La Lucciola - Ottobre 2020

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La Lucciola OTTOBRE 2020


INDICE

ATTUALITÀ 10/2020· lucciolamanara.wordpress.com 1 - Prospettiva Italia di Camilla Marconi 3 - Make America Great Again? di Dillan Moncayo 7 - New entry nella corte suprema statunitense di Isabella Dolci 8 - Bombe e agguati, Oriente nel sangue di Caterina Di Giulio 9 - Qual è stato l’ultimo scontro tra Grecia e Turchia? di Serena Mavrovic 11 - Il nuovo Artico di Gabriele Ascione SCIENZA 14 - The Walking Dead di B. Della Guerra 15 - Timothy Ray Brown e l’HIV di Virgina Figliuzzi 17 - Kepler-442b: i miracoli della botanica di B. Della Guerra CULTURA 18 - Un Halloween un po’ particolare di Cesare Nardella 20 - Teoria e pratica dei viaggi nel tempo di Alessandro Petrassi 21 - Consigli 24 - 17, Emis Killa e Jake La Furia: album dell’anno? di Igor Lisogeno 27 - La Playlist di Serena Mavrovic 30 - Maledetto Modigliani di Moa IDEE 32 - Rompere lo specchio di Maria Guerrieri 33 - La terribile soggettività del trascorrere di Shadia Guagliano 34 - Che vita stai vivendo? di Sergio Golino SPORT 35 - Le due facce del calcio di Aitami Iut 37 - COMPONIMENTI

DIRETTORI: B. Della Guerra e Maria Guerrieri CAPOREDATTORI: Alessandro Petrassi, Camilla Marconi, Cesare Nardella, Livia Lestingi, Marta Sarro, Niccolò Rosi SOCIAL MEDIA: Camilla Marconi PROGETTO GRAFICO: Riccardo Magnanelli e Alessandro Iacovitti IMPAGINAZIONE: B. Della Guerra, Maria Guerrieri, Alessandro Petrassi, Camilla Marconi COPERINA/RETRO COPERTINA: Ash ILLUSTRAZIONI: Martina Andreis, Ash, Agnese Mariani

LA LUCCIOLA LÀSCIATI ILLUMINARE.

lucciola.manara@gmail.com lucciolamanara.com

LOGO: Andrea Satta e Lapo D’Alessandris

SI DESIDERA RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE HANNO CONTRIBUITO A REALIZZARE IL NUMERO CHE AVETE TRA LE MANI: I MANARIOTI AUTORI DEGLI ARTICOLI, DEI COMPONIMENTI CREATIVI E DELLE ILLUSTRAZIONI, LA SEGRETERIA, IL DOCENTE REFERENTE GIULIO DE MARTINO E IL DIRIGENTE SCOLASTICO

@lucciolamanara La Lucciola https://issuu.com/laluccio lamanara

IL GIORNALE INTERAMENTE GESTITO DA STUDENTI DEL LICEO CLASSICO “LUCIANO MANARA”


EDITORIALI Un’ancora nel mare di incertezze di Maria Guerrieri

È

da ormai otto mesi che abbiamo trasformato la nostra vita in una continua ricerca di informazioni, di provvedimenti, di autorizzazioni. La nostra piccola quotidianità è radicalmente cambiata da quando una calamità ha investito tutto il mondo, e tutti i nostri piani, le nostre certezze, i nostri progetti sono diventati delle vaghe e lontane aspirazioni, delle possibilità, dei sogni irrealizzabili. Il contatto umano si è trasformato in un'arma, i nostri migliori amici in potenziali nemici. Nessuno se lo aspettava, nessuno avrebbe mai pensato che da un giorno all'altro ci saremmo trovati a dover scegliere tra la vita sociale e la vita stessa. Eppure è successo, e come accade in ogni tragica situazione, abbiamo imparato ad adattarci, a fare sacrifici e a navigare a vista.Ovviamente ognuno di noi ha vissuto questi mesi in modo diverso. Non voglio paragonare la mia situazione a chi è stato male, a chi ha perso amici o parenti o a chi si è ritrovato senza un lavoro. Ma penso che per tutti noi un mondo che già prima era privo di stabilità si sia trasformato

in un mare di incertezze.Noi ragazzi siamo tornati tra i banchi, ma non sappiamo se ci resteremo, quanto ci resteremo; ogni giorno cambiano le linee guida, ogni settimana siamo in attesa di DPCM, di provvedimenti, di stabilità. A ciò si aggiunge per molti di noi la normale preoccupazione per l'esame e per la scelta del nostro futuro, entrambe tappe importantissime, che però risultano vaghe e sfumate dalla mancanza di conoscenza di come vivremo i prossimi mesi.Come sottostare a questa quotidiana incertezza? Semplice, aggrappandoci con tutte le nostre forze a ciò che ci dà stabilità e voglia di sognare il futuro. Alle nostre ambizioni, alla nostra voglia di crescere, ai nostri interessi. Alla scrittura, e nel nostro piccolo a questo giornale, che da anni consente a noi studenti di poter esprimere le nostre idee e la nostra interiorità.Ora come ora possiamo solo sperare che nel futuro questa sventura ci aiuterà a rivalutare ciò che diamo per scontato: la salute, l'ambiente, i contatti umani, l'istruzione. E sperare che: per aspera ad astra.

HOW TO SURVIVE APOCALYPSE FOR DUMMIES di B. Della Guerra

S

e quattro anni fa mi avessero detto che mi sarei ritrovat* a dirigere il giornale d’istituto durante una pandemia globale probabilmente avrei pensato che mi stessero raccontando la trama di un racconto particolarmente divertente ma, d’altra parte, avrei dovuto aspettarmelo dopo la pubblicazione del GGI.

Beh, che dire… 2020: che anno! Secondo il GGI (Guida Galattica all’Inter-apocalypse-rail) la Terra, durante questo specifico anno bisestile, è una tappa particolarmente quotata dai veri intenditori del turismo apocalittico. In quest’epoca il pianeta è una meta visitabile in ogni stagione: già da inizio anno potrete iniziare il vostro soggiorno sperimentando tensioni politiche di prima qualità e vi sarà possibile guardare uno splendido tramonto durante lo scioglimento dei ghiacciai in qualsiasi periodo! Da subito sarete in grado di partecipare ad un simpatico falò in Australia e, in Italia, durante la pandemia, potrete assistere al famoso sacco della

carta igienica e visitare la magnifica galleria d’arte di meme su Conte. Già da Maggio potranno partire i tour delle proteste negli Stati Uniti. Prima del viaggio è raccomandata dal 20.20% dei nostri inviati la lettura de “Le 10 teorie del complotto più diffuse nel 2020” e “Come Bill Gates creò e diffuse il Coronavirus” Consigli e precauzioni: non perdetevi il panino al canguro grigliato. Assicuratevi di partecipare alle attività di svuotamento dei supermercati. Prima di procedere e visitare i siti più gettonati è caldamente consigliato acquistare il salta fila (registrazione di tosse e starnuti). Se doveste trovarvi in situazioni di pericolo o se vi sentite minacciati recitate queste esatte parole: “fammi del male e ti abbraccio!”. Detto questo, buona apocalisse a tutti! (mi raccomando, accertatevi di inviare i resoconti dei vostri viaggi apocalittici a La Lucciola!)


ATTUALIT­­À

PROSPETTIVA ITALIA: Sogni o realtà? D

dei nuovi sindaci; mentre per il referendum costituzionale, gli Italiani, in larga maggioranza, hanno confermato la volontà di ridurre il numero dei parlamentari. Tuttavia appare evidente che la sola riduzione dei parlamentari, aldilà di facili slogan demagogici, è del tutto insufficiente se non accompagnata da una nuova stagione di riforme. Vi è infatti il rischio che per risparmiare quel famoso “caffè al giorno” venga notevolmente umiliato il vincolo di rappresentanza che lega i deputati eletti al proprio territorio, aumentando il potere delle segreterie dei partiti. In questo modo si altera anche il principio della rappresentanza: piccole regioni si troveranno ad avere al senato più seggi rispetto a regioni più popolose. L’Italia passerà ad essere il paese con meno rappresentanti in Europa. L’attuale maggioranza, uscita rinforzata dall’election day, ha modificato i decreti sicurezza fortemente voluti dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini intervenendo in particolare sulle attività di salvataggio dei migranti in mare operate dalle O.N.G; queste ultime infatti non saranno più soggette a sanzioni elevatissime a condizione che rispettino le procedure prescritte dalle autorità nazionali. Anche sul fronte della sicurezza interna sono state introdotte significative modifiche con la previsione dell’istituzione di un nuovo Daspo urbano,

opo la folcloristica caduta del governo gialloverde, annunciata in un comizio di Salvini, ricorderemo tutti che si aprì una fase politica molto incerta. A seguito di estenuanti trattative, infatti, il capo dello stato Sergio Mattarella, affidò l’incarico di formare il nuovo governo al premier uscente Giuseppe Conte che sancì la nascita, non senza difficoltà, dell’attuale governo giallo-rosso. Il ConteBis si è trovato di fronte una situazione economica grave, resa drammatica anche dalla pandemia tuttora in corso. Tali difficoltà sono state strumentalizzate dall’opposizione per capitalizzare consensi. Navigando a vista tra mille ostacoli, il governo ConteBis ha ottenuto un notevole ed innegabile successo: 209 miliardi di euro di Recovery found stanziati dall’UE. In questo clima politico così teso siamo arrivati all’election day del 20 settembre in cui gli Italiani sono stati chiamati alle urne per il referendum sulla diminuzione dei parlamentari, per il rinnovo di sette consigli regionali e molti comuni. I leader dell’opposizione (o pseudo tali) Meloni e Salvini contavano di poter conseguire una vittoria schiacciante per poter chiedere nuove elezioni. Malgrado i sondaggi prevedessero una netta affermazione della destra persino nella roccaforte rossa della regione Toscana, l’esito di queste consultazioni, sorprendendo un po’ tutti, si è concluso con un sostanziale pareggio per le regioni e una netta affermazioni dei candidati del centro sinistra nelle elezioni

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Nell’ottica di un rilancio dell’impianto economico del nostro paese non si può ignorare lo stato della sanità pubblica, umiliata dai tagli dell’ultimo ventennio. Soltanto adesso, infatti, i governi occidentali, flagellati dalla pandemia, si sono resi conto del grave errore commesso. Ma soffermiamoci un momento sulla linea di credito sanitaria del M.E.S. messa a disposizione da Bruxelles che tanto sta facendo discutere le varie fazioni politiche nel nostro paese. Infatti l’Eurogruppo lo scorso 21 aprile ha raggiunto un accordo per la concessione di questa linea di credito finanziata ad un tasso di interesse molto basso; le condizioni legate alla concessione prevedono un’interpretazione molto ampliata del concetto di spese sanitarie, che sembrano abbracciare tutte le spese legate al mondo della sanità pubblica. Pertanto in un’ottica di rilancio della sanità pubblica su cui concordano ormai tutte le forze politiche appare irrinunciabile che il nostro paese richieda quei 37 miliardi del M.E.S da destinare alla sanità, per rilanciarla e modificarla profondamente, potenziando le strutture ospedaliere e assumendo nuovo personale medico e paramedico.

sulla scia dell’omicidio del giovane Willy, per tenere lontani i violenti dai luoghi di intrattenimento, l’aumento delle pene per il reato di rissa e nuove norme per oscurare i siti del dark web. In tema di sicurezza è molto importante ricordare la proposta di legge contro l’omotransfobia che giace sepolta nei regali cassetti della camera dei deputati. Sarebbe auspicabile riuscire a colmare il ritardo che abbiamo rispetto agli altri paesi più avanti di noi in questa delicata materia. Inserendo infatti l’omotransfobia nella lista dei reati, con l’approvazione della suddetta legge, verranno ampliate le protezioni nei confronti delle minoranze e punite penalmente le violenze e le incitazioni all’odio. Infine mi permetto di citare una “telenovela” giunta a lieto fine: L’Agenzia Italiana del Farmaco ha disposto che non sarà più necessaria la prescrizione medica per vendere la cosiddetta “pillola del giorno dopo” in farmacia, libero acquisto che sarà consentito anche alle minorenni. La prossima scadenza cruciale sarà nell’autunno, quando il governo dovrà presentare alla commissione europea un piano triennale di sviluppo per l’ottenimento dei 209 miliardi di euro (recovery plan nazionale). Sarà fondamentale per l’ottenimento di questi fondi prevedere dei notevoli investimenti per rilanciare l’economia, riformare la giustizia, il fisco e il mondo del lavoro, dirigendosi verso un modello di green economy e digitalizzazione generalizzata.

CAMILLA MARCONI

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Make America Great Again? È

un fatto inconfutabile che la scelta dei cittadini americani sul proprio Presidente avrà una granderilevanza storica e internazionale, considerando oltretutto la delicata fase che l’intero globo sta attraversando a causa della pandemia. La nostra vita è stata radicalmente cambiata e ciò ha avuto naturalmente ripercussioni in ogni ambito. Anche sul processo elettorale americano, il quale giungerà al termine il 3 di novembre di quest’anno. Ma per chi fosse meno ferrato in questo tema,permettetemi illustrarvi la campagna elettorale e le due figure che si contenderanno l’ambito Studio Ovale della Casa Bianca.

contesa non è colui che ottiene più voti, bensì colui cheriesce ad ottenere i famosi 270 voti dei Grandi Elettori. Questi voti sono assegnati dai Grandi Elettori (la cui quantità varia a seconda della popolazione del singolo Stato, ma rispettando il minimo di 2 grandi elettori) di ogni Stato Federale al candidato che ha ottenuto più voti in quello stesso Stato. Attenzione però, l’ufficializzazione del futuro presidente avverrà solamente quando, riuniti (quest’anno il 4 Dicembre) nel Collegio Elettorale degli Stati Uniti, i Grandi Elettori indicheranno la propria preferenza per un candidato. I grandi elettori, prima di essere scelti, esprimono al pubblico la propria preferenza ma hanno comunque il diritto di cambiarla, anche se raramente succede. Perciò potrete ben capire quanto sia complesso vincere, considerando oltretutto l’imprevedibilità dei cosiddetti “Swing States”, i quali tendono a cambiare posizione ad ogni tornata elettorale. Ad esempio nel 2016 hanno sfavorito la candidata democratica Hilary Clinton che, pur ottenendo quasi 3 milioni di voti in più rispetto al repubblicano Trump, non è riuscita ad insediarsi alla Casa Bianca. E ora, dopo 4 anni di amministrazione Trump e del suo vice Mike Pence, è giunto il momento per gli americani di riaffermarne l’operato o di scegliere come presidente Joe Biden e la sua vicepresidente Kamala Harris. Vi sono molteplici fattori che influiscono su queste elezioni. Il primo in assoluto è il Covid-19 che grava profondamente in America sia per la quantità abnorme di contagi e di morti sia perché rende più difficile la partecipazione attiva dei cittadini alle elezioni. Infatti per quanto riguarda la partecipazione, usufruendo della possibilità di votare per posta o in maniera anticipata sebbene quest’ultima sia consentita solo in de-

E nel caso non fosse chiaro il sistema elettorale statunitense, cercherò di spiegarlo brevemente. La politica americana prevede che i movimenti politici si raccolgano, a seconda delle proprie affinità nei punti programmatici (ed esigenze), in due poli fondamentali: i Democratici (blu) e i Repubblicani (rosso) {ovviamente possono esistere anche candidati indipendenti}. Data la varietà che può esistere all’interno di tali partiti, ciascuno schieramento prima di partire con la campagna elettorale dovrà individuare il proprio candidato per le presidenziali. In seguito si partirà con il vero confronto perottenere più voti possibili. Però il vincitore della

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terminati Stati, si sta cercando di evitare che nell’Election Day si creino assembramenti o problemi logistici che rischino di non garantire così il diritto di voto. E già con questo punto continuano ad avanzare le polemiche generate in questo caso da Trump che mostra totale diffidenza del voto via posta, prima di tutto perché potrebbero esserci annullamenti di voti a causa di errate procedure e sarebbe impossibile che il sistema postale statunitense riesca a gestire la elevata quantità di tessere elettorali. Bisogna dire che questa modalità esisteva già da molto tempo, ora il lavoro da fare è molto più complesso: infatti giudici federali hanno disposto che il materiale elettorale sia di priorità massima, così da agevolare l’efficienza per il conteggio. Prima si poteva votare con questa modalità solamente su richiesta, mentre oggi alcuni Stati hanno deciso di inviare ad ogni cittadino la tessera elettorale. Qui inizia la mia analisi che mira ad individuare i punti a favore per ciascun candidato e per quanto possibile dare un giudizio su ciò che l’America e anche il mondo necessitano dal prossimo Presidente. Partiamo dal presupposto che i due candidati presentano due visioni del paese completamente differenti, aspetto interessante poiché ci permette di capire come l’America sia profondamente divisa e logorata dalle tensioni sociali che in questi anni sono aumentate. Oltre i vari comizi durante la campagna elettorale, ciò è risultato evidente nel dibattito televisivo a cui hanno partecipato il 30 settembre i candidati presidenziali. I toni utilizzati da entrambi sono stati veramente poco appropriati considerando lo stato emergenziale in cui versa l’America. D’altronde i dati mostrano l’alto numero dei morti (200.000, il più alto al mondo) e quello dei contagi, e

il crollo vertiginoso dell’economia durante la pandemia. Tra i vari parametri, il più preoccupante è il passaggio del tasso di disoccupazione dal 3.8% di febbraio al 14.4% di aprile (anche se in questo periodo il tasso medio di disoccupazione è al 7.9%). Ma procediamo con ordine. Un tema fondamentale, infatti è stato il primo, è quello riguardante la Corte Suprema. Tenete presente che svolge un ruolo di vitale importanza per il sistema americano giurisdizionale, politico e sociale {In qualche modo potrebbe paragonarsi alla funzione dei referendum in Italia che incidono in maniera determinante su argomenti controversi o comunque importanti}. La polemica è scaturita immediatamente poiché alla morte dell’autorevole giudice Ruth Vader Ginsburg, il Presidente Trump, avente sì pieno diritto di scegliere il nuovo giudice a vita, col consenso del Senato, ha cercato prontamente di fare nominare come nuova giudice Amy Coney Barrett, donna tendente all’area conservatrice. Da ciò scaturisce l’accusa da parte di Biden e dalle opposizioni secondo cui questa donna rompa l’equilibrio che deve essere mantenuto nella prestigiosa e fondamentale istituzione oltre ad essere una scelta frettolosa e poco meditata con esclusive finalità politiche, e dunque sarebbe giusto che per una decisione così importante sia proprio il popolo americano attraverso il voto e la figura del futuro Presidente a nominare il nuovo giudice. Mossa seppur lecita costituzionalmente, a mio avviso ritengo che debba essere approfonditamente ponderata anche basandosi sul basilare concetto che la giustizia deve garantire valori fondamentali per tutti i cittadini, considerando inoltre che un terzo del Senato (che ha potere decisionale riguardo la nomina) e la totalità della Camera dei Rappresentanti saranno

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soggetti al voto il 3 novembre. Certamente è un tema complesso che vede chiaramente possibili implicazioni politiche che potrebbero compromettere la storica sentenza del ‘78 inerente all’aborto (Roe Vs Wade) e la sentenza sulla controversa riforma sanitaria voluta da Obama (Obamacare) che è stata definita come lecita a livello costituzionale. Perciò molti indicano come sia erronea la scelta riguardante la giudice Barrett di Trump, il quale, tramite proposta in votazione al Senato, aveva tempo fa provato ad abrogare la riforma sanitaria per ben due volte (la prima cercava di eliminarla in toto, la seconda parzialmente) per poi in futuro sostituirla “con un sistema più economico e più efficiente”, senza però ottenere alcun risultato (nonostante avesse la maggioranza in quella sede istituzionale). Riguardo ciò Biden promette di ampliare, infatti al centro del dibattito è stato fatto presente come il sistema americano, a differenza di molti paesi come il nostro, non abbia un sistema di salute pubblico (ad esempio gli alti costi di tamponi, se un cittadino fosse privo di assicurazione sanitaria, gli sarebbero imposti se risultasse negativo). E ai cittadini meno abbienti cosa dovrebbe accadere? Molte persone che potrebbero aver perso il lavoro non si possono permettere tali spese, e così nasce un problema difficile da risolvere. Anche a livello epidemiologico diventa più complesso tracciare contagi e aggiornare i dati se non tutte le persone sono sottoposte allo stesso trattamento o comunque non vi sono le verifiche adeguate e necessarie. I due interlocutori riferendosi al tema della salute hanno più volte manifestato punti di vista opposti: il candidato democratico ha dimostrato riluttanza nel riaprire e allentare le misure di restrizioni poiché ritiene che i cittadini siano preoccupati riguardo la propria salute e che il Presidente non abbia mai adottato né misure adeguate né abbia avuto un piano convincente. Invece Trump ha espresso la sua preoccupazione su questo atteggiamento di Biden che vuole solamente tenere chiuso il paese e non tutelare l’economia e le libertà individuali. Due posizioni nettamente contrastanti che di certo rendono la situazione più problematica da gestire. Ma devono essere apprezzate le dichiarazioni di Biden riguardo a cosa dovrebbe esser fatto a livello politico: sedersi a discutere

tra democratici e repubblicani e cercare compromessi sui provvedimenti da attuare. Questo concetto di unità nazionale per la collaborazione nell’interesse comune è stato ricalcato dallo stesso Biden sui temi sociali di pubblica sicurezza e razzismo. Tutti siamo stati testimoni tramite giornali, foto, video, della brutalità e la violenza che hanno caratterizzato questi ultimi mesi in varie città per tutti gli Stati Uniti. Una situazione che è giunta al culmine con le inumane ed efferate morti di cittadini di colore i quali, coinvolti in controverse situazioni con agenti di polizia, hanno perso la vita. Ciò ha inasprito gravemente il disagio sociale causato dal razzismo e ha visto come risposta delle proteste la nascita di movimenti come “Black Lives Matter” che in alcune città hanno paralizzato interi distretti causando importanti disagi, in cerca di concrete risposte dalla politica. Purtroppo in alcuni casi si è arrivati all’uso della violenza, che deve essere sempre condannata, ma che in questo caso è evidente sia una conseguenza terribile per un problema al quale la società americana non è mai riuscita a dare una soluzione. Sarebbe troppo semplicistico condannare la violenza di entrambi le parti e andare avanti, quando la rabbia sociale cresce sempre di più per ogni cittadino che muore in circostanze riprovevoli e abominevoli. Anche per questo argomento le posizioni assunte entrano in pieno contrasto. Trump non ha alcuna intenzione di tollerare la violenza e ritiene sia necessario un intervento congiunto per sedare le proteste. Dall’altra parte Biden ha parlato d’ingiustizia nei confronti dei cittadini di colore radicata nel sistema e nelle forze dell’ordine, ha messo in evidenza che molti svolgono un lavoro degno di rispetto ma che alcuni in relazione al loro comportamento siano il contrario della maggioranza. Perciò il democratico ha determinato che l’unica soluzione è il compromesso discusso tra le varie parti in questione, e non quella di

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eliminare per completo il sistema delle forze dell’ordine. Persino nel campo economico hanno piani radicalmente incompatibili. Trump ha affermato con sicurezza che sotto la sua amministrazione l’economia è in costante crescita e prosperità, assicurando che con Biden non si potrebbe garantire la stessa stabilità. Invece, l’avversario indica che sono solamente i ricchi ad aver prosperato mentre la classe lavoratrice ha dovuto passare momenti molto duri. In aggiunta, per Biden il focus sarà quello di un’economia green, che sia in grado di contrastare il cambiamento climatico. Vorrebbe investire su una politica con tasse imposte sui più ricchi, per poi investire su chi più ha bisogno così da poter creare lavoro e tutelare i prodotti americani per favorire la crescita economica. Quest’ultima però è stata brutalmente colpita dall’andamento della pandemia. E il Covid di certo continuerà a condizionare le vite di tutti. Perciò al di là delle inutili polemiche personali, che ritengo alquanto inopportune, è di vitale importanza cercare di mediare tra i vari settori avendo come priorità la salute di ogni cittadino; l’America e il mondo non si possono permettere di vacillare in questo momento. Abbiamo osservato le due figure che si credono capaci di gestire la complicata situazione sociale, economica, sanitaria e climatica. Il Presidente Trump abbiamo imparato a conoscerlo, un uomo che si presenta come il business man americano, l’uomo fuori dagli schemi politici, più che capace di amministrare e gestire qualsiasi cosa anche nel caso non ne sappia nulla al riguardo. Questo approccio che si basa su un pragmatismo becero, lo ha reso più volte protagonista a livello internazionale di scene imbarazzanti e poco piacevoli da vedere. Anche in questa campagna elettorale, nonostante le criticità, non si è fatto minimamente alcun problema nel presentarsi ai comizi più volte privo di mascherina, addirittura rivendicando la quantità di persone presenti, senza tenere conto del di-

stanziamento sociale necessario. Ha lasciato incancrenire i dissidi sociali e la paura dei cittadini per poi proporre misure insufficienti che non puntano a risolvere in assoluto, ma limitandosi a dire di volere ordine. Molti lo considerano razzista, io invece ritengo faccia un lavoro ancora più subdolo: quello di sussurrare a chi odia, a coloro che nella disperazione si aggrappano alla prima cosa che trovano, oltre a preferire gli slogan alla realtà. Ma dobbiamo comprendere anche il perché della sua vittoria se vogliamo veramente elevare il dibattito politico. Se non fosse rieletto, non sarà possibile ai Democratici far finta di niente, e continuare senza questionare il proprio operato. Perché sicuramente Trump è stato in grado di cogliere e indirizzare il malcontento di alcuni classi sociali contro i propri avversari. Ha commesso l’errore di evidenziare problemi che avrebbe dovuto risolvere, non alimentare. D’altra parte Joe Biden rappresenta un Partito Democratico molto più moderato rispetto sia allo schieramento avversario sia all’interno tra i propri collaboratori. Un candidato che ha cercato di non rispecchiare la descrizione che Trump ha voluto dare di lui durante la campagna, dell’uomo in bilico con poco sostegno persino tra i suoi colleghi. Probabilmente Biden per certi aspetti non accontenta pienamente le aspettative dell’intero partito. Ma la sua moderazione e la costante ricerca di unità sono il suo grande punto di forza. Tali aspetti però possono essere apprezzati solamente se accompagnati da un arduo lavoro. Il candidato democratico ha alle spalle ben 47 anni di carriera politica, ciò avrà due effetti: chi si sentirà rassicurato dalla sua esperienza, chi diffiderà da essa. Soprattutto, anche se non vincesse, si spera riesca a trasmettere ad ogni movimento politico il messaggio che è il momento di smettere di andare uno contro l’altro, che chi entrerà nella Casa Bianca non governerà solo i cittadini che lo hanno votato bensì un’intera nazione. Un paese multiculturale, con un sistema complesso che deve essere migliorato, che deve far fronte non solo a sé stesso ma al mondo intero. Non resta che attendere l’esito elettorale e riguardo a ciò lasciare alla storia e “Ai posteri l’ardua sentenza”. DILLAN MONCAYO

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New entry nella corte suprema statunitense L

a Corte suprema degli Stati Uniti, istituita il 24 settembre 1789, è la più alta corte federale degli Stati Uniti, disciplinata dalla Costituzione. Leggi statali e federali passano per la Corte suprema. La peculiarità della Corte suprema statunitense sta nel fatto che questa rappresenta tutte le diversità culturali, etniche e religiose dei vari stati statunitensi; infatti, lo schieramento ideologico dei giudici è prevalente nello stabilire le tendenze, progressiste o conservatrici che siano. Questa è composta da nove giudici, tra cui un presidente (attualmente John Glover Roberts), che sono nominati a vita. I nove membri possono decidere di ritirarsi qualora non si dovessero ritenere più adeguati a ricoprire il mandato. In tal caso il posto diviene vacante e a provvedere ad una nuova nomina è il Presidente degli Stati Uniti con il consenso del Senato. Il 18 settembre 2020 Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte suprema, si è spenta per un tumore al pancreas, lasciando così un posto vacante nella Corte suprema. Ginsburg è stata definita “il volto e la voce progressista” della corte, è stata una attivista per la parità tra gli uomini e donne, e nel corso della sua carriera da giurista ha affrontato numerosi casi riguardanti i diritti delle donne. Il Presidente Donald Trump ha presentato la proposta al senato per la nuova giudice della corte: Amy Coney Barrett. Barrett, giudice cattolico e anti-abortista, è una conservatrice doc; quasi l’antitesi dell’icona libe-

ral Ginsburg. Amy Coney Barrett ha accettato la nomina, affermando di avere un profondo rispetto per lo stato di diritto e che i tribunali hanno l’importante responsabilità di farlo rispettare, sebbene questi non possano correggere e risolvere ogni errore della vita pubblica, aggiungendo inoltre che il compito di legiferare spetta ai politici. Il Presidente Donald Trump nel corso di un solo mandato ha avuto modo di provvedere a tre mandati; al momento della morte di Ginsburg la corte era suddivisa in quattro progressisti e cinque conservatori, per Trump così si apre adesso la possibilità di rafforzare il ramo conservatore e di dare una direzione precisa al paese per gli anni a venire. Ciò ha destato nei sostenitori dei diritti LGBTQ e delle norme che regolano l’aborto non poche preoccupazioni, questi, infatti, temono un’inversione di marcia rispetto a quanto ottenuto negli ultimi decenni. LA PENNA COL BAFFO ARANCIONE

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Bombe e agguati, oriente nel sangue La faida trentennale non respira ancora aria pulita

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ombe e agguati, oriente nel sangue.

protrazione dei combattimenti. Per questo motivo, spesso si cerca di cambiare la situazione sul campo, prima di dover stipulare un accordo di pace; esattamente ciò che sta accadendo nel caso dell’Azerbaijan. I paesi confinanti come si comportano? Agiscono per far sì che le ormai quotidiane uccisioni di civili abbiano termine? Come accade in quasi tutti i conflitti, molti stati rivendicano ideali pacifici ma, purtroppo, dal punto di vista pratico, non c’è veramente qualcuno che si batte per difendere la democrazia che porterebbe a far cessare i combattimenti. Mentre la Russia di Putin, pur facendo intendere il suo sostegno per l’Armenia, ha scelto una posizione più neutrale, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan appoggia apertamente la guerra dell’Azerbaijan contro l’Armenia. Senza dubbio però, l’attivo ruolo della Turchia rientra in una serie di azioni che essa sta svolgendo all’interno di una politica più ampia finalizzata ad acquistare potere e territori a discapito delle regioni confinanti. Un altro motivo che avrebbe spinto Erdogan a schierarsi con l’Azerbaijan è l’incessante contrasto culminato con il genocidio degli armeni (1914-1916), che ha strappato alla vita circa 1,5 milioni di persone. Quest’esperienza ha causato un’incurabile ferita per l’Armenia e una profonda spaccatura nel rapporto tra i due paesi. Per questo motivo la comunità armena sta cercando di persuadere la comunità internazionale che le azioni turche devono essere condannate. La situazione odierna è il protrarsi del conflitto solo a tratti fermatosi per pochi anni, e la certezza che cesserà solo quando i tre stati (Armenia, Azerbaijan e Karabakh) firmeranno un contratto che stabilirà “forse” la pace. Il vero nodo sta nel retaggio culturale della società: una società che non riconosce l’alterità come identità autonoma e non considera la democrazia come un bene primario, conquista di numerosi sforzi passati, per tutti gli stati moderni.

La faida trentennale non respira ancora aria pulita Le radici di questo conflitto si possono rintracciare nel gennaio 1992, quando l’Azerbaijan e l’Armenia si contendevano il territorio del Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell'Azerbaijan. La questione ad oggi risulta a quanto pare ancora sospesa, e per questo motivo il territorio è epicentro di bombe e sfollati. La piccola regione a partire dal 1988 è stata sottoposta ad atti di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti, questo fece in modo che il territorio del Nagorno si ribellasse e infatti, poco dopo, sulla base di una allora vigente legge sovietica, venne proclamata la nascita della repubblica autonoma del Karabakh Montagnoso. Il distacco e l’autonomia non misero di buon umore l’Azerbaijan, che, dopo essersi dichiarato anch’esso repubblica indipendente dal regime URSS (30 agosto 1991), volle approvare una mozione per l'abolizione dello statuto autonomo del Karabakh. Le cose non proseguirono però secondo i piani; infatti la Corte Costituzionale respinse la mozione, in quanto non più materia sulla quale l'Azerbaigian poteva legiferare, e, di conseguenza, il 31 gennaio ‘92 cominciarono i bombardamenti azeri sulla piccola regione autonoma. Due anni dopo, nel 1994, la guerra “finì”; ciò diede modo al Karabakh di consolidarsi come repubblica “de facto”, seppur non riconosciuta ancora dalla Comunità Internazionale. Conseguentemente, l’Azerbaijan ha ricominciato a rivendicare il principio di integrità territoriale, mentre l’Armenia oggi continua a battersi per associare il territorio conteso al suo, portando avanti il diritto di autodeterminazione dei popoli principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale In questo genere di guerra tra stati, i belligeranti sanno bene che le decisioni internazionali impediscono la

CATERINA DI GIULIO

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Qual è stato l’ultimo scontro tra Grecia e Turchia? Q

petrolio o gas naturale. Prima dell’inizio dell’esplorazione la Turchia aveva emanato il Navtex, un avviso di restrizione della navigazione per avvisare della propria presenza fra Creta e Cipro, con l’inizio delle ricerche a fine Luglio avvenne la prima discussione fra i due stati, precisamente con l’arrivo della Oruc Reis a Kastellorizo isola greca, situata in un’area a 150 chilometri a est da Rodi ma a solo 2 chilometri di distanza dalle coste Turche, i Greci sentivano ciò come una violazione delle loro acque i Turchi continuavano a pensare fosse un’assurdità che la giurisdizione greca si estendesse così tanto e soprattutto così vicino al loro territorio. Con l’intervento della Germania che convoca a Berlino una riunione per due giorni di colloqui informali con i ministri degli Esteri della Ue, sperando nel tranquillo rientro del conflitto, purtroppo non fruttando quanto avrebbe dovuto, con questi segnali poco positivi si arriva alla conclusione, come dichiara An-

ual è l’ultimo scontro fra Grecia e Turchia? E perché è avvenuto?

Già da molto tempo vediamo Grecia e Turchia scontrarsi su diversi fronti, a partire dall’immigrazione tema che, dopotutto, interessa molto anche l’Europa Occidentale. Questa serie di eventi ci porta fino al più recente, ovvero la contesa di un pezzo di mare teoricamente di giurisdizione greca ma che essendo molto vicino alle coste turche viene rivendicato dalla Turchia; la disputa è stata scaturita dallo scontro di una nave di ricognizione turca con una nave da guerra greca, considerato dalla Turchia come un atto provocatorio e che ha rischiato di provocare lo scontro fra la marina turca e quella greca, presso le acque nella frazione fra Creta e Cipro, il ruolo della nave turca era quello scortare la Oruc Reis nave utilizzata per l’esplorazione della zona alla ricerca di giacimenti di

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negret Kramp-Karrenbauer, che il dialogo con la Turchia sia “abbastanza difficoltoso”. La Grecia poi all’inizio di Agosto aveva firmato un accordo con l’Egitto per delimitare i confini di una zona di competenza territoriale a carattere esclusivo che però si andava a sovrapporre ad alcune aree utili alla Turchia, quest’ultima in risposta cominciò ad aumentare notevolmente le operazioni in quel punto; minacciando se necessario il ricorso alle armi, data soprattutto la dichiarazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoðan: «Il nostro Paese non cederà mai a un compromesso su ciò che ci appartiene. Siamo pronti a fare tutto il necessario in termini politici, economici e militari». Tutto ciò che ad ora sappiamo è semplicemente che la Oruc Reis ha ricominciato la sua nuova missione di prospezione petrolifera sempre nella zona a sud dell’isola di Kastellorizo. Non è sicuramente la prima volta che questi due stati battibeccano, un esempio lampante può essere Cipro da anni contesa da entrambi i nostri protagonisti, però per non andare troppo indietro vediamo quali sono le ragioni più radicate per cui anche Kastellorizo è molto voluta da entrambi. Quest’isola fa parte di territorio più vasto che da molto tempo sia Grecia che Turchia ritengono di loro appartenenza poiché entrambe pensano faccia parte della loro piattaforma continentale, e oltre al livello di appartenenza geografico rivendicano anche quello economico ovvero come zona economica esclusiva(ZEE), area dove chi detiene il potere decide cosa fare di tutte le risorse presenti sopra, o meglio in questo caso sotto, il territorio in

questione. La Turchia esclusa dall’accordo per la ZEE contenente la porzione di Kastellorizo ne ha firmato a fine 2019 uno con la Libia, che nel dettaglio consentiva alla Turchia di utilizzare le risorse energetiche presenti nel Mediterraneo Orientale e alla Libia di farsi dare una mano militarmente dalla Turchia nel momento del bisogno; fatto sta che quelle zone interessavano molto ad altri paesi, dando alla Turchia in un prossimo futuro potere sufficiente da poter avanzare pretese verso altri paesi interessati a quelle aree, come l’accordo stesso dice. Infatti molti analisti ritengono che questa mossa sia ricollegabile al “Mavi vatan” idea traslata in un’ambizione per cui la Turchia ha il potere assoluto su tutto il Mediterraneo Orientale, nella quale però è situata anche l’isola greca di Creta. L’accordo inoltre rivendica anche Cipro fra le sue zone di giurisdizione ignorando completamente tutto ciò che l’isola ha concordato con le varie compagnie con cui collabora per la distribuzione delle risorse energetiche e portando a gravi sanzioni dall’ Unione Europea per la Turchia del 2019 per aver trivellato in maniera illegale nelle zone di Cipro del nord. Quindi mai sapremo quando effettivamente questo gioco di potere fra Turchia e Grecia avrà una fine, nel mentre non ci resta che assistere a continue liti accessorie, anche se in fondo sempre importanti, mentre persiste il più celebre problema dell’immigrazione, con una Turchia che accoglie e usa i migranti sempre di più come arma di ricatto. SERENA MAVROVIC

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Il Nuovo Artico

Da un anno a questa parte migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’inefficienza dei loro governi nella lotta al riscaldamento globale. Si è parlato di emissioni tossiche, desertificazione, disastri ambientali, estinzione di animali, di vegetali e di scioglimento dei ghiacci. E nonostante questo ultimo punto sia sotto l’attenzione mediatica da molto tempo, pochi sono a conoscenza delle opportunità che lo scioglimento della calotta polare comporta e gli interessi che stanno nascendo intorno all’apertura di nuove rotte nell’Artico. Il nostro viaggio sotto zero inizia nell’isola più grande della Terra: la Groenlandia. Questo gigante di ghiaccio ha sempre vissuto ai margini della storia umana. Dopo la breve avventura vichinga sull’isola nel medioevo (un periodo di innalzamento delle temperature nel Nord Atlantico permise l’agricoltura e l’allevamento) e la più duratura colonizzazione danese poi, la vita sull’isola è sempre rimasta la stessa. Con la progressiva “occidentalizzazione” del popolo indigeno degli Inuit, nonostante il loro stile di vita da cacciatori nomadi, la Groenlandia vive ormai solo di pesca, e la sua traballante economia è retta principalmente dalle concessioni del governo danese. Ma tutto questo potrebbe

finire molto presto. I dati satellitari degli ultimi anni mostrano che più del 97% della superficie dell’isola è andata incontro a grandissimi scioglimenti. Il ritiro dei ghiacci ha portato alla luce ricchezze inestimabili, come ha mostrato il rapporto dell’US Geological Survey, che ha localizzato in diverse aree del paese la presenza di enormi giacimenti di petrolio, di riserve auree, insieme ad uranio, terre rare, rubini e diamanti. Si stima che dall’estrazione petrolifera si possano ricavare circa 90 miliardi di barili di petrolio, che l’isola possa contenere il 13% delle risorse mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas, per un valore di 300-400 miliardi di dollari. Dopo queste scoperte il Parlamento groenlandese ha offerto la concessione per l’estrazione mineraria di una vasta area al largo delle coste dell’isola ed e così è iniziata una “corsa al ghiaccio” tra le potenze mondiali per accaparrarsi un pezzettino di questa terra dimenticata da Dio (dopotuuto ricorderete bene che l’anno scorso il presidente Trump cercò di comprare l’isola dal governo danese), come hanno già fatto gli australiani attraverso la Greenland Minerals LTD, compagnia australiana che si occupa di scavi ed energia, che ha già inaugurato l’Ilimaussaq Intrusive Complex, un progetto di scavo

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su quello che sembrerebbe essere il più grande giacimento di uranio al mondo. Ma gli australiani si sono trovati a dover gareggiare con un avversario che riesce a precedere tutti gli altri nel nuovo mercato polare: la Cina. Nel libro di Marzio G. Mian “Artico. La battaglia per il grande Nord” si cita la vicenda del complesso minerario di Kvanefjeld, inizialmente comprata dalla Greenland Minerals, ma successivamente acquisito dalla Shenghe Resources Holding Ltd di Shanghai. A proposito di quest’ultima Mian scrive: “Già colosso nello sfruttamento delle terre rare, ha acquisito il 12,5 per cento della Gme, con un’opzione a salire fino al 60 per cento delle azioni una volta ottenuto il via libera al cantiere. Se da una parte l’operazione ha confermato che a Kvanefjeld si gioca una partita difficilmente gestibile dagli inesperti Inuit al governo (…) dall’altra inquietano gli obiettivi della Cina con la gestione di una miniera politicamente tanto sensibile: si sa che il mercato dell’uranio è ancora il più opaco, difficile da monitorare e si sa anche che il maggior azionista della Shenghe è l’Istituto di Stato per l’utilizzo delle risorse minerarie, emanazione del Ministero delle risorse cinese, braccio operativo del regime nelle sue ambizioni geostrategiche nell’Artico”. Ma gli interessi di Pechino nel Polo Nord non si fermano alle miniere groenlandesi, ma si estendono a tutto l’Artico. Infatti la Cina negli ultimi anni si è trovata a dover affrontare quello che viene definito dagli studiosi di geopolitica il “dilemma di Malacca”. Gran parte dell’attuale commercio cinese (ricordiamo che, se l’85% del commercio mondiale è via mare, l’80% del trasporto marittimo è in mano alla Cina, dati del Reportagen), passa attraverso lo stretto di Malacca e successivamente nello stretto di Ba bel Mandeb, tra la penisola arabica e il corno d’Africa, attraversando infine il canale di Suez. Per raggiungere i mercati europei la Cina deve dunque utilizzare passaggi che potrebbero essere potenzialmente

chiusi in caso di un possibile conflitto o incidente politico (in particolare, con gli Stati Uniti). A questo si aggiunge l’instabilità politica di questi territori fino a pochi anni fa infatti i pirati somali imperversavano nel Golfo Arabico e il terrorismo in Sinai minaccia ancora la sicurezza del trasporto marittimo del canale di Suez. Per questo la Cina è stata a lungo alla ricerca di corridoi commerciali alternativi per raggiungere i mercati occidentali. Via terra sta già provvedendo a costruire una gigantesca autostrada, una “nuova via della seta” come la chiamano i progettisti di Pechino. L’Artico è perciò diventato la nuova possibile soluzione ai problemi economici del gigante asiatico, il quale sta già iniziando a muovere i primi passi verso la conquista del Polo Nord. La Cina ha infatti preso il ruolo di paese osservatore nel Consiglio Artico (composto da tutti i paesi con uno sbocco sull’Oceano Artico, ovvero Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e USA) dove ha presentato un white paper sulla propria politica artica, dove si definisce “paese prossimo all’Artico” e dove viene enfatizzata la “vicinanza geografica e la volontà di realizzare infrastrutture per queste nuove rotte, che vengono già definite da Pechino come parte di una Nuova Via della Seta Artica”. Come osserva l’esperto di geopolitica Andrea Angelo Coldani “facilitando connettività e sviluppo sostenibile in termini economici e sociali della regione. Pur sostenendo il pieno rispetto del diritto internazionale, la Cina ha esplicitamente affermato che userà le risorse artiche per perseguire i propri interessi.” Non solo, se le proiezioni di crescita della popolazione secondo le quali entro il 2030 la Cina dovrebbe arrivare fino a una popolazione di 1,5 miliardi, il mercato ittico A

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sa di aver bisogno di nuovi porti che aprano le porte a vecchi mercati, ed è qui che è entra in gioco il protagonista di questo nuovo commercio marittimo: l’Islanda. Fino a pochi anni fa l’Islanda era rimasta, similmente alla sua cugina a Nord, la Groenlandia, un’isola sperduta al largo dell’Atlantico, anch’essa da sempre relegata a ultimo confine d’Europa, e il suo peso storico è sempre stato quasi del tutto nullo. Ma anche qui la situazione sta per cambiare drasticamente. Sulla costa nord-orientale dell’Islanda è già in fase di costruzione l’immenso porto di acque profonde a Finnafjord, che aprirà i mercati d’Europa alle rotte transpolari, capace di accogliere giganteschi portacontainer cinesi (insieme all’autorità portuale di Brema e alla società islandese Efla, Pechino è tra i più grandi investitori del progetto), insieme a depositi per lo stoccaggio di petrolio e gas e stabilimenti per la trasformazione di materie prime (molte di queste risorse proverranno dagli scavi in Groenlandia, la quale userà l’Islanda come suo tramite per l’esportazione delle sue nuove ricchezze nel vecchio continente). Come spiega Siggeir Stefànsson, responsabile dell’impianto di lavorazione e spedizione e capo del consiglio municipale del piccolo villaggio di Þórshöfn, di appena 320 abitanti,ma che si appresta a diventare uno dei principali centri legati alle attività del porto: “La distanza tra Rotterdam, il porto più trafficato d’Europa, e Yokohama in Giappone, è di 11.250 miglia nautiche passando dal canale di Suez. Scende a 7.350 miglia scegliendo la Northern Sea Route, lungo le coste artiche russe. Il passaggio a nordovest, invece, anche se nella storia è stato il più sfidato nel tentativo di trovare la scorciatoia per l’A-

sia, è meno adatto alla navigazione commerciale; i tratti di mare tra le 36mila isole canadesi sono troppo stretti e le acque troppo basse (…) Questo porto (Finnafjord) nasce come terminal della via transpolare. Dal Pacifico del nord si passa lo stretto di Bering, quindi si raggiunge il Polo Nord, poi lo stretto di Fram e s’arriva proprio qui, la porta dell’Atlantico del nord. In totale sono 4500 miglia nautiche. Evitare Suez e Panama navigando l’Artico significa evitare instabilità politiche, terrorismo, pirateria. Ma la via transpolare, rispetto alla Northern Sea Route, fa risparmiare ancora più tempo, perché è molto più breve e le acque sono più profonde; inoltre si taglia fuori la Russia, con i suoi dazi, la sua arroganza e la sua burocrazia. Finnafjord sarà la nuova Rotterdam” . Ma il porto avrà anche una nuova funzione, quella di attirare il così definito “turismo last chance”, ovvero la ricerca di quegli ultimi luoghi della Terra rimasti “incontaminati” e che potrebbero presto essere perduti per sempre. Questa previsione spinge sempre più turisti ad imbarcarsi alla ricerca dell’“ultima purezza” che rimane sul globo, finendo così con l’essere loro stessi una delle cause primarie della rovina ambientale di quelle zone. Il futuro dell’Artico si giocherà tra questi e altri contendenti: la Russia e il suo disperato tentativo di non venire esclusa da questa nuova Eldorado dell’Artico, o il Canada e gli Stati Uniti, entrambi uniti nel contrastare la potenza di Pechino nel nord. La quantità di interessi e di profitti che si celano sotto il sottile strato di ghiaccio della punta del nostro pianeta mostra come l’uomo, per sua natura di adattamento, sia in grado di far frutt tare qualcosa anche dai propri errori. Ma il prezzo per lo scioglimento della calotta polare sarà ugualmente pagato, se non proprio da noi, certamente dai nostri figli. Concludere con un bel messaggio come “ma c’è ancora tempo”, “si può ancora far qualcosa” sarebbe come mentire. Troppi soldi sono investiti ogni giorno in vista della distruzione (che oramai potremmo quasi definire voluta) di una delle più antiche e magnifiche aree della Terra, perché qualcuno possa mettere un freno a tutto questo. Forse un giorno, quando la Groenlandia sarà a secco, la Cina troppo popolosa e l’Islanda diventerà un unico grande porto, i posteri si guarderanno indietro e si chiederanno se in fondo ne era davvero valsa la pena. GABRIELE ASCIONE

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SCIENZA

The walking dead I

mmaginate un parassita. Voi non potete vederlo, ma lui c’è. Tramite spore assale il suo ospite, ne controlla il corpo e la mente. Radici ne avvolgono i muscoli, segnali chimici ne alterano il cervello. Manipola l’organismo infetto, lo spinge ad agire nei suoi interessi fino a quando, raggiunti i suoi scopi, fuoriesce dalla testa. No, non sto descrivendo la trama di uno strano film horror da Fantafestival, nemmeno del remake di serie B di Alien: esso è tra noi. “Cosa?!” Vi starete chiedendo nervosamente. Beh… sì. Ma niente panico, non attacca gli esseri umani (ahahahaha le ultime parole famose). L’ Ophiocordyceps unilateralis è un fungo parassitoide, originario dell’Amazzonia, che minaccia solo alcune specie di formiche (specialmente le Camponotus leonardi, ma esistono altre specie dello stesso fungo che attaccano diversi tipi di insetti) quindi, a meno che non vi troviate improvvisamente nella foresta pluviale coinvolti in un’apocalisse di formiche zombie, non avete nulla da temere. Bene, a questo punto abbiamo tutti gli elementi per girare un film classico sui morti viventi. Resta solo una domanda: come? Come fa un fungo a manipolare e alterare il comportamento di un altro essere vivente? Ripercorriamo il ciclo vitale di questo parassita: dopo che le spore rilasciate dall’Ophiocordyceps penetrano all’interno degli spiracoli (parte del sistema respiratorio delle formiche) il fungo comincia a crescere all’interno del corpo dell’insetto nutrendosi dei suoi organi interni, lasciando alla fine del processo nient’altro che l’involucro esterno. Quando il micelio (il vero organismo fungino formato dalle life: un intreccio di filamenti in cui scorre il protoplasma) raggiunge il cervello ne modifica il comportamento tramite reazioni chimiche che alterano i feromoni (sostanze biochimiche che hanno il ruolo di “messaggeri chimici” tra individui della stessa specie e che possono determinare anche alcune reazioni comportamentali). Il fungo spinge così la formica ad allontanarsi dalla colonia per trovare il luogo ideale per la germinazione e la proliferazione delle spore. Una volta trovato il microclima perfetto il parassita, invece di

mangiare cervelli o mordere altre formiche per diffondersi, viola il classico protocollo zombie e addenta una foglia di solito posta a 25 cm dal suolo. Infatti, allo scopo di ancorarsi ad una superficie l’Ophiocordyceps fa contrarre in modo serrato le mandibole dell’ospite attorno alla vegetazione della foresta pluviale. A questo punto il corpo fruttifero del fungo fuoriesce dalla testa dell’insetto, neanche fosse uno Xenomorfo, pronto a rilasciare spore per infettare altre formiche. Esistono quattro varietà conosciute di Ophiocordyceps unilateralis; i meccanismi di diffusione e di crescita del fungo cambiano a seconda della specie, tuttavia sono tutte in grado di controllare il loro ospite. Esiste anche un altro studio secondo il quale, invece, l’ Ophiocordyceps non attaccherebbe il cervello ma solamente i muscoli dell’organismo infettato. In ogni caso, non c’è da stupirsi che un parassita del genere abbia ispirato il videogioco post-apocalittico The last of us. Adesso dobbiamo solo sperare che la pericolosa mutazione dell’Ophiocordyceps unilateralis creata artificialmente nei laboratori genetici controllati dal deep state non vada improvvisamente fuori controllo diffondendosi misteriosamente. Ahahahahahah scherzo. A meno che… B. DELLA GUERRA


Timothy Ray Brown e l’HIV

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29 Settembre 2020: Muore Timothy Ray Brown a 54 anni, il primo uomo curato dall’ HIV, a causa di una leucemia (una forma di tumore causata da una proliferazione incontrollata delle cellule staminali del sangue prodotte dal midollo osseo, contenuto all’interno delle ossa lunghe e di alcune ossa piatte) con cui Timothy aveva vissuto negli ultimi sei mesi e che aveva colpito in modo particolare il suo cervello (si trattava in realtà di una recidiva di una leucemia già contratta in precedenza). Nonostante ciò era rimasto immune al virus dell’HIV, come ha spiegato la Società internazionale sull’Aids, che ha dato la notizia della morte. Questo fatto è particolarmente importante se consideriamo che l’HIV, (virus dell’immunodeficienza umana/human immunodeficiency virus) che causa l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) è una tra le immunodeficienze acquisite più devastanti al mondo. Diffuso in tutto il mondo, in particolare nell’Africa subsahariana, che è la zona più gravemente colpita, con più del 25% della popolazione infetta. Nel 1981 ci fu una grave epidemia di HIV/AIDS. In questo periodo venne infatti riconosciuta l’esistenza di una nuova malattia in alcuni pazienti negli Stati Uniti: in realtà l’infezione esisteva già da molti anni, ma era stata sempre scambiata per altro. Diffusasi in maniera esponenziale in tutto il mondo (diventando una vera e propria pandemia), a differenza di tutte le altre epidemie fino ad allora conosciute, fu a lungo mortale in percentuali vicine al 100% dei casi diagnosticati. Oggi,

la sindrome da HIV è diventata endemica nei paesi sviluppati, dove è crollato il numero di decessi, ma non quello dei contagi, mentre è ancora uno dei più gravi fattori di mortalità nei paesi in via di sviluppo, all’origine di gravi problematiche sociali, etiche ed economiche. Da un punto di vista biologico, il virus inizialmente attacca e distrugge, in particolare, un tipo di globuli bianchi, i linfociti T-helper, legandosi a un recettore presente sulla loro superficie (recettore CD4). In seguito, attraverso una sorta di meccanismo chiave-serratura, il virus HIV riesce ad aprirsi una strada verso l’interno della cellula infettata, dove inietta il suo patrimonio genetico (in questo caso RNA) al fine di utilizzare la cellula bersaglio per riprodursi. Infatti in generale tutti i virus non possiedono al loro interno le strutture necessarie alla replicazione, perciò hanno bisogno di sfruttare altre cellule per farlo. Una volta liberato il proprio materiale genetico, composto da due filamenti di RNA, nel citoplasma della cellula ospite, attraverso un enzima specifico (chiamato trascrittasi inversa) lo trascrive in una copia corrispondente di DNA. Questa molecola di DNA si dirige quindi verso il nucleo, dove, grazie ad un complesso apparato proteico in cui operano diversi enzimi tra cui l’integrasi, si inserisce nel DNA cromosomico della cellula ospite. Esistono dei farmaci antiretrovirali che possono fermare questa

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parte del processo di replicazione del virus e sono chiamati NRTI (inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa), NNRTI (inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa) e inibitori dell’integrasi. In generale i virus, dopo essersi replicati all’interno della cellula infettata, possono lasciarla intatta ed essere espulsi all’esterno oppure, in altri casi, per fuoriuscire distruggono la cellula. Nel caso dell’HIV, i linfociti infettati vengono danneggiati inesorabilmente dal virus e perciò muoiono. L’infezione da HIV dan-

neggia quindi il sistema immunitario ed espone l’organismo ad un alto rischio di contrarre infezioni da virus, batteri, protozoi, funghi e tumori. Il test HIV è in grado di rilevare la presenza di anticorpi anti-Hiv nel sangue che determina una sieropositività all’Hiv. Mentre è possibile vivere per anni con una infezione da Hiv senza manifestare alcun sintomo, l’Aids identifica invece uno stadio avanzato dell’infezione. È una sindrome che può manifestarsi nelle persone con HIV anche dopo diversi anni dall’acquisizione dell’infezione, quando le cellule CD4 del sistema immunitario calano drasticamente e l’organismo perde la sua capacità di combattere anche le infezioni più banali. Timothy è americano e quando, nel 1995, si trasferisce a Berlino scopre di essere stato infettato dall’Hiv che si trasmette per via ematica (ovvero attraverso il contatto con del sangue infetto), per via sessuale e per via materno-fetale. Le cure sono quelle consuete basate sui farmaci antiretrovirali (farmaci che ostacolano il meccanismo di replicazione del virus descritto in precedenza), ma nel 2007 gli viene diagnosticata anche una leucemia mieloide acuta. Fortunatamente, il medico Gero Hutter dell’Università di Berlino utilizza un trapianto di cellule staminali da un donatore con una rara mutazione genetica chiamata gene Ccr5 che porta con sé una resistenza naturale all’immunodeficenza. Dopo due trapianti, nel 2008 Timothy guarisce da entrambe le malattie e non dovrà più essere sottoposto alla terapia antiretrovirale. In ogni caso la strada verso una cura per il virus su larga scala è ancora lunga. Un trapianto simile a quello di Timothy infatti è molto rischioso, aggressivo e soprattutto costoso. VIRGINIA FIGLIUZZI

Timothy Ray Brown

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KEPLER-442b I MIRACOLI DELLA BOTANICA C

arbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo e zolfo (In breve CHNOPS) sono gli elementi fondamentali che formano la base di tutte le cose viventi. Essi costituiscono l’essenza di tutto ciò che ci è familiare. Uguali dappertutto, sono presenti in quantità più o meno abbondanti all’interno dell’Universo. Secondo la teoria dell’unità universale della materia animata, così come tali agglomerati di atomi sono alla base della vita sulla Terra, questi stessi elementi compongono l’essenza delle altre forme di vita. Nonostante questa teoria sembrava da tempo superata in favore dell’ipotesi della rarità della Terra, secondo la quale lo sviluppo di forme di vita complesse richiederebbe una serie di eventi fortuiti, recenti studi di botanica esoterrestre ci suggeriscono l’esatto contrario. La sede delle nuove scoperte, che sembrano confermare le vecchie teorie, è il pianeta Kepler-442 b che si trova a 1.115 anni luce dalla Terra (coordinate: Ascensione retta 19h 1m 28s | Declinazione +39° 16′ 48″ ). Il pianeta si è rivelato straordinario per molti aspetti ma, il più sconcertante di tutti, è l’incredibile presenza di una “flora” particolarmente ricca e lussureggiante. Mai si sarebbe sospettata l’esistenza di un pianeta la cui superficie è popolata per il 99% da organismi pluricellulari, eucarioti foto-aerobici, con sti di origine endosimbiotica primaria; insomma estremamente simili alle piante che crescono sulla Terra. Sconcertati, botanici da tutto il mondo hanno cominciato ad analizzare e classificare le forme di vita di Kepler-442b portando alla luce risultati in grado di chiarire i misteri dello sviluppo della vita sui pianeti. Il fitochimico Francis Joyce ha dichiarato “gli elementi essenziali di questi nuovi organismi pluricellulari non sono diversi da quelli degli esseri viventi che popolano la Terra, quello che cambia è il modo in cui gli elementi si combinano tra di loro”. È quindi giusto affermare che lo schema che determina la vita non è affatto accidentale o frutto di coin-

cidenze? Si può quindi ricavare una formula fissa che sta alla base di tutto ciò che vive? Non possiamo ancora dirlo con certezza, ma gli studi continuano. Tuttavia le sorprese non finiscono qui, anzi! È stata appena confermata la presenza di una forma di vita complessa e potenzialmente intelligente. Le informazioni sono poco chiare e ancora parzialmente incomplete, ma non vi è dubbio. È stato scoperto un nuovo tipo di organismo pluricellulare foto-aerobico. “Che differenza c’è tra questo e gli altri organismi vegetali?”, vi starete chiedendo. Beh, quest’organismo è in grado di spostarsi e di rispondere a stimoli provenienti dall’esterno! La comunità scientifica è in visibilio. Questo nuovo organismo, prontamente chiamato Antropolotos Helyfesis, presenta caratteristiche mai viste prima; tuttavia sono state notate lievi somiglianze con la specie terrestre Elysia Chlorotica (in particolare nel meccanismo di assunzione e incorporazione dei cloroplasti). Questo è senza dubbio l’inizio di qualcosa di grandioso che potrebbe modificare per sempre il mondo così come lo conosciamo. Articolo tradotto da UNIVERSAL SCIENCE P.S. “Giacché non ho a contar niente di vero (perché non m’è avvenuto niente che meriti di esser narrato), mi sono rivolto a una bugia, che è molto più ragionevole delle altre, ché almeno dirò questa sola verità, che io dirò la bugia. Così forse sfuggirò il biasimo che hanno gli altri, confessando io stesso che non dico affatto la verità.” (Luciano di Samosata, Storia Vera, Libro 1) P.P.S Tutto quello che è scritto in quest’articolo è falso.

B. DELLA GUERRA

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CINEMA

Un Halloween un po’ particolare A

nche quest’anno Halloween si avvicina e, visto che probabilmente sarà un Halloween un po’ diverso dal solito, è meglio arrivare preparati. Accettatelo: non si può fare baldoria, né feste e cose del genere, ma chi ha detto che a questo punto tutto sia perduto? Possiamo rifarci organizzando una bella serata a tema con qualche amico e magari goderci un film horror o che abbia atmosfere attinenti al periodo. Personalmente ho iniziato ad apprezzare le pellicole di tensione o horror solo negli ultimi anni, ma mi sono comunque fatto una cultura a riguardo. Oggi però non sono qui per consigliarvi qualche banale film ricco di jumpscare da vedere la notte più creepy dell’anno, no, sono qui per parlarvi di qualche pellicola che forse non conoscete e che vi potrebbe far passare una serata spaventosa; attenzione però, non vi aspettate i classici horror, perché cercherò di farvi scoprire nuovi mondi che spero siano abbastanza interessanti e spaventosi per voi.

Continuiamo cambiando completamente tipologia di film; chi ha detto che un film con atmosfere horror debba essere anche spaventoso? Nessuno, e ce lo dimostra il Rocky Horror Picture Show, una pellicola del 1975 che per me tutti dovrebbero vedere. Il film racconta la storia di Brad e Janet, due fidanzatini che durante un viaggio notturno in auto sono costretti a chiedere aiuto agli abitanti di uno spaventoso castello. Quella notte i due incontreranno molti personaggi che definire particolari e stravaganti è dire poco. La pellicola quando uscì fu un flop clamoroso al botteghino, ma successivamente è diventato, grazie al suo pubblico esuberante, un cult che tutti hanno iniziato ad adorare, tanto che è ancora proiettato in alcuni cinema. Se voleste vederlo sappiate che si tratta di una pellicola molto particolare: le atmosfere sono inquietanti, ma il tono è ironico, ricco di canzoni e di pungenti battute, quindi aspettatevi un film surreale e decisamente fuori dagli schemi.

Iniziamo da una pietra miliare, l’horror per eccellenza: Scream, un film del 1996 che ha dato vita ad una delle maschere di Halloween più famosa che ci sia; la storia ruota intorno ad alcuni omicidi compiuti da una killer travestito con un costume di Halloween. L’assassino gioca con le sue vittime, chiamandole al telefono e facendo loro rispondere a domande inerenti a film Horror e alla fine le uccide. Se volete godervi un cult ricco di tensione e suspense, allora questo è il film giusto per voi, perché ha tutto quello che un buon horror deve avere.

Proseguiamo il nostro viaggio incontrando un altro film: The Others. Questa pellicola racconta la storia di una madre e dei suoi due figli aventi una rara malattia che impedisce loro di stare alla luce del sole; quando un giorno in quella casa arrivano tre nuovi domestici, vengono subito insegnate loro le numerose e rigide regole della casa, ma questi individui già le conoscono, poiché non è la prima volta che si trovano in quell’abitazione… Questo film assicura una visione ricca di tensione, perché è pieno di avvenimenti terrificanti che non fanno mai annoiare lo

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spettatore. Fantasmi e presenze inquietanti sono alla base di questo capolavoro che offre uno dei finali più inaspettati e particolari che io abbia mai visto. Vi assicuro che vi lascerà senza parole e che per tutta la sua durata vi farà stare incollati al divano. Il prossimo film che voglio consigliarvi è un film d’animazione: sfatiamo l’idea che questi sono solo per bambini, perché alcuni cartoni animati sono veramente inquietanti, come ad esempio Coraline e la porta magica, pellicola del 2009, che da piccolo mi fece fare molti incubi notturni. Il film parla di Coraline Jones, una ragazzina che si è appena trasferita e che nella sua nuova casa scopre una piccola e misteriosa porta che conduce ad una versione alternativa e molto più interessante della sua esistenza; in questo mondo parallelo Coraline ha anche due nuovi genitori, identici agli altri ma con un piccolo particolare che li differenzia: al posto degli occhi hanno dei bottoni. Quello che all’inizio sembra il luogo più bello del mondo si trasformerà poi in un terribile incubo. È un film semplicemente perfetto, perché riesce a far rabbrividire lo spettatore in qualsiasi momento, e perché alterna atmosfere inquietanti e giocose. Il risultato è una avventura paranormale che fa riflettere sul fatto che bisogna fare sempre attenzione a quello che si desidera.

plicemente meravigliosi e dall’ambiente che circonda i personaggi non ti aspetteresti mai quello che accade nel corso della storia. È una pellicola che non vi farà paura fin da subito, ma che vi introdurrà lentamente in un mondo molto spaventoso e ricco di scene veramente terrificanti. Midsommar – Il villaggio dei dannati è interamente giocato su atmosfere fiabesche che con il passare del tempo diventano sempre più cupe e oscure. Passiamo ad un altro cult: Misery non deve morire, un film del 1990 tratto da un libro di Stephen King, che racconta la storia di uno scrittore che dopo un incidente in auto avvenuto in montagna viene salvato e curato da un’infermiera, grande fan dei suoi lavori letterari. Con il passare del tempo però l’infermiera mostrerà il suo vero inquietante volto. Questo film è molto angosciante grazie anche alla magistrale performance di Kathy Bates, che domina la scena e che per questa interpretazione ha anche ottenuto il premio Oscar. La storia si fa sempre più spaventosa e trasmette ansia a non finire… Se sceglierete questo film per la vostra serata andrete a colpo sicuro.

La prossima pellicola, lo dico subito, è davvero molto particolare: sto parlando di Midsommar – Il villaggio dei dannati, film del 2019 che decide di dire no agli jumpscare e di giocare invece su tensione e scene inquietanti. La storia parla di un gruppo di amici che compiono un viaggio in un piccolo villaggio in Svezia dove si ritrovano catapultati in un’importante festa tradizionale; quella che inizia come una tranquilla vacanza lentamente si trasformerà in un incubo. I colori di questo film sono sem-

La mia ultima proposta, ma non in ordine di importanza, è un film del 2017, debutto alla regia per Jordan Peele: sto parlando di Scappa - Get Out. Mentre sta facendo visita alla famiglia della fidanzata, Chris – un giovane afro-americano – nota che c’è qualcosa che non quadra nella comunità apparentemente idilliaca e perfetta in cui si trova. Questo capolavoro unisce all’horror il tema del razzismo e crea uno scenario agghiacciante, che fa rabbrividire più volte lo spettatore; è un film cattivo, in cui il tema del razzismo è trattato in maniera completamente diversa dal solito, in una maniera alternativa che funziona perfettamente. Ecco, questi erano i miei consigli per passare una fantastica serata di Halloween tra amici e film a tema, e spero di avervi fatto conoscere titoli di cui forse non sapevate l’esistenza, quindi non mi resta altro da dire… Happy Halloween. CESARE NARDELLA

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Teoria e pratica dei viaggi nel tempo “Strade? Dove stiamo andando non c’è bisogno di… strade” (Dr. Emmett “Doc” Brown, Ritorno al Futuro)

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viaggi nel tempo hanno affascinato l’uomo da sempre. D’altronde chi non ha mai desiderato almeno una volta conoscere il proprio futuro, cambiare alcuni eventi della Storia o anche solo alcuni momenti della propria, di storia? Questo tema è stato trattato nelle maniere più diverse dalla letteratura, dal cinema e dalle serie tv. Ma è attraverso il cinema che il viaggio nel tempo è entrato a far parte del nostro immaginario collettivo. Nel primo capitolo della trilogia di Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis (1985), Doc raccomanda a Marty di non cambiare niente del proprio passato, in modo così da evitare ripercussioni sul suo futuro. Questa affermazione si ricollega direttamente alla teoria della linea temporale dinamica. Secondo questo pensiero il tempo è fluido e il corso degli eventi può essere cambiato da un intervento attuato attraverso un viaggio nel tempo. Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Terminator di James Cameron (1984), dove un androide proveniente dal futuro tenta di uccidere la donna che genererà colui che diventerà il capo della resistenza contro le macchine in un futuro post-apocalittico. Anche nel recentissimo Tenet di Christopher Nolan una minaccia dal futuro cerca di distruggere il nostro presente per scongiurare il destino drammatico cui andrà incontro il nostro pianeta a causa dei cambiamenti climatici. Ma il nemico senza nome né volto, cercando di compiere questa azione sconsiderata, non tiene conto di uno dei paradossi più conosciuti riguardante il viaggio nel tempo: il paradosso del nonno. Se un viaggiatore del tempo uccidesse suo nonno prima che incontri sua nonna, questo evento impedirebbe al viaggiatore stesso di nascere. Ma se il viaggiatore del tempo non fosse mai nato, allora non avrebbe mai viaggiato indietro nel tempo e non avrebbe mai ucciso suo nonno. E così all’infinito, creando un loop che causerebbe la morte dell’Universo. È proprio per scongiurare questa immane tragedia che i protagonisti di Tenet sono così decisi a sventare questa sorta di “attacco kamikaze temporale”. Altra teoria molto utilizzata dal cinema di fantascienza è la teoria del multiverso, che sostiene che ogni viaggio nel tempo crea una nuova linea temporale, un universo parallelo al nostro. Il presente non cambia mai perché ogni viaggio nel passato crea un altro presente che si aggiunge a quello di partenza, senza sostituirlo. Per intenderci, se una persona viag-

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gia indietro nel tempo e uccide suo nonno, crea una realtà parallela in cui lui non esiste, ma continua a esistere altrove. Questa teoria verrà ripresa in Ritorno al Futuro II del 1989, dove, a causa di un incidente, si viene a creare una linea temporale alternativa nella quale Biff Tannen, il bullo che nel primo film tormentava il padre di Marty, diventa il padrone della cittadina di Hill Valley, dominata dalla criminalità e dalla corruzione. Alla teoria del multiverso fa riferimento anche Avengers: Endgame, il più recente blockbuster targato Marvel uscito nel 2019, nel quale i Vendicatori viaggiano indietro nel tempo e devono fare i conti con la possibilità di causare la creazione di linee temporali alternative. In Sliding Doors (1998), una commedia romantica certamente non annoverabile tra i film di fantascienza, non solo troviamo rimandi alla teoria del multiverso, ma viene anche suggerito un tema molto caro ai film sui viaggi nel tempo: l’ineluttabilità del destino. Sliding Doors ci mostra che la nostra vita è già stata scritta, qualunque sia la porta che si aprirà (o si chiuderà) di fronte a noi. Ciò che da alcuni è stata chiamata τύχη, e da altri “disegno divino”, è stato chiamato principio di autoconsistenza da Igor Dmitriyevich Novikov. Formulata a metà degli anni Ottanta dal fisico russo per trovare una soluzione ai paradossi temporali, questa legge afferma che alcuni eventi devono accadere e non possono essere cambiati. Inoltre, se un fatto avesse la possibilità di causare un paradosso, la probabilità che quel fatto si verifichi è pari a zero. Quindi, facendo di nuovo riferimento al paradosso del nonno, se un viaggiatore temporale cercasse di uccidere suo nonno da giovane, non ci riuscirebbe mai, magari anche a causa di forze al di là della nostra comprensione. È impossibile. È già stato tutto scritto. In sostanza homo faber fortunae suae non est. Con buona pace del libero arbitrio. ALESSANDRO PETRASSI



LIBRI

Consigli ROMANZO STORICO: Vita di Melania Mazzucco Nel 1903 Vita e Diamante, nove anni lei, dodici lui, sbarcano a New York. Dalla miseria delle campagne del Mezzogiorno vengono catapultati in una metropoli moderna, caotica e ostile. Vita è ribelle, possessiva e indomabile, Diamante taciturno, orgoglioso e temerario. Li aspettano sopraffazione, violenza e tradimento. Ma anche occasioni di riscatto, la scoperta dell’amicizia e, soprattutto, l’amore. Che si rivelerà più forte della distanza, della guerra, degli anni. Dando voce a un coro di personaggi perduti nella memoria, Melania Mazzucco tesse i fili di una narrazione che è insieme familiare e universale. La storia di tutti quelli che hanno sognato, e sognano, una vita migliore.

NARRATIVA PSICOLOGICA: Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij Raskol’nikov è un giovane che è stato espulso dall’università e che uccide una vecchia usuraia per un’idea, per affermare la propria libertà e per dimostrare di essere superiore agli uomini comuni e alla loro morale. Una volta compiuto l’omicidio, però, scopre di essere governato non dalla logica, ma dal caso, dalla malattia, dall’irrazionale che affiora nei sogni e negli impulsi autodistruttivi. Si lancia cosi in allucinati vagabondaggi, percorrendo una Pietroburgo afosa e opprimente, una città-incubo popolata da reietti, da carnefici e vittime con cui è costretto a scontrarsi e a dialogare, alla disperata ricerca di una via d’uscita.

SATIRA/ GROTTESCO: Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov “Il Diavolo è il più appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell’inesistenza di Dio. Il neovenuto non è di questo parere... Ma c’è ben altro: era anche presente al secondo interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione in un capitolo che è forse il più stupefacente del libro... Poco dopo, il demonio si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme. I fatti che accadono sono cosi fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica... Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione... È qui che Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol’ e Dostoevskij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo.” (Eugenio Montale)

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ROMANZO D’AVVENTURA: Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas Quattordici anni di prigionia per immaginare la propria vendetta, dieci anni per metterla in pratica: Edmond Dantès è disposto a tutto per vendicarsi di chi l’ha ingiustamente accusato, condannandolo alla galera e facendogli perdere reputazioni, famiglia e successo. Dopo un’avventurosa evasione dal castello d’If, Dantès adotta il titolo e la falsa identità di Conte di Montecristo; escogita audaci stratagemmi e molteplici travestimenti per annientare i propri avversari, in un delirio d’onnipotenza che terminerà in un drammatico confronto con la coscienza e il perdono. Fra avvelenamenti e rapimenti, scambi d’identità e tesori sepolti e ritrovati, Alexandre Dumas cattura i lettori oggi come ieri, e li tiene incollati a un classico della letteratura appassionante come un feuilleton.

GIALLO: Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni Napoli, marzo 1931, mentre un inverno particolarmente rigido tiene la città stretta in una morsa di gelo, un assassinio scuote l’opinione pubblica per la ferocia con cui il crimine è perpetrato e per la notorietà del morto. Il grande tenore Arnaldo Vezzi viene trovato cadavere nel suo camerino al Teatro San Carlo prima della rappresentazione de “I Pagliacci”, la gola squarciata da un frammento acuminato dello specchio andato in pezzi. Artista di fama mondiale, amico del Duce, uomo egoista e meschino: a ricostruire la personalità della vittima e a risolvere il caso è chiamato il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, in forza alla Squadra Mobile della Regia Questura di Napoli.

SURREALE : Lo specchio nello specchio di Michael Ende Giramondo, funamboli, angeli, dittatori, donne obese, principesse si muovono attraverso stanze, palcoscenici, deserti, cattedrali e creano storie di volta in volta poetiche, bizzarre, assurde, surreali, sinistre. Al lettore il compito di fare da “specchio” alle immagini che gli si propongono con i suoi ricordi, le sue esperienze, i suoi sogni.

DISTOPIA: Il mondo nuovo di Aldous Huxely Scritto nel 1932, Il mondo nuovo è un romanzo dall’inesausta forza profetica ambientato in un immaginario stato totalitario del futuro, nel quale ogni aspetto della vita viene pianificato in nome del razionalismo produttivistico e tutto è sacrificabile a un malinteso mito del progresso. I cittadini di questa società non sono oppressi da fame, guerra, malattie e possono accedere liberamente a ogni piacere materiale. In cambio del benessere fisico, però, devono rinunciare a ogni emozione, a ogni sentimento, a ogni manifestazione della propria individualità.

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FANTASCIENZA: Solaris di Stanislaw Lem «Solaris» è il capolavoro della fantascienza filosofica. Siamo nel lembo più estremo dell’universo esplorato dal genere umano. Un astronauta, dalla Terra, approda nella stazione spaziale che gira intorno al pianeta Solaris. Qui trova un’atmosfera di mistero e sospetto: nessuno lo accoglie, i pochi ospiti della astronave sembrano angosciati e sopraffatti, c’è un morto recente a cui si allude con circospezione ma senza sorpresa, gli oggetti subiscono strane deformazioni, si avvertono presenze. Solaris è noto agli umani come il grande pianeta “vivente”. Appare in forma di vasto oceano e avrebbe dovuto conflagrare se la sua orbita avesse seguito le leggi della fisica. Ma è come dotato di capacità cosciente di reazione e questa capacità sembra legata alle apparizioni di fantasmi, proiezioni viventi di incubi, sogni e fantasie. L’astronauta è costretto a interrogarsi, mentre lo contagia la stessa angoscia che domina in tutto l’ambiente.

FIABA: La collina dei conigli di Richard Adams Timido Quintilio è un profeta e sa che una terribile minaccia sta per abbattersi sulla sua gente. Ma quando tenta di mettere in guardia il suo popolo, non viene creduto. In compagnia di un gruppo di fidi compagni, intraprende allora un viaggio alla conquista della libertà e di una nuova possibilità di vita. E se questo è lo scopo, che importa che Quintilio e i suoi amici siano conigli? Un romanzo epico con cui la letteratura contemporanea ricrea la sua “Iliade” e la sua “Odissea”.

FANTASY/ UMORISTICO: Il tristo mietitore di Terry Pratchett Si dice che al mondo niente sia inevitabile, tranne la morte e le tasse. Ma questo forse prima che Morte venisse licenziato in tronco. L’ultima cosa di cui un universo può aver bisogno è di un Tristo Mietitore disoccupato, perché quando un importante servizio pubblico viene a mancare la conseguenza è sempre il caos. Ora Mondo Disco pullula di zombie e non-morti. Reg Scarpa, attivista per i diritti dei defunti, improvvisamente ha molto più lavoro di quanto si sia mai sognato. E il mago Windle Poons, trapassato di fresco, si risveglia nella tomba scoprendo di essere... morto e vegeto. Ma proprio a lui e a un ben poco temibile gruppo di non-morti (Arthur Winkings, per esempio, era diventato vampiro dopo essere stato morso da un avvocato. Schleppel l’uomonero farebbe meglio il suo lavoro se non venisse colto da agorafobia appena fuori dal gabinetto. E Fratello Isolile, l’unica banshee al mondo con un difetto di pronuncia, invece di starsene sui tetti a gridare quando la gente sta per morire, fa passare sotto la porta un bigliettino con scritto ‘OOOOeeOOOeecOOOeee’) spetta il compito di salvare il mondo dei vivi. Nel frattempo in una piccola fattoria molto, molto lontana, uno straniero alto, scuro e allampanato si rivela particolarmente abile a maneggiare la falce. C’è tanto grano da falciare. E una battaglia diversa da combattere.

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MUSICA

17, Jake La Furia ed Emis Killa: ALBUM DELL’ANNO?

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l 18 settembre di quest’anno è uscito “17”, l’album di coppia realizzato da Emis Killa e Jake la furia, che vanta featuring di alto livello come: Lazza, presente in ben due tracce, Salmo, Fabri Fibra, Massimo Pericolo e Tedua. Si percepisce sin dal primo brano, ovvero “Broken Language”, che l’album rappresenta una forma di rap più vicino al vero hip-hop che ad una influenza prettamente trap, corrente che negli ultimi anni sta saturando le playlist del genere musicale in questione; la intro fa notare sin da subito che i due artisti parlano di strada, elemento fondamentale che percorre tutte le 17 tracce dell’album, e sin dalla prima strofa notiamo Jake La Furia che sottolinea esplicitamente la presenza del rap, quello più genuino possibile che fa da filo conduttore esattamente come la strada; andando però avanti nell’ascolto ci renderemo conto che è presente una lieve influenza trap data da artisti ambasciatori del genere che portano un alleggerimento e un cambio di stile in un album molto lungo per gli standard del mercato discografico attuale che necessita di alcune variazioni melodico-stilistiche fisiologiche.

golo di lancio.

- “Malandrino”, singolo usato per il lancio del prodotto discografico, caratterizzato da un ritornello molto orecchiabile che riconduce allo stile dei Dogo, motivo per cui possiamo ipotizzare la scelta come sin-

- “Renè & Francis”, traccia dove si percepisce immediatamente la base ben strutturata e molto interessante composta dai 2nd roof. Il ritornello di Emis Killa sottolinea come in uno Stato come il nostro, nel mondo

- “No Insta”, ovvero il primo featuring di Lazza dove si può notare l’influenza trap/pop che però non si sovrappone al messaggio che i due titolari dell’album vogliono esplicare ma semplicemente lo accompagna attraverso sonorità più orecchiabili. Molto interessante il contenuto della strofa di Emis Killa, infatti il rapper lombardo attacca tutti coloro che si definiscono artisti, criticandoli per essere privi di contenuti e personalità, per essere tutti molto simili tra loro, ma soprattutto perché pensano esclusivamente a mettere in mostra i soldi attraverso capi di abbigliamento firmati, discorso quasi inflazionato al giorno d’oggi se si attacca il mondo trap-mainstream, ma Emis riesce ovviamente a dargli forma con parole che rimangono facilmente impresse per la loro brevità e precisione: “Questi rapper col marsupio a tracolla sembrano sbirriVa bene spenderne un po’-Ma prima impara a investirli-Versace Balmain e Gucci ma ancora non sai vestirti”.

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gile, ma tutto è instabile-Accettalo e non dire più una parola-Se vuoi salvare il salvabile puoi solo andartene ora-E salvarti da sola”, Per me daresti la vita-Anche adesso che è finita-Mi hai messo l’anima in mano-Io solo anelli alle dita”.

del lavoro, non ci si focalizzi su un talento o su una predisposizione, ma esclusivamente sugli interessi della singola persona che ha potere decisionale, infatti sin dalla nascita ognuno è destinato a fare qualcosa che nella maggior parte dei casi non corrisponde al proprio volere: “C’è chi nasce medico e chi capo di Stato-Ma io fra sono nato per fare il ladro”. Ovviamente non mancano allusioni alla vita di strada e al fascino del crimine irresistibile per i ragazzi che crescono in situazioni di disagio: “Ma ho capito presto fra che l’onestà non paga-Fratelli flirtano col crimine per fare strada-Mentre gli altri bambini al parco scambiavano figurine-

- “Maleducato”: beat basato su una successione di bassi (808) veramente imponente, Emis Killa ironizza su quanto sia piccolo il suo paese prendendo l’agente di polizia come esempio: “Posso capirlo, il paese è piccolo-Sono dieci anni che vengo fermato dallo stesso sbirro-Vorrebbe chiudermi click clack-Buttare la chiave come a ponte Milvio”. Successivamente non mancano allusioni alla vita malavitosa.

Io mi facevo le ossa in un carcere minorile”.

- “L’ultima volta”: brano che vede come ospite Massimo Pericolo. La storia narrata ha come protagonista un uomo, non definito, ma comunque un carissimo amico che in una sera viene arrestato dalle forze dell’ordine; è destinato a finire in cella, e intanto tornano alla memoria ricordi della gioventù dove i ragazzi passavano le giornate insieme accompagnati dallo sfondo onnipresente che caratterizza sia l’album sia le vite degli artisti coinvolti nel pezzo, ovvero la strada. La strofa di Massimo Pericolo è più profonda e personale, infatti le parole usate sono: “In prigione per sempre nella mia pelle-Se c’è giustizia, perché non paga un altro?-Se c’è Dio, perché tua madre ha il cancro?Non basta l’amore a cambiare vita-Non curi un tumore con l’aspirina”. Il rapper di Gallarate, che ha passato due anni della sua vita tra arresti domiciliari e reclusione carceraria, inizialmente afferma di sentirsi imprigionato nel suo stesso corpo, per poi attaccare il concetto generale di giustizia, sottolineando implicitamente la giustizia terrena ed esplicitamente quella divina.

- “Amore Tossico”, pezzo che vede Jake solista, come si può dedurre dal nome racconta una storia d’amore nata sin dal primo momento in cui l’autore del brano nota la donna che gli suscita sentimenti molto forti, sentimenti che si trasformano gradualmente in tristezza vista la fine della serata passata insieme, tutto raccontato attraverso toni quasi poetici ovviamente caratterizzati da un velo di malinconia. - “666” lo si può definire un vero e proprio pezzo hiphop dove gli argomenti centrali del pezzo sono: lo stile di vita criminale, le donne, e la crescita dei due rapper per strada. - “Sparami”: vede il featuring di due massimi esponenti del rap italiano, cioè Fabri Fibra e Salmo; pezzo caratterizzato da un flow incalzante, non particolarmente ricco di contenuti, o per lo meno di nulla particolarmente degno di nota dal punto di vista di una analisi testuale, anche se molti non la pensano così. La nota artista Margherita Vicario, conosciuta al pubblico per pezzi come Mandela, Giubottino, Romeo (feat. Speranza), e Piña Colada (feat. Izi), ha voluto esternare le sue critiche contestando Emis Killa per la sua dialettica molto cruda e diretta che in alcuni versi va a colpire molto duramente la figura della donna, mancando di rispetto a questa figura sotto un punto di vista etico e morale attraverso espressioni che possono risultare sorprendentemente eclatanti ad un pubblico non troppo abituato ad un certo tipo di dialettica.

- “La mia prigione”: pezzo di Emis Killa che in questo caso lo vede come solista. Nel pezzo viene evidenziato il disagio che l’autore prova quasi quotidianamente facendo anche riferimento a trascorsi che hanno portato alla rottura di alcuni legami. I passaggi più interessanti del testo sono: “La felicità quaggiù non fa mai sconti-Vorrei comprarne un po’ ma non mi bastano mai i soldi”, “Non mi fido di nessuno ed è un problema mio-E ti ho già detto addio”, “La libertà è intraprendere una strada

- “Lontano da me”: i due artisti riferendosi ad un soggetto non direttamente esplicitato, ma verosimilmente una donna, sottolineano quanto la loro vita sia anticonformista e complessa per poi consigliare a questa donna di allontanarsi perché sia Emis sia Jake riconoscono di essere nocivi per le persone che gli stanno vicine troppo a lungo; ci sono due passaggi nella strofa di Emis KIlla su cui reputo ci si debba focalizzare: “Provo qualcosa, ma non lo dimostro-A parte quando si litiga e divento un mostro”, “So che sei fra-

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l’occhio quella che possiamo definire come una citazione al mondo prettamente trap, ovvero: “In zona 4 le sirene metterò le quattro frecce 4L”, quel “4L” è facilmente riconducibile a uno degli artisti più parlati di questo 2020, ovvero Sapobully, artista del collettivo FSK satellite, che ha coniato questa espressione. Emis Killa nella sua strofa ci permette di desumere la condizione in cui è cresciuto spiegando brevemente quanto lavorasse la madre per dargli un futuro: “Mia madre senza un futuro-Faceva due turni per darmene uno-Usciva di casa che era ancora buio-E tornava che il cielo era scuro da un po’”.

E farla propria anche senza sapere a dove porta”, “Farsi in quattro per gli amici per poi essere tradito sul finale”, “Questa gente mi saluta, ma non sa chi sono-Conosce solo le mie azioni, non conosce l’uomo-Sono uscito dalla melma con le mie ambizioni-Emiliano ed Emis Killa, onoro entrambi i nomi”. Saltano all’occhio i passaggi finali in cui notiamo la redenzione di Emis, accostati a parole di forte orgoglio contraddistinte da una positività vista raramente nella carriera del rapper. - “Toro Loco”: pezzo che presumibilmente serviva ad alleggerire la tracklist per evitare che diventasse pesante dal punto di vista contenutistico; possiamo dire che entrambi gli artisti esternano il loro amore verso la lussuria e il gentil sesso.

- “Quello che non ho”: Emis Killa racconta della sua ambizione descrivendo i suoi pensieri sin da ragazzino, di quanto lui si sentisse determinato in certi momenti e completamente disorientato in altri, di quanto avesse l’affetto delle persone che gli stavano intorno quando però questo non era abbastanza per lui, siccome aveva bisogno dell’affetto dei suoi cari, che però come suo padre non aveva. Chiudono la strofa due versi che con parole semplicissime espongono un concetto di enorme spessore: “Pensavo tanto al mio futuro che ho perso il presente-Volevo essere onnipotente come un Dio-Per poi scoprire che anche Dio è niente-Di fronte a un non credente”.

- “Gli amici miei”: secondo featuring di Lazza. Con questa collaborazione si percepisce un’inflessione più vicina alla trap, l’argomento in questione è il classico concetto che potremmo sintetizzare con estrema semplicità, ma per farci capire meglio da qualcuno esterno al genere potremmo dire che i tre artisti sottolineano il vigore, la forza e la fratellanza del gruppo con cui girano in strada, in cui respirano un’aria di fratellanza a tutti gli effetti. - “Medaglia”: brano con un sound molto più leggero rispetto alle altre tracce dell’album, infatti è caratterizzato da un ritornello composto da Jake la Furia che entra in testa con estrema semplicità vista la sua orecchiabilità: “La faccia è l’unica cosa di me che cambia-E questa strada ha il valore di una medaglia-Perché la mia benzina non saranno i soldi mai-Ho sogni così grandi che se dormi non li fai”. Per quanto riguarda la parte di Emis Killa reputo ci siano passaggi interessanti perché diffondono un senso di positività e fiducia in se stessi: “Se un sogno non ti spaventa non è grande abbastanza-Per questo pensavo in grande da quella stanza”, “Se è vero che anche l’erba calpestata diventa un sentiero-Io proseguo e non mi guardo indietro-Dicevano “sei pazzo” e forse un po’ era vero-Grazie al cielo che ero pazzo e quindi ci credevo”.

A parer mio questo album è l’alchimia perfetta tra lo stile classico, un po’ mainstream, ma caratterizzato da musicalità e struttura dei club dogo, di cui Jake è stato fondatore e altissimo esponente, e lo stile inconfondibile unito alle punch line strabilianti di Emis Killa che ha contribuito sotto un punto di vista melodico a dare un tocco leggermente più moderno, come tra l’altro volle fare con il suo album da solista “Terza Stagione” uscito nel 2016. L’album certamente è candidato al titolo di miglior album dell’anno, ovviamente premio non assegnato ufficialmente, ma verdetto che ogni ascoltatore abituale del genere aspetta quasi ansiosamente ogni anno. Sinceramente penso che Emis Killa sia stato più performante del compagno Jake. Su Emis, costantemente attaccato per svariate motivazioni, la maggior parte delle quali io stesso reputo valide, non posso però non essere obiettivo: mi ha colpito molto sia per il flow sia per le strofe a parer mio ricche di spessore, senza contare che è merito suo se Jake è tornato a rappare dopo un periodo di avvicinamento al mondo pop-reggaeton, come lo stesso Jake ha ammesso nell’intervista al noto portale Esse Magazine. Resta il fatto che entrambi gli autori di questo joint album abbiano fatto un eccellente lavoro. Spero che ci siano altri lavori di coppia che in futuro possano eguagliare se non superare questo imponente e straordinario progetto.

- “Il seme del male”: brano che come costante ha un linguaggio ed una struttura sintattica classica del genere rap/hip-hop, unito a svariati riferimenti alla vita di strada, tra cui l’uso di stupefacenti e alcolici, non mancano perifrasi che nutrono l’ego dei due autori e nemmeno allusioni particolarmente esplicite all’atto sessuale. - “Cowboy”: featuring di Tedua; all’ospite in questione, purtroppo, è stato assegnato esclusivamente il ritornello, anche se ovviamente orecchiabile e degno di nota. Analizzandolo testualmente infatti salta al-

IGOR LISOGENO

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La Playlist ▷ di Serena Mavrovic In questo primo mese di scuola, a cavallo tra la fine dell'estate ed i primi giorni d'autunno, fra pioggia ed incertezze, tutto ciò che ci rimane è la dolce melodia di qualche canzone ascoltata di sfuggita. Prendendo spunto da ciò vi presento una breve playlist di 10 brani, che racconta attraverso diversi generi e artisti quello che per me è questo periodo:

“He can only hold her”- Amy Winwhouse: si tratta di una canzone in grado di distinguersi all’interno dell’intero album “Back to black” per via della sua strumentale che tende a fare contrasto con tutta la linea quasi malinconica dell’elaborato, trattando sempre il tema della tormentata vita sentimentale dell’artista, ma con un’ acustica più gioviale, proponente un punto di vista diverso, quasi di accettazione della propria situazione e di conseguenza consapevolezza e arresa di fronte alla realtà dei fatti. Generi: Contemporary Soul, Ska/Rocksteady, R&B/Soul,Pop

“June”– Briston Maroney: tratta dall’album “Big Shot” di quest’artista del Tennesse; racconta quanto sia facile che l’amore che provi per una persona possa svanire con la delicatezza di un filo di seta che passa fra le dita, ma anche con la velocità e la capacità distruttiva della grandine su un giardino di rose. Strumentale e testo si legano perfettamente attraverso un crescendo fra strofa e ritornello, in grado di rendere il percorso dell’artista anche per chi lo ascolta una sorta di finestra sul suo pensiero, alternando rabbia con se stesso a dispiacere e desolazione per il sentimento oramai perso. Genere:Alternative/Indie

“Popscene”- Blur: brano del 1993 dell’album “Modern life is rubbish” è una critica alla musica pop da parte della celebre band britannica che per anni ha dato filo da torcere agli Oasis nella scena del Britpop; in quel periodo venne considerato un brano pioneristico dalla critica. Ancora oggi con il suo testo ironico che cerca di racchiudere le caratteristiche principali di un testo standard di musica pop riesce a colpire come allora, con il suo raccontare di un mondo dove tutti siamo cloni in cerca della loro propria maniera di vivere ed una strumentale che si presenta come innovativa ma al contempo confusionale. Genere: Brit pop

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“Marceline”- Vista Kicks: canzone tratta dall’abum di debutto “Chasing waves” della band californiana, presenta una linea di rock classico differente da quella degli album successivi caratterizzati da una vena più psichedelica e nostalgica degli anni ‘70. Strumentale molto ben elaborata ed energica e testo con significato a doppia interpretazione, infatti si dice possa parlare sia di un ragazzo tradito e deluso dalla persona che ama arrivato al punto di doverla lasciare, sia di un ragazzo innamorato e contraccambiato ma purtroppo non in grado di fare nulla perché lei già fidanzata con un altro. Genere: Rock “In my life”- The Beatles: penso che questa band non abbia bisogno di presentazioni, né tantomeno la celebre canzone tratta dall’album “Rubber soul”, brano simbolo del ricordo di tempi passati con la consapevolezza che mai nulla tornerà; tutto è cambiato nel bene e nel male e le persone che ci sono state affianco con ruoli e tempi diversi vanno e vengono ma le ricorderemo in eterno. Generi: Rock, Pop “Four Women”- Nina Simone: classico senza tempo del 1966 tratto dall’Album “Wild is the Wind”. Con una strumentale semplice sentiamo la voce meravigliosa di Nina Simone raccontare la storia di 4 donne che rappresentano lo stereotipo Afroamericano nella società, facendo una critica vera alla situazione americana condannandola, poiché non è possibile e umanamente concepibile rilegare una qualsiasi etnia ad uno stereotipo creatosi con il tempo per colpa di un’ideologia razzista che limita la libertà dell’individuo. Le quattro donne descritte nel testo sono: Aunt Sarah, donna che rappresenta il dolore della schiavitù, la resilienza e la resistenza del popolo nero; Saffronia, costretta a vivere fra due mondi diversi perché nata da padre bianco e ricco e madre povera e di colore costretta dall’uomo ad avere un rapporto e rimasta incinta, rappresenta la sofferenza del popolo nero nelle mani del potere detenuto dai bianchi; Sweet Thing invece è una prostituta che viene accettata sia dal popolo nero che da quello bianco per via del suo aspetto affascinante e del suo lavoro; infine c’è Peaches che non si presenta subito e parla di lei come figlia di schiavi e che per via della disperazione e della sofferenza, che deve portare sulle spalle dalle generazioni precedenti, è stata resa scontrosa e dura; dopo aver parlato di sé con un urlo rivela il suo nome. I quattro stereotipi sono proposti nella descrizione fisica e caratteriale delle donne e con pochi dettagli si è capaci di comprendere il loro background ed il significato della loro presenza nel brano. Genere: Jazz “No hope generation”- Mura Masa: questo brano fa parte dell’album “R.Y.C”( raw youth collage) che è stato uno dei miei preferiti del 2020 in quanto al suo interno si può trovare molta sperimentazione, soprattutto nel mischiare generi diversi; qui infatti sentiamo mescolate musica elettronica dance e punk. Il testo si accosta molto alla visione che si ha del mondo moderno da parte delle nuove generazioni, utilizzando formule sintetiche capaci di riassumere a pieno almeno un piccolo pezzo della vita di tutti noi. Chiamandosi generazione senza speranza riflette quello che effettivamente tutti noi pensiamo, ovvero che il nostro futuro sia assolutamente incerto e quasi certamente non quello che vorremmo. Generi: Dance/Elettronica, Punk

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“AdélaÏde”- Requin Chagrin: questo brano viene dal self-titled, album “Requin Chagrin” di questa talentuosa band indipendente francese; la struementale è molto particolare in quanto apparentemente allegra e frizzante, ma a tratti ,se ascoltata bene, risulta quasi ansiogena, sposandosi con il testo in maniera apparentemente discordante, conferendo alla canzone una connotazione peculiare ma stranamente equilibrata. L’argomento che si tratta viene quasi sfiorato in maniera molto delicata, ovvero per mezzo di un amore e di una passione molto forti, costretti a soffocarsi per via del giudizio della gente, poiché fra due persone dello stesso sesso. L’utilizzo delle parole nel testo penso sia una delle caratteristiche che si preferisce della canzone perché molto introspettive, come se fossero il riflesso di un flusso di coscienza abbastanza breve ma d’impatto, facendo arrivare l’ascoltatore al vero significato stimolandolo a riflettere sfruttando il senso di mistero che trasmettono. Genere:Alternative/Indie

“Nothing to yell about”- Mike Krol: brano dell’album “Power chords” del musicista californiano principalmente Garage Rock che, nonostante la strumentale rappresenta a pieno il genere essendo molto potente, il testo parla di come quando si è in ansia le parole ci si blocchino in gola restando in silenzio quando in realtà si vorrebbe strillare; personalmente trovo una buona correlazione fra testo e strumentale, poiché nel suo “lamentarsi” di non riuscire a farsi sentire esprime il proprio dissenso verso se stesso e quello che accade, divenendo la canzone a questo punto un grosso ossimoro che ne rafforza il significato. Generi:Alternative/Indie, Garage Rock

“Blue lights”- Jorja Smith: brano dell’album di debutto “Lost & Found” della cantante britannica. Presenta una strumentale tipicamente R&B caratterizzata dall’uso di samples e reference ad artisti che ha sempre ammirato crescendo; il testo si sposa perfettamente con la sensazione nostalgica che trasmette la melodia, perché parla di quanto sia veloce ed improvviso il passaggio dall’innocenza alla vera conoscenza del pericolo, dall’essere semplici ragazzi ad adulti, a volte magari in un solo giorno, raccontando l’esperienza di una ragazza che dalla sera alla mattina si è ritrovata in una situazione critica con un suo amico che si stava accostando sempre più alla criminalità, compiendo gesti irresponsabili e sconsiderati a cui lei ha assistito, avvenuti talmente tanto velocemente da non aver avuto nemmeno il tempo di processare cosa fosse accaduto, come mai ad un certo punto le sue mani sono state macchiate di sangue, come mai la persona onesta seduta accanto a lei fino al giorno prima ora stesse scappando. Raccontato quasi come una bambina spaventata che scopre per la prima volta cos’è il mondo reale: prima la sua confusione, poi la paura ed infine la consapevolezza che l’ha cambiata e fatta crescere divenendo adulta. Generi: R&B, Soul

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ARTE

Maledetto Modigliani Modì e le cariatidi P

er il centenario della morte del grande artista, nei cinema di Roma solo per il 12, 13 e 14 ottobre si è proiettato il film documentario “Maledetto Modigliani”, di Valeria Parisi. Ripercorrendo la vita di Modigliani attraverso le parole di Jeanne Hébuterne, l’ultima giovane compagna, lo spettatore viene catapultato nell’arte e nell’essenza di questo grande genio. Modigliani, colui che ha incarnato al meglio il mito bohémien dell’artista geniale e maledetto, l’ebreo italiano colto, dal grande charme, facile agli scatti di collera, alle liti, agli amori tormentati, alle ubriacature, ma anche alle gentilezze. E sempre Modigliani, il maestro dei volti dal collo lungo, dei nudi sinuosi e degli scuri occhi a mandorla. Nel 1906, dopo varie difficoltà causate dalle ristrettezze economiche della famiglia, Modì riesce a trasferirsi a Parigi; nella capitale francese gli atelier di Montparnasse danno vita alle sperimentazioni creative più audaci, mentre di notte i cafè di Montmartre si trasformano nel punto di ritrovo di grandi artisti. Ed è attraverso bistrot, caffè, cabaret, osterie, che in breve tempo Modigliani viene a contatto con le opere di Henry de Toulouse Lautrec e di Cézanne. Conosce inoltre Picasso, Derain, Apollinaire, Rivera e artisti e

poeti provenienti da tutta Europa. Tra il 1905 e il 1906 a Parigi l’arte africana inizia ad affascinare sempre più gli artisti che, interessati, studiano e rielaborano le nuove forme proposte; un ideale artistico già conosciuto fin dall’Ottocento, ma che solo in quegli anni prende piede. Modigliani, In quest’atmosfera densa di suggestioni, attratto dalla novità, esamina e riadatta l’arte africana, la fa propria, estrapola i vari elementi e li unisce alla sua formazione classica per maturare un genere singolare che sarà evidente fino alle sue opere più mature. Quella che venne definita Art Nègre, e che catturò tutti quegli artisti che ricercavano la purezza ascetica e allegorica, portò Modigliani e i suoi colleghi a spogliarsi e a tornare a uno stato primitivo, mostrando al pubblico la vera essenza di quell’arte ancestrale, quella nascosta, che riguarda il valore dell’anima e della spiritualità. Il viso diventa una maschera ma a Modigliani invece interessa l’anima, quello che una maschera non mostra, l’anima che farà trapelare dagli occhi vuoti e allungati dei suoi soggetti. Da qui nasce l’ossessione di Modì per le cariatidi: la cariatide è un volto visto di fronte o di profilo, estremamente ieratico,

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volutamente inespressivo; è la maschera che cela la vera natura dell’individuo. Attraverso questo procedimento creativo Amedeo Modigliani mira a una fisionomia priva di espressione che permette però un’indagine introspettiva più ampia e più profonda; infatti l’osservatore può superare la superficie della maschera e ritrovare se stesso, la propria autentica natura, al di là della soglia, in uno specchio nascosto. Dal 1912 Modigliani si interessa a questo particolare tema delle cariatidi, oggetto di un gruppo di sculture e una decina di oli. Le Cariatidi, le celebri donne di Carie, antica città della Laconia, sostenitrici dei Persiani e fatte prigioniere dagli Ateniesi, nella storia dell’arte sono sempre poste a sostegno degli architravi e

proprio per questo la cariatide viene intesa come elemento architettonico di sostegno. La novità nelle Cariatidi di Modigliani è che non riprende i soliti modelli greci e romani, ma riscopre la statuaria etrusca e africana, in particolar modo le cariatidi egiziane, dalle quali Modigliani era molto affascinato. Le solite sculture classiche vengono sostituite da forme essenziali, ma forti, espressive, i colori non sono quelli del marmo, ma quelli della terra. E’ così che Modigliani compie la ricerca per semplificare le forme, per raggiungere la purificazione assoluta della linea del corpo umano legandola con gli schemi della figura africana. Nei “nudi” che all’epoca suscitarono grande scalpore, l’artista riprenderà gli stessi concetti, ormai padrone della sua nuovissima ancestrale innovativa arte. Un giorno di gennaio del 1920 Zborowsky trovò Amedeo malato di tubercolosi con accanto la moglie Jeanne, incinta di nove mesi. Il pittore fu ricoverato in ospedale ma la sera del 24 gennaio 1920 morì. Così l’artista che aveva fatto del desiderio di esplorare l’animo umano il centro focale del suo impegno pittorico lasciò il mondo all’età di soli 35 anni. Due giorni dopo la morte del compagno, Jeanne si gettò dal quinto piano della casa di famiglia.

MOA

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IDEE

Rompere lo specchio U

n nome, un volto, una personalità, un atteggiamento. Sono i primi pensieri che si presentano nella nostra mente quando cerchiamo delle caratteristiche da dare ad una persona per identificarla. Classificare le persone in base alla considerazione, all’affetto, alla sensazione di sintonia che proviamo verso di loro, per noi è naturale. Ognuno di noi vede nel prossimo delle qualità e dei difetti, e dopo un bilancio, dà un giudizio. Il giudizio non è necessariamente morale, semplicemente esso determinerà il tipo di rapporto che intraprenderemo con la persona giudicata. Mano a mano che entriamo in confidenza con qualcuno, disegniamo l’immagine che il nome, il volto, la personalità, e gli atteggiamenti di quella persona hanno riflesso dentro di noi. Ma se quindi l’immagine che ognuno fornisce agli altri varia di giudizio in giudizio, da persona a persona, esiste una identità unica e definita? Immaginate di essere circondati da una folla di persone che vi osservano. Trovandosi tutti in punti differenti, ognuno vi scruterà da un’angolatura differente, osservando un lato di voi che gli altri non vedono. Possiamo quindi dire che nessuno conosce la vostra vera identità, o che tutti conoscono un’identità differente. E voi? Voi avete davanti uno specchio, che però riflette solo il lato che vedete, o che avete scelto di vedere. Quanti di voi pensano di poter dare un giudizio completo di voi stessi? Non dovrebbe essere così difficile se fossimo sicuri della nostra identità. Il nostro stesso io che quotidianamente giudica gli altri, a maggior ragione dovrebbe essere in grado di giudicare noi stessi. Eppure ci capita spesso di contraddirci, di pentirci, di avere rimorsi. La persona che vorremmo essere non sempre è la persona che pensiamo di essere. Ed è esattamente per questo che spesso ci preoccupiamo del giudizio degli altri più del giudizio di noi stessi. Perché pensiamo che solo gli altri ci possano offrire quello che noi non siamo in grado di darci: l’identità. Molti scrittori hanno cercato di dare una risposta alla domanda: chi siamo veramente? Il più importante è sicuramente Luigi Pirandello che ne “Il Fu Mattia Pascal” e in “Uno, nessuno e centomila” dimostra che rispondere a questa domanda non è affatto semplice. Il protagonista del primo libro si ritrova alla fine senza

un’identità, senza sapere neanche se si può considerare vivo o meno. Nel secondo il protagonista si chiede se, dato che ognuno lo vede in modo diverso, lui ha centomila identità diverse, senza quindi essere effettivamente nessuno di preciso, se quindi lui è uno, nessuno, o centomila persone. Entrambi i romanzi finiscono con un senso di incompletezza del protagonista, che si accorge che, dietro la maschera che ogni persona quotidianamente gli fa indossare, non vi è nessuno. Trovare la propria identità è qualcosa che alcune persone cercano con impazienza, con l’ansia di potersi vedere riflessi allo specchio e poter dire: “si, quest’immagine è la mia, e non potrei mai volerne un’altra”. Sono poche le persone che ci riescono, forse non esistono. Però esistono molte persone che si sentono orgogliose delle proprie scelte. E se proprio il nostro modo di giudicare, di scegliere, di vedere il mondo e le cose, di attribuire un’identità agli altri, costituisse la nostra stessa identità? Se ognuno di noi ha un punto di vista che nessun altro possiede, forse è quel punto di vista che ci rende unici e ci distingue dagli altri. Forse non siamo il nostro nome, il nostro volto, la nostra personalità e i nostri atteggiamenti, ma siamo i nostri pensieri, i nostri dilemmi, i nostri conflitti interiori e le nostre decisioni sofferte. Penso dunque che dietro alla maschera pirandelliana ci siano infinite sfaccettature di noi stessi; ciò che ci costituisce è talmente grande che la parola “identità” è quasi riduttiva. Siamo però forse troppo occupati a recitare una parte per gli altri per accorgerci fino in fondo di quanto è ricco il nostro essere. O forse siamo così abituati a costruire maschere per chi ci circonda che lo facciamo anche per noi stessi. In effetti, spesso diamo un giudizio troppo superficiale e troppo affrettato di qualcuno, e non ci accorgiamo che così facendo finiremo per guardare anche noi stessi con superficialità. Per conoscere gli altri e noi stessi dovremmo almeno tentare di toglierci la maschera, di guardare attraverso lo specchio, di rompere lo specchio. Forse solo allora avremo risposto all’imperativo di Socrate: “γνῶθι σεαυτόν”. MARIA GUERRIERI

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La terribile soggettività del trascorrere S

iamo soliti dire la frase “tutto passa”, ma non è così vera in fondo. Il tempo si porta via molte cose con sé: la bella pelle, il corpo, la vitalità e, altre volte, la felicità; i dolori no, quelli il tempo li lascia lì, dentro di te. Rimangono lì talmente a lungo che ne diventi geloso e li custodisci come se fossero il tuo tesoro più prezioso; quei dolori sono ciò che noi, molto banalmente, chiamiamo “esperienze”. Queste esperienze si impadroniscono del nostro sapere e noi ci aggrappiamo a esse per avere un qualche motivo per sentirci

migliori. Ma perché, nonostante il tempo passi, i giorni diventino mesi ed i mesi diventino anni, continuiamo a parlare dei nostri dolori per insegnare agli altri come affrontarli? La verità è che il tempo queste cose non le porta con sé, possono solo affievolirsi; il tempo copre soltanto le nostre ferite più profonde, non le porta via. Niente passa del tutto, tanto meno ciò che ci ha feriti dentro in modo netto e deciso. Ho vissuto tutti questi anni nella speranza di un possibile domani nel quale avrei finalmente raggiunto la felicità, cosa che ancora non è successa. Ho imparato che non arriverò mai alla felicità per un semplice motivo: non so vivere i momenti. So che noi adolescenti siamo soliti avere degli ideali, e che molto spesso il mondo ci fa ribrezzo perché li distrugge, ma non è così, almeno non sempre. Immaginiamo di avere a disposizione un numero di respiri profondi limitato ogni giorno, ci viene subito l’ansia e quest’ultima ci porta inevitabilmente a fare un numero superiore di respiri. Mentre noi respiriamo così tante volte non ci rendiamo conto che i respiri sono limitati e li sprechiamo; li disperdiamo nell’aria inconsapevolmente fino al momento in cui non potremo più respirare e ci pentiremo di aver respirato tanto, ci odieremo per questo. Il tempo è qualcosa di limitato e prezioso che nessuno ci ridarà mai indietro, ognuno di noi lo vive in modo diverso ed esso cambia in relazione al momento che stiamo passando. Per capire il valore di un secondo chiedilo a chi ha appena perso un treno, un aereo; chiedi ad uno studente che cos’è un’ora in più di scuola; per capire i minuti chiedilo a due innamorati che desiderano vedersi. È soggettivo il tempo e noi siamo abituati a misurarlo in secondi, minuti, ore, settimane, mesi ed anni. So che, se stai attraversando un momento tremendo, ti sembra che la sofferenza durerà per sempre, ma fidati, non è così. Bisogna vivere il presente con tutte le emozioni che ne consegue perché, alla fine, durerà quanto tu lo farai durare e se stai male ricordati che è solo la terribile soggettività del trascorrere. SHADIA GUAGLIANO

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Che vita stai vivendo? teatro e possiamo vivere la loro stessa emozione. Possiamo imparare nozioni di ogni genere, pur rimanendo su un livello dilettantistico, nozioni che nessuno mi insegnerebbe gratuitamente. Attraverso Netflix posso essere il protagonista della serie tv o del film che sto guardando, potrebbe non sembrarvi abbastanza realistico detto così, ma effettivamente è ciò che ognuno di noi fa ed in fondo è proprio questo che rende la Realtà Digitale ancora più eccitante. Successivamente pensiamo alla quantità di contenuti che una singola piattaforma ci offre, moltiplichiamolo per svariate piattaforme, ed ecco che non distingui più la tua vita da quella che vorresti vivere o meglio, ti sembra di vivere la tua vita, ma quanto ne sei certo/a? Youtube o Netlix non sono gli unici che possono estraniarti dalla realtà: calcoliamo anche Twitch e ogni tipo di videogioco, su qualsiasi consolle, qualsiasi piattaforma, che possono diventare potenzialmente strumenti per allontanarti dalla tua stessa persona, dalla tua vita, dove tua è inteso nel senso più alto dell’espressione. Se invece sei una persona che non fa uso di questi servizi, complimenti, ma considera che alla fine anche Tik Tok o piattaforme simili, sebbene non ti fanno vivere un’altra vita, tendono a distrarti, a estraniarti dalla realtà. Sinceramente non mi stupirei se ogni persona passasse, in un futuro non troppo remoto, la sua vita immersa in un intelligenza artificiale, indipendentemente dal tempo trascorso in essa. Ma cerchiamo di riderci su, è un pò come l’ultimo lungometraggio di Steven Spielberg Ready Player One, finchè rimane un film va sempre bene no? Svariate centinaia di anni fa i più grandi scrittori che noi oggi studiamo, come Sallustio, Cicerone e Catone, criticavano la corruzione e il decadimento del mos maiorum, tra non so quanti anni è plausibile non ci sia più nulla da criticare né tantomeno da proteggere visto che ogni emozione che vivremo, ogni cosa che faremo, apparterrà potenzialmente ad un mondo fittizio, che anche se finto lo reputeremo di certo molto reale. Potremmo concludere dicendo: ti conviene accettare la tua vita, o è meglio vivere una vita estremamente più adrenalinica, termine paradossalmente riduttivo, semplicemente sdraiati sul proprio divano?

C

i siamo mai resi conto di quanto la realtà sia spesso deludente, priva di conclusione, o almeno priva di una conclusione che reputiamo valida? La realtà, tangibile, fisica, quella che percepiamo a 360° con i nostri 5 sensi, può risultare noiosa e ripetitiva a lungo termine; anche se si è il più ottimisti possibile, arrivati a un certo punto essa ci risulterà inevitabilmente limitata se confrontata a quella digitale. Già, proprio quella stessa realtà che ancora non riusciamo a definire tale, perché meno fisica, a stento percepibile, può essere sicuramente più stimolante, dinamica e adrenalinica della realtà intesa nel senso stretto del termine. Fermiamoci un’attimo a pensare: nel momento in cui non stai studiando, facendo attività fisica, o facendo qualsiasi attività che non preveda una piccola distrazione, tiri fuori dalla tasca il tuo assistente digitale, il cellulare, questo computer particolarmente compatto, che purtroppo o per fortuna ti permette di navigare, viaggiare con la mente, facendoti arrivaredove la tua stessa immaginazione non è più capace di arrivare. Con questo cellulare tu puoi vivere, anche se per poco tempo, svariate vite, enormemente distanti da quella che stai vivendo in questo stesso momento. Ti puoi catapultare ad esempio nella “realtà” di una persona famosissima che sembra faccia una vita a dir poco perfetta, magari non è così, ma è la percezione quello che conta. Attraverso svariati tipi di contenuti multimediali, specialmente quelli audiovisivi, puoi trasportarti con estrema velocità da un’esperienza fittizia a un’altra, ma, come già detto, quello che conta è la percezione, perché tu la percepisci quasi come vera. Solamente aprendo Youtube possiamo entrare in un mondo nuovo, possiamo spaziare da un video dove è presente uno campione di mountain bike, un atleta sugli sci, un corridore di formula1 o moto gp, a uno in cui assistere a un concerto o una performance di

SERGIO GOLINO

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SPORT

I

in una lotta e rimanga una semplice presa in giro: si dovrebbe sapere che si vince e si perde, e non sarà certamente un’innocua beffa a cambiare il risultato o l’umore dei giocatori. Purtroppo, la cattiva abitudine di trascendere i limiti di decenza e calma, necessari per un tifoso come per un giocatore professionista, hanno raggiunto anche il campo: non sono rare le risse o gli scontri verbali tra giocatori, gli insulti agli arbitri, i gesti antisportivi e le umiliazioni nei confronti degli avversari. Lo spettacolo ha lasciato posto a una vera e propria guerra con schieramenti che combattono senza un’apparente ragione, se non per il gusto di farlo. Un esempio piuttosto eclatante della crescita di questo atteggiamento aggressivo e poco sportivo sono le simulazioni, che negli ultimi anni, e non solo, hanno raggiunto dei livelli imbarazzanti; anche giocatori di altissimo livello come Neymar Jr, attaccante brasiliano del PSG, si distinguono per le loro “abilità” nel fingere un infortunio o un contatto falloso con l’avversario, arrivando talvolta persino a rotolarsi per terra, gridando per poi rialzarsi un attimo dopo in perfetta forma fisica. Il problema più grande è che spesso gli autori di queste messe in scena vengono definiti “furbi”, mentre sfugge la sottile differenza tra furbizia e imbroglio: infatti non si tratta di guadagnare un fallo, ma di ingannare l’arbitro e tutti i tifosi, vincendo slealmente. Nonostante questo, il calcio è uno sport veramente unico ed è per questo che si deve preservare con cura nella sua integrità e non trasformarlo in uno strumento di dispute e discordie.

l calcio è lo sport più seguito in Italia, e uno dei più seguiti al mondo; da questa popolarità è fiorito un mercato globale di miliardi di dollari, che comprende tutti i più svariati settori di questo sport, dal “calciomercato”, ossia gli scambi di giocatori, alla costruzione di strutture che possono accogliere fino a centomila tifosi. Lo spettacolo che questo sport ci regala, o forse ci regalava, sembra andare sfumando con la crescita del mercato che lo sostiene e che pare controllare ogni partita, cancellando quell’imprevedibilità che poteva mutare irrimediabilmente l’umore dei tifosi da un momento all’altro per ore; ormai chi ha più soldi compra, vince e domina, e rimangono poche le partite in cui si gioca veramente un calcio degno di questo nome. Nonostante ciò, ancora oggi, questo sport offre emozioni di ogni tipo, ed è per alcuni una sorta di religione, di culto che unisce e divide familiari, amici e conoscenti. In certi casi possono nascere delle vere e proprie devozioni verso singoli giocatori che spesso si trasformano in icone sportive, di cui un esempio è lo storico capitano giallorosso Francesco Totti. Il calcio è spesso argomento di accesi dibattiti e discussioni, ma raramente si riesce a intrattenere un sano dialogo con un tifoso avversario senza sfociare in un inutile accanimento l’uno contro l’altro, una conseguenza inevitabile dell’eccessiva aggressività caratteristica di questo sport. Infatti, spesso, i tifosi sembrano dare più importanza agli scontri, verbali e fisici, contro gli avversari che alle partite e ai risultati in sé, che vengono considerati solo dei mezzi per potersi accanire contro chiunque non condivida la loro “fede calcistica”. È assolutamente lecito, come lo è sempre stato, prendersi scherzosamente gioco di un tifoso avversario dopo la partita, fintanto che non si trasformi

AITAMI IUT

Le due facce del calcio

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Componimenti creativi


Componimenti PAROLE DI ALTRI TEMPI

ATHAZAGORAFOBIA: PAURA DI DIMENTICARE

Non sono bravo con le parole Come Leopardi, Almeno sono onesto Non come altri. Non sono un filosofo Come Platone, Almeno non sono un buffone. In poche parole, Sono me stesso In ogni momento E non me ne pento

Io non sono mai nato, non ho ancora iniziato a vivere e, proprio nell’istante in cui stavo per nascere, sono morto. Il tavolo dell’obitorio è freddo. Ma lei… lei è così calda! Completamente nuda, sopra di me. Mi stringe, mi stringe in una morsa d’acciaio. Mi tiene steso e immobile sul tavolo di marmo mentre mi passa la lingua rovente. Biforcuta. Su tutto il corpo. Mi riempie la bocca con il suo calore. Fa male. Lascia cicatrici. Lascia ustioni. Rosse. Bruciano! Contro il tavolo freddo. Prendimi, ti prego! Prendimi, feriscimi, mordimi. Il mio cervello esplode in una danza di squisito piacere e atroce dolore. Prendimi e stringimi contro il tavolo freddo. Estrai tutto il mio sangue, estrailo tutto! Ma ti prego… non farmi dimenticare. Lei brucia e taglia e marchia e ustiona la pelle grigia. Rigida e morta. Io resto immobile con occhi di vetro. La mia coscienza, immersa in un fluido primordiale, denso e soffocante, ha reciso il cordone che la legava al feto dell’Uroboro. Il mio cervello è allo scoperto, bianco e freddo. Lei mi chiama. Io non penso, non ne sono più in grado. Ho dimenticato tutto. B. DELLA GUERRA

G. PITA

L’INSEGUIMENTO Stavo camminando per la mia strada, e ad un certo punto la vedo. Lei mi guarda con un sorprendente misto di sorpresa e di soddisfazione, come se fosse stupita di incontrarmi, ma allo stesso tempo come se mi avesse atteso fino a quell’istante. Mi vuole parlare, ma io non la voglio ascoltare. Non so se le sue saranno parole dure o se saranno saggi consigli. Non voglio sentire la sua voce, non voglio neanche vederla. Piano piano indietreggio per allontanarmi. Il suo volto si irrigidisce, non riesco a capire se per la rabbia o per la paura. Per entrambe. Fa un passo avanti. Non mi lascerà andare via così facilmente. Non mi resta altra scelta se non quella di correre, di scappare. Lei mi lancia uno sguardo stupito, offeso, ma anche divertito. E mi insegue. Non so dove rifugiarmi. Non ho un luogo dove lei non mi possa raggiungere. Ho paura di lei, ho paura di quello che mi deve dire. Ma devo continuare a correre, piano piano forse si stancherà di correre prima che lo faccia io. Ma comincio a respirare a fatica e sento che sto per fermarmi. Imbocco un lungo vicolo, e temo il peggio. Lei mi raggiungerà. Ma mi volto, e lei si trova alla fine del vicolo. Vedo che si ferma, mentre si appoggia ad un muro ansimante. Ha finito di correre, ha rinunciato. Sono ferma, appoggiata al muro. Ho finito di correre. Peccato, l’avevo quasi raggiunta. MARIA GUERRIERI

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Creativi FOGLIA D’ORO

L

a lunga fila di donne si disperdeva confusa intorno i banchi della frutta e del pesce. Le vesti opulente creavano disegni colorati che si andavano a mescolare con i grandi meloni gialli, i pomodori scarlatti, i fiori di lavanda nei vasi dei fiorai, con i tetti del paese e, infine, con il nudo cielo, tinto di un accecante blu cobalto. Tutti quei fazzoletti di lino annodati tra i capelli per tenere lontano il caldo e per proteggersi dal forte sole, danzavano frenetici tra le grida in dialetto e le offerte dell’arlecchineo mercato. La frizzante brezza marina, insinuandosi tra l’odore della cannella e dello zafferano, riusciva a portare un leggero conforto al fruttivendolo e al suo amico giornalista che sedevano sullo scalino di una bottega per un momento di pausa. Era solo la prima metà della mattinata e gli occhi del giornalista erano già stati assaltati dalle più violente luci e dalle tinte più brillanti. “Questo paese lo trovo davvero affascinante, come tutta la Sicilia del resto” sibilò con un filo di voce il giornalista passandosi un panno sulla fronte coperta da perle di sudore. “E’ strano che non ti sia mai venuto a trovare prima”; poi fermò il suo sguardo su un gran palazzo, incassato tra le tondeggianti case e il cielo, preceduto da eleganti gradoni adornati di piante che si diramavano in una doppia scalinata. La facciata di un delicato rosa antico spiccava sulla salubre collina. “Che palazzo è quello?” chiese con un cenno del capo al fruttivendolo che con un occhio controllava il figlio alla cassa. “Quello è l’antico palazzo dei Crisafulli, beh, è una strana storia quella che accompagna quelle mura”. Preso un profondo respiro, diede un’ultima occhiata al figlio e rivolse i suoi occhi scuri alla collina soprastante al paese. “In quel palazzo viveva un bambino, Ruggero Crisafulli, nato debole come uno spettro eppure animato da un grande spirito. I genitori, i nobili Lucia ed Egidio Santoro Crisafulli, sapevano che le speranze per il loro bambino non potevano essere molto alte, e cercarono fin da quando era piccolissimo di animare il suo cuore di grandi sogni e leggende, dandogli un’educazione che andava molto lontana da quella che si erano immaginati per il loro unico

figlio. Più volte gli avevano raccontato, mentre egli sedeva traboccante di emozione, l’origine dell’antico nome che aveva ricevuto e con esso la responsabilità di mantenere alto il suo onore. Tra le stoffe preziose e gli abiti di velluto gli narravano la storia che era stata tramandata di generazione in generazione sul capostipite della sua antica famiglia, il quale, per le sue grandi qualità umane, era stato chiamato Crisafulli, ovvero foglia d’oro. Gli occhi del bambino si illuminavano ogni volta quando il papà, con voce soffusa e grave, illuminato dalla morbida luce delle fiaccole, raccontava le gesta del suo antico avo bizantino Giorgio Maniace e i tesori che aveva depredato quando gli arabi avevano invaso la regione. Ruggero era sempre rimasto affascinato dal mistero e dal profumo degli agrumi e dei datteri che nelle calde sere estive le serve poggiavano in grandi cesti sulla tavola. Con il passare di pochi mesi però, il bambino stava peggiorando e fu costretto a passare le giornate nelle grandi stanze adornate con arazzi e statue. La madre fece chiamare uno speziale che viveva qua, tra le vie di questo paese; aveva sentito dire che era tra i migliori della Sicilia, fornito di erbe e pietre che nessuno aveva mai visto prima. Lo speziale arrivò dunque al palazzo insieme a un carro su cui aveva messo tutti i suoi materiali per visitare il bambino e rimanere con lui per ogni evenienza. Egli in breve tempo riuscì a far stare meglio il

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Componimenti piccolo ma annunciò ai genitori che si dovevano preparare a una morte imminente del figlio. Ruggero, da quando si era riuscito ad alzare dal letto, sentiva di volere un gran bene allo speziale e rimase stupefatto dalle maioliche così ben dipinte, dalle innumerevoli spezie, dai pestelli, dalle erbe odorose e dalle pietre colorate che avevano invaso la sua stanza. Il bambino faceva innumerevoli domande all’unico nuovo viso che vedeva dopo tanto tempo e lo speziale dolcemente cedeva alle sue domande raccontandogli dei suoi numerosi viaggi, dei luoghi oscuri che aveva visto e delle persone che aveva curato. A Ruggero piacevano soprattutto le storie in cui l’uomo affermava di aver dovuto curare uomini che avevano perduto tutto il senno, perché gli era stato rubato dalle dolci ninfe che si nascondevano nelle campagne, e le storie di quando erano giunti antichi arabi portando una luna islamica sulle loro teste. I racconti di jinn dispettosi che mandavano all’aria amori di principi e principesse, le leggende siciliane sulle “truvature” e su uomini che reggevano l’isola con tutta la loro forza, trasformarono quelle stanze del palazzo in una caverna d’oro che il bambino non sentiva più tanto stretta ma al contrario vasta quanto l’intero mondo, inebriato dai segreti di luoghi lontani e dall’odore

delle spezie. Allora i sogni si mescolavano con leggende e antichi racconti, e anche per i mesi successivi queste parole gli facevano passare le notti a guardare il cielo che tesseva storie. Lo speziale capì che la morte era alle porte quando il bambino cominciò a diventare sempre più pallido e quasi trasparente. Quella speciale creatura era tuttavia ancora affamata di storie e quello che gli occhi ormai non riuscivano più a vedere lo speziale glielo faceva annusare e toccare. La stanza non solo era diventata il suo mondo, ma ora anche la sua cornice di senso, e qui veniva accompagnato dalla guida sicura delle storie del suo amico. Arrivò il giorno, e il bambino consapevole del destino che lo stava per portare in un altro luogo avvicinò lo speziale con una mano trasparente e gli sussurrò: “in un mondo in cui tutto è effimero come un breve racconto, sarebbe troppo superbo pretendere di durare per l’eternità, non me lo perdonerei”. Così tra le lacrime disperate dei genitori e dello speziale il bambino sparì nel suo lettino lasciando posto a una piccola foglia d’oro”. “Strana storia per davvero” sbuffò il giornalista, e si tuffò nel mare della piazza. MOA

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Creativi

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