente R&B dei The Internet, con un tocco molto personale in termini di stile da parte dell’abilissimo Lacy. Generi: Pop, R&B

24


“Valley of tears”- Buddy Holly: Ogni estimatore di musica che si rispetti almeno una volta nella vita si deve concedere il lusso di ascoltare Buddy Holly e dico ciò, con estremo piacere, poiché devo ringraziare una mia cara amica di avermelo suggerito ed ha ragione è una benedizione per le orecchie, quel sound d’epoca ma non datato che ti fa tornare indietro nel tempo come se questa realtà stesse rallentando, come se fossimo in una dimensione onirica targata 1958, quando la cover di questo pezzo fu rilasciata proprio da lui che un anno dopo morì in un incidente aereo con Ritchie Valens e Big Bopper, precisamente il 3 di Febbraio, quel giorno fu soprannominato “il giorno in cui la musica morì”. Genere: Rock & Roll, Pop

“I been”- Ari Lennox: A chiusura di questa playlist ho deciso di mettere un brano con dei virtuosismi vocali da brivido del 2019 dell’album “Shea Butter Baby”. Questa canzone dalla prima volta che l’ho sentita l’ho considerata un vero e proprio masterpiece, soprattutto per le doti canore indiscusse della nostra Ari Lennox in grado di fare falsetti e whistle-notes come se niente fosse. Il brano strumentalmente si può definire classicamente R&B ed il testo semplice ma d’impatto. Consiglio caldamente ai miei lettori anche di sentire la versione live che ha fatto su youtube in collaborazione con Colors, incredibile ma vero in live rende quasi meglio dell’originale e si può sentire anche come lei azzardi di più cercando di alzare a volte le tonalità già alte e molto elaborate del ritornello. Genere: R&B

25


FOTOGRAFIA CINEMA

Scrittura di luce

L

Un'altra interessante novità è la “Galleria fotografica”: in questo numero infatti sono presenti alcune fotografie scattate da me in pellicola. Sono state tutte scattate a Roma e raffigurano, ad eccezione di una, scorci di periferia, spesso trascurati sebbene meritino la nostra attenzione. Chiunque voglia partecipare e inviare le proprie foto, in digitale o in analogico, a colori o in bianco e nero, è più che benvenuto, così da arricchire e diversificare la galleria fotografica. Allo stesso modo, se amate la fotografia e vi piacerebbe scriverne inviateci i vostri articoli per i prossimi numeri, ne saremmo più che felici.

a fotografia è una mia grandissima passione: trovo che ci sia qualcosa di magico nel momento dello scatto, nell'imprimere un momento, un'immagine, per sempre sulla pellicola. É un'arte che viene spesso e volentieri purtroppo trascurata, eppure la fotografia ha avuto ed ha un'importanza storica fondamentale e spesso storie incredibili sono collegate alle immagini che vediamo. Per questo sono più che felice di aver avuto l'opportunità di gestire una rubrica dedicata alla fotografia all'interno del nostro giornale, sperando di riuscire a portare, nel mio piccolo, un po' di quest'arte all'interno della nostra scuola. La storia della fotografia, seppur abbastanza recente, è molto articolata e, come qualsiasi altro fenomeno storico, è legata a dei nomi, ai fotografi che l'hanno iniziata, sviluppata, rivoluzionata. Per il primo articolo di questa rubrica ho scelto di parlare di una figura importantissima non solo per quanto riguarda la disciplina fotografica ma anche per quello che ha rappresentato nell'ambito dell'emancipazione femminile: una donna con una vita straordinaria, tanta determinazione e grande coraggio.

Nella speranza che l'argomento possa interessarvi tanto quanto interessa me, che non sono una fotografa professionista né tantomeno una critica fotografica ma solamente una persona che ama questa forma d'arte, non mi resta altro che augurare una buona lettura a tutti! CAROLINA CORSETTI

26


Molto più di una ragazza con la Leica

Q

uando si parla di fotografia di guerra, tra i primi nomi a venire in mente compare quello di Robert Capa, uno dei più conosciuti della storia della fotografia. Decisamente meno conosciuto è invece un altro nome: quello della sua compagna, la fotografa tedesca Gerda Taro. Rimasta a lungo nell'ombra e spesso relegata al ruolo di fidanzata di Capa, la sua figura è tornata a essere oggetto di studio e interesse storico a partire dagli anni novanta del secolo scorso. A farle guadagnare popolarità ha ultimamente contribuito il romanzo della scrittrice Helena Janeczek “La ragazza con la Leica”, pubblicato nel duemiladiciassette e vincitore del premio Strega l'anno successivo. Senza dubbio fu il famosissimo fotoreporter a introdurla alla fotografia e a insegnarle a usare appunto la Leica ma, come si evince anche dal romanzo stesso, Gerda Taro è stata molto più della compagna di Capa e molto più di una ragazza con una macchina fotografica. Oltre a essere divenuta insieme al compagno una dei più importanti fotografi di guerra, Gerda fu una donna fuori dagli schemi, coraggiosa rivoluzionaria militante e figura di spicco nella resistenza al fascismo. Giovanissima entrò a far parte di movimenti socialisti e di lavoratori, pur venendo da un contesto borghese, una famiglia di ebrei polacchi. Le sue origini e le sue attività politiche si scontrarono dunque con l'avvento del nazismo in Germania: attiva nel Partito comunista tedesco, Gerda venne arrestata con l'accusa di aver distribuito volantini antinazisti a Lipsia, dove si era trasferita con la famiglia da Stoccarda, sua città natale.

Venne in seguito rilasciata grazie al suo passaporto polacco e decise di lasciare la Germania per trasferirsi a Parigi. Affascinante, irriverente ed estremamente intelligente, nonché poliglotta, la ragazza si inserì perfettamente nel contesto parigino. Nel 1935, attraverso la carissima amica Ruth Cerf, conobbe uno squattrinato e non ancora famoso Robert Capa, nell'epoca in cui quel nome ancora non esisteva e quello che sarebbe stato definito il più grande fotografo di guerra di sempre portava ancora il suo nome di battesimo ungherese: Endre Friedmann. I due non solo si fidanzarono ma stabilirono anche un fortunato sodalizio professionale: fu proprio assieme a Gerda che Endre inventò il personaggio di Robert Capa, celebre fotografo Americano trasferitosi a Parigi per lavorare in Europa, adottando per sé pseudonimo e storia. Anche la sua compagna si creò uno pseudonimo: da Gerta Pohorylle divenne Gerda Taro. Inaspettatamente, il marchio Capa-Taro funzionò: grazie alla storia interamente costruita del ricco fotografo americano, infatti, la coppia trovò più lavoro e cominciò a guadagnare molto con la fotografia. Nel 1936 i due decisero di fotografare insieme la guerra civile spagnola, divenendo testimoni fondamentali delle vicende belliche del Paese. Arrivati a Barcellona, tra le prime realtà che la coppia ha documentato è incluso l'addestramento di alcune giovani miliziane. Qui Gerda scattò forse la sua foto più famosa, che ritrae una miliziana mentre si addestra su una spiaggia spagnola. La foto della ragazza, con i tacchi indosso e una pistola in mano, ha fatto il giro del mondo proba-

27


“La­Miliziana”­foto­di­Gerda­Taro

bilmente per la sua singolarità: queste donne armate pronte a combattere al fianco degli uomini in una società altamente conservatrice rappresentavano qualcosa di unico. La fotografa le ammirava moltissimo e ne rimase totalmente affascinata: probabilmente si rispecchiava anche in loro. Le sue fotografie sono il racconto di un testimone oculare: Gerda fotografava ciò che vedeva così com'era, cercando sì il suo stile e le giuste angolazioni ma senza mai alterare la realtà della guerra che voleva a tutti i costi documentare. Il suo lavoro costituisce uno dei più importanti documenti visivi della guerra civile spagnola vissuta dalla parte dei repubblicani. La fotoreporter si distinse tra le milizie antifasciste per il suo coraggio e rischiò continuamente la vita pur di realizzare i suoi servizi fotografici. Secondo il racconto di alcuni testimoni, lei stessa aveva più volte incitato i combattenti all'attacco contro i franchisti nella battaglia di Brunete, durante la quale si dedicò al suo più importante reportage fotografico.

Reportage che realizzò completamente sola, poiché Capa in quei giorni si trovava a Parigi per questioni lavorative. Gerda Taro il suo compagno non lo avrebbe più rivisto: la nostra ragazza con la Leica morì coinvolta in un incidente di ritorno dal fronte di Brunete, divenendo la prima donna fotoreporter a perdere la vita sul campo. Mentre viaggiava aggrappata all'auto di un generale, alcuni aerei tedeschi mitragliarono il suo convoglio e, nel caos generale, un carro armato amico urtò la sua auto e la fotografa venne schiacciata dal peso del carro all'altezza dello stomaco. Coraggiosa fino all'ultimo, Gerda non perse conoscenza e, mentre veniva trasferita in ospedale a Madrid mantenne, come raccontano i testimoni, una straordinaria lucidità, tenendosi insieme le viscere con la sola pressione delle mani. Nonostante le fosse stato preannunciato un decesso inevitabile, la ragazza si preoccupò interamente dell'incolumità delle proprie macchine fotografiche, assicurandosi che non si fossero

28


rotte. Il 26 luglio 1937 Gerda chiuse gli occhi e non li riaprì più, il primo agosto avrebbe compiuto ventisette anni. Il suo corpo venne trasferito a Parigi dove Mademoiselle Taro, eroina repubblicana, venne pianta e seppellita con tutti gli onori al Père-Lachaise. La sua tomba fu l'unica del celebre cimitero a essere violata dai nazi-fascisti, anni dopo, a testimonianza della centralità che la sua figura ancora esercitava nella resistenza francese. Nel 1938 Capa pubblicò in sua memoria Death in the making, una raccolta di foto scattate insieme. Endre la piangerà per tutta la vita e non si riprenderà più dalla sua perdita. Continuerà tuttavia a rischiare la vita per realizzare i suoi reportage fino a che, nel 1954, intento a documentare la Prima Guerra d'Indocina, morirà anche lui saltando su una mina antiuomo a

Tay Ninh. La sua morte è immaginata e descritta nella canzone Taro del gruppo britannico Alt-J, dedicata a lui e a Gerda. Il gruppo racconta della tragica fine del fotografo: Capa muore di una morte violenta ma non tutto è perduto: in questo modo infatti si ricongiunge per sempre alla sua Gerda, straordinaria ragazza con la Leica e donna pioniera del fotoreportage il cui coraggio e determinazione furono d'ispirazione nella resistenza al fascismo. CAROLINA CORSETTI 2 C

Gerda Taro e Robert Capa fotografati dall’amico Fred Stein

29


30

GALLERIA FOTOGRAFICA


31

GALLERIA FOTOGRAFICA


IDEE

Anche quest’anno Anche quest’anno abbiamo occupato, “se semo presi scola”. Ne è valsa la pena? Non lo so. Abbiamo sbagliato a farlo? Non credo. Le tradizioni, specie nella nostra cultura, sono una parte fondamentale del nostro essere sociale, senza quelle le giornate perdono il ritmo e i mesi non si distinguono l’uno dall’altro se non per la temperatura che c’è fuori. Tradizione (una parola che qui, anche se non proprio correttamente, sto usando come sinonimo di rito) non significa solo andare dai nonni per Pasqua o festeggiare gli anniversari. Le tradizioni sono parte di tutti gli aspetti della nostra vita. Ci sono le tradizioni piccole, personali e quotidiane: non pestare le righe tra le mattonelle della strada, prendere un caffè al bar sedendosi sempre nello stesso posto , prendere il giornale sempre nella stessa edicola. E ci sono tradizioni particolari, per le quali ci si prepara in anticipo e che accadono soltanto in determinati momenti. Possono essere farsi una foto a ogni inizio di anno scolastico, come può essere fare a ogni Halloween un costume di gruppo, come può essere occupare la scuola ogni anno. Mi rendo conto che alcuni potrebbero sentirsi offesi all’idea che il loro strumento di protesta preferito sia ridotto a una tradizione studentesca. Ma chiamare l’occupazione per quello che è non significa sminuirne il valore, anzi, significa dargli una ragione più profonda di quello che il Collettivo o la preside possano dargli. Sono certo che tra gli studenti, specie tra quelli che hanno brandito il megafono, c’è sicuramente qualcuno che crede fermamente che quest’occupazione, come le altre, sia stata efficace e necessaria per la difesa della libertà e dei diritti studenteschi.

Ma questo è solo un aspetto parziale della questione, in quanto, l’utilità dell’occupazione e le sue ripercussioni possono essere valutati in maniera soggettiva e avere effetti diversi da persona a persona. L’unico aspetto oggettivo del “prendersi scola” è la ritualità che quest’atto comporta. Ci sono pochi altri eventi capaci di unire emotivamente un gruppo di adolescenti come la partecipazione a un’esperienza del genere; e qui non si tratta soltanto di un gruppo di amici sgangherati che creano profondi legami tra loro, ma di un liceo intero. Se chiedessi a ogni manariota, o almeno a quelli dell’epoca pre-covid, qual è stato il momento che lo ha più di tutti legato al nostro liceo o fatto sentire un tutt’uno con i suoi compagni di scuola, per quanto qualcuno possa dire “la notte bianca” o “il vitamina day”, sono sicuro che la maggior parte di noi citerebbe una qualche occupazione (specie, e sempre, quelle più vecchie, “che si facevano mejo di queste”). Le norme codificate del nostro rito sono semplici. Il collettivo a Valle non è che una vigilia del grande evento, è il momento nel quale si ufficializza la legittimità dell’azione, e si stabilisce il modello da seguire. “Alzatevi e votate: di qua per occupare, di là per non occupare”, ma lo sanno tutti che saranno in quattro da un lato e in cento e passa dall’altro. Non si tratta di un voto reale, ma della dimostrazione che è il Manara a volerlo. Non c’è più lo studente, né la classe, né tantomeno il Collettivo, c’è solo la volontà del Manara ora, un unico grande organo che prende decisioni per se stesso e conosce la sua strada. Ogni elemento contrario al volere dello spirito manariota non è che una piccola acciuga che si è staccata dall’immenso

32


banco, che si muove ugualmente deciso anche senza di lei. Ma ci soffermeremo su questo più avanti. Un altro elemento fondamentale per la ritualità dell’evento è la partecipazione collettiva e, benché il “voto” del collettivo sia una forma di partecipazione, la più importante è certamente il canto. In una serie di studi sugli effetti della “reattività musicale”, due ricercatori americani hanno verificato che questa influenza i processi di appartenenza a un gruppo, il creare legami positivi con i membri del gruppo, il ridursi dei pregiudizi verso questi e verso il tipo di reazioni che si hanno quando il gruppo è minacciato (Chris Loerch e Nathan Arbuckle, “Unraveling the mystery of music: Music as an evolved group process” in American Psychological Association, 2013). In un altro studio pubblicato sull’Huffington Post dai ricercatori Idil Kokal, Annerose Engel, Sebastian Kirschner e Christian Keysers, si dimostra come, con il coordinamento attraverso la musica, si possa aumentare il nostro senso di comunità e il livello di socialità con chi canta insieme a noi. Il vantaggio evolutivo di un comportamento simile è evidente: un gruppo che si unisce attraverso il canto collabora meglio e raggiunge risultati più efficaci, sia che si tratti di abbattere un mammut nel Paleolitico sia che si tratti di co-

struire delle barricate con i banchi di scuola nel XXI secolo. Il nostro “Manara tornerà”, con la sua struttura “a botta e risposta”, basata su una melodia familiare e semplice da ricordare, non solo assicura la creazione di legami forti tra chi la canta, ma permette anche di individuare facilmente i membri del gruppo a cui si deve fare riferimento, sia per ripetere la strofa cantata sia per avvertire dell’arrivo della polizia davanti scuola (quindi fondamentalmente andando a delineare una chiara gerarchia all’interno dell’organizzazione). Inoltre è il canto che dà al Collettivo la sua individualità, distinguendolo da quello di tutti gli altri licei (chiunque sia mai stato a una manifestazione sa bene come ogni liceo non vede l’ora di cantare il suo inno sopra quello di tutti gli altri). Il canto manariota è il vero “elemento trascendentale” del Collettivo, più dei suoi simboli e dei suoi slogan. Una volta che il ciclo scolastico degli studenti che componevano il Collettivo di prima finisce, e che la direzione di quest’organo passa alla nuova generazione, l’unico filo che realmente lega questi due gruppi e che ai nostri occhi li rende uno solo, è proprio “Manara tornerà” e le sue note immortali. A questo punto, una volta che il voto-non voto ha espresso il volere “unanime” del liceo si passa al prossimo elemento del rituale: il segreto comune.

33


“I ragazzi occuperanno?” è la domanda sulla bocca di tutti i professori. Ufficialmente nessuno di loro dovrebbe saperlo, anche se in realtà qualche simpaticə leccaperineo finisce sempre con il dirglielo. Ma comunque, tra chi ha votato nell’assemblea a Valle si crea un senso di intesa e di complicità, dati dalla comune partecipazione a un segreto. Lo psicologo sociale Michael Slepian in un suo articolo pubblicato su Journal of Experimental Social Psychology (Vol. 78, 2018) descrive come il mantenere un segreto possa creare un forte legame e un ampliato senso di intimità tra le persone coinvolte. Questo concetto può applicarsi a due amici così come a un gruppo. C’è da dire comunque che il segreto qui è a più livelli, in quanto non tutti sono a conoscenza della data esatta in cui l’azione prenderà piede. Di nuovo, il segreto, come il canto, aiuta a definire la gerarchia del Collettivo, tra coloro che partecipano ma non sanno, e coloro che realmente partecipano e sanno. Per diversi giorni tutti gli studenti sono presi da uno stato di trepidazione e eccitata attesa, solitamente accompagnata dalla speranza che l’occupazione cada il giorno di una verifica o di un’interrogazione. Si promulgano teorie su quale giorno della settimana sarebbe il più conveniente per agire; chi può assedia gli amici vicini al Collettivo con domande e interro-

gativi, ma solitamente non ne esce mai fuori nulla di concreto. Poi una sera sul tardi ecco il segnale: il giorno è domani. Tutti si preparano: si va a dormire presto, si mette la sveglia alle sei, si prepara il necessario. Ma nessuno dorme subito quella notte: tutti sono svegli con gli occhi aperti nel buio in preda all’eccitazione per quello che avverrà il giorno seguente. Ovviamente questo non riguarda i veri e propri occupanti, quelli che stanno davanti al cancello di scuola nel cuore della notte, che in fretta e in furia scavalcano e barricano l’edificio. Ma questi non sono che strumenti attraverso cui l’occupazione si compie, essi diventano mezzi dello spirito manariota. Qualcuno potrebbe obiettare che no, il Collettivo, l’Occupazione, sono il risultato delle azioni di singoli, “di quelli che vanno alle quattro”, di quelli che tengono in mano il megafono (uno strumento che ricorda terribilmente la conchiglia de “Il Signore delle Mosche”) e non di un non meglio identificato gruppo che prende decisioni proprie. Per contro, vorrei richiamare Lev Tolstoj, fautore dell’idea che non siano i “capi” a guidare i movimenti, ma che siano le masse stesse a guidarsi verso la direzione che hanno scelto, e di lasciare il potere a chi lì porterà in quella direzione. Scrive

34


quella precedente. Ciò che accade dentro la scuola durante l’occupazione dipende davvero da chi la organizza, da chi ne detta le regole e da chi tenta di farle rispettare. Un esempio perfetto di ciò sono “gli esterni”: necessari per far numero, terribili per la stabilità del liceo occupato. Per ogni Collettivo la gestione degli esterni è forse tra gli elementi più compless da regolare in questo evento: essi si presentano sia come uno strumento necessario ai fini della riuscita dell’impresa, ma allo stesso tempo sono visti dal gruppo degli occupanti come una possibile minaccia che il più delle volte finisce per creare più danni di quanti ne possano fare “ee guardie”. Ogni occupazione ha la sua storia di disordini e violazioni perpetrate da personaggi estranei al liceo, ma allo stesso modo ogni occupazione ha escogitato (o ha dimenticato di farlo) un metodo per controllarne il movimento e per reprimerne le azioni più turbolente. Ma in fin dei conti queste non sono che sottigliezze: una volta che “se semo presi scola”, il rituale è fondamentalmente già compiuto, ora c’è solo da tenere duro il più a lungo possibile, da mediare con la preside, e da fare servizio d’ordine chiacchierando con gli amici. Dopo qualche giorno le cose torneranno alla normalità. A parte qualche nuovo disegno sui muri e qualche porta sfasciata tutto sarà uguale a prima. Eppure qualcosa dopo l’occupazione cambia sempre. Non è nulla di evidente, non si può vedere da fuori. Ma c’è sempre una nuova luce in chi ha preso parte al rituale. Dopo che sei scappato da una guardia scavalcando il muretto, dopo che hai visto l’alba dal tetto della scuola, dopo che ti sei baciato con “quaa pischella carina” mentre facevi servizio d’ordine in palestra; dopo tutto questo non puoi non guardare a quel grigio palazzo di cemento con occhi diversi. Il rituale ha portato i suoi frutti: ora quello non è più solo un liceo, ma è anche una casa.

infatti Tolstoj in Guerra e Pace: “Negli avvenimenti storici gli uomini cosiddetti grandi sono etichette che danno il titolo all’avvenimento e, come le etichette, meno che mai hanno rapporto con l’avvenimento stesso. Ogni loro azione, che a essi sembra volontaria, nel senso storico è involontaria, e si trova legata a tutto il corso della storia ed è determinata da sempre”. Sono gli individui stessi che nel perseguire i propri fini guidano le redini della storia quindi, scrive sempre Tolstoj, “In ogni uomo vi sono due aspetti della vita: la vita personale, che è tanto più libera quanto più astratti sono i suoi interessi, e la vita elementare, la vita di sciame, dove l’uomo obbedisce inevitabilmente a leggi che gli sono prescritte. L’uomo vive consciamente per sé, ma serve come uno strumento inconscio per il conseguimento dei fini storici dell’umanità in generale. […] La storia, cioè la vita incosciente e comune, la vita di sciame dell’umanità, si avvantaggia per sé di ogni momento della vita dei re, come di un mezzo per raggiungere i propri fini”. I fini che portano lo studente a occupare possono essere vari: la protesta, il divertimento, la verifica del giorno dopo, la noia, l’erba, gli amici, gli amori, e ancora. Sono stati i ragazzi con il megafono a svegliare il singolo manariota alle sei per portarlo a scuola? Certo loro hanno occupato, hanno rovesciato i banchi e legato le sedie, ma lo sanno tutti che un’occupazione a cui nessuno partecipa è destinata a morire. Se non c’è l’approvazione dello spirito del Manara (che a questo punto tanto vale equiparare al “Mandato Del Cielo” dell’Impero Cinese) allora i capi stessi dell’occupazione diventano le acciughe smarrite fuori dal banco. Chi ha guidato un’occupazione arriva a guidarla solo perché sono stati i manarioti stessi a dargli il potere di farlo, e non viceversa. Chi sta sopra le scale anti-incendio in cortile ad arringare gli studenti, si trova là sopra per il solo motivo che c’è qualcuno che lo sta ad ascoltare da sotto. O, per usare ancora una volta le parole dello scrittore russo “Il potere è la somma di tutte le volontà delle masse, trasferito per consenso esplicito o tacito sui governanti scelti dalle masse. Alla condizione che quella data persona esprima le volontà di tutti gli uomini. Insomma il potere è il potere“. È ovvio che poi ogni occupazione è diversa da

N.H. GABRIELE ASCIONE

35


CUCINA

Biscotti con gocce di cioccolato Ingredienti (tipo per 4 persone) 100g di burro (no rega preparatevi non è una ricetta sana) 100g di zucchero 1 uovo 200g di farina Un pizzico di lievito Un pizzico di sale Una fracca di gocce di cioccolato (sul serio fate come vi pare)

E

bbene sì finalmente la ricetta dei mejo biscotti del manara non è più segreta. Dunque per iniziare dobbiamo tagliare il burro a pezzettini e metterlo in una ciotola; poi aggiungiamo lo zucchero e in modo molto elegante e professionale iniziamo a mischiare e spiaccicare tutto quanto finché non viene una pappetta di burro e zucchero. Se vi fa schifo l'idea di impiastricciarvi le mani cambiate ricetta (no dai scherzo potete usare una forchetta). A questo punto possiamo mettere l'uovo e tutti e 200 i grammi di farina. Aggiungiamo un pizzico di sale e uno leggermente più grande di lievito. Mischiamo tutto quanto e finalmente possiamo mettere le gocce di cioccolato (una fracca mi raccomando). Facciamo una splendida giga palla di biscotto che metteremo nella pellicola trasparente e poi in frigo per mezz'ora. Mentre aspettiamo che il nostro impasto riposi, puliamo il casino che so che avete fatto anche voi. Passata l'interminabile mezz'ora tiriamo fuori l'impasto, lo stendiamo con un mattarello e con delle formine carine ricaviamo i nostri biscotti. Mettiamo la carta forno nella teglia (o teglie perché vi saranno usciti veramente una cifra di biscotti) e scaldiamo il forno a 180°. A questo punto inforniamo e aspettiamo 10/15

minuti , ogni tanto sbirciamo sotto un biscotto alzandolo con la forchetta per verificare di non averlo carbonizzato. Se non avete fatto esplodere la casa potete godervi i vostri biscotti e fare i fighi portandoli a scuola. MARIA PAVOLINI

36


SPORT

La rinascita del tennis italiano

I

l 2021 è stato un anno indimenticabile nel mondo dello sport, specialmente nel tennis. Finalmente, dopo 61 anni (allora con Nicola Pietrangeli), il tennis italiano torna a fiorire con l’arrivo in finale del romano Matteo Berrettini nel torneo più rinomato del mondo: Wimbledon. È un’emozione che gli appassionati di tennis della nuova generazione non hanno mai avuto l’opportunità di provare. Ora, però, ripercorriamo il percorso sui campi d’erba inglesi di Matteo: parte piuttosto bene, cedendo all’argentino Pella un solo set, annientando subito dopo Zandschulp, Bedene e Ivashka. Senza alcuna perdita di sudore riesce ad arrivare ai quarti di finale battendo Auger-Aliassime (cugino della fidanzata), cedendo anche qui un solo set. Il “martello pneumatico italiano” arriva in semifinale contro Hurkacz, colui che ha avuto la meglio sul tennista elvetico Federer ai quarti di finale non lasciandogli prendere neanche una pallina. Il tennista polacco viene battuto. E ora arriva in finale contro il tennista più acclamato e allo stesso tempo più

odiato dell’ultimo ventennio: il serbo Novak Djokovic. Inizialmente, il tennista numero uno della classifica ATP non sembra in bella forma, mostrando difficoltà nel servizio e nella ricezione della palla. Ovviamente, Berrettini, con il suo servizio da 200 km/h e il suo dritto imprendibile, riesce a conquistare il primo set 7-6. Il tennista italiano non era mai stato così concentrato nella sua carriera tennistica. Al secondo set Djokovic si rialza e diventa un “alieno”, spaventando l’italiano che perde il secondo e il terzo set. Purtroppo, nonostante ci abbiamo sperato tutti in quel pomeriggio dell’11 luglio, non siamo riusciti a conquistare il torneo più famoso del mondo. Tuttavia, il tennis è stato completamente rivoluzionato grazie ai traguardi del tennista italiano, con la speranza di vederne molti altri e di provare emozioni indescrivibili come quella che abbiamo provato nel luglio del 2021. EDOARDO APPETITI

37


Componimenti creativi

38


Creativi LUGLIO

OGGI

ricordi la porta all'ingresso di legno? pesante e leggera con i muri in cartongesso ricordi la pioggia che scrosciava sul viale? la chioma del leone io che stavo a guardare dimmi che ricordi la Nuova Zelanda i sogni, la notte, la vita che ci stanca. e poi la chitarra, il pianoforte, i discorsi sulla morte la paura della fine, le birre e le lattine "staremo ancora insieme? io e te insieme?" mi dissi che dei ricordi non bisogna piantar seme non bisogna lasciar libera un anima che geme che se la gioventù è una gemma te la devi godere che i ricordi ti sfilano la realtà da sotto i piedi e tu sfili ad occhi chiusi come una barca senza remi sono cattivi i ricordi, diabolici quasi quindi chiusi la bocca e non te lo chiesi

Un giorno Ieri e Domani stavano litigando, Domani disse: "Smettila di pensare al passato, dobbiamo preoccuparci di ciò che potrà accadere!" Allora Ieri infuriato rispose: "Sei impazzito per caso?! Non ti ricordi quello che abbiamo superato? Se siamo arrivati fino a qui è solo merito mio!" "Ma dov'è Oggi?" Si chiese la primula dellasera annottata nei suoi petali. Beh lui non stava prestando molta attenzione, era troppo impegnato a ballare sotto la pioggia per ascoltare gli altri due. Siate come il presente, lasciate pure che Ieri e Domani litighino. Si perderanno la pioggia... VIRGINIA PERERA NEL PUNTO PIù VICINO AL CUORE

ANONIMO avrei preferito che mi avessi accoltellato in pieno petto, nel punto più vicino al cuore la lama che affonda nella carne così velocemente da non sentirne il dolore faccio fatica a respirare in un istante il sangue inizia a sgorgare è rosso fuoco e brucia la pelle ma niente di grave di fronte alla morte imminente trenta secondi solo trenta secondi un attacco di panico, una dichiarazione d’amore e le mie ultime parole dopodiché il nulla più assoluto

Istinti sadici nuotan tra i calici in terra svuotati in modi poco pratici ripeto in testa un mantra alquanto ludico "non puoi riflettere se non sei lucido" come si ferma il moto di un cervello cazzo fa male mi serve un martello mi giro e tu porgi un calice di vino non quel che ho chiesto, ma almeno sorrido. ALICE RINDONE LUI E LEI

CLAUDIA ARCHETTI Lui era un tipo brillante, ne erano convinti tutti. Ma quando lei lo abbracciava, per pochi secondi gli risuonava l'ignoto dentro, e diveniva un blocco di marmo. Era come se la sua mente tacesse del tutto e quelli che prima erano solo lievi sussurri del cuore ora si tramutavano in grida. VIRGINIA PERERA

39


Componimenti

PRIMA DI DORMIRE

15 MIN

la mente è egoista e nel mentre si rattrista tra trappole intrinseche la verità si idealizza nell’elenco dei tormenti, nel punto meno in vista abile si mimetizza nel bel mezzo della lista nel bel mezzo della lista l’occhio destro si distrae tra distorsioni di realtà in una realtà ideale solo e in silenzio il sinistro fissa un punto ma niente di anomalo nonostante noti tutto le orecchie si allungano e cercano un segnale segno indiscusso dell’ossessione maniacale non connetti nulla, sei confuso dai suoni senti in lontananza solo il rumore dei tuoni le labbra tremano, sfibrate per la sete neanche l’acqua può sciogliere quelle strette catene si muovono fuori tempo prive di ritmo non emettono nulla se non un rumore indistinto le dita si tendono e rompono i legamenti per toccare una dimensione che forse non comprendi dove tutto sembra lontano, impossibile da afferrare dove tutto è difficile persino da immaginare sento che il corpo mi abbandona lentamente si abbandona lui stesso all’anarchia della mia mente chiudo gli occhi per riuscire a respirare perché ciò che vedo intorno a me è il buio più totale non cercare la verità a tastoni nell’ombra l’unica che troverai è la verità della menzogna cerca la paura, il dolore, la vergogna o al massimo quel ricordo lontano che ti rialza dalla tomba

(Why do I keep calling? I don't need a new whip.) Paper cut on my wrist fades out a fly in the mist Sucking on that plastic saliva made me feel elastic in that button-up routine had a knife, wiped it clean Panic, she had been made helped me cleanse the blade steps concealed in the concrete she broke it but had been discrete mopped the last drops with her sleeve Just give me 15 min free me of your sin GABRIELE MAGI NOI DUE CI PERDIAMO Usciamo una sera per divertirci, Il tempo passa e non ce ne accorgiamo, Anche mentre noi due parliamo, Tra sguardi, sorrisi e risate noi due ci perdiamo, Non ci facciam caso e guardiamo l'ora, Si sono fatte le tre di notte. E in quel momento io ti chiedo, Continuiamo senza badare al tempo, Oppure Continuiamo tenendo conto del l'ora, Così da poterci ricordare quando è successo.

CLAUDIA ARCHETTI

G. PITA

40


Creativi esplorare nelle giornate ventose, con i profumi tutt'intorno. Pian piano però mi accorsi che mi mancava il nutrimento e soprattutto che avevo bisogno di acqua. Stavo morendo (si dice seccando?). -Beh- pensavo -almeno non muoio... di noia!-.

Questo testo è stato liberamente tratto dal brano “S’I’ FOSSE FOGLIA... ESPLOREREI ‘L MONDO” composto anni or sono da Marco Khouri. SE FOSSI UNA FOGLIA STACCATA DAL VENTO...

MARCO KHOURI All'inizio ero attaccata al mio amato albero; non mi mancava il nutrimento ed ero circondata da compagne tutte verdi e allegre. Qualcosa però mi disturbava: la noia. Lente trascorrevano le stagioni ed io ero ancora là, a penzoloni, come una foglia morta, annoiata più che mai. Un dì venne settembre e poi ottobre dai bei colori: l'autunno era arrivato. Non so se fu per l'emozione o altro, mi staccai dal ramo natio, assieme alle mie sorelle. Fu allora che mi accorsi che non erano più tutte verdi: una arancione, l'altra marrone, questa rossa, quella brunita... Fatto sta che pochissime avevano mantenuto la tonalità di un tempo. A malincuore avvertivo il loro stato di agonia: ogni sentore di gioia e spensieratezza era sparito. Lanciando una rapida occhiata, come per istinto, assalita da uno strano presentimento, guardai il mio stelo: si era completamente tinto di giallo! Ci facemmo trasportare dal vento, verso occidente, attraverso il mare, fino a raggiungere un luogo di pace irrequieta: proprio un bel posto da

Mi sento una formica Contento della sua briciola Ma c’è una zingara Con la sua rosetta Strano, ma mi guarda La sua pelle ceramica La mia testa rossa Perché siamo in vita? ANONIMO

41





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook

Articles inside

Componimenti Creativi

6min
pages 38-41

La rinascita del tennis italiano di Edoardo Appetiti

2min
page 37

Biscotti con gocce di cioccolato di Maria Pavolini

1min
page 36

Scrittura di luce di Carolina Corsetti

2min
page 26

La Playlist di Serena Mavrovic

8min
pages 22-25

Anche quest’anno di N.H. Gabriele Ascione

11min
pages 32-35

Molto più di una ragazza con la Leica di Carolina Corsetti

6min
pages 27-29

Lo scacchiere dopo la caduta di Kabul di Niccolò Rosi

10min
pages 7-11

G8 ieri... G20 oggi. Da Genova a Roma di Camilla Marconi

7min
pages 4-6

Nel frattempo... di Alessandro Petrassi

7min
pages 18-20

Recensione de “Gli Indifferenti” di Alberto Moravia di Alice Rindone

2min
page 15

Il buco della vita e dell’ignoto di Michele Tantillo

2min
page 21

Le Baccanti al teatro greco di Siracusa di Caterina Arias

2min
page 14

Ridiamo e scherziamo con Toni Servillo di Anna Agnini

3min
pages 16-17

Ti mangerei di baci di Vittoria Serafini

3min
pages 12-13
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.