LA LUCCIOLA - APRILE 2020 - GUERRE QUOTIDIANE

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L A LUCCIOL A

A PR ILE 2020

GUERRE QUOTIDIANE


INDICE

04/2020· lucciolamanara.wordpress.com

3 - EDITORIALI 4 - L’Italia del Lockdown Arianna Belluardo

6 - Economia globale ai tempi del coronavirus Camilla Marconi

8 - Operazione Ruosseau: licenza di spiare Sergio Golino

10 - Revenge porn Irene Zebi

12 - Another brick in the wall Niccolò Rosi

16 - Alle Porte dell’Europa Riccardo Magnanelli

20 - Yemen, dove la religione divide Jacopo F. Augenti

22 - Rivoluzione senza fine Bianca Bartolini

24 - Storia di un esodo Filippo Perticara

26 - Tra dimenticare e negare Maria Guerrieri

28 - Un’antica storia di morte Bianca Della Guerra

31 - Guerre Quotidiane Cesare Nardella

33 - La Playlist Cecilia Mazzone

34 - LXXV anniversario dalla Liberazione 36 - Vero nell’arte Sara Buonomini

38 - Cibo e bellezza Arianna Belluardo

39 - Federer: la perfezione e il genio nello sport Edoardo Appetiti

40 - COMPONIMENTI CREATIVI

LA LUCCIOLA LÀSCIATI ILLUMINARE.

lucciola.manara@gmail.com lucciolamanara.com

Direttori: Riccardo Magnanelli e Jacopo Augenti Vicedirettori: Bianca Della Guerra e Maria Guerrieri Caporedattori: Irene Zebi, Niccolò Rosi, Giulia Appetiti, Marta Sarro, Filippo Perticara Social Media: Alessandra Gugliotta e Irene Presutti Progetto grafico: Alessandro Iacovitti e Riccardo Magnanelli Copertina: /Retro copertina: Alessandra Gugliotta/Federica Patta Impaginazione: Riccardo Magnanelli e Bianca Della Guerra Logo: Andrea Satta e Lapo D’Alessandris Slogan: Alessandro Iacovitti

Si desidera ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a realizzare il numero che avete tra le mani: i Manarioti autori degli articoli, dei componimenti creativi e delle illustrazioni, la Segreteria, il Docente Referente Giulio De Martino, il Dirigente Scolastico, e in particolare Loredana Polentini per la passione e la dedizione da sempre dimostrate nei confronti del nostro giornale.

@lucciolamanara La Lucciola https://issuu.com/laluccio lamanara

IL GIORNALE INTERAMENTE FATTO DA STUDENTI DEL LICEO CLASSICO “LUCIANO MANARA”


EDITORIALI dete le armi ai buoni, andate a dormire tranquilli perché tanto Lei è lontana da voi, Lei non vi tocca, non vi toglierà nulla, e intanto continuate a fare soldi. Per ricollegarmi al discorso iniziale, perché ultimamente la Guerra non arriva più da noi? Quanto vi converrebbe avere la guerra nel Paese in cui vivete, in cui producete, a cui vendete? Ammetto di non sapere di cosa stia parlando, questo è un argomento più grande di me e non so proporre un’alternativa tanto stabile a questo nostro sistema in cui sguazzo esattamente come voi. Ma questo numero ci consente di dare ascolto alla nostra coscienza di giovani informatori e aspiranti giornalisti: non possiamo tacere sulla Morte, è nostro dovere morale riportarvi queste notizie che, altrimenti, difficilmente sentireste. Quindi eccoci, questo è il primissimo Numero Speciale de La Lucciola e questo mese parliamo delle Guerre Dimenticate.

Guerra: una fonte inesauribile di guadagno Jacopo Augenti

Un atto di violenza sostenuto e deliberato da più di un’organizzazione politica. Se cercate la definizione di “guerra” su internet vi appare questa frase. Un nome, un ente grammaticale, sei lettere che vogliono dire nei fatti distruzione, morte, tortura, fallimento. Fallimento della Storia e della società, delle regole del vivere comune e civile, dell’umanità tutta. Il numero di questo mese approfondirà questo tema, facendo particolare attenzione a quei conflitti a cui l’umanità ha deciso di non prestare attenzione, quelle guerre che probabilmente non saranno insegnate agli studenti di terzo liceo tra 50 anni. Riconosciamo sia un progetto ambizioso e sappiamo di non avere i mezzi per affrontare una questione di tale portata, ma siamo chiamati dalla nostra stessa coscienza a ricordare quelle persone che non abbiamo conosciuto e di cui la Storia non parla. Riteniamo perciò moralmente doveroso citare i milioni di uomini, donne e –ahinoibambini che ogni giorno perdono la vita o perdono tutto a causa della Guerra. Ho volontariamente scritto “Guerra” e “Storia” maiuscolo, non credo si tratti solamente di nomi comuni, questi due termini sono invece propri di ogni singola persona che abbiamo perso a causa loro. Vi siete mai chiesti perché ultimamente si sente parlare delle Sue atrocità solo in “Paesi in via di sviluppo”? Forse perché sono “più indietro di noi” o perché “è nella loro cultura”, falso. Provate ad immaginare il proprietario di una grande compagnia che produce e vende armi a tutto il mondo, tentate di immedesimarvi in questa persona. Il vostro scopo non è quello di portare pace, non avete come obiettivo la vita, ma auspicate soltanto alla crescita della vostra azienda e, dunque, del vostro portafoglio. Il guadagno, il segno + alla fine del mese, la percentuale positiva sul bilancio alla fine dell’anno è ciò che volete e bramate con tutti voi stessi e per arrivarci volete necessariamente vendere più armi possibili; secondo voi è possibile aumentare la produzione, la vendita e quindi il fatturato in un periodo di pace? Esatto, no, non è possibile. Quindi tra voi ed il vostro scopo c’è la pace, ma questo non è un problema per voi. Non è un problema perché, beh, c’è un Paese di cattivi, governato da cattivi, in cui dobbiamo necessariamente liberare il popolo, abbiamo l’obbligo di andare a salvare un popolo di persone sottomesse mandando al macello nostri connazionali, pagandoli per rischiare la vita e per assassinare quelli che chiamiamo “cattivi” in quella che chiamiamo “guerra giusta”. Ed ecco che le vostre armi vengono vendute, ecco che il vostro fatturato aumenta, ma voi state tranquilli perché ven-

Pensieri e precisazioni

Riccardo Magnanelli

Non ci sono parole per esprimere l’importanza che ha questo numero per noi della redazione del vostro insetto preferito. Fra l’altro, poi, il non avere molto da fare a casa si è rivelata un alleato importante per questa opera mastodontica, molto più grande di noi che l’abbiamo concepita, progettata e realizzata. Ciò non toglie che mi piange il cuore al solo pensiero di non poter avere con me il resto della nostra piccola, sgangherata setta per festeggiare la nascita del terzo figlio di quest’anno e mi manca il girovagare per i corridoi del nostro amato istituto sventolando il giornale del Manara come il pescivendolo agita il frutto del lavoro dei pescatori. Mi consolerò guardando il file di questo numero girare per i gruppi Whatsapp, in un mare di messaggi monosillabici, sticker, catene di Sant’Antonio sul virus e indiscrezioni sull’Esame di Maturità 2020. Attenzione: ciò non vuol dire che da questo momento La Lucciola uscirà solo in rete, assolutamente no. Noi ci siamo sempre battuti per la stampa del giornale su carta, per amor di tradizione e per attenzione ad un bisogno intrinsecamente umano: conoscere, informarsi, riflettere, cose che l’informazione digitale non garantisce a sufficienza, se non affatto. Voglio ringraziare tutti i caporedattori e i redattori perché hanno deciso di supportare questo piccolo, grande numero con il loro lavoro e la loro fatica. A spiegare le ragioni dello Speciale ci ha già pensato il buon codirettore Jacopo Augenti. Buona lettura!

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ATTUALITÀ

L’Italia del lockdown

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’Italia è in quarantena, noi siamo in quarantena. È una parola lontana, di quelle che si sentono nei film, una di quei termini giganti che riempirebbero una stanza con la loro mole di significato. Quarantena. Pandemia. Sono cose lontane da noi, che non ci appartengono, che abbiamo sempre guardato, eppure le stiamo vivendo. Le cose appaiono sempre meno chiare quando ci siamo dentro ed è sempre più facile, a posteriori, accorgersi degli errori commessi, e darci degli stupidi per come ci siamo comportati. È così per le guerre, è così per la storia che studiamo in classe: quando studiamo la prima guerra mondiale ci chiediamo come sia stato possibile arrivare a così tanto in così poco. Quando studiamo la seconda, osserviamo con occhio severo un qualcosa che è ancora estremamente vicino, anche se non ce ne rendiamo mai abbastanza conto. Per questo motivo serve studiare la storia: per essere così furbi da analizzare il presente come si analizza il passato. Perciò, rimbocchiamoci le maniche e guardiamoci intorno. I nostri politici, il nostro governo, si è riunito attorno alla figura di Giuseppe Conte, che per la prima volta ha l’onere di comportarsi da Presidente del Consiglio. Conte ha ricoperto diversi ruoli: da

burattino del governo giallo-verde, a quel politico che sorprendentemente si era messo ad insultare il suo ex-vice mettendogli una mano sulla spalla, e, infine, praticamente il salvatore della patria. La sua popolarità è cresciuta in modo esponenziale, rendendolo praticamente il politico più amato, superando un Salvini, un Di Maio, un Renzi, che si sono ridotti ad ombre. Conte è diventato il simbolo di un paese che lotta e non si arrende, il politico dalle parole forti ma rassicuranti, del “rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”. Ed è chiaro perché Conte sia il politico perfetto in questo momento storico. Un leader, durante una pandemia, quando nessuna intenzione di voto, alleanza, opinione sui normali temi che quotidianamente si discutono ha importanza, ha un grande dovere nei confronti del suo popolo: rassicurarlo. Oltre al prendere misure, sia chiaro. Ma nel prendere misure non c’è solo un Presidente ad agire, ma un team di esperti, un governo intero. Invece quando il clima popolare che si respira è teso, e c’è preoccupazione, agitazione (ovviamente dovute alla tragedia in corso), un leader ha il compito di ribadire le sue posizioni, di tenere il pugno duro, ma soprattutto, di dare una (metaforica) pacca sulla spalla alle persone e fargli sentire che davvero “andrà tutto bene”. Quando l’intero paese soffre, il sistema sanitario è in enorme difficoltà, l’economia è ferma, non ci si può preoccupare anche di un leader inadatto al suo compito. Non abbiamo tempo, non abbiamo spazio per questo, non adesso. La maggior parte dei politici sta facendo questo: si sta unendo; e anche la maggior parte dei cittadini sta cercando di unirsi attorno a Conte per vincere davvero questa battaglia, mettendo da parte le diffidenze nei confronti del Premier. Diciamo quasi tutti. È abbastanza noioso parlare sempre male di Matteo Salvini, me ne rendo conto. Ma del resto nel dare una visione critica, bisogna dire che da quando è nato il problema Corona Virus l’ex ministro dell’Interno non ha fatto altro che commettere un errore dietro l’altro. È passato da “bisogna aprire tutto, Conte dimet-

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titi” a “bisogna chiudere tutto, Conte dimettiti”, e infine a “il governo non sta prendendo abbastanza in considerazione le opposizioni”. Salvini infatti, da quel poco di sondaggi che si riesce a vedere in questo periodo, sta perdendo punti. Il leader della Lega non ha mostrato nessun tipo di solidarietà, solo critiche; in un momento di stabilità fa parte della politica odierna scagliarsi contro l’avversario (le modalità poi si distinguono a seconda del partito di appartenenza), ma approfittare in questo modo di un momento così infelice per l’intero Paese, non solo è becero, ma controproducente. Se guardiamo ancora più intorno, l’Europa e il mondo, vedremo un panorama nel quale ognuno ha le sue difficoltà. Partendo da Boris Johnson che sembrava non voler combattere questo virus, e poi proprio lui se lo è preso (mi piacerebbe dire karma, ma ovviamente mi dispiace e spero guarisca presto), arrivando a Trump che continua a chiamare il COVID-19 il “virus cinese”, quando gli Stati Uniti sono attualmente il paese con più contagiati al mondo. La verità è che si tratta di una battaglia che stiamo combattendo tutti, ma con tempi diversi. L’Unione Europea, dopo i primi momenti di attrito, sta iniziando ad unirsi per trovare una soluzione comune, perché è vero, siamo tutti sulla stessa barca, e questa emergenza la affronteremo tutti, solo con tempi diversi. È importante guardare al presente, ma quando saremo pronti ad affrontare il futuro, dovremo anche trarre delle conclusioni dal passato, perché questa epidemia ci deve cambiare, ci deve insegnare qualcosa, altrimenti sarà solo una cosa orribile che ci è capitata. Ed è una cosa orribile, ma sta a noi farla diventare una cosa orribile con un senso. Il Corona Virus ci insegnerà quanto abbiamo bisogno degli altri per vivere, del mondo

esterno, di uscire, di vederci, di toccarci. Il Virus ci insegnerà di chi, nei momenti davvero importanti, possiamo fidarci e di chi faremmo meglio a smettere di seguire. Ci insegnerà chi sono i nostri salvatori: i medici, i farmacisti, gli infermieri, gli OSS, ma anche tutti quei lavoratori, cassieri, commessi, operai che non hanno potuto fermarsi. Ci insegnerà che la quarantena non è solo una misura estrema, è un privilegio. Abbiamo la fortuna di avere una casa in cui rifugiarci da un virus potenzialmente letale, non abbiamo un lavoro che ci espone al rischio di contagio, la maggior parte di noi non sta patendo il danno economico che alcuni invece stanno affrontando, la maggior parte di noi possiede un computer e ha il privilegio di vedersi, di parlare, di studiare, di imparare anche a distanza. Quando tutto questo sarà finito, dovremo ricordarci chi siamo, chi siamo stati, e chi vogliamo essere. “Tenere le distanze, per una zona sicura, ti prego non abbracciarmi che ho paura” (La scala Shepard, “Paranoia”, Bersagli, 2019). ARIANNA BELLUARDO

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Economia globale ai tempi del coronavirus

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egli ultimi trent’anni abbiamo assistito ad un incremento esponenziale degli scambi internazionali, commerciali, sociali, culturali, tecnologici ecc. I vantaggi principali del mercato globale sono sicuramente l’aumento delle comunicazioni tra le persone e della circolazione delle informazioni. Questo ha fornito un’opportunità di crescita per le singole persone e per le nazioni escluse in partenza dalle conquiste industriali. La conseguenza è stata la crescita di una forte concorrenza globale, con la riduzione dei costi dei prodotti e dei servizi. Purtroppo, di contro, è aumentato l’inquinamento del pianeta e le disparità sociali, causando insoddisfazione popolare, che ha portato quasi ovunque alla nascita di movimenti politici populisti e sovranisti. I Paesi più fortemente industrializzati come gli USA, la Germania e la Francia hanno colto l’opportunità per espandere l’economia in zone meno industrializzate; al contrario i paesi più fragili come l’Italia, sono diventati terra di conquista. Le nazioni dall’indubbia vocazione industriale, come la Cina, hanno approfittato per invadere i

mercati internazionali con merci e prodotti a prezzi molto competitivi, grazie al basso costo della manodopera ed a legislazioni carenti nella tutela dei diritti dei lavoratori. All’inizio tutti sono stati contagiati dal fascino dell’economia globalizzata. Purtroppo però nel tempo questo mostro ha mostrato la sua parte peggiore incentivando le crescite dei più forti a scapito dei più deboli. La globalizzazione ha portato alla delocalizzazione delle grandi industrie che per aumentare i loro guadagni, aggirare le normative a tutela dei lavoratori e le alte tasse, hanno spostato nei paesi emergenti gli investimenti e la manodopera, lasciando dietro disoccupazione, povertà e fabbriche chiuse. Il protrarsi di queste disuguaglianze, ha causato ad inizio millennio le note crisi finanziarie. Ad amplificare i limiti di questo modello di sviluppo ci ha pensato da qualche settimana il virus denominato COVID - 19. La diffusione del CORONAVIRUS nel mondo sta spingendo governi, imprese e organizzazioni internazionali a chiudere spazi di intrattenimento, ad annullare o rimandare eventi internazionali di rilievo, provocando un impatto sull’economia globale ancora difficile da stabilire. Per evidenziare la gravità della situazione basta pensare che le Olimpiadi di Tokyo sono state rinviate; un evento di questo tipo, nella storia dei moderni giochi olimpici, ha solo tre precedenti: le edizioni di Berlino 1916, Tokyo 1940, Londra 1944, che furono annullate a causa delle due guerre mondiali. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

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in conferenza stampa televisiva ha comunicato la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado a titolo precauzionale dal 5 marzo fino al termine dell’emergenza. In Italia in tutti i settori economici si fanno previsioni terribili; il turismo è in ginocchio, le attività commerciali di tutti i tipi (bar, ristoranti, attività professionali) lamentano un crollo del fatturato fino al 70%; in tutto il Paese i supermercati e le farmacie vengono presi d’assalto per l’acquisto di generi alimentari e prodotti per l’igiene (mascherine, guanti, saponi ecc.). Come in guerra è perfino esploso il mercato nero sul web di Amuchina e mascherine vendute a prezzi stellari. Siamo al capolinea di un modello di capitalismo diventato troppo spinto? Difficile rispondere. Una cosa però possiamo dirla;

la fragilità di questo modello di sviluppo è ormai sotto gli occhi di tutti; aumento delle disuguaglianze, della disoccupazione e dei nuovi poveri; inquinamento dell’ecosistema, innalzamento delle temperature e desertificazione di vaste aree del pianeta, sono solo alcune delle dirette conseguenze. È urgente riscrivere a livello internazionale nuove regole. Il mondo deve indirizzarsi verso un nuovo modello di sviluppo economico che rispetti di più gli uomini e l’ambiente e per fare questo occorre la “Buona Politica”. I governi devono rimettere al centro della loro azione le persone ed i loro bisogni, anche se questo può a volte non coincidere con alcuni interessi economici. CAMILLA MARCONI

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Operazione Ruosseau: licenza di spiare

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arissimo lettore, prima di leggere questo articolo ti inviterei a leggere il mio articolo denominato “Tecnologia: guadagno o perdita?” pubblicato nel gennaio 2020 sempre per “La Lucciola”; ovviamente anche questo parlerà degli effetti della tecnologia sulle nostre vite ma prestando un occhio di riguardo alla ormai celebre piattaforma Rousseau. Spero che tutti voi conosciate questa nota piattaforma web che permette al Movimento 5 Stelle di rendere partecipe l’elettore sulle scelte che il movimento è tenuto ad affrontare: pensandoci bene potremmo dire che questa è l’apoteosi della democrazia, ma quanto è sicura questa piattaforma? Quanto è democratica? Tra il 2017 e il 2019 due degli ex collaboratori più stretti di Gian Roberto Casaleggio (padre della

piattaforma web) hanno pubblicato due libri che portano il nome di “Supernova” e “Il sistema Casaleggio”. I due autori in questione sono Nicola Biondo e Marco Canestrari e affermano che tutti i dati degli iscritti alla piattaforma sono profilati, ciò vuol dire che se tu sei iscritto alla piattaforma l’alto consiglio del Movimento sa benissimo chi sei, ma soprattutto conosce molto bene la tua linea politica; ciò può far pensare che tutti i parlamentari e gli uomini politicamente attivi affiliati al movimento siano costantemente monitorati dei vertici grillini. Partiamo dal principio, perché la nascita della piattaforma avviene in circostanze sospette: 8 aprile 2016, ospedale auxologico di Milano, sul letto di morte di Gian Roberto Casaleggio (morte che avverrà dopo quattro giorni) si incontrano Gian Roberto, suo figlio Davide ed un notaio, e con un capitale originario di 300 € danno vita all’associazione Rousseau. Per statuto l’unico presidente dell’associazione è Davide Casaleggio, che riuscirà ad ottenere anche le cariche di amministratore unico e tesoriere facendo entrare nell’associazione due suoi avvocati che rimarranno in carica solamente il tempo necessario per fargli acquisire queste due nuove funzioni. Ricordiamoci anche che la vita del M5S è inesorabilmente legata a quella dall’associazione, infatti il movimento è l’unico “partito” a non poter cambiare fornitore per computer o piattaforme digitali. Nel luglio 2016 viene lanciata la piattaforma Rousseau, che permette la votazione online; nello stesso momento l’associazione Rousseau diventa responsabile della comunicazione social del movimento. Pochi sanno che la piattaforma in questione è sviluppata con un codice sorgente chiuso, non è previsto un controllo terzo, ciò vuol dire che solamente l’associazione Rousseau (originario realizzatore della piattaforma) è in grado di rilevare falle nel sistema, problemi di sicurezza, e programmi secon-

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dari che portano alla profilazione degli utenti… secondo voi perché tutta questa segretezza? Saranno due hacker “rog zero” e“white hat” a dimostrare che sono possibili falle nel sistema, ma soprattutto dimostreranno le profilazioni degli utenti da parte della piattaforma. Dopo di loro l’avvocato Lorenzo Borrè, avendo prove valide e tangibili circa la tracciabilità su Rousseau, sottoporrà la questione al garante della privacy. I problemi della piattaforma si riscontrano pubblicamente nel settembre 2017 per le elezioni del capo politico del movimento e durante le elezioni politiche del 2018, quando in entrambi casi la piattaforma va in tilt e le anomalie riscontrate non sono di poco conto, perché alcune persone votabili non si ritrovarono in lista e al contempo alcuni semplici elettori si ritrovarono nelle liste dei votabili. Sempre nel marzo 2018 il garante della privacy conclude le sue indagini multando per 32.000 € l’associazione, la seconda sanzione da 50.000 € arriverà nell’aprile 2019, in entrambi i casi vengono evidenziate le persistenti criticità e le inadeguate garanzie di riservatezza agli iscritti. Alla luce degli avvenimenti possiamo dire che il movimento politico che per anni ha spinto per la trasparenza, la digitalizzazione e il potere decisionale del cittadino, ha unito questi tre “capisaldi” per raggiungere l’apoteosi dell’incoerenza. Questa vicenda appena riportata è solamente una delle tante motivazioni che hanno portato al loro tracollo sul piano nazionale, tracollo alimentato da inesperienza, corruzione, pessima gestione, incoerenza, violazione dei propri ideali presumibilmente originari. SERGIO GOLINO

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Revenge porn

la violenza online e i gruppi Telegram

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o sono foto che erano state inviate al proprio ragazzo (e che si presupponeva rimanessero private). Molte sono condivise da ex fidanzati che vogliono vendicarsi (il cosiddetto revenge porn), ma ci sono anche filmati registrati di nascosto o presi direttamente dal cellulare, di cui una buona parte è materiale pedopornografico. Questo genere di materiali si trova in enormi quantità nel deep web (la parte “sotterranea” di Internet, a cui non si accede dai semplici motori di ricerca). Telegram invece è un social network molto diffuso a cui chiunque può accedere in maniera legale: ciò che stupisce è che venga utilizzato per condividere questo genere di contenuti, oltre all’esorbitante numero di membri, la maggior parte dei quali sono persone all’apparenza “normali”, mentre stupratori o pedofili effettivi sono pochi. Possiamo dire che questa è violenza di genere, poiché le persone colpite sono quasi sempre, statisticamente, donne. Ovviamente, non tutti gli uomini si comportano così, ma sono quasi solo uomini le persone che compiono questi reati. La violenza online contro le donne è molto diffusa, secondo una ricerca di Amnesty International il 17,2% delle intervistate ha subito almeno una volta violenza online e il 33% lo subisce ogni giorno. Le conseguenze sono gravi, come vediamo nei grafici, e vanno dalla perdita di autostima a stress, ansia, attacchi di panico. Tornando ai gruppi Telegram, analizzando il tipo di messaggi inviati si nota come siano normalizzate le fantasie di stupro, di dominio sulla donna, sulla sua sessualità che non può essere libera. Le donne vengono accusate di essere “troie” per delle foto provocanti o del corpo nudo, colpevolizzate per averle mandate o per l’atto sessuale in sé a prescindere dalle foto. L’eccitazione collettiva per lo stupro, il non-consenso derivante dal modo in cui vengono inviati

iamo agli inizi di aprile quando la rivista Wired punta i riflettori su alcuni gruppi privati Telegram in cui veniva scambiato materiale pornografico non-consensuale, nei quali si contavano 43.000 iscritti in soli due mesi. Già un anno prima Wired e il programma Mediaset Le Iene si erano infiltrati in queste comunità, scoprendo un canale che contava 2000 membri, aperto nel 2016, con lo stesso scopo.

Il gruppo principale adesso è stato chiuso, ma erano già stati creati gruppi di riserva che subito si sono ripopolati, persino con più membri di prima. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno che è quasi impossibile arginare. Fermarci e sbraitare contro l’intero universo maschile non è la soluzione giusta (sarebbe solo sessismo), come non lo è ignorare il fenomeno pensando che non ci riguarda o che in fondo è normale. Cosa si trova in questi gruppi Telegram? Gli utenti, la maggior parte uomini, di cui molti minorenni, persino di undici anni, si scambiano foto di donne, ragazze e bambine ottenute senza il loro consenso, spesso inviando anche i loro dati personali, (nome, cognome, numero di telefono, indirizzo) con conseguenze devastanti per le vittime, che devono affrontare stalking e shitstorming, venendo “bombardate” da messaggi di sconosciuti ed umiliate. Queste foto sono prese dai loro profili sui social, e a volte si tratta anche di semplici foto del viso,

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i materiali nel gruppo, la creazione di totem (ossia foto inviate da un altro membro del gruppo in cui si mostrano prove di un’avvenuta masturbazione su una di quelle foto non-consensuali) fino allo scambio dei dati della vittima, che rendono il tutto ancora più spaventosamente reale. Non bisogna criticare il fatto che si scambi materiale pornografico, che facilmente si può trovare online creato da pornoattori e pornoattrici, ma il fatto che le immagini siano state inviate senza il consenso delle vittime. Non dobbiamo stupirci in realtà per questo tipo di fantasie dato che nella nostra società siamo immersi nella cultura dello stupro, ossia “una cultura nella quale lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono comuni, e in cui gli atteggiamenti prevalenti, le norme, le pratiche e atteggiamenti dei media, normalizzano, giustificano, o incoraggiano lo stupro e altre violenze sulle donne”. (Joyce Williams, "Rape Culture" ) Le fantasie di dominio dell’uomo sulla donna sono normalizzate (ovviamente si parla di rapporti non-consensuali), con l’idea che l’uomo possa disporre a proprio piacimento della donna, senza che questa possa opporre resistenza. Le donne sono svuotate di ogni tipo di umanità: oggetti senza volere o personalità, la cui sessualità non è libera ma punita. Vi è appunto una punizione del desiderio femminile: è negativo mostrarlo, manifestarlo in alcun modo, perché se la donna invia foto “(che troia) se l’è cercata”, se sono foto pubblicate su internet “avrebbero potuto non postarle”, come se ogni foto fosse a disposizione e uso maschile. Il problema alla base è appunto quello della definizione dei ruoli di genere nella società. Piuttosto che educare le donne a difendersi bisognerebbe

porre l’accento sulla responsabilità maschile, insegnare che l’uomo può essere “uomo” senza essere aggressivo, tossico e dominatore, e in generale si dovrebbe accettare che la donna viva la sua sessualità liberamente e uscire dagli stereotipi di genere. Bisogna coinvolgere gli uomini in questa discussione, che troppo spesso sono allontanati da un finto femminismo che vuole privilegiare le donne e che si trasforma nel corrispettivo del maschilismo (quando in realtà il femminismo auspica ad una parità tra i sessi, non ad un ribaltamento della situazione attuale) Le strade a mio parere sono due e parallele: una più ideologica, ossia una rivoluzione culturale nelle nostre vite di tutti i giorni, a partire dal nostro stesso modo di pensare; l’altra più concreta, ossia cercare il più possibile di smantellare questi gruppi, anche sapendo che si riformeranno, rintracciare le persone all’interno e denunciarle, processarle e punirle per il reato di Revenge Porn (grazie alla legge del 02/04/2019), aumentare le pene, chiedere ai grandi social di contribuire, lavorare nelle scuole ad un’educazione alla sessualità e all’utilizzo dei social. IRENE ZEBI

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È

LA LUCCIOLA

controverso e affascinante parlare di un avvenimento come la Caduta del Muro di Berlino quando il focus dell’articolo dovrebbe essere un qualche conflitto sperduto nel pianeta. Perché parlare di una pace realizzata, perché raccontare di un mondo che non ha agganci con la nostra realtà, con il nostro modo di dividere o unire geopoliticamente i paesi? Realmente con quel Muro sono crollati i punti cardinali per come erano conosciuti dalla generazione che ha preceduto la nostra. Era tutto facile. C’era l’Ovest dei liberal-democratici che stavano con gli Stati Uniti. C’era l’Est dei social-comunisti alleati dell’Urss. Poi c’era il Nord ricco e industriale che sfruttava il Sud povero o in via di sviluppo dopo la colonizzazione. Era lineare, era semplice: quattro punti cardinali, quattro configurazioni per il Pianeta. Impossibile provarci ora: il Nord continua a sfrut-

trasformato, modificando le proprie ingiustizie. Delocalizzandole. Dopo la caduta del Muro, ci sono state le guerre della ex Jugoslavia, quelle in Africa – basti pensare al Rwanda e alla Repubblica Democratica del Congo -, c’è stato il terrorismo islamico con i suoi attentati, le guerre del Vicino Oriente, ad esempio in Siria e nello Yemen. Anche la bomba atomica, grande paura di quegli anni di Guerra Fredda attorno al Muro, è ancora lì. Ce ne sono meno di prima, ma sono pur sempre quasi 20mila quelle pronte ad esplodere. Ci sono infinite zone del pianeta nel quale ancora si combattono conflitti che non emergono nemmeno agli onori della cronaca. In Camerun, lo scontro tra esercito e movimento separatista ha provocato ventidue vittime una manciata di giorni fa, mentre nel resto del pianeta si festeggiava San Valentino, ma secondo le forze governative si è trattato di uno “sfortunato incidente” causato da un’esplosione di carburante. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha dichiarato giovedì scorso che quasi 8mila persone sono fuggite in Nigeria dal Camerun nelle due settimane precedenti alla strage del 14 febbraio per sfuggire ai combattimenti, portando il numero di rifugiati a quasi 60mila. Circa 800mila bambini hanno dovuto abbandonare la scuola.

Another

brick

tare, ma ci sono terre – a Nord – che vengono sfruttate e colonizzate da economie più forti. Al Sud, alcuni sfruttati si sono trasformati in sfruttatori: Sud Africa, Brasile, India, ad esempio. Applicano ad altri Paesi le medesime politiche – e creano le stesse ingiustizie – di chi li sfruttava fino a qualche decennio fa. A Est c’è ancora la Russia, ma soprattutto c’è la Cina, che ha ripreso con fermezza il posto che aveva avuto per secoli: quello di nazione più avanzata del Mondo. Già nel 1850, durante la guerra dell’oppio contro gli inglesi, Pechino controllava da sola il 33 per cento del commercio mondiale. E’ solo tornata lì, dopo un secolo e mezzo di crisi. Dunque, tutto questo c’è da quando il Muro di Berlino non c’è più. Sebbene il muro di Berlino non ci sia più. Quando è caduto in cocci sotto mille picconate ci si aspettava una vita nuova, una nuova libertà. In realtà, il Mondo si è semplicemente

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spinato, a volte fila di immigration patrol armati, a volte esercito schierato in muta e bombole sotto le onde di San Diego. E’ un altro muro, lungo oltre 1000 km. Spostiamoci ancora più a sud. Sud Sudan, un paese perduto. Un territorio dove si è consumata la più grande delusione africana. Dal dicembre 2013 ci sono stati oltre sessantamila morti e sono finiti in carta straccia e al vento una ventina di accordi di tregua o cessate il fuoco. Sono saltati altrettanti negoziati, abortiti ancora prima di entrare nel vivo delle questioni. Il motivo è che la guerra in questo paese è praticamente scivolata sul piano di un conflitto etnico e la divisione del territorio, in tali circostanze, è il primo oggetto di trattativa. Questo “ordigno sociale” ha la caratteristica che una volta innescato è quasi impossibile da gestire, anche in caso di accordi pacificatori. L’avvio di una trattativa non può fare a meno di tenerne

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wall conto e questo rappresenta uno dei principali handicap di un processo che, peraltro, in Sud Sudan non è nemmeno ancora concretamente cominciato. Potremmo parlare poi del caso Kabul, perché l’inquinamento in Afghanistan è risultato essere persino più mortale della sua guerra. Non ci sono statistiche ufficiali su quanti afgani muoiano per malattie legate all’inquinamento, ma il gruppo di ricerca State of Global Air ha rilevato che nel 2019 potrebbero esserci stati attorno ai 26mila decessi. Kabul è diventata una delle città più inquinate del mondo, classificandosi in cima alla lista tra le altre capitali inquinate come Nuova Delhi o Pechino. L’inquinamento è riconosciuto come conseguenza diretta della guerra che ha distrutto le infrastrutture della città e causato ondate di sfollati. Decenni di guerra hanno aggravato i danni all’ambiente afgano, e la gravità della cosa è

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El Salvador, domenica scorsa. Il presidente Nayib Bukele è arrivato all’Assemblea legislativa con un gruppo di soldati in uniforme con armi automatiche. L’intento era di forzare il parlamento, nel quale non ha la maggioranza, ad approvare un prestito da 109 milioni di dollari della Banca centrale per acquistare elicotteri e sistemi di videosorveglianza, in breve attrezzature paramilitari, per combattere la criminalità organizzata. Benché nominalmente sotto la presidenza di Bukele il tasso di omicidi risulti decresciuto da più di 8 al giorno a meno di 3 (El Salvador ha poco più di 6 milioni di abitanti), esiste la concreta possibilità che ciò derivi da accordi segreti con le gang, le famigerate maras che costituiscono un governo parallelo, più che dal risultato dell’azione delle forze dell’ordine. Era già avvenuto nel 2012. Una interessante e approfondita inchiesta del “The Guardian”, dal titolo “Perché temiamo l’esercito più delle gang” rende con efficacia come si svolga la vita quotidiana dei salvadoregni e in quale drammatico stato si trovi la società di tutto il Centro America. Da questa situazione fuggono i migranti che, in carovana o isolati, cercano di raggiungere gli Stati Uniti. Sì, ma cosa trovano ad attenderli? Tijuana. A Tijuana io ci sono stato che ero ancora un bambino. C’è un muro, che a volte è muro, a volte filo


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dovrebbe essere sui conflitti dimenticati, è un “moltiplicatore di minacce” perché aggrava situazioni sociali e politiche già pericolose. In Siria, ad esempio, la peggiore siccità degli ultimi anni ha portato ai fallimenti delle colture, che a loro volta hanno esacerbato la disoccupazione e i disordini politici. Crisi climatiche simili hanno scatenato conflitti in altri paesi del Medio Oriente, dallo Yemen alla Libia. Con l’aumento delle temperature globali gli osservatori rilevano che ci saranno più disastri ecologici, più migrazioni di massa, più guerre etniche, più scontri armati interni. Eppure esiste forse

tanto più evidente se si considera che le questioni ambientali, non sono certo la priorità per un governo alle prese con problemi di sicurezza di base, corruzione dilagante e un’economia precipitata. La guerra, è evidente, comporta inevitabilmente la distruzione dell’ambiente: nella Striscia di Gaza, ad esempio, i grandi attacchi militari dal 2008 ad oggi , hanno preso di mira il trattamento delle acque reflue e le strutture elettriche, lasciando il 97 per cento dell’acqua dolce di Gaza contaminata da soluzione salina e fognaria, e quindi inadatta al consumo umano. Oltre alla guerra aperta, dunque, c’è da considerare un altro tipo di conflitto che minaccia gli ecosistemi e che è sempre portato avanti dagli stati o dalle loro forze militari e paramilitari: le comunità che lottano per proteggere terre e villaggi da trivellazioni petrolifere, compagnie minerarie e allevamento intensivo sono con regolarità vittime di violenza in certe aree del pianeta. Un esempio ci porta in Amazzonia, dove gli indigeni vengono da tempo immemore uccisi nel tentativo di fermare i tagli e l’incenerimento della foresta. Nel 2019 ci sono stati 164 casi documentati di uccisione di cosiddetti ecoterroristi in tutto il mondo, mentre erano 207 nel 2018. Il cambiamento climatico inoltre, in quello che, solo apparentemente, potrebbe sembrare un ennesimo volo pindarico laddove il focus esclusivo

un conflitto tanto globale e misconosciuto quanto quello della rivoluzione climatica in atto? Fatta eccezione per le recenti mobilitazioni studentesche, gli innumerevoli proclami, progetti in progresso, soluzioni dedicate, con quale forza e con quali risultati la questione, estremamente complessa, ha ottenuto risposte realmente efficaci dai grandi player internazionali? Non voglio risultare scontato, torniamo dunque al muro da cui siamo partiti. Secondo il rapporto Building walls. Fear and securitization in the European Union, pubblicato lo scorso anno da Transnational In-

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stitute (TNI), i muri eretti all’interno dell’ Unione Europea, ammontano a oltre 1000 km, sei volte tanto quello di Berlino. Alcuni di questi sorgono addirittura in zone di confine in piena area Schengen. A Calais, estremo limite nord-occidentale del continente, sulla sponda sud del Canale della Manica. 3 km di cemento, tra Austria e Slovenia. 13 km di filo spinato, fra Grecia e Turchia. Barriere e recinzioni, poi, sono state sparse a cascata un po’ in tutto il mondo a partire proprio dagli anni immediatamente successivi alla caduta del muro. Ve ne sono vari in Africa – al confine tra

Marocco e Spagna, all’altezza dell’enclave di Melilla in funzione antimigranti, sempre in Marocco, ma al Sud, per marcare con mine la frontiera con la ‘calda’ regione del Sahara Occidentale, tra Botswana e Zimbabwe ecc. ‒, in Asia, tra India e Bangladesh e tra vari altri Stati. Come, però, spiega un altro rapporto, The business of building walls, pubblicato l’estate scorsa, è importante considerare che i muri non sono solo blocchi di malta e cemento. Le moderne barriere antimigranti sono piuttosto le innumerevoli forme che la tecnologia mette a disposizione dei governi: sistemi radar, droni,

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camere di sorveglianza o biometria. «Alcuni dei muri più pericolosi – sostiene l’autorevole centro di ricerca – non sono fisici né su terra. Le navi, gli aerei, i droni utilizzati per pattugliare il Mediterraneo, ad esempio, hanno alzato una barriera marittima e generato un cimitero a cielo aperto per migliaia di migranti che non hanno vie di accesso legale per esercitare il loro diritto di ricerca di asilo». A guardare le immagini dei ragazzi increduli che sciamavano da una parte all’altra del muro di Berlino sgretolato nel 1989, si è quindi quasi presi da un senso di inquietudine, più che di euforia. Quel muro sembra infatti aver partorito infiniti altri muri, muri diversi. Qualcuno dice ve ne siano quasi 80 nel Mondo. Sono nati – come a Berlino – per impedire alle persone di muoversi liberamente. Sono stati creati per ridurre i diritti degli esseri umani. E quando non sono barriere fisiche, sono barriere ideologiche altrettanto invalicabili. Sono il simbolo di una opportunità perduta, un sogno infranto che era il cambiamento come si aspettavano sarebbe stato i nostri coetanei di 30 anni fa e sono la forza generatrice di una mole indiscussa di guerre e conflitti di vario ordine, a molti dei quali ci siamo purtroppo tristemente abituati, dimenticandocene. NICCOLÒ ROSI


Alle porte

dell’Europa La guerra del Donbass

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Certe volte noi europei siamo convinti di vivere in un continente sicuro, lontano da qualsiasi guerra. Lo stesso concetto di guerra è da noi visto come relegato al passato o perlomeno appartenente a luoghi più o meno remoti, come il Medio Oriente, l’Africa Centrale o magari il Sud America. Insomma, chi combatte più in Europa nel Ventunesimo Secolo? Ve lo diciamo noi.

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n casa di Oleg si percepisce un certo tepore. Forse la minestra o l’atmosfera raccolta dell’abitazione. “Per me questa è la mia vita. Ho visto la disperazione di queste persone.” Oleg è un ucraino come tanti. A causa delle Guerra del Donbass, una terra nel sud-est del paese, ha deciso di lasciare il suo lavoro per salvare le vite dei più anziani. Loro, vittime del fuoco incrociato, hanno perso tutto: i loro amici e parenti sono morti, le loro case sono rimaste distrutte dalla follia umana. “Non li abbandonerei mai a loro stessi, non importa in che condizioni siano. Io non li lascerò mai soli” dice alla reporter dell’UNCHR, Helena Christensen. Ma facciamo un passo indietro. Tutto ha inizio nel 1991 con lo scioglimento dell’Unione Sovietica. La vittoria del liberalismo sul comunismo giunse con la caduta del Muro di Berlino e lentamente la tensione fra Occidente e Oriente si attenuò. I popoli degli stati-fantoccio ottennero uno ad uno l’indipendenza dalla Madre Russia e si schierarono con la NATO. Non tutti però. Tre paesi fecero eccezione: Moldavia, Bielorussia e Ucraina. Quest’ultimo paese, in particolare, ha una storia molto singolare. Nata in pieno medioevo come territorio dei Rus’ e con Kiev, capitale del cristianesimo ortodosso, l’Ucraina in passato fu già dominata da numerose nazioni e la

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e la democrazia in Ucraina: Yanukovych promise che avrebbe accettato ogni condizione e si raccomandò col parlamento affinché provvedesse a fornire le basi necessarie alla firma del trattato. Ma nel 2013 la Russia impose nuove regole doganali all’Ucraina per impedire che siglasse gli accordi. Dopo tutto, l’Ucraina è un paese ricchissimo di risorse naturali, di conseguenza l’intenzione dei russi non poteva che essere quella di evitare che l’occidente ottenesse un nuovo alleato, commerciale per l’UE e militare per la NATO, strategicamente posizionato al confine con la Federazione. Nei mesi seguenti il PIL ucraino calò drasticamente, problema che si sommò alla terribile crisi economica e ai peccati di cui si era precedentemente macchiato Yanukovich quali: svendita della manodopera ucraina alla Cina, interessata alle ricchezze di Kiev, con conseguente incremento della disoccupazione; delocalizzazione delle imprese ucraine in Russia, con ancora un conseguente incremento della disoccupazione; e, ciliegina sulla torta, abuso d’ufficio e favori ad amici e familiari. La bomba è innescata. La notte del 21 novembre 2013 in Piazza Indipendenza a Kiev scoppia un’enorme protesta filoeuropea che l’emittente radiofonica ucraina Radio Free Europe battezzò Euromaidan (Europiazza). I manifestanti, al freddo e al gelo, chiedevano di riprendere le trattative con l’UE e le dimissioni di Yanukovich. Contro le europiazze la polizia rispose col fuoco: cominciarono scontri sanguinosi fra il braccio armato, nazista e nazionalista del movimento e le forze dell’ordine, con entrambi i lati che sparavano ad altezza uomo e cecchini tuttora ignoti. Nonostante la dura repressione, le piazze si moltiplicarono in tutta Ucraina vedendo la partecipazione di migliaia di manifestanti ogni volta. La

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sottomissione russa fu sicuramente la più atroce: conosciamo tutti i metodi non propriamente democratici dei russi, no? Ecco, fra carestie, povertà e centrali nucleari che esplodono, gli ucraini furono fra coloro che più subirono la non propriamente eccellente gestione economica dell’URSS. Tuttavia, anche quando ottenne l’indipendenza, questo paese presentava già alcune criticità non di poco conto. Infatti, negli oblasti (regioni) più orientali dell’Ucraina, il Donbass, e nella Repubblica Autonoma di Crimea (regione a statuto speciale ucraina) la maggioranza degli abitanti è russa e costituisce un’importante fetta della popolazione totale. E, considerato che gli ucraini provano un sensibile risentimento nei confronti del popolo che per anni li ha soggiogati, non può che insistere una certa tensione fra le due parti. Ora, nel 2010 alle elezioni del parlamento si presentarono due blocchi principali: da una parte il moderato e filoeuropeo Blocco di Julija Tymošenko, donna dal passato politico-economico discutibile e dirigente di numerose compagnie energetiche privatizzate dopo la caduta dell’URSS, nonché nota attivista della Rivoluzione Arancione del 2004; dall’altra il conservatore Partito delle Regioni, guidato dal filorusso Viktor Yanukovych, il quale, con il 52% dei voti a suo favore, sconfisse l’avversaria per soli 3 punti di differenza. Da qui in poi cominciano i veri problemi: il paese è diviso a metà, con ad ovest e a Kiev i sostenitori del Blocco (principalmente ucraini) e ad est quelli di Yanukovich. Nel 2012, nonostante la vicinanza a Mosca, il Presidente ucraino stava avviando alcuni trattati commerciali con l’Unione Europea. Quest’ultima però si mostrò riluttante ad accettare gli accordi a causa di alcune questioni che ledevano lo stato di diritto


rivolta ebbe fine il 21 febbraio 2014 con la fuga in Intere città cadono sotto il controllo dei separatiRussia di Yanukovych. A maggio, quindi, sarebbe- sti che erigono vecchie statue di Lenin, Stalin e ro state indette nuove elezioni alle quali avrebbe altri eroi sovietici, decorano i muri coi colori delvinto l’europeista Petro Poroshenko, che avrebbe la bandiera russa e disegnano falci e martelli in riavviato le trattative con l’Unione. Si contano ogni dove. Le truppe separatiste, ricevendo viveri, quasi 100 morti, fra civili, nazionalisti e poliziotti. armi e rinforzi da Mosca, risultano un avversario Dunque, quello che avete appena letto, però, è alquanto ostico per le truppe ucraine e per questo sostanzialmente solo il prologo di una tragedia Kiev assolda gruppi volontari armati, popolati molto complessa. Infatti, non appena Oleksandr principalmente dai famosi ultranazionalisti che già Turcinov, braccio destro della Tymošenko, diven- avevano dato il meglio di loro negli Euromaidan. ne presidente ad interim in attesa delle elezioni Spari, esplosioni, trincee, carri armati, mine andi maggio, il mondo filorusso reagì con sdegno: tiuomo. A combattere al fronte, oltre ai russi, c’è la Russia accusò l’Occidente tutto di aver ordito anche un numero non indifferente di foreign fiun colpo di stato deponendo il legittimo presiden- ghters provenienti da tutta Europa, Italia comprete per avvicinare l’Ucraina alla NATO, mentre il sa: uomini anche giovanissimi decidono di trovare governo di Crimea contestò il rimpiazzo politico, la loro ragione di vita nella lotta per l’indipendendefinendolo incostituzionale. za del Donbass poiché vedoMossa da queste ragioni la no nella Federazione Russa Federazione Russa occupò la il loro futuro, i loro orizzonti penisola di Crimea inviando e un ottimo alleato alternatil’esercito da una base navale vo all’UE e alla NATO per dall’inizio del conflitto che Mosca da tempo possedeil proprio paese di origine. A va a Sebastopoli, generando poco sono serviti gli accordi una forte tensione. Questione ratificati a Minsk nel 2016, di un mesetto: l’11 marzo la che prevedevano un immeRepubblica Autonoma di Cridiato cessate il fuoco e una mea dichiara unilateralmente restituzione dei prigionieri di l’indipendenza e il 16 marguerra. A poco sono servite di rifugiati e sfollati zo il 97% della popolazione le promesse di maggiore auesprime voto favorevole al tonomia per i due oblasti dal referendum sull’annessione governo centrale. Le milizie della penisola alla Federazioultranazionaliste volontarie, ne Russa. È inutile dire che nonostante gli ordini di Kiev, solo un paese riconobbe la non hanno smesso di lottare morti validità del referendum, diassieme all’esercito regolafendendolo con il principio di re. Mosca, dal canto suo, ha autodeterminazione dei popoli, mentre l’Ucraina e continuato a supportare gli indipendentisti militaril resto del mondo lo chiamarono referendum-farsa mente ed economicamente. La guerra ha proseguiperché non si era dato un tempo costituzionalmen- to come se nulla fosse. te ragionevole per garantire a entrambe le parti di Gelo. portare avanti le proprie campagne referendarie. Oleg ha rischiato la sua stessa vita attraversando il Ma a poco servirono le lamentele, ormai il dado fronte e portando in spalla a casa sua i più deboli. era tratto: negli oblasti di Doneck e Lugansk (il “Molti mi dicono: ‘dai, lascia perdere, perché mai Donbass) i filorussi seguirono l’esempio crimeano devi fare tutto questo?’. Ed io spesso rispondo loro: e con un referendum dichiararono l’indipendenza ‘come potrei dormire in pace se non lo facessi’?”. e la nascita della Repubblica Federale della No- E contro il freddo dell’entroterra europeo e della vorussia. A sostengo delle forze indipendentiste guerra si oppone il tepore della solidarietà. ovviamente c’era la Russia che, come di consueto, negò qualunque coinvolgimento nella faccenda. RICCARDO MAGNANELLI Peccato che poco dopo la NATO riportò l’arrivo di nuove truppe russe vicino Donetsck (capitale novorussa) e al confine. La guerra ebbe inizio.

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4 anni 2mln

13mila

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di Sara Buonomini

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“D

io è grande, morte all’America, morte a Israele, morte agli ebrei, viva l’Islam!” queste sono le parole dei bambini che abitano la città di Sana’a, capitale dello Yemen, occupata da ormai 5 anni dalle milizie ribelli degli Huti. Nelle immagini dei vari reportage, le uniche trasmesse raramente, vediamo una capitale distrutta dai bombardamenti di aria e di terra e gruppi di bambini e ragazzi che urlano il motto degli Huti, sognando un giorno di diventare piloti di jet bombardieri. Ma facciamo per un attimo, un passo indietro. Nel lontano 2012, il popolo yemenita venne chiamato alle urne e venne eletto il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, considerato da molti un progressista, vicino all’Arabia Saudita e dunque all’ambiente Sunnita, con una votazione considerata valida dalla comunità internazionale. Nel settembre del 2014, dopo poco meno di due anni di governo, una parte degli abitanti della capitale Sana’a -vicini all’ex presidente Ali Abdallah Saleh (conservatore sciita)- insorse, appoggiata dalle forze dei ribelli Huti già presenti nella regione di Sa’da, governatorato con una forte presenza di musulmani della corrente sciita. Il presidente Hadi dovette scappare ed insieme al suo governo si spostò nella città di Aden, nella regione sud orientale del Paese. Il 19 marzo 2015, le milizie degli Huti lanciarono un’offensiva verso sud per espandere la loro area di controllo, e spostare la linea del fronte più vicina possibile ad Aden, la guerra iniziò ufficialmente in questo giorno.

Le fazioni coinvolte dunque sono: il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen, sostenuto dall’Arabia Saudita a capo di una coalizione di Paesi arabi di religione musulmana sunnita, dagli USA, dalla Francia e dal Regno Unito (queste ultime tre forze in teoria sono presenti solo per una generica lotta al terrorismo, con lo scopo di contrastare le forze di Al-Qaida presenti in Yemen); il Consiglio Politico Supremo, appoggiato dalle milizie Huti e -a detta dell’Arabia Saudita e dell’ONU- dall’Iran (anch’esso sciita); infine c’è la fazione terrorista di Al-Qaida, che è attualmente presente nelle regioni sud-occidentali dello Yemen, sotto il controllo militare e politico del governo di Hadi. Attualmente la coalizione Saudita, formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Giordania, Senegal e Sudan, ha imposto un embargo navale, aereo e terrestre su tutto il confine dello Yemen; e per tutta la durata del conflitto, ha condotto secondo Amnesty International, con il supporto degli Stati Uniti, bombardamenti su obiettivi civili e ospedali, utilizzando armi vietate a livello internazionale. Notiamo, come spesso purtroppo avviene in questi casi, che questo scontro, cominciato come una semplice insurrezione popolare, sia diventato una vera e propria guerra per procura, ovvero un conflitto che vede due Paesi nemici (l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita) impegnati in fronti opposti, a sostegno di fazioni opposte. Secondo dati forniti dalle Nazioni Unite, l’Arabia Saudita e la coalizione araba hanno fatto il doppio delle vittime -sia militari che civili- di qualsiasi altro esercito impegnato

Yemen Dove la religione divide

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tra il 2015 ed il 2016 a causa dei bombardamenti o comunque degli attacchi e delle battaglie. Il dato infatti non tiene conto dei morti di fame o di sete causati dal conflitto, si stima (sempre ONU) che siano 3 milioni le persone che rischiano di morire di fame e tra questi, quasi un milione e mezzo di bambini; il dato totale dei morti di malnutrizione non lo abbiamo, né possiamo immaginarlo. Un dato che invece abbiamo, diffuso sempre dalle Nazioni Unite è il numero di casi di colera registrati: con oltre 1,2 milioni di casi ufficiali, quella dello Yemen è la più grande epidemia di colera mai registrata. E ancora una volta, alla fine di questi articoli-denuncia ci chiediamo: perché ci deve interessare? Come se non bastasse l’orrore che si sta consumando ogni giorno, come se la perdita anche di una singola vita umana non ci debba interessare. Oltre a tutto ciò, noi dobbiamo sapere di questa guerra e dobbiamo fare di tutto per fermarla perché sono anche le nostre bombe a cadere sui bambini di Sana’a o di Sa’da, sono anche i nostri cannoni a sparare sulle persone di Holeida: esatto, l’Italia vendeva fino a pochi mesi fa armi leggere e pesanti all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, due Paesi fortemente coinvolti in questa guerra. Quando tutto questo si è venuto a sapere e la notizia è girata su alcuni telegiornali nazionali per 3 o 4 giorni, a maggio del 2019 il parlamento ha approvato una mozione per cessare la vendita di armi pesanti all’Arabia Saudita ed agli Emirati per 18 mesi, è un primo passo ma non basta. Purtroppo la guerra, e in particolar modo questa guerra, non è mai semplice, non si può trovare una soluzione subito, ma quello che facciamo con questo numero è fondamentale: informare su ciò di cui nessuno parla, soprattutto se si tratta di temi di tale importanza, è fondamentale. Noi, le guerre e le morti silenziose, spesso anche causate dalla necessità di arricchirsi, intrinseca alla nostra società, non le dimentichiamo. JACOPO F. AUGENTI

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nella guerra. Ma se le ostilità vanno avanti da cinque anni, ci sono mai stati tentativi di tregue o accordi di pace? Eccome. La primissima tregua risale al maggio del 2015, i due principali schieramenti si accordarono su cinque giorni (12-17 maggio 2015) di un cessate il fuoco violato al quarto giorno, il 16 maggio. Successivamente l’8 dicembre 2015, presso Ginevra il governo di Hadi e gli Huti, rappresentati dall’ex presidente Saleh, trovarono un altro accordo per un cessate il fuoco che sarebbe dovuto durare dal 14 al 21 dicembre, ma venne violato il 18 dicembre dall’esercito filogovernativo yemenita per condurre un attacco con lo scopo (disatteso) di riconquistare la capitale. Poi ancora, la seconda tregua più duratura del conflitto (anche se violata diverse volte), durò da marzo ad agosto 2016, per permettere una parziale ricostruzione e soprattutto lo scambio di alcuni prigionieri, l’Arabia Saudita si impegnò a non bombardare più la regione di Sa’da; ma fu proprio l’Arabia Saudita a causare la rottura ufficiale di questa tregua quando, dopo cinque mesi, alcuni jet bombardarono “per errore” la città Huti di Sa’da. Da qui il conflitto si inasprisce e si intensificano i bombardamenti, gli attacchi e le rappresaglie di entrambe le fazioni soprattutto su obiettivi civili. Il 13 dicembre 2018, a Stoccolma Hadi e Saleh raggiungono un nuovo accordo per una tregua di sei mesi e per la demilitarizzazione della città di Holeida, importante porto per l’arrivo e il trasporto degli aiuti umanitari dell’ONU e di WFP. Sebbene ufficialmente la tregua sia continuata fino a giugno 2019 (quindi per i sei mesi accordati), gli scontri non si sono fermati in molte zone del fronte. Finito il cessate il fuoco a giugno 2019, la guerra in Yemen va avanti senza sosta da allora, senza che nessuno ne parli, senza che nessuno se ne ricordi. Ma non è finita qui. Come sicuramente già sapete, a patire di più queste guerre civili non sono i ribelli o i presidenti, i saleh o gli Hadi, ma quella fazione inerme di cui si parla poco: i civili. Secondo i dati ONU l’80% dei 28 milioni di abitanti dello Yemen manca di beni di prima necessità e sopravvive solo grazie agli aiuti giornalieri di ONU, WFP e Save the Children e tra questi ci sono circa 12 milioni di bambini (dati UNICEF). Sono sempre dei dati ONU a farci capire quali sono le vittime tra i civili di questo conflitto, l’ultimo dato risale al 2016 e parla di un numero compreso tra le 4mila e le 10mila vittime, queste sono le persone morte


Rivoluzione senza fine

La guerra in Libia

Dalla caduta dell’interminabile dittatura di Gheddafi, la Libia non sembra conoscere nemmeno l’ombra della pace. Questa altro non è che la seconda guerra civile in una decina di anni e sembra che e parti in causa siano ben lungi dal giungere ad una tregua.

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l mondo vede soltanto l’avanzata del Covid-19, ma i conflitti “di sempre”, quelli lontani dai riflettori mediatici, continuano a essere molto pericolosi. In Libia, durante la notte del 20 marzo, il generale Haftar ha compiuto un altro gravissimo attacco, prendendo di mira le abitazioni della “città vecchia” di Tripoli, zona esclusivamente popolata da civili. Nonostante il cessate-fuoco richiesto anche per fronteggiare la pandemia, il generale ha continuato ad attaccare con razzi ed artiglieria la periferia, colpendo per la prima volta il centro della città. Le azioni compiute da Haftar sono state condannate dal governo di Tripoli e dall’ambasciata italiana, che hanno denunciato il mancato rispetto del cessate-fuoco. Nemmeno il crescente allarmismo per il Covid-19 è riuscito ad arrestare la sanguinosa guerra in Libia per più di qualche settimana. Anzi, sarà proprio il diffondersi di questa epidemia ad alzare il numero delle vittime, specialmente nei campi profughi, dove le scarse condizioni igieniche ed il sovraffollamento di migranti faciliteranno la propagazione del virus. Per capire come si è arrivati alla situazione di conflitto odierna dobbiamo partire da circa un decennio fa. Nel dicembre 2010, un venditore ambulante tunisino si da fuoco per protestare contro la corruzione ed il dispotismo del regime di Ben Ali. Con un effetto domino, questo gesto diventa l’inizio di una proliferazione di manifestazioni di massa nel Medio Oriente e nel Mediterraneo: le “primavere arabe”. In Egitto, Siria, Tunisia e Libia migliaia di

persone scendono in piazza per protestare contro i propri regimi, dittature di stampo nazionalista e laico che si sono affermate dopo la decolonizzazione. Il grande entusiasmo dell’Occidente, che sperava che questo fenomeno potesse portare all’instaurazione di Stati democratici, è soffocato però dall’insorgere di partiti islamici integralisti (come in Tunisia), di nuove dittature (come quella di Al-Sisi in Egitto) o dall’esplosione di sanguinose guerre (come in Siria o Libia). Infatti nel 2011, alla luce di queste manifestazioni, il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi, inizia una sanguinosa repressione contro i ribelli. Interviene allora la NATO, che, con attacchi aerei, colpisce l’apparato militare del regime. Nell’ottobre 2011 il colonello Gheddafi viene ucciso e si pone così fine a quarant’ anni di dittatura. Nasce però un nuovo periodo di instabilità. Il 7 luglio 2012 si svolgono le prime elezioni democratiche del Paese, in cui risultano maggioritari i partiti liberali, seguiti da alcune coalizioni islamiste: insieme formano il GNC (Congresso Generale Nazionale ). Subito questo congresso si trova davanti ad un Paese allo stremo. Innanzitutto, le diverse milizie che durante la guerra civile avevano l’obiettivo comune di far cadere il governo di Gheddafi, si rifiutano di disarmare per difendere i loro interessi personali. In questo disordine, in cui sono ricorrenti attacchi ed assassini politici, la situazione economica si complica: alcune milizie prendono in ostaggio del-

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tualmente controllano la Libia. Da una parte Fajez al-Sarraj, primo ministro del Governo di Accordo Nazionale, messo al potere dai patti di Skhirat, e riconosciuto dalla comunità internazionale, si installa a Tripoli con il consenso del CGN. Invece, il generale Haftar, che era un alto esponente dell’esercito di Gheddafi e poi suo rivale, assume il controllo della Camera dei Rappresenti e decide di non riconoscere il Governo di Accordo Nazionale. Haftar, che aveva ottenuto legittimità quando aveva abbattuto le milizie terroristiche a Bengasi nel 2013, si era infatti già appropriato di una parte del golfo libico con importanti giacimenti petroliferi nel 2016. Anche se nel 2016 le milizie del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli sono riuscite a sconfiggere l’IS e riprendersi il territorio, l’Esercito Nazionale Libico guidato da Haftar ha conquistato gran parte del territorio della Libia, inclusi i più importanti giacimenti petroliferi, principale e pressoché unica fonte di rendimento del Paese. La seconda guerra civile libica, però, non riguarda solo questo Paese. Con il riconoscimento ufficiale dell’ONU, il principale sostenitore militare di Fajez al-Sarraj è la Turchia, che vede nell’influenza in Libia la possibilità di realizzare il sogno di un neo-regime ottomano. Schierata con Haftar è invece l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Francia e la Russia. Quest’ ultima, in particolare, arma e finanzia Haftar, allo scopo anche di contrastare il disegno per la costruzione dell’egemonia turca nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Fra milizie armate, proteste, dittatori ed interessi stranieri, il dramma libico appare senza soluzioni. Il Covid-19 rischia di complicare ancor di più la ricerca di una tregua. BIANCA BARTOLINI

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le istallazioni petrolifere. Infine, nel 2013, la coalizione al potere, sotto la pressione di diverse milizie armate, approva una legge molto controversa, che vede destituiti tutti coloro che avevano occupato un posto di rilievo durante il regime di Gheddafi , inasprendo ancora di più le tensioni tra i cittadini e le varie fazioni armate. Così, tra le pressioni delle milizie, si arriva alle elezioni dell’estate del 2014, in cui vengono votati coloro che diventeranno i rappresentanti dell’organo che avrebbe dovuto sostituire il congresso: la Camera dei Rappresentanti. Invece che portare stabilità, questa decisione innesca una guerra civile. Infatti, i partiti islamici che risultano perdenti in queste nuove elezioni rimettono al potere il GNC, che, con il tempo, avevano acquistato un’influenza sempre maggiore: la Camera dei Rappresentanti fugge allora a Tobruk, all’Est del Paese, nella regione Cirenaica. Da allora la Libia si ritrova tagliata in due, ad ovest, con base a Tripoli, è governata dal GNC, mentre ad est, con Tobruk come capitale, dalla Camera dei Rappresentanti. Nel febbraio 2015, anche le forze musulmane fondamentaliste dell’IS (Islamic State), approfittano della situazione caotica per istallarsi a Syrte, occupando una parte di territorio tra i due Parlamenti. Per fronteggiare la crescente influenza delle forze integraliste, interviene allora la comunità internazionale. Nel dicembre 2015 Tripoli e Tobruk firmano gli accordi di Skhirat, seguendo il piano delle Nazioni Unite. Questa intesa prevede una divisione di potere tra i due Parlamenti: il nuovo congresso e la Camera dei Rappresentati devono accettare l’autorità di una terza entità, ovvero il Governo di Accordo Nazionale. Da questi accordi emergono le due figure che at-


Cronistoria della rotta migratoria tra Grecia e Turchia: la scalata geopolitica del Sultano di Ankara e il futuro delle migrazioni verso l’Europa n altro tassello che si aggiunge al puzzle delle guerre dimenticate che stiamo ricomponendo in questo numero speciale è la questione migratoria tra Grecia e Turchia, indissolubilmente legata al perdurare del conflitto siriano. Prima di entrare nel vivo della questione è necessario gettare le basi della discussione con un breve riepilogo storico-geografico così da poter comprendere al meglio il tema qui affrontato. È il 15 marzo 2011 quando anche la Siria viene travolta da un’ondata di proteste contro i regimi autoritari di molti paesi del mondo arabo. Questa serie di eventi paralleli meglio definita come Primavera Araba porta allo scoppio di rivoluzioni con l’obiet-

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ta un numero mai così alto di persone a mettersi in fuga e aumentare notevolmente la pressione al confine Turco-Siriano. A questo punto il presidente turco Erdogan alza la voce con l’Europa e chiede una soluzione congiunta perché i Paesi europei si facciano carico di parte dei migranti e la cancelliera tedesca Angela Merkel invita tutti alla solidarietà e dà l’esempio accogliendo in Germania molti rifugiati siriani. La cancelliera non aveva però fatto i conti con ciò che ormai in politica viene prima di ogni cosa: consenso e quindi popolarità, ancor più importanti se si è al terzo mandato e in lizza per un quarto. Chiusa la parentesi di solidarietà tedesca, la Grecia aveva nel frattempo sospeso la possibilità di fare richiesta di asilo invocando una clausola della Convenzione di Ginevra. Di fronte a tutto questo la diplomazia Europea si mette al lavoro e il 18 marzo 2016 viene firmato l’accordo

Storia di un esodo Gli effetti della guerra in Siria

tivo di destituire i capi di stato al grido di libertà. La pregressa crepa socio-economica del paese, una rivoluzione e i suoi tentativi di repressione non poco sanguinosi sono fattori che negli anni siamo stati abituati a riconoscere come motivo di migrazioni, flussi che in questo caso assumono rilevante entità e interesse globale se contestualizzati nell’intero fenomeno della Primavera Araba. Qui entra in gioco la posizione geografica della Turchia e l’importanza geopolitica che assumono i suoi confini visto che costituiscono il ponte tra Siria e Grecia e quindi la chiave d’accesso al Vecchio Continente, obiettivo della più grande ondata migratoria degli ultimi tempi. L’Unione Europea non aveva mai guardato con attenzione al fenomeno, sia per vigile cecità sia perché considerato gestibile dalla Turchia finché tra il 2015 e il 2016, l’aggravarsi del conflitto siriano por-

Facility for Refugees in Turkey, che vede la Germania come maggiore contribuente. Il testo su cui convergono entrambe le parti prevede un generoso finanziamento alla Turchia per la modica cifra di tre miliardi di euro con l’unico scopo di delegare al Presidente Erdogan, un dittatore de facto, la gestione dei flussi a unica condizione che i migranti non facciano ingresso in Europa. La traduzione di tutto questo gioco burocratico è evitare che i governi europei debbano fare ulteriormente i conti con sentimenti nazionalisti già in ascesa e abbandonare alla sorte chi, scappando da una guerra, avrebbe diritto a vedersi garantito l’asilo secondo le convenzioni internazionali. Non poche sono infatti le accuse sollevate dalle organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani. Nel Marzo 2020 però il fronte siriano subisce nuovi sviluppi: la piccola città di Idlib è l’ultima roccafor-

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le via di esodo al mondo. L’ingresso a gamba tesa della Turchia nella crisi libica ha in realtà un fine più redditizio del semplice immischiarsi in un conflitto che va avanti da tempo ed è legato alla partita energetica per la realizzazione del gasdotto EastMed. Il governo di Ankara ha recentemente stretto un accordo con la Libia sulla competenza delle aree marittime che il gasdotto dovrebbe attraversare, segno che la mira espansionistica della Turchia ha anche obiettivi energetici. Terminato l’excursus geopolitico, necessario per dipingere un quadro completo della questione, allunghiamo la vista verso le prospettive che attendono la questione migratoria in futuro. Un report recente dell’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale, dal titolo “The future of migration to Europe” osserva come i flussi migratori che ininterrottamente negli ultimi anni hanno investito l’Europa non siano destinati a terminare in un futuro recente. A confutare questa osservazione vi sono due fattori: la complessità degli intrecci politici dietro ai conflitti in Africa e Medio-Oriente e la completa mancanza di una strategia comune in Europa per la gestione delle frontiere esterne e il coordinamento delle politiche d’accoglienza. La via per un’integrazione facile ed efficace di coloro che arrivano e hanno diritto a essere accolti viene indicata nell’investire sull’innovazione ed educazione tecnologica così da permettere a queste persone un pratico accesso alle strutture della società. In un’Europa impantanata nell’affermare il difficile principio di solidarietà economica che dovrebbe essere alla base di un’unione economico-monetaria e nell’Italia dove il sito dell’INPS preposto a gestire richieste di contributi si blocca perché attaccato da fantomatici e alquanto improbabili hacker, la strada per un’integrazione alla luce dell’innovazione tecnologica sembra non essere nemmeno all’orizzonte. FILIPPO PERTICARA

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te ribelle rimasta ed è lì che si gioca il futuro del conflitto in base ai delicati equilibri internazionali. La città è vicina al confine Turco e inutile dire che questo porta a nuove pressioni nella gestione dei migranti tra Grecia e Turchia. Assistiamo allo stesso copione del 2015 con Erdogan che apre le frontiere e la polizia greca che respinge i migranti al confine con le isole come Lesbo che continuano a essere campi profughi a cielo aperto. Il tutto condito da un’emergenza sanitaria su scala globale che complica la gestione dell’assistenza ai migranti già normalmente difficile. Questa volta la risposta dell’Unione Europea non si è fatta attendere e i tre presidenti Von Der Leyen, Michel e Sassoli (rispettivamente alla guida di commissione, consiglio e parlamento dell’Unione) sono volati nel paesino greco di Kastaines per assicurare pieno sostegno al governo di Atene. La Presidente Von Der Leyen ha dichiarato che “la nostra priorità in Grecia è preservare l’ordine ai confini esterni dell’Ue”, ignorando la possibilità di interventi più mirati per la gestione ordinata dei flussi e un piano di accoglienza. Il gioco del sultano Erdogan è sempre lo stesso: aprire e chiudere le frontiere come fossero rubinetti con l’obiettivo di ottenere l’attenzione internazionale, se prima però era bastata una lauta parcella, ora la posta in gioco sembra essere più alta. È il momento di guardare nel retroscena di quella che non è una semplice ondata migratoria, ma ha in sé precise tattiche di gioco sullo scacchiere della politica internazionale. Gli attori principali nella guerra in Siria sono Russia-Iran a supporto del regime di Bashar al-Assad e Turchia in sostegno delle truppe ribelli. Il ricatto della Turchia con i migranti ha un unico e preciso obiettivo: spostare la bilancia a proprio favore ottenendo il sostegno della comunità internazionale sul fronte di Idlib che sul piano pratico si traduce in un intervento degli Stati Uniti al fianco Turco nel conflitto siriano, essendo la Turchia parte del Patto Atlantico (NATO). La scalata della Turchia sul piano internazionale e le dimostrazioni di potere del Sultano-Zar sono tutt’altro che limitate alla sola questione Siriana; il 2 gennaio il parlamento di Ankara ha approvato, su richiesta del presidente Erdogan, l’invio di aiuti militari a Tripoli per sostenere il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj. In questo modo la Turchia colloca una pedina importante anche nello scenario politico che regola un’altra rotta migratoria verso l’Europa, i numeri del Mediterraneo centrale la rendono la prima e più morta-


Quanto impiega l’uomo per dimenticare un delitto atroce come quello dell’Olocausto? Molto poco. Cari lettori, far sì che questa macchia non cada mai nell’oblio è imperativo e bisogna combattere in ogni modo affinché ciò non avvenga. La guerra, questa volta, è mentale.

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utti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo” (Primo Levi). Nell’ultimo periodo sono avvenuti molti episodi di antisemitismo, e mentre forse riusciamo a renderci finalmente conto che quegli insulti, quelle stelle di David sulle porte, quelle scritte e quelle svastiche che spesso vengono definiti “casi isolati”, non sono isolati più di tanto, conviene riflettere e domandarci se l’allarme di odio e di discriminazione può essere ricondotto ad una problematica culturale che interessa tutto il paese. Secondo una recente indagine Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali), il 15,6% degli italiani crede che la Shoah non sia mai esistita. Prima di sorprenderci e preoccuparci per questo dato, in notevole aumento rispetto al 2004 (2,7%), vengono in mente due domande. La prima è: come è possibile? La memoria dell’Olocausto non è mai stata sottovalutata, vi sono stati dedicati libri, film e giornate, senza contare i racconti e le testimonianze, il cui scopo non è mai stato solamente quello informare, ma di far riflettere sull’atrocità e la disumanità a cui l’uomo è stato in grado di arrivare. Di recente è uscito un film, “Jojo Rabbit”, diretto da Taika Waititi, un regista neozelandese che si è ispirato al libro “Come semi d’autunno” di Christine Launens. La

storia parla di un bambino, soprannominato Jojo, e della sua vita nella Germania nazista. Jojo ha una camera coperta di svastiche, e ammira il nazismo così tanto che il suo amico immaginario è Hitler. Un Hitler ridicolo, comico, goffo, che dà sempre consigli sbagliati e che ricorda molto la parodia di Charlie Chaplin nel “Grande Dittatore”. Frequenta la Gioventù hitleriana, dove insegnano ai bambini le tecniche di guerra, ad odiare gli ebrei e a bruciare libri. Jojo vive insieme alla madre Rosie (interpretata da Scarlett Johansson), la quale viene scoperta da Jojo a nascondere in casa una ragazza ebrea di nome Elsa. La concezione che Jojo ha della realtà attorno a sé cambia quando scopre che Elsa non è quel tipo di mostro che da sempre gli avevano insegnato; anzi, i due diventano amici e Jojo cerca di proteggerla. Il film è tragico, ma presenta molti tratti di una commedia. Vuole infatti raccontare la guerra dal punto di vista di un bambino, nella sua semplicità e incoscienza, e in questo si può rivedere molto della “Vita è bella” di Roberto Benigni. Il film è la prova di come si cerca di portare consapevolezza e riflessioni su questi temi anche tra i più giovani, attraverso un impatto emotivo. Perché questo impatto emotivo sta venendo meno negli ultimi tempi? I fenomeni di negazionismo in Italia ci sono sempre stati, tanto da portare a considerarli reato nel 2016. Sul rendere reato il negazionismo ci si divide: c’è chi crede che sia corretto in quanto è inammissibile negare la Shoah, c’è chi invece pensa che potrebbe creare un precedente nella limitazione della libertà di espressione e che la battaglia da fare contro il negazionismo non debba essere legale, ma culturale. In ogni caso ciò su cui tutti concordano è che sia orrendo il fatto che si debba arrivare a tanto per fare in

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modo che una tappa della storia così drammatica e purtroppo così vera non sia negata. E qui sorge la seconda domanda: guardando di nuovo l’indagine dell’Eurispes, e guardando gli avvenimenti in Italia degli ultimi mesi, siamo davvero così sorpresi? A novembre, in seguito alle minacce ricevute, è stata assegnata la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, nello stesso mese il Comune di Predappio ha negato i fondi per il viaggio ad Auschwitz perché considerato “di parte”. Non è la prima volta che il modo di ricordare l’Olocausto viene considerato divisivo, e considerata ancora più divisiva è la questione del fascismo e dell’anti-fascismo. Perché non si può parlare di antisemitismo riconducendo tutto solo alla Shoah. L’antisemitismo è il razzismo, è la discriminazione verso chiunque, è la violenza, è la privazione di qualsiasi tipo di libertà. E in Italia fenomeni di questo tipo sono diventati sempre più frequenti. Basta una semplice scritta su un pezzo di carta fuori da un negozio: “Vietato l’ingresso ai cinesi”, e di colpo torniamo indietro di un secolo. Il modo che questo paese ha di vedere il passato, di negarlo, di revisionarlo, ci dà la maturità per affrontare il presente? Come pretendiamo di parlare di guerre se non siamo ancora usciti dall’ultima che questo paese ha affrontato? Forse noi italiani siamo come il bambino nel film, Jojo. Guardiamo la realtà senza capire veramente cosa comporta, mentre aspettiamo di liberarci da un fantasma che ci impedisce di andare avanti, e di costruire una società veramente libera e democratica, dove l’orrore della Shoah non venga messo in discussione nemmeno da una singola persona. MARIA GUERRIERI

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Un’antica storia di morte

LA LUCCIOLA

Le armi chimiche

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aleolitico, 13.000 a.C. circa: tutto inizia con una freccia avvelenata. Non a caso il termine “tossico” deriva dal greco toxon (arco); viene creata quindi la prima arma chimica, nasce la civiltà dei veleni. L’uomo comincia ad adoperare nella caccia sostanze letali o stordenti per rallentare e uccidere le prede, inizia ad apprendere come estrarre e riconoscere i veleni presenti in natura: scorpioni, serpenti, aconito napello, cicuta, noce vomica… le sostanze tossiche si trovano ovunque. Nascono poi anche le prime armi biologiche di distruzione di massa tramite funghi e batteri: già gli Ittiti, nel II millennio a.C., utilizzavano pecore infette da Francisella tularensis come armi batteriologiche. Con lo sviluppo delle prime città i metodi di distruzione tramite le tossine diventano sempre più sofisticati. I Sumeri furono i primi ad impiegarle nella guerra avvelenando pozzi e provviste. Successivamente in Cina nel IV secolo a.C. vengono usati per la prima volta gas tossici a scopo bellico: sono stati tramandati degli scritti che descrivono l’utilizzo in guerra di fumi ricavati dalla combustione di senape e artemisia che venivano pompati all’interno delle gallerie nemiche. Più tardi, nel V secolo, nel corso della guerra del Peloponneso, vennero verosimilmente usati dalle forze di Sparta gas venefici e fumi irritanti a base di arsenico e zolfo. Sotto l’Impero Romano poi l’uso del veleno era comunissimo. È documentato che nell’assedio di Dura Europos nel 256 d.C. dei legionari romani furono gassati dall’esercito dei Sasanidi tramite la

combustione di zolfo e bitume. Nel Medioevo abbiamo un altro caso di guerra batteriologica: Gabriele de Mussis, notaio di Piacenza, scrisse che nel 1347, nell’assedio di Caffa, i tartari «legarono i cadaveri su catapulte e li lanciarono all’interno della città, perché tutti morissero di quella peste insopportabile. I cadaveri lanciati si spargevano ovunque e i cristiani non avevano modo né di liberarsene né fuggire». Nel Rinascimento, le armi chimiche furono invece riproposte da Leonardo da Vinci che ideò una mistura letale a base di gesso, solfuro d’arsenico triturato e verderame in polvere . Se dunque la guerra chimica ha origini antichissime, è con il primo conflitto mondiale che, attraverso i progressi incredibili della ricerca scientifica, si arriva alla creazione di armi sempre più avanzate e devastanti. 1915: comincia l’era delle bombe a gas. Lo scienziato tedesco Fritz Haber sviluppa l’iprite, il gas asfissiante a base di cloro in grado di provocare gravi lesioni polmonari e morte per asfissia che verrà impiegato a Ypres, in Belgio: si tratta del primo attacco su vasta scala effettuato con armi chimiche. Ideati rispettivamente nel 1812 e nel 1915 il fosgene e l’iprite furono i gas più utilizzati durante la grande guerra: il fosgene è un gas asfissiante che attacca le vie respiratorie, mentre l’iprite è un mix di cloro e zolfo che può essere classificato sia come gas asfissiante che come gas vescicante, in quanto colpisce con forza e lentezza la cute provocando vesciche e necrosi. Mesi dopo l’attacco a Ypres, il 6 agosto 1915, l’esercito tedesco, durante l’assedio della fortezza russa di Osowiec, lancia un altro devastante attacco chimico: quest’avvenimento è oggi conosciuto come “la carica dei morti viventi” proprio per le sue inattese conseguenze. La fortezza di Osowiec, sprovvista del necessario per respingere un’offensiva a base di gas tossici, fu bombardata da una

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rono, infatti, non solo gas come l’iprite, la lewisite, il fosgene e la cloropicrina ma anche armi batteriologiche che favorirono la diffusione di colera, tifo, dissenteria, antrace e peste bubbonica. Secondo alcune fonti circa 400.000 cinesi morirono per queste malattie. Inoltre, per testare e sviluppare nuovi tipi di armi biologiche, vennero eseguite, specialmente dall’unità 731, atroci sperimentazioni umane come vivisezioni e amputazioni senza anestesia, poiché si riteneva che questa influenzasse e ostacolasse gli esperimenti. E’ stato stimato che il numero di vittime sia stato circa di 580.000. Così avvenne anche nella Germania nazista: furono circa 17 milioni le vittime dei campi di sterminio. Ebrei, prigionieri di guerra, disabili, rom, sinti, omosessuali, comunisti, testimoni di Geova e tutti coloro che venivano classificati come “indesiderabili”, furono annientati nei campi di concentramento con il gas insetticida Zyklon B; inoltre è documentato che anche i tedeschi effettuarono terribili sperimentazioni umane per verificare la resistenza del corpo in situazioni estreme, collaudare sostanze tossiche e studiare malattie infettive. In questo periodo gli scienziati tedeschi scoprirono anche i gas nervini Tabun, Sarin e Soman, agenti che attaccano il sistema nervoso provocando la morte nel giro di pochi minuti, particolarmente pericolosi poiché inodori e incolori. Tra i disastri chimici avvenuti durante il secondo conflitto mondiale ricordiamo poi, nel 1944,

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GUERRE QUOTIDIANE

miscela di cloro e bromo; quando i tedeschi entrarono nella fortezza incontrarono l’inaspettata opposizione dei pochi soldati russi sopravvissuti, i quali, più morti che vivi, tossendo sangue e parti dei loro stessi polmoni, riuscirono a respingere i tedeschi che fuggirono terrorizzati. Tra gas nervini, vescicanti, asfissianti, inibenti e aggressivi enzimatici durante la Grande Guerra furono utilizzati quasi 50.965 tonnellate di agenti chimici solo sul fronte occidentale con conseguenze devastanti. Finalmente, nel giugno del 1925, il protocollo di Ginevra vietò l’utilizzo di armi chimiche e batteriologiche (anche se non ne precluse la produzione per cui, in caso di aggressione chimica da parte dei paesi non firmatari, si aveva il diritto di rispondere con gli stessi mezzi). Nonostante ciò le stragi continuarono. Nel 1920 l’Inghilterra impiegò l’iprite e altri agenti chimici contro i ribelli curdi e arabi e così fece la Spagna contro i berberi. L’Italia nel 1935 violò il protocollo di Ginevra durante la guerra coloniale fascista: in Libia, e più tardi in Etiopia, Mussolini autorizzò l’uso di gas tossici, (in particolare l’iprite, il fosgene e proiettili a gas), per stroncare la resistenza e accelerare le operazioni belliche. Scoppiata la seconda guerra mondiale, anche il Giappone viola la convenzione di Ginevra. Il generale Shirō Ishii ordina di studiare e testare armi chimiche e biologiche; contro i cinesi si impiega-


LA LUCCIOLA

il bombardamento del porto di Bari. La città subì un pesante attacco aereo che distrusse, tra le altre navi, la statunitense John Harvey carica di bombe all’iprite. Si stima che i morti furono circa 1.000 tra militari e marinai, e circa 800 i feriti, senza contare le molte persone che morirono nei giorni successivi a causa dei danni prodotti dall’iprite. L’incidente rimase segreto e, per decenni, non si seppe nulla di ciò che avevano provocato i gas tossici. 6 agosto 1945: avvenne la catastrofe che segnò la fine del conflitto mondiale. L’aeronautica statunitense sganciò due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki: 250.000 morti, quasi tutti civili. Oltre al decesso istantaneo di moltissime persone, questi attacchi portarono a terribili conseguenze che si protrassero a lungo nel tempo a causa delle radiazioni rilasciate dalle bombe. Fu la prima e l’ultima volta che venne usata un’arma nucleare a scopo bellico. Nel 1960, nonostante la fine della seconda guerra mondiale, le stragi continuarono. Durante la guerra in Vietnam gli Stati Uniti violano tutte le norme che impediscono l’uso di armi chimiche e biologiche colpendo sia civili che militari, causando sia enormi danni alla popolazione sia all’ambiente. Per privare la resistenza vietnamita della copertura garantita dalle foreste, venne usato un diserbante conosciuto come Agente Arancio (una miscela degli erbicidi 2,4-D: acido-2,4-diclorofenossiacetico e 2,4,5-T: acido-2,4,5-triclorofenossiacetico). Tuttavia si scoprì che questo defoliante conteneva diossina, un composto chimico estremamente tossico e inquinante che provocò tumori e teratogenesi, (uno sviluppo anomalo degli organi nel feto), sia alla popolazione vietnamita che ai soldati statunitensi. Vennero adoperate anche bombe incendiarie a base di Napalm-B, (un derivato dell’acido

naftenico), e il BZ (3-chinoclidinile benzilato), un agente chimico che agisce sul sistema nervoso compromettendo memoria e pensiero logico e causando allucinazioni, isteria e altri disturbi psichici. Le armi chimiche vennero nuovamente messe in campo durante la guerra Iran-Iraq, che si protrasse dal 1980 al 1988. Inoltre, nel marzo del 1988 furono sterminati ad Halabja 5.000 curdi con gas a base di cianuro: fu il più grande attacco chimico contro civili. Bisogna arrivare al 1993 per avere il primo trattato internazionale sulla messa al bando di armi chimiche e sul divieto della loro produzione: la Convenzione sulle armi chimiche. Attualmente sono 193 gli stati membri; questo trattato si prefigge il divieto a livello internazionale delle armi di distruzione di massa. La convenzione entra in vigore nel 1997 ed è tuttora attiva; tuttavia nel 2004 vi è stato un nuovo drammatico caso di guerra chimica. Iraq, Fallujaha: a seguito di rivolte e dell’uccisione di quattro contractor, (membri di una compagnia militare privata americana), l’esercito statunitense avviò devastanti operazioni belliche di rappresaglia sulla popolazione inerme finalizzate alla ripresa del controllo della città. Durante l’attacco vengono utilizzati agenti tossici come cloro e fosforo bianco in grado di provocare, a contatto con l’ossigeno, necrosi ossea e ustioni. Le conseguenze di questo attacco sono state definite “peggiori di quelle di un disastro nucleare”, in quanto l’esposizione ad agenti tossici e mutogeni genera l’aumento esponenziale di malattie gravi come cancro e leucemia. Siamo nel 2020: viene confermato l’utilizzo delle armi chimiche della Turchia contro Rojava. Fino a quando durerà quest’antica storia di morte? Veleni generati in laboratorio si disperdono nell’aria portando a stragi di massa, alcuni in maniera più subdola e ingannevole, altri, come nel caso dell’iprite, il “gas mostarda”, in modo più evidente. Possono essere rapidissimi o creare lunghe e atroci sofferenze. Gas, liquidi, bombe e proiettili… la scienza e la tecnica progrediscono e con loro i metodi per uccidere. Fino a dove ci spingeremo ancora?

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BIANCA DELLA GUERRA


Guerre quotidiane Anche con il cinema si può lottare

cini a noi di quanto non sembri. Il regista inglese Ken Loach si fa notare tra coloro che raccontano la cruda verità delle problematiche dei giorni nostri: ha dedicato tutta la sua opera cinematografica alla descrizione delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti. Loach è partito da produzioni indipendenti di scarso successo, fino ad arrivare ad ottenere diversi riconoscimenti nei più prestigiosi festival del mondo come Cannes e la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. I suoi film sono delle vere e proprie denunce sociali che spaziano tra vari argomenti. Il suo ultimo lungometraggio è una forte accusa contro le grandi compagnie di distribuzioni come Amazon e più in particolare delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di tali compagnie. “Sorry We Missed You” è un brutale ritratto della società e di coloro che vivono dovendo sopportare ogni giorno fatiche sia fisiche che morali. Il film narra la storia di una famiglia formata da padre, madre e due figli. Pur di ritrovare un lavoro dopo aver perso il precedente a causa della crisi economica globale, il padre di famiglia convince la moglie a vendere la sua auto per poter acquistare un furgone e poter così diventare un corriere per una grande azienda di distribuzioni. La storia è un susseguirsi di problematiche che si manifestano sia sul lavoro che in famiglia. Dopo essere uscito dalla sala il mio primo pensiero è stato: “Non ordinerò più niente online”, ma il vero problema è che dentro di me sapevo che sarebbe

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GUERRE QUOTIDIANE

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gni giorno vengono combattute molte guerre, sia fisiche che morali, che rimangono nascoste e che non vengono raccontate al mondo e di cui quindi si rimane all’oscuro. Viviamo in un mondo dove battaglie o veri e propri conflitti sono all’ordine del giorno: nella società molte persone si battono costantemente per una buona causa, portando avanti delle rivolte che riescono a coinvolgere anche gran parte della popolazione; tutte queste battaglie le conosciamo grazie ai mezzi di comunicazione, che le hanno rese qualcosa di concreto facendole conoscere a più gente possibile. I risultati di queste lotte sono spesso movimenti e manifestazioni come i Friday’s for Future, i Gay Pride, le marce Non Una di Meno e molti altri ancora. Esistono però delle battaglie che rimangono nascoste, a cui non viene dato spazio e che di conseguenza risultano inesistenti per la maggior parte della popolazione. Come fanno gli oppressi invisibili a farsi notare, a mostrare al mondo le proprie difficoltà e condizioni? Il cinema è una delle possibili risposte. Ormai in tutto il mondo ci sono registi che hanno deciso di raccontare attraverso i propri film le condizioni disumane in cui vivono coloro che sono semplicemente meno fortunati e di lanciare un messaggio di allarme per chi è privato dei propri diritti. Vengono subito in mente le disastrose condizioni di vita nei paesi erosi dal crudele morbo della guerra, ma esistono anche problemi estesi molto più vi-


LA LUCCIOLA

La sua unica gioia consiste nel parlare con il bambino che ha in grembo. Maryam, una colta giornalista televisiva, sta per divorziare dal marito infedele, il quale scopre che è incinta. Ayesha, una ragazza di diciotto anni, accetta di sposare il cugino, poiché il ragazzo che l’ha messa incinta è scomparso dopo aver saputo della sua gravidanza. Deve pertanto trovare un dottore per abortire e ritrovare la verginità. Per la prima volta, ciascuna di loro deve risolvere il proprio problema da sola. Abbandonate da una società che le considera inferiori, queste tre donne devono combattere per i propri diritti e per poter vivere una vita migliore. “Hava, Maryam, Ayesha” non è uno dei tanti film che mandano messaggi a favore dei diritti delle donne: è un film vero, che racconta esperienze che molte donne provano davvero in alcuni paesi e che riesce a trasmettere un senso di malinconia e tristezza allo stesso tempo contrastati da una grande forza d’animo e di coraggio che porta le tre protagoniste ad esporsi e a combattere le proprie paure. La regista Sahraa Karimi, che ho avuto il piacere e l’onore di incontrare, ha spiegato quanto sia stato difficile girare un film del genere, poiché il governo afghano limita la produzione cinematografica nel paese attraverso la censura; il sogno della regista è di portare film come “Hava, Maryam, Ayesha” nelle sale cinematografiche afghane per poter far aprire gli occhi al suo paese riguardo le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne. “Hava, Maryam, Ayesha” è un inno alla vita e ai diritti femminili che tocca il cuore facendoti provare molte emozioni contemporaneamente, un perfetto esempio di come il cinema indipendente stia diventando sempre più conosciuto e apprezzato nel mondo. Il cinema può essere utilizzato per apprendere fatti di cui non si era a conoscenza, per scoprire guerre e battaglie finora sconosciute, ma ricordiamoci sempre che il vero cambiamento parte sempre e solo da noi.

stata una promessa molto difficile da mantenere. Ken Loach ci mostra quanta sofferenza ci sia dietro a un semplice scatolone di cartone; ormai ordinare online è diventata un’abitudine e non ci chiediamo chi siano coloro che consegnano i nostri ordini: sono invisibili, vanno e vengono, girano tutta la città dovendo seguire dei minuziosi programmi con determinati tempi per ogni recapito; sono controllati cosicché la consegna avvenga perfettamente in orario e non hanno un momento di pausa, neanche qualche minuto per andare in bagno. In questi ultimi mesi sono partite molte campagne per sabotare le grandi compagnie di distribuzione dei prodotti e per dare dei diritti a queste persone che, per un salario poco cospicuo, sono sottoposti a fatiche terribili. La prossima volta che sarete davanti ad un computer pronti ad acquistare qualcosa, prima di confermare la consegna dell’ordine pensate alla persona che ve la recapiterà e ricordatevi che anche lui o lei sono esseri umani. A mio parere “Sorry We Missed You” è un film che racconta alla perfezione una “guerra quotidiana”, ma poco nota, la descrive nella sua crudeltà, asprezza e tristezza, e ci fa capire quanto ancora ci sia da lottare per rendere il mondo un posto migliore. Ci tengo a parlare anche di un altro film e di un’altra “guerra quotidiana”, questa volta in un paese più lontano. Alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia 2019 mi è capitato di vedere un film indipendente afghano, intitolato: “Hava, Maryam, Ayesha”. Il film racconta la storia di tre donne di diversa estrazione sociale risidenti a Kabul, che devono affrontare grandi sfide nelle loro vite. Hava, una donna legata alle tradizioni, incinta, della quale non importa niente a nessuno, vive con i suoceri.

CESARE NARDELLA

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La Playlist di Cecilia Mazzone

Bullet the blue sky U2

One Hundre Years The Cure

The Mercy Seat Nick Cave

Charlie Don’t Surf The Clash

The Gunner’s Dream Pink Floid

Atrocity Exhibition Joy Division

Peace Frog The Doors

19 29 Paul Hardcastle

Enola Gay OMD

Brothers in Arms Dire Straits

Hey Hey, My My Neil Young

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GUERRE QUOTIDIANE

One Metallica


LA LUCCIOLA

25 aprile Udine, 10 febbraio 1945 Caro Papà e tutti miei cari di famiglia e parenti, dalla soglia della morte vi scrivo queste mie ultime parole. Il mondo e l’intera umanità mi è stata avversa. Dio mi vuole con sé. Oggi 10 febbraio, il tribunale militare tedesco mi condanna. Strappa le mie carni che tu mi avevi fatto dono, perché hanno sete di sangue. Muoio contento perché lassù in cielo rivedrò la mia adorata mamma. Sento che mi chiama, mi vuole vicino come una volta, per consolarmi della mia dura sorte. Non piangete per me, siate forti, ricevete con serenità queste mie parole, come io sentii la mia sentenza. Ore mi separano dalla morte, ma non ho paura perché non ho fatto del male a nessuno; la mia coscienza è tranquilla. Papà, fratelli e parenti tutti, siate orgogliosi del vostro Bruno che muore innocente per la sua terra. Vedo le mie care sorelline Ida ed Edda che leggono queste ultime mie parole: le vedo così belle come le vidi l’ultima volta, col loro dolce sorriso. Forse qualche lacrima righerà il loro volto. Dà loro coraggio, tu Guido, che sei il più vecchio. Quando finirà questa maledetta guerra che tanti lutti ha portato in tutto il mondo, se le possibilità ve lo permetteranno fate che la mia salma riposi accanto a quella della mia cara mamma. Guido abbi cura della famiglia, questo è il mio ultimo desiderio che ti chiedo sul punto di morte. Auguri a voi tutti miei cari fratelli, un buon destino e molta felicità. Perdonatemi tutti del male che ho fatto. Vi lascio mandandovi i miei più cari baci. Il vostro per sempre Bruno

papaver

myosotis

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chrysanthemum


mai piĂš.


ARTE

Vero nell’arte

S

econdo Manzoni scrivere un romanzo che sia verosimile e coerente con la realtà è molto difficile: colui che decida di scrivere un’opera di narrativa dovrà fare un attento studio di ciò che lo circonda, con il rischio, in ogni caso, di scadere nel falso. Descrivere le azioni e le situazioni potrebbe essere possibile, ma riprodurre realisticamente i sentimenti umani è molto complesso. Perfino coloro che sono, al dire dell’autore, romanzieri “mediocri”, colgono una parte della realtà, ma trovano poi difficoltà nel perseguire tale via attraverso la narrazione, creando una natura umana non corrispondente al vero. La natura, nelle sue forme che si ripetono geometricamente e regolarmente in maniera diversa in ogni corpo, è la prima artista di cui osserviamo l’opera, la stessa cosa avviene nell’universo che ci contiene e nel riflesso di esso che ritroviamo in noi e nei nostri corpi. Noi siamo dunque il frutto di un’incredibile arte necessaria del mondo ed eguale è in noi la necessità di creare un’arte ed imprimerci nel mondo con la nostra necessaria ricerca della bellezza. Tale bellezza che noi creiamo, in quanto riflesso di noi, del nostro sentire e dunque dell’universo stesso è ciò che esprimiamo con l’arte, che ha in generale come oggetto il vero che l’umanità possiede come indissolubile pulsione. Detto ciò, l’arte può presentarsi in svariate forme, più o meno verosimili rispetto al mondo che ci circonda: dalla perfezione quasi assoluta delle statue neoclassiche e la più precisa forma di ritratto fino al “quadrato nero” di Malevic o le opere di Rymar. Se queste opere opere abbiano come oggetto il vero o il falso è solo chi compone l’opera e chi ne “fruisce” che potrà giudicare. Un romanzo inverosimile potrà suscitare in me un sentimento molto forte, riportare alla luce verità nascoste, affini al mio vissuto e

alla mia sensibilità, come potrebbe per un'altra persona essere nient’altro che tante parole su un foglio, un falso inutile e di poco conto. Allo stesso tempo l’autore, dal canto suo, potrebbe aver scardinato ogni parte di sé per creare tale opera, esprimendo egli stesso una parte inconscia di sé, inesprimibile per lui nel verosimile, ma incredibilmente corrispondente al suo sentire, e dunque vera.

“Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto”. Così afferma Kandinsky commentando “Twin” di Robert Rymann: un’opera che rappresenta un canvas bianco, puro, luogo del nulla, inverosimile, ma che può suscitare nell’osservatore l’assoluta verità della sua sensazione, quadro criticato, giudicato, ma in sé presente e necessario in quanto creato. Come afferma Virginia Woolf descrivendo il romanzo moderno, un autore libero non rappresenterebbe mai una narrativa verosimile esterna alla sua realtà, poiché l’arte è essa stessa espressione del proprio interno: basta questo affinché essa sia giustificata e identificata con la verità. Nel caso in cui la mancata verosimiglianza sia data da una mancanza di tecnica, ciò non cambia, poiché la tecnica è apprendibile, mentre l’arte non lo è affatto, si può però scoprire, riscoprire, esplorare, vivere ed esprimere. Oltre a questi pareri disparati tra di loro, io credo nella libertà, specialmente nell’arte, di lasciar risuonare ciò che risuona di per sé, senza razionalizzare cosa sia più o meno verosimile nella sua rappresentazione. La produzione artistica più vera per me, che ha come oggetto il vero, è ciò che arde, cioè ciò che di impellente dobbiamo far fuoriuscire da noi, ciò che, per citare Picasso, “toglie dalla nostra anima la polvere accumulata dalla polvere di tutti i giorni” SARA BUONOMINI

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IDEE

Cibo e bellezza

I

social media e la società rendono i giovani schiavi del cibo. Paranoie, diete non sane e rifiuto verso il cibo sono le problematiche emerse dalle testimonianze di ragazzi tra i 16 e i 18 anni. Il canone di bellezza, soprattutto per le giovani donne, è la magrezza, “C’erano quelle tipiche frasi: ‘se l’altro non ti capisce dì quanto sei bella dentro’” racconta M. (16 anni) “quelle che dicono automaticamente a tutte quelle persone con qualche chilo in più alle medie. Non è detta in senso positivo, non parla davvero di bellezza interiore ma intende ‘non mi guardare esternamente’. Da lì ho iniziato a farmi un po’ di problemi, nell’estate tra la terza media ed il quarto ginnasio sono dimagrita, mi sentivo un po’ meglio. Ero più infantile, volevo dimagrire agli occhi degli altri.” Ogni giorno siamo martellati da foto, notizie, programmi televisivi in cui vengono osannate diete miracolose, alimenti che bruciano i grassi contro ogni legge chimica e modelle perfette, magre, alte, senza cellulite o smagliature. Cosa c’è dietro queste figure perfette? “Mi sono avvinata al mondo della moda” spiega D. (17 anni) “c’erano delle misure da rispettare e io ero un po’ sopra e quindi mi sono messa a dieta. Non ho seguito dei buoni metodi, per esempio o non mangiavo niente o mangiavo soltanto insalata e morivo di fame. Oppure stavo a dieta ferrea per qualche giorno, poi non ce la facevo più e rimangiavo, poi mi pentivo e mi rimettevo a dieta stretta. Andavo avanti così per un sacco di tempo. Adesso invece sto facendo una dieta per mantenere il peso, sono riuscita ad

entrare nelle misure –quelle fianchi, vita-. Un’altra cosa importante è la bilancia. Qualche mese fa non avevo la bilancia a casa e andavo allo studio di mia madre a pesarmi. Il giorno prima mi prendeva un’ansia fortissima perché avevo paura di pesarmi e di vedere un numero che non mi piaceva; il mio rapporto con il peso l’ho fatto diventare un numero e se ingrassavo mi sentivo male. Prima di pesarmi non mangiavo praticamente niente, la sera cenavo con una mela, così da perdere peso in quel giorno”. Disagi nei confronti del cibo sono dati da fattori psicologici, ad esempio l’ansia, come per E. (18 anni), “Fin da quando ero piccola mi costringevano a mangiare all’asilo ma per l’ansia avevo la nausea costantemente e quindi nascondevo più cibo che potevo nei fazzoletti. Penso sia dovuto al fatto che mia madre sia sempre stata ossessionata dalla linea, quindi il mio amore per il cibo, unito ai miei problemi di intolleranze alimentari, non c’è mai stato”. I disturbi alimentari sono dati da molteplici fattori, tra cui la società in cui viviamo, che non ha problemi di nutrizione ma ne crea. I giovani non solo sono più attivi sul web, ma entrando per la prima volta in contatto con il loro corpo sono chiamati a prenderne coscienza. Su questo abbiamo la testimonianza di M., 16 anni: “Proprio per i social, come appari è la tua copertina, tutti guardano la tua copertina, sui social non si capisce come sei veramente ma soltanto come appari” (M., 16 anni). ARIANNA BELLUARDO

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Federer: la perfezione e il genio nello sport

V

i siete mai chiesti se ci sia mai stato un vero campione nel mondo dello sport? Innanzitutto voglio precisare che un campione non è quella persona che non ha mai perso una partita. Egli è semplicemente un essere umano che, con qualche vittoria e qualche sconfitta, è comunque riuscito a rialzarsi, senza mai abbandonare il proprio “campo di battaglia” per così dire. Ecco, per me un prototipo di campione è Roger Federer. Un trentottenne di Basilea che ha cominciato a giocare all’età di sei anni, grazie ai numerosi sacrifici dei genitori che volevano il meglio per lui. Ha cominciato a vincere seriamente, all’interno e all’esterno del campo, quando ha conosciuto la moglie Mirka e quando sono nati i suoi quattro figli. Federer non è solo il vincitore di 20 Slam. È di più. È colui che ha donato 12 milioni di euro per costruire 80 scuole in Africa. È colui che, in piena emergenza coronavirus, ha donato un milione di franchi svizzeri alle famiglie in crisi nel suo paese per aiutarle a superare questo momento veramente difficile. Dunque possiamo notare che lui non è solo da ammirare nei campi da tennis, ma anche al di fuori. A mio parere, non esiste una persona umi-

le e volenterosa come lui nel mondo dello sport. Molti pensano che questo sport non sia come quello di una volta, elegante e senza alcune discussioni all’interno del campo. Secondo me si sbagliano. I numerosi litigi che si verificano in campo magari sono dovuti a uno sbaglio dell’arbitro o a una distrazione del pubblico: infatti è praticamente impossibile trovare un video su Youtube che mostri una discussione da parte di Federer durata per più di venti secondi. Da ciò, si può vedere che un campione deve avere anche la capacità di sviluppare il proprio autocontrollo (cosa secondo me veramente complessa da sviluppare). Ora non sto qui ad analizzare per filo e per segno tutta la vita, i successi e le sconfitte di Federer. Vorrei semplicemente far notare che, per essere un campione, bisogna avere tutte queste abilità e bisogna saperle sviluppare, rimanendo focalizzati su un determinato obiettivo che si vuole portare a termine e tenendo a mente che il successo va a braccetto con la capacità di rimanere umani in ogni circostanza.

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EDOARDO APPETITI


Componimenti

Creativi


Creativi UN CINGUETTIO TACITURNO, STRADE VUOTE

CASA MIA Piove in questa stanza Ma il tetto non ha crepe È tutto a posto L’acqua però scende Dappertutto Scroscia a cascate Dalla scrivania Bagna i dorsi dei libri Nascosti dagli scaffali Protetti dalla libreria Bagna le mie mani Mentre scrivo questa poesia Ma qui è tutto a posto La pioggia è casa mia

Un silenzio Immobile e vuoto. E nella calda zona Rossa, all’oscuro di tutti Esplode la primavera. E l’unico rumore che riesci a sentire, sono i colorati fiori che silenziosamente Sbocciano. Nella morte e nella Malattia, ecco la Vita. JACOPO F AUGENTI TEATRO

BESHE

Volare, incompreso e libero lontano dal mare e dai mostri sotto al letto vivere con gli scheletri in un armadio, diventare scomodo una stupida maschera ridotto ad una cazzo di risata. Spesso mi perdo, sai? Mi rimane solo il cuore E mi tengo insieme a stento. A quanto pare non sono immortale

IL RISVEGLIO Il cielo è più chiaro, la luce del mattino ti annebbia la mente. Il silenzio fa più rumore della precedente confusione, sconvolge i tuoi pensieri che cercano invano di riportarti a un sogno irreale. Ma tu sei immobile, e non riesci a correre più incontro a quel ricordo che piano piano si fa più lontano. È follia credere che quell’irrealtà fosse più reale di questa luce, di questo silenzio di questo risveglio?

CRISANTEMI

MARIA GUERRIERI PENSIERI Se fossimo stati mai capaci di comprendere senza conoscere, se fossimo stati mai capaci di sapere senza chiedere, probabilmente ora vivremmo nel silenzio, sapremmo già tutto ciò che occorre, saremmo già completi, saremmo ancora più soli. SERENA MAVROVIC

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Componimenti ECO Precipito e il sole mi sorride dall’alto. Che si ride, dico io, piena di ombre nel petto e lividi sulle labbra mi contorco in cerca di un appiglio, memore di giorni migliori, di scelte più sagge. Cosa mi passava per la mente? Per quale motivo mi sono arrampicata tanto in alto? Il tuo volto è ancora impresso a fuoco nelle mie pupille. Il tuo respiro ancora un’ eco nei miei polmoni. Il vento mi strappa i capelli, mi asciuga le lacrime “Forse è a lui che dovrei giurare fedeltà eterna” penso disperata. Continuo a cadere, il suolo è sempre più vicino. Chiudo gli occhi, un grido. Sei l’ultima cosa che vedo BRAMATA FOLLIA

IL TUTTO È IL NIENTE

-Ego° N

Mi blocco dinanzi a questi fogli bianchi, vago persa, angosciata da questa sensazione col fiato corto. Tu, spirito misterioso, sei oltre misura. Oltre confine per descriverti su della semplice carta. Sei mille brillanti stelle, profumo di vento sfuggente, sapore salato di mare profondo, angelo dolce e forte, lucida e bramata follia. Generosa anima di fuoco, che mi hai ospitato tra le tue braccia e dato riposo nei tuoi occhi dalle onde scure pieni di dolore vissuto, aspetta il mio ritorno, che il tempo sia lieve sopra i nostri cuori. Attendi paziente quel giorno. Quel momento in cui la mia mano accarezzerà gentile il tuo viso. Quando il mio sguardo si riempirà del tuo sorriso, Quando, con il mare a farci da testimone, creeremo il nostro vespro in un abbraccio. A quel punto la distanza si annullerà, suggelleremo con un candido bacio un contratto con la felicità, rapiremo per qualche periodo i demoni. Sarà così che avremo vinto noi. MARTA SARRO

Un respiro affannoso si mescolava ad un pianto straziante.] Lamenti gridati, volti stralciati dall’odio che il male produce.] Il fremito e la confusione di chi è davanti un tramonto e non riesce a guardare.] La confusione ed il fremito di chi è davanti al mare e non lo sa ascoltare.] Un silenzio agghiacciante che nemmeno il caos riesce a squarciare.] Degli occhi sensibili che il sole non riesce a far brillare; questo perché sono loro che rifiutano di osservare.] Ma tutto si inverte; Il male induce: A lamenti. A grida. A volti distrutti. All’odio. Adesso, proprio ora, il caos sfiora il manto soave e impalpabile del silenzio che, preso di sorpresa, non volteggia più leggero e piacevole allo sguardo com’era, ma cade giù,] In profondità, Non si scorge quasi più. La bellezza del mare si perde. Il fascino di un tramonto diventa un attimo comune, come tutti.] Il panico aumenta. Il cuore è in tumulto. Arriva la notte; Un ultimo respiro, Le stelle, Il tutto è il niente. CESCA DEL FIACCO

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Creativi EARTH

Disegno di Sara Buonomini SPECCHIO E ti strapperai la pelle, credendo sia quella di un altro Non sei tu la persona riflessa in quella superficie di cristallo] Imperfetta E il passato ti inseguirà, gridandoti che hai mandato tutto a puttane, Non è così che dovresti apparire agli occhi degli altri] Non sei tu la persona riflessa in quella superficie di cristallo] E il tuo cuore ti implorerà di amarti, di accettare la casa che ti è stata data, in tutte le sue imperfezioni] Che non esiste qualcosa come la perfezione, che tutti siamo quel che siamo e che va bene così] E tu lo manderai al diavolo e deciderai di averne abbastanza] Deciderai di odiare il cibo, di odiare gli specchi, di odiare te stesso.] Deciderai di amare la velocità, di amare i giramenti di testa, di amare il senso di vuoto.] Ti guarderai scomparire, Guarderai gli altri voltare lo sguardo Ti guarderai rimanere solo, bloccato in un vortice senza fine. Ti guarderai crollare e rialzarti, e capire che ti sei spinto troppo oltre,] Che di case ne hai solo due e che una è già stata devastata dalla furia dell'uomo.] Inizierai ad apprezzare ciò che hai Inizierai ad accarezzare il tuo corpo invece che torturarlo] Inizierai a vedere la bellezza intorno a te. ANDRASTE

Sento il vento, mi afferra i capelli stringendosi attorno a me in una morsa soffocante. Il respiro si blocca prima di raggiungere i miei polmoni, quasi come se qualcuno mi avesse posto un muro in fondo alla trachea. Annaspo alla ricerca di ossigeno, l’acqua mi sommerge, tutto è buio. Un calore accecante si propaga nelle mie vene, parte dai piedi, passa per il cuore, il quale batte all’impazzata. Raggiunge le mani, tremano come foglie, le muovono il fuoco e il vento che ancora mi avvolge. L’ultima ad essere raggiunta è la mente, il cranio si restringe, scacciando la razionalità per far spazio alle fiamme che si avviluppano tra i miei pensieri, logorandoli e rendendoli indecifrabili, incontrollabili. Il legame tra psiche e corpo è ormai infranto, la prima dorme, il secondo corre, preso da un fremito incontrollabile. Non sono più padrone delle mie parole, dei miei gesti. Tutto ciò a cui riesco a pensare è il desiderio di scomparire, di dilaniarmi la pelle per fuggire da questo corpo pronto ad esplodere, di squarciarmi il petto e donarmi la libertà. Le mie nocche colpiscono il muro, il tremito si affievolisce. Di nuovo, il fuoco rallenta. Ancora, la pelle si sgretola, il viola se ne impadronisce, la mente si risveglia. Un’altra volta, le ossa gridano, il cuore inizia a battere regolarmente, il vento si placa. Mi siedo, il nulla. ANDRASTE HO DIMENTICATO COSA VUOL DIRE ESSERE VIVI Oi… riesci a sentirmi? Sì, parlo con te che leggi. Puoi udire la mia voce tra il crepitio dei tuoi pensieri? Puoi davvero sentirmi? Non sarebbe male, eh. Non puoi nemmeno immaginare cosa sia un’eternità di noia, eh no! Voi esseri umani non potete neppure concepirla, la pura esistenza. Dovete per forza aggrapparvi a qualcosa per tirare avanti, dico bene? Ti capisco, sai? Sono stato un essere umano anche io, ma... a forza di recidere emozioni non mi è rimasto più niente. Sono diventato puro niente. Forse un giorno tutto quello che ho soffocato esploderà, e… chi lo sa, potrebbe creare qualcosa di nuovo, ma per adesso giace abbandonato e represso nel nulla. Ora mi limito a galleggiare nel vuoto che mi riempie. Ma ehi! Ti andrebbe di fare conversazione? Però se devo essere sincero mi sono dimenticato come si fa… Ah beh, mi limiterò a rannicchiarmi tra le tue sinapsi e a guardare lo scorrere dei tuoi pensieri.

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BIANCA DELLA GUERRA


Componimenti CICATRICI Il mio cuore si sta lentamente frantumando, ripiegandosi su se stesso per occupare il minor spazio possibile. Dolori lancinanti mi avvolgono mentre lo sento trascinare nella sua distruzione il resto del mio corpo. Le braccia, avendo perso la forza che un tempo le caratterizzava, pendono curve dal tronco, simili ai rami di un salice piangente. Le gambe gridano il rimorso della mente, pregando di poter tornare indietro: "un ultimo abbraccio", sussurrano, "un ultimo sguardo" Mi ritrovo a trascinarmi, come un corpo senza vita, nel desiderio che tutto possa finire al più presto, senza altro dolore. Allora inizio a correre, devo allontanarmi, rompere quel filo che mi lega al passato, o il nodo intorno al mio cuore continuerà a stringersi fino a soffocarmi. Uno strappo, la tensione si allenta, mi fermo. Sciolgo lentamente il cappio, le mie mani tremano. Il filo si stacca piano dalla carne, permettendo al sangue di scorrere a fiotti. Il muscolo è danneggiato da una profonda incisione. Mi rendo presto

conto che non si tratta di una ferita letale. Sospiro. I minuti, le ore, i giorni passano, il dolore si fa lentamente meno intenso. Una sera, mentre passeggio, rallento per guardare il cielo; le stelle, custodi della memoria dell'uomo, mi osservano. Esse vedono tutto, il passato, il presente, il futuro, l'universo e la mia casa, così lontana e così vicina al tempo stesso. La carne è dilaniata, le ferite si riaprono, il sangue scivola sul petto senza provocare macchie sul tessuto della mia maglietta, invisibile agli altri. Mi fermo, il dolore mi sconquassa la mente, il passato è tornato per me, sciocca sono stata a pensare di essermene liberata. Sebbene il filo sia ormai rotto, le cicatrici rimarranno, tenteranno di riaprirsi fin quando non porterò il mio cuore nel luogo che esso anela maggiormente. Casa. ANDRASTE

FLUSSO Verde è tutto ciò che vedo Giallo e viola e nero Buio in un silenzio accecante Sono oltre il limite Orizzonte irraggiungibile, Lo vedo correre verso la luna E non so cosa sto pensando Vedo solo il grano ondeggiare al vento e le nuvole nuotare in un cielo plumbeo di lacrime E i cavalli galoppano all’inseguimento di quegli uccelli migratori, apparentemente irraggiungibili, liberi da ogni vincolo, dotati della possibilità di balzare tra mondi, E il viola delle galassie si mescola al blu dei miei lividi, riempiendo i miei occhi di stelle e di polvere E le palpebre calano sullo spettacolo dell’infinito e improvvisamente non so più chi sono. Vedo un mare pieno di esseri alieni, completamente fuori posto in questo mondo in fiamme. Arancione guizza e si mescola al tramonto, e i libri di un’antica biblioteca riflettono le grida di mondi lontani, di ere passate, presenti e future. Le pagine sgretolandosi liberano particelle, si uniscono e disgregano nei complessi moti del creato, che poi creato da chi non si sa, polvere alla polvere, siamo polvere ed ombra, siamo quel che siamo, nulla di più nulla di meno, piccole particelle legate tra loro tramite attrazioni fisico-chimiche. Pensieri emozioni dolore altro non sono che reazioni nel nostro corpo. E di nuovo il grande diventa piccolo e i fiori cadono al suolo lasciando gli alberi spogli e io

sono sola in un grande cerchio rosso e mi contorco in cerca di un’ uscita introvabile e voglio solo sprofondare nella terra fino a raggiungere il caldo nucleo del nostro pianeta così che possa proteggermi dal mondo attorno a noi e volo fino alle stelle e agli asteroidi e il silenzio mi fa da bussola nella notte incontaminata INDACO *IO, VENERDÌ DI PIOGGIA Come un uccello che muore Mi stendo sul terreno Volare non si può più Rimango ferma a lungo Sulla terra Ed affondo Dentro Giù E ritorno dov’ero.

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SARA BUONOMINI


IO NON SONO PAZZO

Caro amico, mio carissimo amico! Ascolta i miei lamenti di sfogo! Apprendi il motivo della mia irritazione! Qui ti narrerò un fatto davvero, davvero sgradevole. Un fatto davvero, davvero seccante accadutomi di recente. Puoi immaginarlo? No! Certo che non puoi, nessuno potrebbe immaginare un evento tanto increscioso. Nemmeno un pazzo, appunto… un pazzo! E proprio perché entrambi non siamo pazzi (Non. Siamo. Pazzi) te lo racconterò. Ero in treno, te lo figuri? Ero in treno per certi affari. Andavo… no, non ricordo dove stavo andando, probabilmente verso Nord (o era Sud!?). Comunque il viaggio sembrava tranquillo (Ah, che illuso ero!), presto mi sarei trovato invischiato in una situazione alquanto preoccupante e sgradita, del tipo che ne avrei fatto molto, ma molto volentieri a meno. Ma questo ancora non potevo saperlo, ti pare? Il viaggio sembrava tranquillo. Dopo solo poche ore però si presentano due tipi loschi, esce fuori che vogliono controllare il mio biglietto. Il biglietto che ovviamente possedevo ma che, disgraziatamente, avevo perso. Cosa potevo fare? Non lo so! Non lo so! Non so cosa avrei potuto fare! Loro hanno voluto i miei documenti, io non avevo i miei documenti. Mi hanno chiesto nome, indirizzo e tutto quanto. Rassegnato, gli ho detto tutto. Loro si sono guardati. Hanno guardato me. “Vieni con noi” mi dicono. Rassegnato, li ho seguiti. Ho sbagliato, ho sbagliato a seguirli? Sì, decisamente, assolutamente, indiscutibilmente sì. Ho sbagliato. Ho sbagliato!! Rimpiango con tutto me stesso quella fatale scelta. Malaugurata decisione! Ma come può essere colpa mia!? Come?! Quelli mi hanno portato in una stanza, mi hanno fatto dozzine di domande. “E’ proprio necessario tutto questo?” ho chiesto. “Decisamente, assolutamente, indiscutibilmente sì” hanno risposto. Li ho guardati rassegnato. Ho sperato che tutto finisse e che mi lasciassero andare (in qualche modo devo aver sperato male perché non mi hanno lasciato andare). Mi stavo irritando, tutto ciò che volevo

Creativi

era andare via da quell’orrenda stanzetta. I due tipi hanno fatto molte chiamate, mi hanno detto di aspettare, di mettermi comodo. Non avevo nessuna intenzione di aspettare, di mettermi comodo. Mi sono alzato, volevo uscire. Mi hanno trattenuto. Che diritto avevano di farlo? Nessuno! Nessun diritto! Ma ho ceduto, che altro potevo fare? Ho aspettato e aspettato fino a quando non sono arrivati altri uomini. La situazione stava decisamente degenerando. Sono andato da loro, ho chiesto spiegazioni, non le ho ricevute, puoi crederci? Assolutamente inaccettabile! Inconcepibile! Ho preteso spiegazioni, mi hanno detto che dovevo venire con loro. Ho fatto per scappare. Mi hanno trattenuto. “Sei un pazzo” mi hanno detto (più o meno), capisci??! Capisci cosa stava succedendo?? Pensavano che IO fossi… pazzo! Che cosa insensata, irragionevole, stupida, sciocca… folle! Completamene folle! Ahahahahahahahaha!! Io, io non sono pazzo! Mi hanno scambiato! Devono avermi scambiato con qualcun altro! Mi hanno scambiato! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo! Io non sono pazzo!

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BIANCA DELLA GUERRA


Componimenti Perbrevis ad amicum epistula de Latina exercitatione. Plurimam tibi, rerum suavissime, salutem impertio. Recte hic omnia e re, nisi quae ad statum corporis attineant, quamvis suo cursu et ea fortasse: magno cum laborarim morbo, vires mihi nondum omnino video refectas. Quid tu autem? Breviore quo omnia exsolvamus responso: quae ante oculos venerit, de qualubet re non modo licet loquamur, sed placet. Contra dicas licet non omnia decere quae succurrunt dignitatem illam senatoriam quam saepe diximus Latinae linguae. Minime quidem falso. Ego respondebo, cum privato loco exercitationis causa eam suscipimus, nullius esse tum nobis momenti dignane quae tractentur voce sint necne, modo si, gymnastica peracta palaestraque egressi, illam firmius tenebimus, qua digna eius dignitate citius cudamus. Nonne proxime porro convenimus, per ea maxime vulgariora et cottidiana ampliorem ac ditiorem linguam nostram reddi? Parumper igitur pingui, ut aiunt, agamus Minerva: repetamus sane veterem assuetudinem perpolitarum epistularum scribendarum, ne effugiamus contra quae in mentem venerunt, quamvis subito et momento forsan minore, libere ac sine metu exprimere. Vale. De eodem fere proposito etiam brevior ad eundem amicum epistula.

Disegno di Martina Andreis

Apertissime ac, ita dicam, luce quadam Sole clariore pauca quae misisti nullum opus per se declarant esse, ea verearis ne in te non sint, ut quid fingere potius possis silentio. Ipsa autem contra videntur suadere, edere ne quid coneris incomptum seu indecoratum, quippe cum nulla possis et avens ratione. Quae enim a te hoc loco privato, dicam, ac secreto sunt pacta temere ea comparet eis quispiam quae ultro in vulgus deprompsit Cicero. Nihil gravareris in scribendo, si dictis meis confideres et imbecillitatem amici tui in mente haberes fixam. Quantum autem de sanctimonia illa quam omnes qui sapimus linguae nostrae semper tribuimus, nihil ea, si quaeris, in agendo retineor, non quod eam non observem, sed potius quod pro certo habeam, nullo modo me posse eam plane ac omnino observare. DYDIMUS Inviateci la traduzione di questi due testi per posta elettronica! Il miglior traduttore otterrĂ una copia stampata e firmata dai codirettori non appena sarĂ permesso. Maggiori info su instagram direct!

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Disegno di Federica Galeotti


Creativi

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