Sommario
Foto Simone Padovani
L’uomo del Kon-Tiki Una zattera nell’Oceano Pacifico
Cuccioli Il mondo visto dai piccoli
Maldive Zaino in spalla
Paesaggi caproniani La luce di Caproni
Cremona Ritratto della Bassa sulle sponde del Po
Dicembre 2014
Redazione:
Via Carbonera, 10 I-20137 Milano tel. +39 02.36511073 redazione@latitudeslife.com
Hanno collaborato
Federico Pietrobelli Elena Brunello Luca Bracali Gabriella De Fina Maristella Mantuano
Fotografi
Simone Padovani Lucio Rossi Luca Bracali Walter Leonardi Victor Liotine
Pubblicità
MPMedia Adv info@mpmedia-adv.it
Foto di: Luca Bracali
n째77 Dicembre 2014
Direttore Responsabile Eugenio Bersani
eugenio@latitudeslife.com
Photo Editor Lucio Rossi
lucio@latitudeslife.com
Sales Manager
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lanfranco@latitudeslife.com
Redazione
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Graphic
Arianna Provenzano
arianna@latitudeslife.com
Social Media Manager
Marco Motta
marco@latitudeslife.com
L’uomo del Kon-Tiki
L’ U O M O D E L
U N A Z AT T E RA NE L L ’ O C E A NO PAC I F I C O
L’uomo del Kon-Tiki
A cent’anni dalla nascita, Thor Heyerdahl, l’uomo che nel 1947 attraversò il Pacifico su una zattera di balsa, è ancora un mito. Il suo nome è simbolo di avventura, ma anche di ricerca scientifica e amore per l’Uomo e per la Natura. Il suo spirito libero e le sue imprese per mare e per terra continuano a ispirare i viaggiatori di tutto il mondo. Te s t o d i G a b r i e l l a D e F i n a Foto di Walter Leonardi
Maldive
Lat 3,12 N
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Yemen, 1988
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Egitto, 1988
L’uomo del Kon-Tiki
C
i sono uomini che sembrano caduti sulla terra direttamente dal cielo, per illuminare l’umanità e costringerla con la propria audacia a compiere un balzo in avanti sulla strada della conoscenza. Thor Heyerdahl, l’uomo del Kon-Tiki, il grande esploratore norvegese di cui quest’anno è caduto il centenario - celebrato perfino da Google che il 6 ottobre, giorno della sua nascita, gli ha dedicato un doodle - è senza dubbio uno di quelli. Nel 1947, con un equipaggio di 5 persone, senza alcun supporto tecnico a parte una radio, varò una rudimentale zattera di balsa dal porto di Callao, in Perù, diretta in Polinesia.
L’uomo del Kon-Tiki
Algeria, 1988
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Kon-Tiki, 1947
L’uomo del Kon-Tiki
“ La mia patria
è là dove c’è qualcosa da
SCOPRIRE
“
L’uomo del Kon-Tiki
Perù, Kon-Tiki, 1947
L’uomo del Kon-Tiki
La zattera, oggi esposta al museo Kon-Tiki di Oslo, venne chiamata Kon-Tiki, in onore della preistorica divinità solare che accomunava gli indios sudamericani agli indigeni polinesiani (Con Citi per i primi, Tiki per i secondi), e che tanta parte aveva avuto nell’elaborazione della sua teoria. Scopo della spedizione che tutti, compreso il mitico National Geographic che gli negò i fondi, consideravano un suicidio collettivo, era di dimostrare che in epoche remote i popoli usarono il mare come ponte di
L’uomo del Kon-Tiki
comunicazione fra le loro civiltà, attraversando gli oceani su primitive imbarcazioni di balsa e di papiro. La prima intuizione gli era sorta mentre nel 1937 viveva un anno da selvaggio con la sua novella sposa, Liv, a FatuHiva, un’isola sperduta dell’arcipelago delle Marchesi; un viaggio a lungo preparato con l’intenzione di studiare flora e fauna di quei luoghi (Thor era biologo), ma anche con l’idea di una immersione totale in quella natura di cui per tutta la vita, da ecologista qual’era, si sentì profondamente parte.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Fatu-Hiva, 1937 1987
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Fatu-Hiva, 1987
L’uomo del Kon-Tiki
Dopo aver dato appuntamento al comandante della nave che li aveva portati fin lì all’anno successivo, Thor e Liv erano sbarcati a Fatu-Iva. Aiutati dagli indigeni si erano costruiti una casa di foglie di banano e canne, avevano imparato a cogliere la colazione dagli alberi e a bere nei cocchi divisi a metà, a lavarsi in una pozza d’acqua e a difendersi dagli animali.
L’uomo del Kon-Tiki
A Hiva Oa, la capitale delle Marchesi, la giungla era disseminata di enormi teste di pietra, Tiki, ricordo di un dio Sole che la leggenda dei cantastorie locali attribuiva a uomini bianchi venuti da oriente. La scoperta di un graffito che rappresentava una barca a remi, con poppa e prua molto alte, ben diversa dalle piroghe monoxili dei polinesiani, l’analisi delle correnti che soffiavano da oriente e la presenza della patata dolce, che gli indigeni chiamano Kumara come gli indios sudamericani e che non poteva essere stata trasportata se non dall’uomo, convinsero Thor della possibilità di una ancestrale migrazione che dal Sudamerica fosse arrivata in Polinesia prima di quella proveniente dall’Asia.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Hiva-Oa, 1987
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
“
Ho percepito
Dio
innumerevoli volte,
L’ H O P R O P R I O S E N T I T O.
Non ha la barba il mio Dio,
bianca
MA É IL MARE,
L A LUN A,
LA NOT TE,
l ’ amore.
È il mistero con tin u o e imp e rs c rutabile
della na tura.
“
L’uomo del Kon-Tiki
Tigris, 1977
L’uomo del Kon-Tiki
Ma per dare sostegno alla sua ipotesi Thor deve dimostrare che una un’imbarcazione di balsa può attraversare l’oceano Pacifico. E ci riesce. Dopo 101 giorni di navigazione il Kon-Tiki raggiunge le isole Tuamotu in Polinesia. L’ultima spedizione, quella del Tigris, fu destinata all’Oceano Indiano. Lo studio della civiltà Sumerica, infatti, aveva portato Thor a supporre contatti tra quella cultura e le culture della valle dell’Indo. E la lettura dell’epopea sumerica Gilgamesh, in cui l’eroe viaggia al di là del mare alla ricerca di una terra degli antenati, lo aveva convinto che dietro la leggenda si nascondesse un’altra tappa della grande migrazione che dall’India portava in Mesopotamia. Questa volta si trattava di costruire una barca di giunco, pianta che cresce alla foce del Tigri e dell’Eufrate. Il Tigris salpa dallo Shatt el Arab nella primavera del 1979. Durante una sosta a Barhein per il rammendo della vela, Thor visita gli scavi che l’archeologo inglese Bibby sta conducendo nella zona. Questi è convinto che la sterminata necropoli rinvenuta altro non sia se non la famosa terra degli antenati citata dalla tradizione sumerica. Per Heyerdahl, è la quadratura del cerchio.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Pakistan, Tigris, 1977
L’uomo del Kon-Tiki
Il Tigris risalirà la Penisola Araba attraverso l’Oceano Indiano fino alla valle dell’Indo, e sarà dato alle fiamme dallo stesso Heyerdahl in Somalia, dove era attraccato e da dove a causa delle guerre non era più potuto ripartire, per protesta contro tutte le guerre. Ma le imprese di Heyerdahl non si limitano ai viaggi per mare. A lui, che metteva le tende dovunque vi fosse un mistero da chiarire, si devono scoperte archeologiche di fondamentale importanza per tutta l’umanità. Prime fra tutte quelle che riguardano l’Isola di Pasqua, dove
L’uomo del Kon-Tiki
Thor si trasferì per la prima volta nel 1955, insieme alla seconda moglie Ivonne, per svolgervi i primi scavi sistematici. Lì sfatò il mito corrente dell’impossibilità degli uomini primitivi di scolpire e trasportare statue di dimensioni gigantesche come quelle dei moai, riuscendo a far costruire un moai di 12 tonnellate a sei indigeni con l’uso di soli strumenti litici; scoprì che le gigantesche teste seppellite nel tufo, vestigia di una antica dinastia “delle orecchie lunghe” di cui gli isolani si dichiaravano discendenti, erano in realtà statue a figura intera.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki C L I CC A
Isola di Pasqua, 1987
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Isola di Pasqua, 1987
L’uomo del Kon-Tiki
Heyerdahl fu un grande cacciatore di piramidi, ricordo di un culto ancestrale universale di un dio solare diffuso in tutto il pianeta e, dunque, emblema di quella civiltà trasversale dell’antichità di cui fu strenuo sostenitore. Nel ‘90, con l’ultima moglie Jaqueline, si trasferì per quattro anni a Túcume, in Perù, il più grande complesso piramidale del mondo, dove lavorò insieme al grande archeologo Walter Alva.
L’uomo del Kon-Tiki
A Tenerife, che scelse come sua ultima residenza (anche se tornò a morire nella amata Colla Micheri, in Liguria, dove sono sepolte le sue ceneri, che dal ‘58 era stata rifugio familiare e pausa di studio e riposo tra un viaggio e l’altro), organizzò gli scavi nell’area abbandonata delle piramidi. In Sardegna studiò la ziggurat di Monte D’Accordi, una struttura a gradoni del tipo mesopotamico; in Sicilia, a ottantacinque anni, due anni prima di morire, con lo stesso entusiasmo di sempre, fece quella che può essere considerata la sua ultima scoperta: la piramide di Cirummeddi a Pietraperzia (En), fino ad allora considerata un mucchio di pietre accantonate dai contadini nella bonifica di terreni da coltivare. L’uomo Heyerdal ha vissuto appieno la sua vita sulla terra - tre mogli, cinque figli, fama, soldi e riconoscimenti - ma non ha mai perso il contatto con il cielo. Il suo sguardo azzurro, che sembra riflettere l’immensità dell’oceano, è rimasto fino all’ultimo quello del bambino curioso e innocente che si accende di passione davanti ad ogni nuova scoperta. Amico di Gorbaciov e Fidel Castro, accolto in pompa magna dai capi di Stato, riservava la sua ammirazione a pescatori e contadini. Insignito di decine di lauree honoris causa, rifiutava le offerte di cattedre universitarie.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Sicilia, 1998
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
Thor Heyerdahl e Fidel Castro, 1994
L’uomo del Kon-Tiki
La sua mente superava le barriere degli accademici, che assicurano che tutto è già scritto, e si interrogava sui due milioni di anni prima di Cristo a cui risale la vita dell’uomo sulla terra. A chi voleva ingabbiarlo in una definizione, archeologo, navigatore, scrittore, ecologista, antropologo, regista (avventuriero, per i suoi detrattori), rispondeva che la specializzazione è un limite, perché impedisce agli uomini di avere una visione d’insieme. Thor Heyerdahl amava l’umanità, concepita come un’unica razza animata dagli stessi afflati e bisogni, e la natura, che considerava massima espressione divina, come dimostrano queste sue parole: “Non si può fare a meno di cogliere la presenza di Dio in certe notti di luna in mezzo a un oceano silenzioso, parlando in chissà quale lingua con uomini sconosciuti che proprio in quel momento diventano i tuoi amici più cari, il tuo appiglio, la cosa più importante che possiedi. Allora ti accorgi che Dio c’è”. Testo di Gabriella De Fina e foto di Walter Leonardi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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L’uomo del Kon-Tiki
Sicilia, 1998
“ sono collegati L’uomo del Kon-Tiki
Per me tutti i continenti
dalle acque
E DALLE CORRENTI DEGLI OCEANI.
L’uomo del Kon-Tiki
É come se i mari
fossero dei fiumi.
“
Bolivia, Lago Titicaca
L’uomo del Kon-Tiki
Centenario della nascita di Thor Heyerdal Già nel 2012, in previsione del centenario della nascita di Thor Heyerdahl, nato a Larvik il 6 ottobre del 1914, i registi Joachim Rønning ed Espen Sandberg hanno realizzato il film “Kon-Tiki”, candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2013. Quest’anno, in tutto il mondo, sono stati organizzati eventi in ricordo del grande esploratore norvegese. Le Poste Italiane hanno predisposto un annullo filatelico con la sua effige. La Nave Scuola Palinuro è rimasta attraccata due giorni a Laigueglia in suo onore (Thor visse trent’anni insieme alla famiglia nel borgo di Colla Micheri che dalla montagna sovrastante si affaccia sulla cittadina ligure). In Norvegia, oltre alla stampa di diversi francobolli ispirati alle sue imprese, si sono susseguite manifestazioni di ogni tipo, organizzate dal Museo Kon-Tiki di Oslo e dall’Istituto Heyerdahl di Larvik. Degna di nota è l’installazione di papiro che la figlia Marian ha inaugurato al Larvik Kunstforening il 6 ottobre scorso, intitolata “Happy Birthday”.
L’uomo del Kon-Tiki
L’uomo del Kon-Tiki
L’installazione, un omaggio ai sogni e alle visioni del padre e un ricordo dei suoi viaggi per mare su imbarcazioni di balsa e di papiro, è una forma fluttuante, lunga 30 metri e composta da piccoli pezzi di papiro, che appare come un’onda simbolica che punta verso la riva; una piuma, alle estremità di ogni papiro, ne amplifica il movimento meditativo. Il papiro, che può essere interpretato come parte di un puzzle legato al testamento ideologico di Thor Heyerdahl, è quello che cresce lungo le sponde del fiume
L’uomo del Kon-Tiki
Ciane, a pochi chilometri da Siracusa, la colonia piÚ estesa di Cyperus papyrus L. in Europa, ed è stato raccolto grazie al sostegno di Corrado Basile, fondatore del Museo del papiro di Siracusa. Le manifestazioni norvegesi si sono concluse al Museo Kon-Tiki con una cena di gala a cui hanno presenziato i reali di Norvegia.
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Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
c iol c u i c
IL
MONDO
visto DAI PICCOLI
DD DD Cuccioli di elefante, piccoli leoni, orsi polari avvolti in una calda e morbida pelliccia bianca per proteggersi dalle temperature artiche. Il mondo visto dagli occhi degli animali nei loro primi mesi di vita. Testo e foto di Luca Bracali www.lucabracali.it
Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
LEO N I
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cuccioli di leone compiono i primi passi dopo circa 3 settimane di vita e vengono spostati dalla madre, per sicurezza, più volte in diversi luoghi in modo che, accumulandosi l’odore, non corrano il rischio di essere predati e riconosciuti. Una simpatica curiosità è che i cuccioli di leone accettano di farsi allattare da qualsiasi femmina del branco e non solamente dalla loro madre naturale. Quando tornano al branco i cuccioli sono solitamente molto timidi e si avvicinano ai loro coetanei e agli adulti attraverso il gioco. Come quasi tutti i mammiferi il gioco e il comportamento affettivo hanno una grande importanza nello sviluppo dell’animale. Brontolii, fusa, finti agguati e zampate innocue sono all’ordine del giorno. Nel 2005 una leonessa adottò in Kenya dei cuccioli di orice, che allo stato naturale sarebbero stati tra le sue prede. Altro evento legato alla sfera affettiva di questo felino è la storia riportata nel romanzo Nata Libera, dove si racconta della relazione affettiva tra un uomo e una leonessa.
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G I R A FFE
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e giraffe sono gli animali più alti del mondo e possono raggiungere anche 5-6 metri di altezza. I cuccioli di giraffa alla nascita misurano già 2 metri di altezza! Le macchie che il piccolo presenta alla nascita sono le stesse che lo contraddistingueranno per tutta la vita e sono uniche per ogni esemplare, come le nostre imronte digitali. I cuccioli vengono alla luce dopo circa 14-16 mesi di gestazione. Una giraffa partorisce un piccolo o al massimo due gemelli per volta. Appena nato il giraffino è già in grado di camminare e, dopo essere stato svezzato dalla madre, parte alla ricerca della più prelibata tra le ghiottonerie: le foglie di acacia che strapperà grazie alla sua lingua muscolosa e alle sue labbra appiccicose.
Il mondo visto dai piccoli
Il mondo visto dai piccoli
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I EN E
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l piccolo di iena viene alla luce dopo una gestazione di circa 100 giorni e accompagnato da 2 a 6 fratellini o sorelline. La iena partorisce solitamente in un luogo appartato, come grotte o radici di alberi cave, per poi riportare la prole nella tana comune con gli altri esponenti del branco. Raggiungono subito un’attività competitiva, tanto che spesso le lotte furibonde tra cuccioli portano alla morte di uno dei due contendenti. Vengono svezzati verso i 15 mesi e curati da entrambi i genitori. Crescendo, le femmine otterrano più importanza che i maschi, essendo i branchi di iene delle cosietà matriarcali. Addirituttura il rango “sociale” delle iene viene ereditato dalla madre e funziona all’incirca come una casta.
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ELEFA N T I
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l piccolo di elefante viene al mondo dopo una gestazione di circa 2 anni, al termine della quale nasce solitamente un solo cucciolo che avrà un peso di circa 100 o più chili. Come per i leoni, anche l’elefante non necessita per forza le cure della propria madre naturale ma può essere cresciuto da altre femmine del branco. Alla nascita il piccolo ha una pelle rugosa con qualche sparuto pelo, può stare in piedi già mezz’ora dopo il parto e mangia circa 150 chili di cibo al giorno! Crescendo le femmine assumono il controllo del branco, facendo capo alla matriarca, le femmina più anziana. I maschi tendono invece ad essere solitari.
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FAC O C ER I
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na cucciolata di facoceri varia da un numero minimo di quattro a otto individui, partoriti dopo una gestazione di 170 giorni circa all’interno di una tana. Già alla terza settimana di età cominciano a brucare l’erba. Col tempo sviluppano due lunghi canini che misurano circa dai 20 ai 50 centimetri e si trasformano in zanne, utili per difendersi e per dissodare il terreno alla ricerca di radici e tuberi succolenti. I suoi predatori principali sono il leone, il ghepardo e il leopardo. Le zampette, corte e tracagnotte, gli permetteranno di raggiungere una velocità di circa 50 chilometri orari.
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Tigris, 1977
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O RS O PO LA R E
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l piccolo di orso polar nasce dopo una gestazione di circa 260 giorni in una tana scavata nella neve, a circa una decina massimo di chilometri dalla costa, dove viene allevato e nutrito. Durante la gestazione la madre, per rifornirsi di energie e grasso, arriverà a pesare circa il doppio del suo peso normale. I cuccioli vengono alla luce tra novembre e gennaio e non si separeranno mai dalla madre fino ad aprile. Vengono allattati dal latte materno, particolarmente ricco di grasso e che li aiuterà a sopravvivere alle temperature gelide dei poli. E’ molto difficile per le madri staccarsi dai loro cuccioli e di solito rimangono con loro fino addirittura i 2 o 3 anni di età .
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I P PO POTA M I
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piccoli di ippopotamo nascono o sulla terraferma o nell’acqua molto bassa. Pesano tra i 30 e i 50 chili solo al momento della nascita. Dopo circa due settimane la madre fa ritorno al branco insieme ai cuccioli, che verranno svezzati all’età di 8 mesi. Le femmine partoriscono circa ogni due anni, quindi non è raro vedere una madre circondata da un certo numero di figlie allo stesso tempo. Per quanto riguarda i maschi, il capobranco li allontanerà dal branco appena raggiunta la maturità sessuale, in modo da non entrare in conflitto e sovvertire l’ordine sociale del gruppo. Come si sa l’ippopotamo è un grande nuotatore e, nonostante sia dotato di polmoni, può rimanere in acqua in apnea fino a mezz’ora.
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Tigris, 1977
Il mondo visto dai piccoli
z eb r a
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e zebre vivono in branchi di circa 8 individui, ma possono arrivare ad essere composti da molti piÚ esemplari. Rispetto al cavallo, fin da cucciole le zebre hanno tutti i sensi molto piÚ sviluppati e una maggiore resistenza fisica. Vista e udito sono estremamente acuti. I piccoli vengono alla luce uno solo alla volta, dopo una gestazione di circa 370 giorno. Appena nati i cuccioli, che si tirano suibito in piedi sulle gambette poco stabili, hanno il manto zebrato di marrone chiaro che col tempo diventerà bruno scuro e poi nero. Il nemico principale della zebra è il leone, ma col calare della luce, il mantello della zebra diventa mimetico nella notte africana.
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KU D U
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l kudu, o cudù, è una specie di antilope che abita le zone boschive del sud e dell’est del continente africano. I maschi, solitamente solitari, si uniscono al branco solo per accoppiarsi con le femmine. I piccoli crescono molto velocemento e a 6 mesi sono già quasi del tutto indipendenti dalla madre. Da una madre nsce di solito un solo ucciolo, che per 4-5 settimane rimane nascosto in una tana. La madre lo lascerà solo e tornerà solamente per nutrirlo. Lentamente la femmina comincerà ad avvicinarsi al piccolo fino a c he a 3-4 mesi non passerà tutto il tempo col suo cucciolo.
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Tigris, 1977
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PINGUINO
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l pinguino Gentoo o pinguino di Papua è un uccello che vive in grosse colonie nelle regioni antartiche. I genitori del piccolo pinguini si prendono cura insieme del piccolo. I pinguini sono spesso monogami e formani legami emotivi che possono durare anche molti anni. Madre e padre costruiscono il nido insieme, facendo uso di piume, sassi ed erba. La madre deposita poi due uova sferiche che verranno covate a turno sia dalla femmina che dal maschio. Una volta nato il piccolo rimarrà nel nido per un mese.
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M A N G U ST E
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a mangusta è un animale gregario che vive in gruppi familiari di circa 30 membri. La femmina partorisce i cuccioli dopo una gestazione di circa due mesi e da alla luce quattro piccoli. Questi vengono allattati da tutte le femmine del branco che in quel momento producono latte. Col tempi i piccoli svilupperanno code lunghissime e artigli affilati per scavare nel terreno alla ricerca di cibo.
Il mondo visto dai piccoli
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Maldive zaino in spalla
Maldive z a i n o i n s pa l l a
Maldive zaino in spalla
Iniziamo sfatando qualche mito. Le Maldive non sono solo per pigri e ricchi vacanzieri. Ecco un’idea per viverle ed innamorarsene da viaggiatori. Testo di Maristella Mantuano Foto di Victor Liotine
Maldive
Lat 3,12 N
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
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LE GUESTHOUSE
a un paio di anni sono una destinazione di viaggio anche per chi, zaino in spalla (meglio che trascinare un trolley sulla sabbia), vuole scoprire lo stile di vita maldiviano, svegliarsi col richiamo alla preghiera dei muezzin, giocare a pallavolo con i ragazzi del posto e fare la spesa nell’emporio dell’angolo. Il Governo (lungimirante) ha, infatti, liberalizzato l’apertura di piccole guesthouse nelle isole abitate (i resort sono solitamente su isole di proprietà della catena alberghiera), a patto che la proprietà resti un’esclusiva dei cittadini maldiviani. Molti stranieri, quindi, hanno deciso di investire. Ne è venuto un mix vincente: gusto e standard europei e gestione maldiviana attenta e appassionata, spesso impreziosita da decenni di esperienza professionale nei resort.
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
MALDIVIAN LIFE STYLE Incrociare lo sguardo arrossato dei pescatori che al mattino escono in barca, quello timido delle donne velate che vanno a fare la spesa, quello curioso dei ragazzini in bicicletta, consente di entrare in sintonia con il ritmo misurato e lento della vita maldiviana. La giornata comincia alle prime luci dell’alba: le botteghe alla strada lasciano intravedere l’operosità di falegnami, sarti, fabbri. I più anziani chiacchierano sulle amate joli, sedie fatte con reti e strutture in ferro o in legno a ogni angolo di strada. Altri tagliano le noci di areca in dischi sottili all’ombra.
Maldive zaino in spalla
Le mamme accompagnano a scuola bambini profumati e pettinati, le nonne rassettano la casa e spazzano il tratto di strada di fronte, piegate su stesse, con foglie secche di palma. Non c’è bisogno di curiosare per capire in quanti ci abitano: basta contare le infradito (di ogni misura, colore e decoro) che vengono lasciate sull’uscio per non portare sabbia all’interno.
SPIRITO DI ADATTAMENTO Scegliere le Maldive delle isole abitate significa però accettare anche qualche compromesso. Le donne devono sempre coprire spalle e ginocchia e possono stare in bikini solo nelle spiagge riservate ai non musulmani (oltre che in barca, nelle isole disabitate e sulle lingue di sabbia).
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Si deve rinunciare a carne di maiale ed a qualsiasi bevanda alcolica (birra inclusa) e fare i conti con una coscienza dell’ambiente ancora immatura (troppo spesso i rifiuti in plastica finiscono a poca distanza dal mare cristallino).
THINADOO Il nostro viaggio comincia in quest’isola di appena 30 abitanti a sud dell’atollo di Felidhoo (90 minuti di motoscafo da Malè).
Maldive zaino in spalla
Qui Wafir e sua moglie Erika (genovese) gestiscono con professionalità e cura “da resort” l’Hudhu Raakani, una bella guesthouse di 5 stanze ad appena 20 metri da una splendida spiaggia riservata agli ospiti. Tutto è incluso nel prezzo: trasporto da e per aeroporto in motoscafo, pasti, escursioni, etc. Il ristorante, con piatti sempre vari e di primissima qualità, è in un suggestivo gazebo di legno sotto le palme, a pochi passi da paguri e coralli. Una volta alla settimana, sculture di sabbia e cena a lume di candela, con decorazioni floreali e tavoli a riva.
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Poi “bodu beru”, musica tradizionale tamburi e voce, fino a notte fonda. Ogni giorno, un’avventura diversa a bordo del dhoni (imbarcazione tradizionale). Indimenticabile quella a Vashu Ghiri, un fazzoletto di sabbia bianca, un mare cristallino che degrada fino al reef, altalene di corda e legno e decine di uccellini che trovano fresco e riposo all’ombra delle palme. Uno dei luoghi più belli ed incontaminati dell’atollo, dove, su richiesta, potrete addormentarvi guardando le stelle e svegliarvi alle prime luci dell’alba. Una magia che da sola vale tutto il viaggio.
KEYODHOO A mezz’ora di traghetto, c’è Keyodhoo, popolosa isola di 7 ettari ed 800 abitanti. Lo si capisce fin dall’arrivo al porticciolo, pieno di vita a qualsiasi ora, anche grazie al bar Levantine, con musica di sottofondo fino a sera. Una sorta di “Bodeguita del medio” maldiviana. E’ proprio sui variopinti dhoni attraccati al molo che si affaccia il Jupiter Sunrise Lodge, con le sue 4 stanze nuove, spaziose ed affacciate su un patio dove intrattenersi con gli altri ospiti giocando a freccette. Gestito in loco da Kubbe Di Moos, specialmente adatto a chi ama la pesca, offre un trattamento all inclusive comprensivo anche delle escursioni in barca giornaliere, come quella nel reef dell’isola di Ambara , dov’è facile avvistare mante e tartarughe.
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Ottime le specialità maldiviane in tavola: petties (panzerottini di patate, cipolla e pesce), riha folli (involtini piccanti) e mas huni (tonno, cipolla, cocco e peperoncino grattugiati), da accompagnare con il roshi, pane non lievitato.
MAAFUSHI E GURAIDHOO A quattro ore di traghetto, risalendo verso la capitale, c’è Maafushi (1.200 abitanti), dove ha sede anche l’unica prigione maldiviana. La vocazione turistica ha agevolato
Maldive zaino in spalla
il proliferare di hotel. A 100 metri dall’unica spiaggia riservata ai turisti, sorge una guesthouse nuove e modernamente arredate: Water Breeze. A meno di un’ora di traghetto da Maafushi, c’è l’isola di Guraidhoo (1.800 abitanti), paradiso dei surfisti e degli appassionati di immersioni. Nel canale (kandu) che la separa dalle isole intorno, infatti, vivono gli squali balena: enormi (lunghi fino a 12 metri), a pois e vegetariani. Con la bassa marea, attraversando a piedi la laguna, si arriva all’isola disabitata di fronte. Bastano maschera e pinne per ammirare agili e schivi cuccioli di squalo, lunghi non più di 80 cm, partoriti in questo specchio d’acqua profondo mezzo metro.
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Maldive zaino in spalla
Uno spettacolo davvero emozionante. Per il soggiorno, la guesthouse Dacha Maldives. Le Maldive, in qualsiasi modo si decida di viverle, lasciano il segno. Chi sceglie le isole abitate, tuttavia, oltre all’insuperabile mare, potrà scoprirne un mondo che, agli occhi dei vacanzieri da resort, è più sommerso degli abissi oceanici.
Testo di Maristella Mantuano e foto di Victor Liotine © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Maldive zaino in spalla
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Quando andare: Clima: la stagione migliore per una vacanza alle Maldive è tra dicembre e aprile. Questa è però l’alta stagione, quindi gli alberghi sono pieni e prezzi sono più alti. Tra maggio e novembre, invece, i prezzi sono più bassi e i turisti sono meno ma talvolta è nuvoloso e umido e ogni tanto piove. I due mesi intermedi, cioè novembre e aprile, sono caratterizzati da maggior trasparenza dell’acqua e migliore visibilità. Dove dormire: Hudhu Raakani Guesthouse, Jupiter Sunrise Lodge Per info: www.jupiter-sunrise-lodge.com, Water Breeze (www.waterbreezemaldives.com), Dacha Maldives (www.dachamaldives.com).
Fuso orario: Quattro ore avanti con l’ora solare, tre quando è in vigore l’ora legale.
Documenti: Per entrare nella Repubblica delle Maldive basta il passaporto, Non è necessario alcun visto, è sufficiente essere in possesso di un biglietto di andata e ritorno. Il visto turistico di trenta giorni è concesso direttamente in aeroporto al momento dell’ingresso nel Paese. Vaccini: Non ci sono particolari rischi sanitari, fatta eccezione per quelli connessi all’esposizione al sole e alle immersioni; in ogni caso la maggior parte dei resort è dotata di camera iperbarica per le emergenze.
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Maldive zaino in spalla
Lingua: La lingua ufficiale è il dhivehi. Ma nei resort la lingua ufficiale è l’inglese. Ovviamente per compiacere gli ospiti si parlano tedesco, francese e a volte anche l’italiano.
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Religione: Musulmana sunnita.
Valuta: Rufiya (Rf); 1 Euro equivale a 16,66 Maldive Rufiya. Tutti i conti si pagano in US$ o Euro. Elettricità: Il sistema elettrico funziona a 230-240 Volt. Prese di diversi standard: consigliato un adattatore universale e una”ciabatta” se avete molti apparecchi da ricaricare. Telefono: Il prefisso per chiamare le Maldive dall’Italia è 00960. Le comunicazioni dei cellulari sono assicurate dagli operatori Dhiraagu o WMOBILE con standard GSM 900/1800 o 3G. Abbigliamento: Non è richiesto alcun abbigliamento particolare a parte quello suggerito dal buon senso di chi viaggia ai tropici. Da ricordare solamente di non presentarsi in costume da bagno al ristorante. Per gli uomini la sera sono indicati i pantaloni lunghi. Va ricordato che nudismo e topless sono vietati e considerati un’offesa dai locali. Link utili: www.wafirmaldives.com
La luce di Caproni
Livorno, Genova, Roma, Parigi e la Val Trebbia. Luce, ombra, pieno, vuoti arte e finzione fanno emergere sempre nuovi volti dei luoghi di Giorgio Caproni, uno tra i pi첫 noti poeti del Novecento. Testo di Federico Pietrobelli Foto di Simone Padovani
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iorgio Caproni è stato uno dei più notevoli poeti del XX secolo. Nato a Livorno nel 1912, passa la sua adolescenza a Genova, dove studia musica. Si trasferisce poi in Val Trebbia con la fidanzata Olga, che muore prematuramente, nel ‘36. Nel ‘38 sposa Rina, dalla quale avrà due figli. Combatte nella Seconda Guerra Mondiale, poi partecipa alla Resistenza. E nel dopo-guerra va a vivere a Roma, dove è in contatto con l’élite culturale del paese (Pasolini e Bertolucci tra gli altri), pubblicando raccolte, traduzioni, saggi. La fama arriva a 63 anni, con Il muro della terra.
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Riconosciuto a livello internazionale, continuerà a scrivere fino alla morte, avvenuta nel 1990. Per il centenario della nascita, dopo le manifestazioni italiane, altro coronamento alla sua carriera è arrivato dalla Francia, la seconda patria di Caproni, dove Isabelle Lavergne e Jean-Yves Masson hanno tradotto e pubblicato l’Opera Completa. Studi e edizioni si moltiplicano, ed è ormai indubbio che ci si ricorderà del poeta ligure per molto tempo.
La luce di Caproni
Maestro di leggerezza, Caproni ci regala delle pagine di un candore ineguagliabile (“Mia mano, fatti piuma: / fatti vela; e leggera / muovendoti sulla tastiera, / sii cauta.” (Battendo a macchina)), così come altre nella maniera aspra e desolata degna di grandi maestri prima di lui: Dante e Leopardi fra gli altri (“Amore mio, com’è ferito / il secolo, e come siamo soli / – tu, io – nel grigiore / che non ha nome” (Araldica)). Nell’opera caproniana, i temi, i personaggi e così anche le località che il poeta porterà nel cuore rimangono invariati: Genova, Livorno, la Val Trebbia, poi Roma e Parigi.
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Quale un fotografo che scatti sempre gli stessi luoghi, i suoi “luoghi dell’anima”, è come se Caproni di fronte ai paesaggi da ritrarre, via via che va arricchendo la sua poetica, lasciasse il diaframma aperto per tempi sempre più lunghi. I posti sono gli stessi, sono gli occhi a cambiare: colgono di volta in volta meglio quello che allo stesso tempo c’è e non c’è, il legame tra pieno e vuoto, luce e ombra, tra arte (finzione) e mondo. Emergono così altri volti della stessa e unica realtà, volti che tanto sono più profondi, tanto sono più paradossali.
La luce di Caproni
Il paradosso tra i paradossi in Caproni è quello della presenza e dell’assenza (“Sono tornato là / dove non ero mai stato. / Nulla, da come non fu, è mutato” (Ritorno)), cioè l’umana coscienza che un paesaggio, come qualsiasi altro oggetto, o persona, prima o poi lo si abbandona. È la certezza, il presentimento hic et nunc che tutto terminerà, prendendo congedo da noi. Ma non c’è congedo se non in quanto due sono i soggetti a dirsi addio. E quindi se tutto prende congedo da noi, anche noi dobbiamo prendere congedo da tutto: “Amici, credo che sia / meglio per me cominciare / a tirar giù la valigia” (Congedo del viaggiatore cerimonioso).
La luce di Caproni
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Per questo Caproni è il poeta del commiato. Tantissimi sono i saluti e le separazioni presenti nei suoi versi, la poesia stessa si identificherà sempre più con un lungo, funereo saluto: “Chi sia stato il primo, non / è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo. / Poi, uno dopo l’altro, tutti / han preso la stessa via. // Ora non c’è più nessuno.” (Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia). Nell’addio Caproni trova il momento saliente in cui mostrare quanto tragico e infimo allo stesso tempo sia il nostro posto nel mondo, perché legato intimamente alla morte: e paradossalmente, così facendo, ci mostra quanto l’incontro, l’amore, siano ancora necessari all’Uomo, nel vuoto di universo in cui il senso non è più dato, ma da ritrovare (Su un’eco (stravolta) della Traviata): Dammi la tua mano. Vieni. Guida la tua guida. Tremo. Non tremare. Insieme, presto Ritorneremo nel nostro nulla – nel nulla (insieme) Rimoriremo. Testo di Federico Pietrobelli e foto di Simone Padovani © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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La luce di Caproni
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Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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Cremona
ritratto della bassa sulle sponde del
PO Viaggio nella cittĂ di Cremona, nel cuore della Pianura Padana; tra mastri liutai, architetture romaniche, leggende pagane e prodotti locali tipici. Testo di Elena Brunello Foto di Lucio Rossi
Cremona
Lat 45,08 N
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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i racconta che nel cuore della Pianura Padana, poco distante dalle rive del Po, Ercole avesse fondato una città su di un lembo di terra abbastanza rialzato da scampare alle terribili piene del fiume. Nonostante la poesia della leggenda, la Storia testimonia che l’area di Cremona fu abitata fin dai tempi repubblicani dei Romani che qui costruirono un foro e un anfiteatro. Cremona si trova nella bassa Lombardia, dove il Po si attorciglia nelle sue anse per poi scorrere libero attraverso la pianura e gettarsi nell’Adriatico.
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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E’ una città ben salda, costruita di pietra e laterizio; un piccolo gioiello lombardo. Il suo centro storico ruota intorno alla medievale Piazza del Comune, dove si trovano monumenti storici e artistici tra i più belli d’Italia: il Duomo, il Torrazzo, il Battistero, la Loggia dei Militi e il Palazzo del Comune. Con lo scoccare dell’anno Mille, l’Europa entrò in un periodo di profonda rivoluzione spirituale che portò a un rinnovamento dell’architettura religiosa.
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Raoul Glaber, monaco e cronista medievale, scriveva che “sembrava che l’intera terra si scuotesse, spogliandosi della sua vecchiezza, per rivestirsi di una bianca veste di chiese”. L’assetto di architetture religiose presenti nella piazza centrale di Cremona è un esempio calzante di questo rinnovamento architettonico-spirituale che investì le città italiane in quel periodo.
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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Il Duomo di Cremona è un capolavoro di architettura. Di impianto romanico, venne modificato col tempo in stile gotico, rinascimentale e barocco. Venne costruito in quel punto più alto della città che si ritrovava ad essere naturalmente protetto dalle esondazioni del Po. L’interno conserva cicli di affreschi cinquecenteschi tra i più belli del Paese. Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, vi dipinse una
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Crocifissione che scuote nel profondo dell’anima per la toccante bellezza e la sua cruda umanità. A fianco dell’enorme facciata del Duomo si staglia come un titano il Torrazzo, la torre campanaria più alta d’Europa. Centododici metri di altezza, al cui interno sono custodite delle gigantesche campane. Al centro della torre uno dei più grandi orologi astronomici mai costruiti dall’Uomo; il moto degli astri attraversati dalla Luna e dal Sole.
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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Il Torrazzo diede il nome al dolce tipico di Cremona: il torrone. a leggendaria Sperlari, azienda italiana specializzata nella produzione del torrone classico di Cremona, ha sede in questa cittĂ fin dal 1836. Cremona deve molti dei suoi piatti tipici alla presenza del Po, un tempo importantissima via di collegamento del nord Italia. Navigando pazientemente sul fiume i popoli portavano qui le loro tradizioni culinarie cosĂŹ che, col tempo, la cittĂ divenne famosa per i piĂš svariati prodotti,
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come le mandorle, la frutta candita, il miele di trifoglio e la mostarda agrodolce. Tra i primi piatti un posto d’onore lo occupano i marubini, dei tortelli in brodo di gallina, manzo e salame. Per finire le tavole cremonesi mettono in tavola la sbrizulusa, una torta secca impastata con strutto, un cucchiaino di liquore e scorza di limone, e il pan cremona, una soffice torta di farina di mandorle ricoperta di cioccolato.
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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A lato del Duomo è edificato il Battistero di Cremona, un luogo magico, misterioso e suggestivo. Costruito nel XII secolo, l’impianto ottagonale richiama il cammino salvifico dell’Uomo che vi entra per abbandonare il paganesimo e il peccato originale abbracciando la nuova religione; l’ottavo giorno dopo la creazione fu quella della Resurrezione. All’interno, in una luce soffusa che trattiene nel limbo tra luce e ombra, peccato e salvezza, vita antica e vita nuova, si trovano le raffigurazioni arcane di simboli misteriosi. Come un’acquasantiera con una sirena dalla doppia coda, a ricordare il simbolo che questa figura occupa, pensiamo a Ulisse, nel potere della seduzione e del piacere che distolgono l’Uomo dal suo cammino salvifico. All’esterno due grossi leoni di pietra vegliano le porte di ingresso; emblemi del legame tra mondo ultraterreno e forze della natura, simbolo di forza e giustizia ma anche di avidità e ferocia. Se Cremona è stata la città dell’artigianato scultoreo e dell’arte architettonica, è stato anche il centro delle botteghe di liutai, specializzati nella produzione di strumenti ad arco. Antonio Stradivari, liutaio di fama mondiale i cui violini ancora oggi sono conservati preziosamente nei musei più famosi, visse e morì a Cremona.
Ritratto della bassa sulle sponde del Po
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Appassionato nella costruzione di viole, violini, chitarre, violoncelli, tiorbe, liuti e mandolini, lavorò instancabilmente tutta la vita nella produzione di strumenti musicali, alla ricerca del suono perfetto. Oggi le sue spoglie riposano nei giardini pubblici di piazza Roma,
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dove una volta sorgeva la chiesa di San Domenico. Una lastra tombale che lo ricorda è tutto ciò che rimane. Ma a Cremona, la musica dei suoi violini magici aleggia ancora per le strade. Testo di Elena Brunello e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA
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Cremona
Come arrivare: Per arrivare a Cremona da Milano bisogna percorrere circa 95 chilometri, pari a 1 ora di viaggio. Seguire la A1 e prendere l’uscita Castelvetro. Seguire la SP10 in direzione Corso Vittorio Emanuele II verso Cremona.
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Quando andare: Qualsiasi periodo dell’anno è buono per visitare Cremona. Sotto Natale si intensifica la produzione del torrene, il dolce tipico della città. Tenendo conto della gastronomia locale, l’autunno e l’inverno sono forse i periodi più adatti.
Dove dormire: Bed and Breakfast Monteverdi in zona centrale, Via Robolotti 25, t. +39 349 6121624.
Dove mangiare: Osteria La Sosta, a due passi dalla cattedrale e punto cardinale della ristorazione cremonese, Via Sicardo 9. t.+39 0372 456656. Locanda Torriani con vista sul Torrazzo e cucina tipica cremonese, Via Janello Torriani 7, t. +39 335 707 1383. Shopping: Visita guidata e degustazione alla Speralari, storica azienda cremonese di produzione del torrone. A fine novembre la Festa del Torrone.
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Link utili: Portale Turismo a Cremona www.turismocremona.it.
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