Sommario
Xinjiang Foto di Riccardo Gallino
Mongolia Gli uomini renna
Xinjiang La nuova frontiera
Maldive Kandima.Le nuove Maldive
Colombia Lungo la ruta di Macondo
Cilento Terra autentica
Novembre 2017
Redazione:
Via Pisacane, 26 20129 Milano tel. +39 02.36511073 redazione@latitudeslife.com Foto di Luca Bracali
Hanno collaborato
Riccardo Gallino Anna Maspero Lucio Rossi Luca Bracali Enrico Caracciolo
Fotografi
Riccardo Gallino Anna Maspero Lucio Rossi Luca Bracali Enrico Caracciolo
Pubblicità
Info
Cilento Foto Enrico Caracciolo
n°109 Novembre 2017
Direttore Responsabile Eugenio Bersani
eugenio@latitudeslife.com
Photo Editor Lucio Rossi
lucio@latitudeslife.com
Sales Manager
Lanfranco Bonisolli
lanfranco@latitudeslife.com
Redazione
Francesca Calò
francesca@latitudeslife.com
Graphic
Arianna Provenzano
arianna@latitudeslife.com
A Pizzo sul mare
A Pizzo sul mare
TSAA Tsaatan. Gli uomini renna
TAN Mongolia
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Tsaatan. Gli uomini renna
ď Ş GLI
UOMINI
renna
Sono gli ultimi valorosi guardiani di un tempo e di questa etnia millenaria, nomade e di origine turca. Oggi se ne contano solamente 50 famiglie. I Dukha, conosciuti come Tsaatan in lingua mongola, sono il popolo della taiga o, come loro stessi amano definirsi, i cavalieri delle renne. Testo e foto di Luca Bracali www.lucabracali.it
Tsaatan. Gli uomini renna
Tsaatan. Gli uomini renna
Tsaatan. Gli uomini renna
Tsaatan. Gli uomini renna
Tsaatan. Gli uomini renna
S
iamo ai confini fra Mongolia e Siberia, in una fetta di terra remota e isola, ricoperta da migliaia di larici e abeti, in una porzione di quella che è la più grande foresta dell’emisfero boreale. Qui si vive ai confini dell’impossibile e, per farlo, si è costretti a migrare fino ad 11 volte all’anno con inverni rigidissimi, dove le temperature sono spesso di 50 gradi sotto lo zero. Gli Tsaatan sono nomadi e cacciatori ma, a differenza dei Sami della Lapponia, cavalcano e mungono le proprie renne. Le rispettano ma non le uccidono, come fanno i Nenet della Siberia, se non quando sono oramai vecchie e incapaci di brucare. Gli Tsataan addomesticano le renne e le abituano ad essere cavalcate fin da giovanissime, caricandole con un peso di 20 chili il primo anno, passando a 40 chili il secondo anno e così a 5 anni sono pronte per essere cavalcate.
Tsaatan. Gli uomini renna
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Gli Tsaatan della Mongolia si sono divisi in due gruppi, quelli della east e della west taiga, separati da un centinaio di chilometri e da infinite distese di conifere. Pur essendo vietata la caccia in tutta la Mongolia (dal 2013), anche per le popolazioni nomadi e della taiga, gli Tsaatan sono costretti a cacciare per sopravvivenza, alci e orsi sono le prede preferite che debbono cacciare di notte. In inverno lo fanno cavalcando le renne che, a differenza dei cavalli, non sprofondano nella neve. I lupi sono i peggiori nemici degli Tsaatan, l’unica ragione per cui le renne, libere di pascolare di giorno, vengono poi riprese alla sera e legate vicino al campo. La piccola Telmen di 18 mesi oggi é triste. La sua bella renna bianca si era perduta la sera prima nella foresta e non ha fatto più ritorno. È stata trovata il mattino successivo, finita, consumata, riconoscibile solamente dal suo enorme palco di corna. Aveva incontrato un branco di lupi, quelli che poi abbiamo sentito ululare la sera dopo. Ultsan è una sorta di capo villaggio, è il fratello di mezzo di tre, cresciuto solo con il padre perché la madre Gerelmaa se ne è andata quando aveva quattro anni. Sua nonna, di cui non si ricorda il nome, ma che chiama affettuosamente Buural (che in dialetto darkhad significa nonna) fu attaccata ed uccisa da un orso a 30 metri dalla sua tenda mentre gli altri uomini erano fuori per una battuta di caccia.
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Gli Tsaatan
vivono come in una
grande FAMIGLIA,
È QUESTA
LA LORO
forza.
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Tsaatan. Gli uomini renna
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Gerelmaa, che aveva 11 anni, fu testimone dell’uccisione di sua madre e da lì è cresciuta con il terrore e la paura. “Era primavera – dice Ultsan – e quel giorno, mi raccontò mia madre, gli orsi stavano uscendo dal letargo mentre le carni di renna erano state appese fuori dal teepee ad essiccare. Un orso, richiamato dall’odore, scese nel campo e vide mia nonna che tagliava le legna. Non ebbe scampo, l’attaccò uccidendola, ma senza mangiarla. Mia mamma testimoniò la scena, terrorizzata ma in silenzio, nascosta dietro alla tenda, perché se avesse gridato, l’orso avrebbe ucciso anche lei”. Molte sono le somiglianze di questo popolo dell’Asia centrale con gli indiani di America:
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i teepee in primo luogo (che in lingua mongola sono chiamati Ortz) ed il fatto di avere il fuoco al loro interno. Ma anche lo sciamanesimo come pratica religiosa. Hanno una adorazione molto vicina alla natura di cui venerano i quattro elementi incluso il vento, credendo che lo spirito dei propri antenati aleggi nella foresta un po’ come gli animali, e che li guidi nella vita. Zaya si è laureata a Shangai in relazioni internazionali dopo aver trascorso con la propria famiglia 9 anni negli Stati Uniti, in Colorado. Un giorno, dopo aver passato quasi un anno nella taiga con gli Tsaatan per conto di una associazione non governativa, ha deciso di lasciare la sua famiglia e di unirsi a loro. A loro come popolo e ad Ultsan come uomo.
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I Dhuka non si fidanzano, ma si sposano. La scelta della persona con la quale condividere la propria vita è una e soltanto una. E dura per sempre. Gli Tsaatan vivono come in una grande famiglia, è questa la loro forza: la loro grande unità e la condivisione di affetti e di beni materiali, il cibo soprattutto. Ma se insorgono problemi familiari o di natura personale ci si rivolge allo sciamano. “Lo sciamano è un medico dell’anima e non del corpo – spiega proprio Zaya – cerchi il loro aiuto e ti affidi ai loro consigli quando hai incubi o malesseri che ti opprimono”. Fra le 20 famiglie e le 600 renne della east taiga ci sono solo due sciamani, una donna ed un uomo. Saintsetseg (che vuole dire fiore buono) ha 52 anni ed è la zia di Ultsan. Gli sciamani adoperano i loro poteri di guaritori, richiamando a se gli spiriti, solamente il settimo ed il nono giorno della luna piena. Saintsetseg ci ha suonato l’arpa a bocca, un suono dolce e melodioso, un modo per tenere in pace gli spiriti che aleggiano dentro il teepee e che solitamente stanno in un sacco bianco appeso alla parete. Il capo sciamano del villaggio invece si chiama Ganbat, ha 58 anni ed è il più anziano uomo della tribù. Anche lui è un parente stretto di Ultsan, è suo zio acquisito, e racconta che la cosa più importante che uno sciamano deve tenere in considerazione è la data del calendario lunare, ovvero quando è possibile incontrare gli spiriti.
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G A L L E R Y
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Il suo maestro sciamano gli ha insegnato che, per guarire una persona che chiede aiuto, occorre cercare di capire quando gli spiriti entrano nel suo calendario lunare, perché altrimenti, invece di guarirle l’anima, la si ferisce ancora di più. A luglio ed agosto nella taiga è stagione delle piogge e spesso i temporali portano violenti fulmini che si scagliano contro gli alberi provocando incendi. Anche le stesse renne corrono dei rischi e possono venire uccise dai fulmini. È proprio questo, oltre alla minaccia costante dei lupi, uno dei problemi più frequenti da fronteggiare. Le donne quando mungono le renne, per evitare problemi di energia statica, si coprono i capelli.
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E, secondo le loro antiche credenze, è proprio la natura che si ribella perchÊ è nel periodo estivo che i contadini raccolgono il fieno estirpandolo dalla terra, violentandola in qualche maniera. Ma purtroppo qualcosa sta cambiando anche nella taiga, il vicino villaggio di Tsagan Nuur, realizzato dal governo mongolo per dare un minimo di sostegno logistico alle popolazioni della taiga, a un’ora di auto dal campo invernale ed 8 ore di cavallo da quello estivo, sta cambiando radicalmente le cose. Sulle rive del lago, in questo piccolo e remoto villaggio di 600 famiglie stanziali, ci sono le case in legno, un piccolo centro di accoglienza medica, un ristorante ed anche una scuola.
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Le donne quando
mungono le renne,
per EVITARE PROBLEMI DI ENERGIA STATICA, SI COPRONO i capelli.
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E cosÏ, tutte le famiglie della taiga che hanno figli lasciano il proprio accampamento a settembre per farvi ritorno a giugno. Sono oramai in pochi a vivere la taiga tutto l’anno, a restare nei campi invernali e primaverili, a partecipare alle battute di caccia. Ultasan e Zaya sono fra questi,
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ma il loro desiderio è quello di avere presto un figlio. Il dialetto darkhad è destinato a scomparire e con esso la storia millenaria di una grande etnia, gli Tsaatan, o Dhuka, il popolo della taiga. I cavalieri delle renne. Testo e foto di Luca Bracali © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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ES U TIT
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Mongolia
Informazioni: Quello proposto nelle pagine di questo reportage è un viaggio molto complicato. Si possono cercare informazioni sul Sito ufficiale del turismo in Mongolia.
Come arrivare: Diverse compagnie aeree collegalo l’Italia con la Mongolia. Tra queste la Turkish Airlines, Air China e Alitalia. Tutti i voli prevedono uno scalo, generalmente a Istanbul, o a Pechino. Da qui si prosegue con un volo domestico per la città di Moron. Da qui, per raggiungere l’area dove vivono queste popolazioni si possono impiegare diverse ora di fuoristrada e la parte finale è a cavallo con un percorso di molte ore, a seconda del campo che si intende raggiungere.
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Quando andare: La stagione migliore per un viaggio nella regione della Provincia del Hôvsgôl, Mongolia settentrionale, dove vive questa popolazione, è l’estate, i mesi che vanno da giugno ad agosto. D’inverno le temperature scendono molto al di sotto dello zero e sono frequenti le tempeste di neve. Dove dormire e mangiare: Si dorme e si mangia nei teepee delle popolazioni Tsaatan.
Documenti: Passaporto in corso di validità per almeno 6 mesi. Visto: E’ necessario recarsi all’Ambasciata o al Consolato di Mongolia per ottenere un visto per il Paese. Di massimo 30 giorni.
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Fuso orario: + 7/8 ore, a seconda della zona, rispetto all’Italia.
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Lingua: Mongolo.
Valuta: Tughrik. Un euro equivale a circa 2,3 tughrik. Elettricità: 230V 50Hz Presa elettrica tipo E/C.
Telefono: Dall’Italia bisogna comporre il prefisso +976.
Vaccini: Non necessari anche se consigliati quelli per l’epatite A e B. Link utili: Sito ufficiale del turismo in Mongolia
Siamo in Cina ma sembra di stare altrove. Come in quasi tutti i distretti che cingono il perimetro esterno della sconfinata nazione. Capita anche in Xinjiang: la “nuova frontiera” è una babele di dialetti turcofoni, un crocevia di passaggi, transiti e migrazioni che ne solcano il confine. Testo e foto di Riccardo Gallino
Cina
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Xinjiang
LA NUOVA FRONTIERA
Il fulcro della regione rimane la famosa Kashgar, importante epicentro commerciale descritto anche da Marco Polo.
La nuova frontiera
XINJIANG D
islocata a ridosso delle ex repubbliche sovietiche Kirghizistan, Kazakistan e
Tagikistan, come pure confinante con Mongolia e Pakistan, India e Afghanistan, Xinjiang è stata una regione di cruciale importanza nei millenni. Crocevia per i traffici attraverso la via della seta, nel secolo scorso al centro di intrecci geopolitici nel “grande gioco” tra Inghilterra e Russia, oggi snodo commerciale di rinata vitalità lungo cui transitano le mercanzie in uscita prodotte in Cina. Così attraverso i valichi di frontiera non passa giornata senza che si formino file interminabili di camion tanto carichi in uscita, quanto vuoti in entrata. I biblici finiscono accodati a causa dei controlli doganali ma anche dei numerosissimi checkpoint, che sono forse il tratto tristemente caratteristico di questa regione, rimanendo scolpiti nella mente dei visitatori occidentali molto di più delle ricchezze paesaggistiche o artistiche. Una regione che è da sempre orgogliosamente indipendentista con
i suoi 50 gruppi etnici diversi, frutto di innumerevoli migrazioni tra i vari confini nel corso della storia. Così se gli uffici pubblici ragionano secondo il fuso orario di Pechino i locali, che tutto si sentono tranne che cinesi, si ostinano a tenere l’orologio allineato con il fuso del Kirghizistan, due ore più indietro, e a parlare il cinese solo per necessità, preferendo la costellazione dei diversi dialetti di derivazione turcofona per la vita quotidiana. Parallelamente alle scritte in cinese si trovano caratteri arabi, alle pagode qui si preferiscono le moschee e nei ristoranti si trovano noodles ma anche kebab.Il fulcro della regione rimane la famosa Kashgar, importante epicentro commerciale descritto anche da Marco Polo, posta come altre oasi ai confini del Takla Makan, reputato uno dei deserti più insidiosi del globo che costringeva le carovane ad effettuare tortuose deviazioni, sfidando passi montani o attacchi di predoni pur di non avventurarsi all’interno patendo fame, sete e violente tempeste di sabbia.
La nuova frontiera
XINJIANG Il governo centrale di Pechino ha deciso di potenziare le
infrastrutture di questa cittĂ di frontiera dal 2010, eliminando
le vecchie costruzioni in fango e cannette per fare spazio a una
nuova realtà moderna, circondata da una periferia costellata d impianti industriali al servizio dell’edilizia e dello sfruttament
delle risorse naturali: oltre ad essere lambita da scenografiche catene montuose, l’ultima frontiera giace proprio sopra alla
seconda riserva petrolifera cinese. A lato delle imponenti stra
che la collegano con le repubbliche ex sovietiche come al Pakis
si dipanano mastodontici alberghi, centri commerciali o intere cittĂ
o
satellite destinate a terziario o residenza, talvolta con la maggior
a
parte degli edifici completamente vuoti. La prioritĂ del governo
di
di Pechino pare essere la stabilizzazione della regione eliminando
o
il potenziale pericolo dei gruppi terroristici indipendentisti
e
uiguri, cosÏ si può permettere di costruire ex novo mastodontiche
ade
stan,
strutture residenziali e popolarne massicciamente solo le caserme della polizia, presenti ogni centinaio di metri e coadiuvate nella sorveglianza da costellazioni di telecamere di sicurezza.
A lato delle imponenti strade che la collegano con le repubbliche ex sovietiche come al Pakistan, si dipanano mastodontici alberghi, centri commerciali o intere cittĂ satellite.
La nuova frontiera
FOTO GALLERY
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La nuova frontiera
XINJIANG
A fianco dei grattacieli il centro storico della città è stato ristrutturato facendo perdere molto del suo appeal antico, ma permettendo nel contempo ai locali di vivere in strutture più dignitose con acqua corrente, luce elettrica e migliori condizioni igieniche. Per chi volesse rivivere ancora il fascino dei tempi che furono, lontani ma non lontanissimi, a poca distanza dal grande mercato coperto è ancora presente un quartiere di case fatiscenti, lasciate a testimoniare quale grande opera di miglioramento urbanistico sia stata effettuata in tempi così brevi. Lungo le strade spaziose non mancano sciami di motorini elettrici, come pure un caotico traffico dato da macchine di grande cilindrata: i suv la fanno da padrone e si schierano scintillanti davanti ai locali della movida notturna frequentati dalla ricca borghesia cinese, dove per guadagnare l’ingresso bisogna superare il controllo del PR ma anche del poliziotto con il suo fido metal detector. E i metal detector si trovano ovunque: all’ingresso di ristoranti lussuosi come di modesti negozi di frutta e verdura, suscitando nei turisti occidentali una curiosita’ che alla lunga diventa disappunto.
In estate popolano le campagne circostanti, preferendo la classica vita nomade fatta di yurte e cavalli.
La nuova frontiera
XINJIANG
I mezzi di trasporto delle carovane del passato si possono ritrovare ancora nel grande mercato del bestiame della domenica, popolato da cammelli, asini, pecore o yak ferventemente contrattati dai mercanti di ogni etnia, in un guazzabuglio di rumori ed odori che non sono mutati nel tempo. Come altri testimoni della storia dello Xinjiang li si trova nelle vallate lungo la Karakorum highway, costellata di imponenti paesaggi montuosi fino a Tashkurgan, cittadina di frontiera popolata da pastori tagiki che qui risiedono durante l’inverno. In estate popolano le campagne circostanti, preferendo la classica vita nomade fatta di yurte e cavalli, vivendo ancora secondo i ritmi dettati piÚ dalla natura che dall’orologio : per loro il districarsi con il fuso orario di Pechino non è poi un grande problema.
T E S TO E F OTO D I : R I C C A R D O G A L L I N O
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La nuova frontiera
Cina - Xinjiang
Come arrivare: Da Pechino, con voli interni. Via terra due accessi di frontiera con Kirghizistan : passo Torugart e passo Irkishtam. La frontiera con il Tajikistan e’ aperta al solo traffico commerciale, quella con il Pakistan richiede permesso speciale.
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Quando andare: Clima: temperature da -15 in gennaio a +40 in agosto
Dove dormire e mangiare: Numerose sistemazioni , da ristoranti e B&B modesti ad alberghi lussuosi. Fuso orario: +6 orario ufficiale di Pechino per uffici pubblici ed esercizi commerciali.
Documenti: Passaporto con validita’ di almeno 6 mesi e visto consolare per la Cina. Vaccini: Non necessari. %&x
Lingua: Cinese, uiguro.
Religione: Maggioranza musulmana. Valuta: Yuan cinese.
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La nuova frontiera
ElettricitĂ : 220v, prese cinesi e europee. Telefono: +998.
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Abbigliamento: Capo e spalle coperte per le donne in edifici religiosi.
Kandima. Le nuove Maldive
Sono le Maldive cool, ad alto tasso hi-tech, che piacciono soprattutto ai giovani. Il Kandima Maldives, sull’atollo di Dhaal, è un resort dal temperamento green che coniuga perfettamente relax e divertimento, senza rinunciare al confort. Testo e foto di Lucio Rossi
Kandima. Le nuove Maldive
MALDIVE
KANDIMA LE NUOVE
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Maldive
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MALDIVE Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
MALDIVE Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
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e Maldive sono un paradiso esotico e questo è noto a tutti. Ma esiste qualcosa di diverso nel panorama maldiviano? Certamente. Coordinate più precise? Kandima Maldives, atollo di Dhaalu, a 30 minuti di volo dall’aeroporto di Malè. Un’esperienza di lifestyle completamente nuova che consente di fuggire dalle abitudini ormai consolidate, dove dimenticare la realtà quotidiana e vivere una vacanza intelligente, vivace e responsabile che va al di là del solito e quasi scontato soggiorno in questo arcipelago composto da oltre mille isole, che spuntano come coriandoli bianchi e verdi dalle acque limpide dell’Oceano Indiano.
Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
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Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
Le Maldive sono un’icona dei mari tropicali, un eden dove nuotare tra delfini, mante e tartarughe. Meta ideale per chi, quando sceglie la destinazione della vacanza, mette al primo posto relax, mare e fondali stupendi. Bastano maschera e boccaglio per godere di uno spettacolo senza pari e fare incontri silenziosi e straordinari. Qui vivono oltre un migliaio di specie di pesci, 5mila molluschi e più di 200 varietà di coralli. Se il trend dei viaggi, negli ultimissimi anni, è di tornare alla semplicità, alle vacanze eco-friendly, gli atolli remoti delle Maldive nascondono ancora un lato vergine, autentico, dove si possono
Kandima. Le nuove Maldive
dimenticare scarpe e abbigliamento modaiolo. Paradisi dove la mano dell’uomo non ha danneggiato troppo l’ambiente circostante, dove non mancano resort ecochic costruiti in materiali naturali, soprattutto nel rispetto della natura. Quindi nulla di meglio di un soggiorno a Kandima che si affaccia sulla spiaggia più lunga delle Maldive, circondato da una laguna che gode dell’acqua più azzurra che si possa immaginare. Il Resort si sviluppa su un’isola lunga circa 3 km e, più che una semplice vacanza al mare, rappresenta un’esperienza di totale relax e spensieratezza per gli adulti oltre ad offrire un’infinità di divertimenti per i bambini (neanche a dirlo, il più grande e innovativo Kids Club del Paese si trova proprio qui).
Kandima. Le nuove Maldive
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Kandima. Le nuove Maldive
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Ovviamente senza trascurare la possibilità di praticare sport acquatici, attività che diventano sensazionali in un ambiente sicuro e protetto che gode di un’eterna estate e con il sole tutto l’anno. Kandima Maldives è quindi il luogo da scoprire per chi è alla ricerca di qualcosa fuori dall’ordinario ma con qualità, innovazione e vivacità. L’obiettivo è quello di soddisfare le aspettative degli ospiti, rendendo ogni soggiorno unico, piacevole e indimenticabile, fatto di emozioni, sensazioni di relax, di ispirazione ma soprattutto di felicità. Cosa rende diversa una vacanza a Kandima Maldives? Il Lifestyle Resort è indicato per ospiti di tutte le età; famiglie, coppie, gruppi di amici e viaggi di nozze. Se si è alla ricerca di relax, avventura, benessere, sport o semplicemente dedicarsi alla famiglia, Kandima Maldives è la risposta perché offre un’ospitalità spontanea, semplice, con soluzioni intelligenti, senza tralasciare uno spirito giocoso e vivace. Qui si possono esplorare mondi del tutto affascinanti attraverso attività marine e immersioni subacquee organizzate dal Diving School & Marine Centre; o attività dinamiche ed entusiasmanti presso il Watersports Centre, dove un team di esperti guida gli ospiti alla pratica del windsurf, del SUP (stand up paddle, la tavola da surf a remi), del surf, o in catamarano.
Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
Kandima. Le nuove Maldive
Chi sogna solo il relax può sdraiarsi in terrazza di uno Studio (la soluzione più economica) o sulla spiaggia, magari in una delle Beach Villas, e ammirare il panorama, oppure partecipare ai corsi di yoga e meditazione e per i golosi c’è una cucina che soddisfa tutti i palati, con ben dieci ristoranti con servizio a buffet o a la carte per una straordinaria offerta gastronomica. Ultima tra le novità è l’apertura del Sea Dragon, il più grande ristorante cinese delle Maldive. Diretto dal nuovo Executive Chef Leng Jun, che ha ideato per Kandima un innovativo menu Dim Sum, al Sea Dragon si assapora la cucina cinese bene come in Cina e poi si affaccia direttamente
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sull’oceano, con arredamento in stile con un tocco di design e caratterizzato da un sistema di illuminazione che non lascerà indifferenti. Anche il concept è innovativo. Il design è frutto della creatività dello studio australiano Drew Heath Architects che ha dato un tocco di vanità al classico stile dei resort maldiviani, colori accesi, luci cangianti, musica e dj set stile Ibiza. Tutto è impostato sulle nuove mode e costumi delle generazioni contemporanee. È la location perfetta per fare foto da condividere sui social e, quindi, la destinazione indicata anche per un pubblico giovane, qualcosa di decisamente nuovo nel panorama maldiviano.
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Last but not least, in questo resort viene utilizzata una tecnologia innovativa che consente di dimenticare portafogli e carte di credito. Ogni ospite infatti è dotato di un braccialetto che permette un’ esperienza di soggiorno ancora più flessibile, in una condizione di totale libertà per tutto il soggiorno in quest’angolo di paradiso. Si perdono le chiavi della camera? Sappiamo quanto irritante sia cercarle nelle borse da spiaggia tra boccaglio e occhiali da sole … a Kandima questo cruccio è stato cancellato. La struttura adotta, infatti, la stessa tecnologia di tracciamento dei bagagli in aeroporto, cioè la Rfid (Radio frequency identification) e fa indossare agli ospiti dei braccialetti in silicone colorato, che aprono la porta di suite e ville al semplice tocco. E non solo, allo stesso modo si pagano gli acquisiti in tutto il resort e si prenotano i trattamenti alla Spa. Kandima Maldive sta prestando molta attenzione all’efficienza gestionale in un senso più ampio: grazie alla tecnologia consentirà di ridurre le emissioni di carbonio in tutte le Maldive. Come? Tutti i residui di acqua vengono riciclati e utilizzati per l’irrigazione, il cibo diventa compostaggio e anche il vetro viene riciclato.
Kandima. Le nuove Maldive
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TO R N A I N D I E T R O
Kandima. Le nuove Maldive
Ma non è tutto! Ogni package viene confezionato in modo sostenibile per l’ambiente, la struttura risparmia energia attraverso i controlli intelligenti delle risorse in camera, rilevando quando l’ospite la occupa.
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Infine, Kandima riduce drasticamente la carta mostrando i menu su tablet e app interattive. Mandima Maldives e proprio #AnythingButOrdinary. Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
Kandima. Le nuove Maldive
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Kandima. Le nuove Maldive
Canada Maldive
Informazioni: Kandima Maldives.
Come arrivare: Si vola da Milano Malpensa e Roma Fiumicino alla capitale Malè con Qatar Airways via Doha o con Turkish Airlines via Istanbul. Dall’Ibrahim Nasir International Airport di Malè ci si sposta al terminal dei voli domestici in attesa del volo interno (dura 30 minuti ed è operato dalla compagnia Maldivian) per l’aeroporto di Dhaalu Atoll, da qui ancora un transfer di 20 minuti con una barca veloce per Kandima.
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Quando andare: Clima: la stagione migliore per una vacanza alle Maldive è tra dicembre e aprile. Questa è però l’alta stagione, quindi gli alberghi sono pieni e prezzi sono più alti. Tra maggio e novembre, invece, i prezzi sono più bassi e i turisti sono meno ma può essere nuvoloso e ogni tanto piove. I due mesi intermedi, cioè novembre e aprile, sono caratterizzati da maggior trasparenza dell’acqua e migliore visibilità.
Fuso orario: Quattro ore avanti con l’ora solare, tre quando è in vigore l’ora legale.
Documenti: Per entrare nella Repubblica delle Maldive non è necessario alcun visto, è sufficiente essere in possesso di un biglietto di andata e ritorno. Il visto turistico di trenta giorni è concesso direttamente in aeroporto al momento dell’ingresso nel Paese. Vaccini: Nessuno obbligatorio.
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Kandima. Le nuove Maldive
Lingua: La lingua ufficiale è il dhivehi. Ma nei resort la lingua ufficiale è l’inglese. Ovviamente per compiacere gli ospiti si parlano tedesco, russo, francese e a volte anche l’italiano.
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Religione: Musulmana sunnita.
Valuta: Rufiya (Rf); 1 Euro al cambio attuale equivale a circa 17,64 Maldive Rufiya. Tuttavia tutti i conti si pagano in Dollari americani e in Euro. Elettricità: Il sistema elettrico funziona a 230-240 Volt. Consigliato un adattatore universale se avete molti apparecchi da ricaricare. Telefono: Il prefisso per chiamare le Maldive dall’Italia è 00960. Le comunicazioni dei cellulari sono assicurate dagli operatori Dhiraagu o WMOBILE con standard GSM 900/1800 o 3G.
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Abbigliamento: Come nella maggior parte dei resort maldiviani anche a Kandima in fatto di abbigliamento si parla di ‘Casual dress code’ - quindi non è richiesto alcun abbigliamento particolare a parte quello suggerito dal buon senso di chi viaggia ai tropici. Da ricordare solamente di non presentarsi in costume da bagno al ristorante. Va ricordato che nudismo e topless sono vietati e sono considerati un’offesa per i costumi locali.
Lungo la ruta di Macondo
LUNGO LA RUTA DI
M ACOND O In Colombia, disegnando un viaggio geografico e letterario capace di aprire una finestra sulla storia e sul presente, sui luoghi e sull’anima profonda di questo Paese. Il percorso si snoda nella regione della Costa, quella del basso RĂo Magdalena che dalle spiagge caraibiche di Cartagena de Indias, Barranquilla e Santa Marta, si estende per centinaia di chilometri all’interno. Testo e foto di Anna Maspero
C O LO M B I A Lungo la ruta di Macondo
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e leggere è un modo di viaggiare, posso affermare che il mio viaggio nel paese delle mariposas amarillas iniziò a prendere forma molto tempo fa,stregata dalla lettura di Cent’anni di Solitudine. A cinquant’anni esatti della pubblicazione nel 1967 del capolavoroche valse a Gabriel GarcíaMárquez il Nobel per la Letteratura, sono finalmente partita perla Colombia sulla Ruta de Macondo. Qui indios, africani, ispanici e immigrati dall’Europa e dall’Oriente incrociandosi hanno dato origine ai costeños, gente dal carattere aperto e allegro, non scevro da unpizzico di follia. Questa è la terra dove Márquez ha trovato la materia prima per i suoi romanzi, mescolando leggende e accadimenti, fantasia e storie vere e dando forma a quel genere letterario chiamato realismo magico. Il mio viaggio inizia a Santa Marta, la città coloniale più antica del Sud America, affacciata sulla costa caraibica e con alle spalle il massiccio innevato della Sierra Nevada.
Lungo la ruta di Macondo
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Mi accompagna Il Generale nel suo Labirinto, uno dei romanzi meno noti di Márquez, che racconta gli ultimi mesi di Simón Bolívar, l’eroe dell’indipendenza sudamericana che qui morì nel 1830, deluso, solo e prigioniero del labirinto dei suoi ricordi. Nella splendida Casa de la Aduana, insieme al curatissimo Museo de Oro, vi è una sala dedicata ai trionfi, alle sconfitte e agli amori del Libertador, che qui fu vegliato dopo la sua morte. A pochi chilometri dal centro nella Quinta de San Pedro Alexandrino Bolívar consumò i suoi ultimi giorni. È un’antica hacienda azucarera in un giardino botanico con alberi centenari, uccelli, grosse iguane e un lungo
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dipinto murale che racconta la vita del più grande dei figli del Sudamerica. All’interno un Museo Bolivariano con quadri, mobili d’epoca e il suo letto di morte. Proseguo costeggiando la Ciénaga Grande, un’immensa palude il cui fragile ecosistema è stato distrutto dalla costruzione della strada costiera sopraelevata. È questa la regione dove negli anni ‘20 si stabilì la United Fruit, l’impresa americana incaricata dello sfruttamento e dell’esportazione delle banane e qui nel paesino di Ciénaganel1928avvenne il massacro dei lavoratori della compañia bananera, avvenimento su cui pochissimo era stato scritto finché Màrquez non ne fece uno degli episodi più significativi di Cent’anni di Solitudine.
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Dopo un paio d’ore di strada fra piantagionie palme da olio, l’autobus si ferma proprio davanti a un cartello con scritto “Macondo”, il nome con cui tutti conoscono la cittadina, anche se sulle mappe è scritto Aracataca. Scendo e respiro a fatica, non so se per la commozione o per l’ondata di aria calda e soffocanteche m’investe. Sono nella Macondo di Cent’anni di Solitudine, il villaggio “di venti case di argilla e di canna selvatica”. Qui Márquez nacque e visse fino all’età di otto anni ascoltando i racconti della nonna e da qui trasse quell’enorme bagaglio fantastico che gli permise di
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scrivere il suo capolavoro. Macondo“non è un luogo, ma uno stato d’animo che permette a ciascuno di vedere ciò che vuole e come vuole”, e io lo vedo con gli occhi di una lettrice devota. La casa natale di Gabito è stata fedelmente ricostruita e trasformata in un piccolo museo pienocitazioni dai suoi libri. Intorno gli altri luoghi descritti nel suo romanzo: la Iglesia de San José, la Oficina del Telegrafista dove nacque l’amore contrastato fra i suoi genitori, La Estación del Ferrocarril con il treno simbolo di quel progresso portatore di benessere e di sventure, il quartiere dove aveva sede la compañia bananera e il Camellón de los Almendros…
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Il mio pellegrinaggio continua per altri 250 km verso l’interno fino alla remota cittadina coloniale di Santa Cruz de Mompox, su un braccio minore del Río Magdalena, il fiume che Márquez studente universitario percorreva a bordo dei lenti battelli a vapore per raggiungere la fredda e lontana Bogotà o per ritornare nella luce del suo Caribe. Qui Bolívar sostò per otto volte nelle sue campagne militari, Gabo nemmeno una. Eppure è forse il luogo in assoluto più “macondiano”, una sorta immaginario architettonico fermo nel tempo dove “la vita confina con l’eternità”, come è scritto all’ingresso del cimitero. Nei suoi laboratori abili orefici perpetuano l’antica tradizione della filigrana e creano dei pesciolini proprio come Aureliano Buendía. E certo non è un caso che proprio qui Francesco Rosi abbia girato molte delle scene della versione cinematografica di Cronaca di una Morte Annunciata. La mia ruta sulle orme di Márquez termina a Cartagena de Indias, per Márquez, e non solo per lui, la città più bella del mondo. Qui costruì la sua casa rivolta verso il Mar de Caraibi, qui amava tornare e qui nel Chiostro dell’Università nel 2016 sono state tumulate le sue ceneri. Fuori dalle mura la città è cresciuta con uno skyline che ricorda Miami, ma dentro tutto è intatto, “non era accaduto nulla in quattro secoli, salvo l’invecchiare a poco a poco fra allori marciti”. Mi perdo nei suoi vicoli fra le case coloniali, respirandone i profumi e assaporandone con calma le atmosfere alla scoperta degli angoli cari allo scrittore.
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Mi lascio guidare come da una bussola dalle pagine di due suoi romanzi ambientati a Cartagena: Dell’amore e di altri demoni, la storia di una marchesina allevata dagli schiavi sullo sfondo di Cartagena nel periodo dell’Inquisizione, e il bellissimo L’amore ai tempi del colera, la storia di Florentino Ariza che deve aspettare “51 anni 9 mesi e 4 giorni” prima dipoter nuovamente dichiarare il suo amore, finalmente corrisposto, a Fermina Daza. Per non perdere proprio nessun dettaglio mi affido anche all’audioguida La Cartagena de Gabo studiata in collaborazione con il “fratello numero otto”, Jaime García Márquez, persona squisita che mi accoglie alla Fundación
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Nuevo Periodismo Iberoamericano, l’istituto a favore del giornalismo fondato da Márquez, raccontandomi storie e aneddoti di famiglia. Dal Café del Mar sulle antiche muraguardoil sole immergersi nelle acque scure dell’oceano emi lascio invadere da una dolce nostalgia per questo viaggio che finisce. Le immagini dei luoghi e quelle dei libri si sovrappongono nel ricordo e anch’io non so più dove finisca la realtà e inizino fantasia e finzione letteraria. Di una cosa sono però certa, quel mondo che pensavo essere frutto dell’immaginazione di uno scrittore, non è che la normale quotidianità di un luogo speciale come la Colombia, un Paese dove Macondo esiste davvero. Testo e foto di Anna Maspero © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Colombia
Informazioni: Sul sito dell’Ente del Turismo colombiano.
Come arrivare: Per visitare la zona afro-caribeña colombiana si può volare con Avianca su Bogotà dalle principali città italiane con uno scalo intermedio, e da lì su Santa Marta o Cartagena.
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Quando andare: Il clima è caldo umido senza grandi variazioni nell’arco dell’anno. I mesi più adatti sono dicembre - gennaio che però è anche l’alta stagione per i colombiani.
Dove dormire: Ottime infrastrutture e servizi nelle città, soprattutto a Mompox; dove molte case antiche sono diventate guest house o hotel di charme, come il Boutique Hotel Bioma; e a Cartagena, qui l’hotel più adatto per questo viaggio è sicuramente l’Hotel Kartaxa, un hotel letterario pieno di libri, foto e ricordi di intellettuali e che hanno fatto grande la città. Dove mangiare: Ottimo pesce accompagnato da riso al cocco. A Cartagena il piatto tradizionale è la posta negra a base di carne di manzo in agrodolce. Enorme è la varietà di succhi naturali, basi per ottimi cocktail. Ad Aracataca il semplice Patio Magico De Gabo & Leo è pieno di ricordi di Marquéz e di un altro figlio illustre di Aracataca, il grande fotografo Leo Matiz. A Mompox consigliato il Fuerte San Anselmo. A Cartagena c’è solo l’imbarazzo della scelta.
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Viaggio organizzato: Diversi i T.O organizzano viaggi in Colombia. Il programma “Sognando Macondo” è organizzato da Kel 12.
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Fuso orario: La differenza di orario è di -6 ore rispetto all’Italia, -7 ore quando in Italia è in vigore l’ora legale. Documenti: Passaporto con validità residua di almeno sei mesi per soggiorni inferiori ai 90 giorni e biglietto aereo. Vaccini: Non è obbligatoria alcuna vaccinazione.
Valuta: Peso colombiano (COP); la moneta estera maggiormente diffusa è il dollaro USA. Elettricità: 110 Volts con prese di tipo americano. %&x
Lingua: Spagnolo.
Religione: Cattolica con diverse sette protestanti.
Telefono: Prefisso 0057. Ovunque diffuso internet e wi-fi gratuito.
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Abbigliamento: Per questo itinerario vestiti leggeri, ma anche un ombrello in caso di qualche scroscio di pioggia.
Shopping: Le coloratissime borse indigene in cotone e fibre naturali e poi amache e terracotte.
Suggerimenti: Letture consigliate naturalmente i libri di Gabriel García Márquez. I più adatti sono Cent’anni di solitudine e la sua autobiografia Vivere per raccontarla e poi gli altri citati: Il generale nel suo labirinto, L’amore ai tempi del colera, Dell’amore e di altri demoni, Cronaca di una morte annunciata. Splendido il libro Fotografico di Fausto Giaccone Macondo di Postcart. Per gli appassionati di Márquez ci sono altre possibili tappe della ruta. Verso est Riohacha dove si trova la casa in cui Gabo fu concepito, un’abitazione privata con una lapide sul muro esterno a ricordare il fatto, d’altronde anch’esso piuttosto privato. Verso l’interno del Paese si può visitare Sucre dove visse con la famiglia prima di trasferirsi a Cartagena e Valledupar, importante per l’invenzione di Macondo. Infine San Basilio de Palenque, non lontano da Cartagena è stato il primo villaggio libero degli schiavi africani. Eventi: Carnevale di Barranquilla, il secondo più famoso in America Latina dopo quello di Rio de Janeiro.
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Cilento
Terra autentica LAT 40,18 N
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TERRA T N I E C T A U A
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Lontano dalle solite rotte si incontra il Cilento piĂš vero. Un territorio schivo e riservato, protetto dagli Alburni, preserva tradizioni e bellezze paesaggistiche che ancora oggi sono miracolosamente intatte. Testo e foto di Enrico Caracciolo www.viatoribus.com/it
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quasi buio quando arriviamo a Castelcivita. Un cielo plumbeo lacrima gocce di autunno sulla strada che sembra volersi perdere nella valle del Calore. Le speranze di arrivare a destinazione con un po’ di luce si sgonfiano come la mia ruota posteriore che si buca su un sasso tagliente. Gli ultimi chilometri nel buio ci regalano il silenzio crepuscolare che solo il Cilento può regalare: l’esperienza dell’oscurità ci priva di grandi vedute, ma gli altri sensi percepiscono l’anima cilentana che può sintetizzarsi nella sensazione di viaggiare in un piccolo grande mondo accompagnati dai segreti di madre natura e dallo sguardo di uomini e donne che custodiscono una gentilezza antica.
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Il viaggio inizia nella pianura delle bufale, a Capaccio Scalo, dopo una serata immobile come i templi di Paestum. La pianura è l’illusione di pochi chilometri perché, quasi subito, inizia la cantilena scandita dai tornanti che ingentiliscono la forza di gravità salendo in direzione di Roccadàspide. Il cielo è solo sfiorato perché dopo poco si scende con decisione verso il fondovalle del Calore. Al ponte di Castelcivita, si varca la porta del Cilento silenzioso, schivo, protetto dalle pareti lucenti e severe degli Alburni. Luigi Scorzelli, giovane agricoltore,
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ci aspetta a Controne per raccontarci tutti i segreti che fanno del fagiolo di questo luogo, un’eccellenza assoluta. Passione, competenza, schiettezza e senso sconfinato di ospitalità raccontano il Genius loci di questa terra. “Questo lembo di terra è un piccolo paradiso che gode di un microclima particolare; non è semplice vivere qui ma questa è la terra che custodisce le radici del mio DNA”. La zuppa di fagioli e scarole che interrompe la pedalata verso Castelcivita rimane una pagina sacra del viaggio cilentano: semplicità, genuinità, autenticità dei sapori sono le tracce di un viaggio sensoriale che non conosce artefazione.
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Il cielo scarica i primi acquazzoni autunnali e ci offre l’occasione di entrare nel ventre del Cilento, nelle grotte di Castelcivita, dove il tempo si dilata al ritmo di stalattiti e stalagmiti; laggiÚ un minuto è uguale a un secolo e la roccia sembra urlare in silenzio la forza di Madre Natura. La strada si inerpica sui contrafforti degli Alburni. Castelcivita mette a dura prova i muscoli dei ciclisti e sembra ricordare, una volta per tutte, che l’entroterra, regala strade tanto nervose e imprevedibili quanto spettacolari. La pianura la devono ancora inventare da queste parti ma chi pedala sulle strade del mondo sa bene che ogni cambiamento di pendenza, come ogni curva, riserva sempre sorprese. La strada che raggiunge
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Sant’Angelo a Fasanella si affaccia sulla grandezza di un paesaggio solenne dove la presenza dell’uomo è antica e discreta. Proprio come Michele Clavelli che ci apre le porte della cantina dove si produce un vino naturale di altissima qualità. Sant’Angelo a Fasanella nasconde uno dei tesori più preziosi del Cilento: la Grotta di San Michele Arcangelo, opera d’arte creata dalla genialità di Madre Natura e dalla mano dell’uomo. La chiesa rupestre è un trionfo solenne di religiosità che toglie il respiro e commuove. La dilatazione dello spazio è superba. Sculture, ceramiche, altari e affreschi risalenti a un tempo compreso fra XIII e XVII secolo dipingono un silenzio senza fine.
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Nelle grotte di Castelcivita, dove il tempo si dilata
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al ritmo di stalattiti e stalagmiti
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Questo luogo sprigiona una potente energia nel segno di un’elegante e antica essenzialità. Merita un viaggio da qualsiasi dove e non mi sorprenderebbe incontrarvi un ateo che prega. La pedalata verso Bellosguardo insegue il tramonto. Anche stavolta il sole arriva prima di noi alla meta e raggiungiamo il punto tappa nella penombra. Così va la vita in questo angolo di Campania che profuma di Lucania; non ha senso rincorrere le lancette del tempo. I ritmi imposti da queste strade che scrivono tratti di estrema bellezza sono per forza di cose lenti: ideali da vivere facendo girare ruote e pedali. Bellosguardo. Una parola racconta quello che accade qui. Basta un colpo d’occhio per abbracciare la grandezza di questa terra, dalle creste di Alburni e Cervati, a mare azzurro e lucente. Il risveglio ci regala grandi vedute e due scoperte che mettono il sigillo su un viaggio “del gusto”: l’Aglianico di Belrisguardo e la sfogliatella di Bellosguardo. Stiamo parlando di nobili invenzioni. Romano Brancato è un giovane viticoltore animato da una passione forte e fiera come il terreno su cui coltiva uve di Aglianico ; produce un vino biologico recuperando antichi valori della tradizione grazie a metodi attuali di grande professionalità. Francesco Longo e le sue donne sfornano quotidianamente sfogliatelle imbottite di ricotta. Niente a che vedere con quelle classiche.
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Per conoscerle è indispensabile raggiungere Bellosguardo, incredibile terrazza sul Cilento. La pioggia e le prime brume autunnali sono uno scenario ideale per attraversare Roscigno Vecchia, borgo abbandonato a inizio ‘900 in seguito a varie frane. Meta di viaggiatori, turisti e curiosi mette in bella mostra l’architettura di case, palazzi e portali raccontando silenziosamente come amministrazioni di fine millennio abbiano potuto violentare la bellezza di borghi e paesaggi non abbandonati... Con eccessiva enfasi viene chiamata la Pompei del Cilento e, dopo la morte di Dorina, il suo unico abitante è Giuseppe Spagnuolo, barba, pipa e basco ma
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soprattutto unico, libero, abusivo, speciale, come ama definirsi. La strada si tuffa in una sconfinata solitudine e, volando sulle sorgenti del Sammaro, risale verso Sacco per poi precipitare in quel di Piaggine. Qui si aprono le porte della casa di Giuseppina che ospita a pranzo cinque ciclisti un po’ infreddoliti. Tavola imbandita, tanto sole che sfonda le nuvole e riscalda una splendida tavolata familiare. Come sempre le ombre della sera arrivano a destinazione prima delle nostre biciclette. La piazza di Vallo della Lucania è un luogo dove puoi rimanere seduto un giorno intero: di sera è un salotto, di giorno un palcoscenico che ospita la quotidianità cilentana.
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Baristi, pensionati, neonati, rappresentanti, vigili urbani, pensatori e vagabondi, stavolta anche cicloturisti pigri in partenza verso la costa. Essenze mediterranee accompagnano le pedalate verso un occidente azzurro e brillante. San Severino di Centola, piccolo mondo di pietra aggrappato al cielo, selvaggio come un rapace guarda la Valle del Mingardo che si apre un varco verso il mare. Ma chi viaggia in bici non ama le strade facili e veloci… Così ecco ruote e pedali, polpacci e respiri che affrontano i tornanti del piccolo Stelvio cilentano verso Licusati tra ulivi monumentali e rocce strapiombanti, prima della discesa verso Marina di Camerota. L’autunno sulla costa è bello come il paradiso. Spiagge deserte ma soprattutto un viaggio con Marco e Luigi, lupi di mare che ci hanno accompagnato verso le trasparenze di Punta Infreschi, non a caso considerato dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’Umanità. La pedalata prosegue Ci-lentamente lungo la costa, con la vista e il cuore pieni di un grande orizzonte. Ma questa è una terra antica fatta da uomini e donne di valore. Come Mattia Peluso, tanto giovane quanto saggio e profeta del Maracuoccio, piccolo e prezioso legume che si trova nella terra di Lentiscosa. Lo strano nome viene da Mar termine semitico che indica qualcosa di amaro e cuoccio derivante dal latino e che indica il baccello.
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Con il Maracuoccio si prepara una favolosa polenta. E poi ecco Luca Cella, sapiente artigiano di mare e di terra che nel laboratorio di Aura a Palinuro, trasforma tonno rosso, alletterato, alalunga, palamita, sgombro ed anche ventresca di alalunga, ma anche alici e sarde; e poi sott’olio di melanzane, pomodori verdi, carciofini e asparagi selvatici e confetture di corbezzole, gelsi e cipolle di Vatolla. Una rarissima strada pianeggiante verso Palinuro, poi le discese ardite e le risalite tento care a Lucio Battisti che veniva a ubriacarsi di silenzio a Pisciotta. Donatella e Vittorio con le loro strepitose alici di menaica,
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la frana e l’ultima pedalata contro la forza di gravità verso Ascea. L’ultima tappa verso Paestum è un’altra storia. Bici a riposo e treno. Il saluto verso questa terra è la celebrazione di un’indiscutibile eccellenza di questo territorio: le bufale e la mozzarella di Vannulo. Antonio Palmieri ha cercato, trovato, creato un valore importante: la mozzarella più buona del mondo, un prodotto che unisce abilità umane e ricchezze naturali, che grazie a questo signore non ha mai perso la propria identità, anche di fronte alle tentazioni di un mercato globale. Testo e foto di Enrico Caracciolo © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Informazioni: Cilento Incoming, Viale della Repubblica 117, Capaccio Paestum, tel. 0828.1991330: operatore turistico specializzato fornisce informazioni e effettua prenotazioni sul territorio cilentano. Come arrivare: In auto: il Cilento si raggiunge con l’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria (arrivando da nord si consiglia di “tagliare” il casello di Napoli imboccando il raccordo per Avellino e Salerno dopo l’uscita di Caserta Nord), uscita Battipaglia; si prosegue sulla S.S. 18 fino a Capaccio Scalo e Paestum. In treno: la stazione ferroviaria di riferimento è quella di Capaccio Scalo sulla linea Salerno - Reggio Calabria.
Dove dormire: Capaccio Scalo: Agriturismo “San Raphael”, Via Leone X, tel. 0828.73093. Paestum: Casa Rubini B&B, Via Tavernelle 5, tel. 0828.1992255. Castelcivita: Agriturismo “La Regina degli Alburni”*, Loc. Cappellano, cell. 339.8355669, 339.3978574. B&B Al Castello, Via Armando Diaz 3, cell. 338.1916398, tel. 0828.503559. Sant’Angelo a Fasanella: Il Convento Residence, Via San Francesco 26, cell. 347.8027209, 334.1149370, 20-30 euro a persona: residenza d’epoca, buoni servizi, ottima ospitalità della signora Tullia. Bellosguardo: Agriturismo Villa Vea*, Contrada Spinaddeo, cell. 349.7466175, 338.3643797, tel. 0828.1962237. Vallo della Lucania: L’Orchidea B&B, Via Domenico Pignataro 12, tel. 0974.4072, cell. 338.9223933. Marina di Camerota: Hotel
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Calanca*, Via Luigi Mazzeo 18, tel. 0974.932128. Palinuro: Hotel La Torre*, Via Porto 5, tel. 0974.931264. Marina di Ascea: Villa Maredona*, Via Nettuno, tel. 0974.972780, cell. 388.7719694.
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Dove mangiare: Le strutture segnalate con un asterisco nel “Dove dormire” offrono un’ottima cucina. Paestum: Il Granaio dei Casabella, Via Tavernelle 84, tel. 0828.721014. Controne: La Taverna degli Antichi Sapori, Corso Nazionale 27, tel. 0828.1962322. Castelcivita: Ristorante Grotte, Piazzale Nicola Zonzi (vicino ingresso delle grotte), cell. 339.2222809. Vallo della Lucania: La Taverna del Principe, Corso Vittorio Emanuele 62, cell. 334.9575584. Marina di Camerota: Ammore ‘e mare, Via Ciro Coppola 29, tel. 329.6224368, 366.212101, tel. 0974.932959. Taverna del Mozzo, Lungomare Trieste, tel. 0974.932774. Palinuro: Osteria U’ Brigante, Via Isca delle Donne, cell. 320.7515194.Pisciotta: Osteria del Borgo, Via Roma 17, tel. 0974.970113. Ascea: Osteria Diabasis, Via XXIV Maggio, tel. 0974.977021, cell. 347.6451339: gustosi antipasti, primi con pasta fatta in casa, cucina di terra e di mare, e pizze ottime. Suggerimenti: Aree archeologiche Parco archeologico di Paestum, Via Magna Graecia 917/919, Capaccio Paestum, tel. 0828.811023. Parco archeologico di EleaVelia, Contrada Piana di Velia, Marina di Ascea, tel. 0974.972396, 0974.271016.
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Musei Capaccio: Museo Archeologico Nazionale di Paestum, Via Magna Grecia 919, Paestum, tel. 0828.811023: stroia ed evoluzione della cittĂ di Paestum dal VII secolo a.C. Corleto Monforte: Museo Naturalistico degli Alburni, Via Forese 16, tel. 0828.964296, cell. 342.6213310: raccoglie 60 specie di mammiferi e 1200 specie di uccelli e 20.000 esemplari di insetti. Marina di Camerota: Ecomuseo Virtuale del Paleolitico, Loc. Porto, tel. 0974.92021: affascinante museo in cui le moderne tecnologie multimediali permettono di esplorare il territorio costiero durante la preistoria.
Escursioni Cooperativa Cilento Mare, porto di Marina di Camerota, tel. 0974.932735, cell. 333.6461240: gite in barca verso Punta Infreschi e lamparate (pesca in notturna con spaghettata insieme ai pescatori). Servizi Quadrifoglio Palinuro, Piazza Virgilio 1, cell. 338.9495288, 347.6540931: escursioni in barca alle grotte di Capo Palinuro, noleggio barche e gommoni.
Link utili: Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, Via Montesani, Vallo della Lucania (SA); tel. 0974.7199200. Associazione Guide del Parco, tel. 0974.719911, cell. 339.6502455 (Nicola Ventre): escursioni e guide specializzate nel Parco.
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