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n°114 Aprile 2018

Direttore Responsabile Eugenio Bersani

eugenio@latitudeslife.com

Photo Editor Lucio Rossi

lucio@latitudeslife.com

Sales Manager

Lanfranco Bonisolli

lanfranco@latitudeslife.com

Redazione

Francesca Calò

francesca@latitudeslife.com

Graphic

Arianna Provenzano

arianna@latitudeslife.com




A Pizzo sul mare


A Pizzo sul mare


American movie

A R I Z O N A

M E R I C A N A MOVIE N E W

Arizona

LAT 33,26 N

M E X I C O


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I cactus giganti, le polveri rosse, i canyon remoti. I luoghi iconici dei nativi, i pueblos indiani, le highway. Ăˆ il Southwest immaginifico che abbiamo conosciuto nei film. Tra Arizona e New Mexico va in scena il “veroâ€? road movie della grande provincia americana. Testo e foto di Lucio Rossi


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asta uscire da Phoenix per entrare in un film. È la quinta area metropolitana d’America e appena fuori città i saguaro, gli imponenti cactus simbolo del deserto americano, disegnano l’orizzonte con la loro caratteristica sagoma a candeliere. Lenti nella crescita, in grado di incamerare tonnellate d’acqua e di dare rifugio a molti animali del deserto, i saguaro rappresentano un’immagine iconica del sud ovest degli Stati Uniti e sono presenti in decine di produzioni cinematografiche (da Ombre Rosse a Thelma e Louise) e fumetti che hanno forgiato la nostra cultura per immagini del sud ovest americano.


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Grand Canyon Ma la nostra prima meta, il Grand Canyon, è molto più a nord e appena si comincia a salire di quota i cactus spariscono per lasciare posto alle foreste di conifere, i Ponderosa Pine. La strada attraversa Sedona, buen retiro di star del cinema e celebri scrittori, passa per Flagstaff, dove incrocia un’altra icona del ‘sogno americano’, la mitica Route 66, prima di giungere al Grand Canyon. Provenendo da Phoenix si entra dall’accesso sud (South Rim). E’ il più grande canyon al mondo ed è ovviamente un luogo maestoso ma tocca pagare dazio alla sua stessa fama: ogni giorno è visitato da migliaia di turisti e


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guadagnare il bordo del canyon, tra comitive vocianti e professionisti dei selfie, può essere laborioso. Una volta conquistato il diritto di affacciarsi ci si trova di fronte a uno scenario di una vastità unica: 16 chilometri di ampiezza, profondo quasi due, il nastro d’argento del fiume Colorado che scorre ai piedi di pareti rocciose scavate nel corso dei millenni: per un attimo la folla svanisce, il respiro rallenta e lo sguardo si perde. Avrete tempo di trovare punti di vista meno affollati camminando lungo il bordo del canyon e infine la visita dalla Watchtower, una costruzione degli anni ’30 realizzata con l’intento di assomigliare alle costruzioni Pueblo, completa l’esperienza e permette di fare le ultime foto: impagabile!


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Stelle che

avvolgono i pinnacoli della MONUMENT VALLEY COME UN’ IMMENSA COPERTA.


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Monument Valley Si riprende la strada in direzione nord est, verso la Monument Valley (un Tribal Park gestito dalla Navajo Nation), al confine con lo Utah, attraversando luoghi magici già nel nome, come il Painted Desert, il deserto dipinto, lo stesso posto dove la Nasa ha testato il robot inviato su Marte perché è il posto più simile alla superficie del Pianeta Rosso che si trovi sulla Terra. Una visita a Tuba City, al Centro Culturale Navajo e Museo interattivo, vi servirà per cercare di comprendere i mondi e i miti della complicata mitologia indiana. La materia è molto intricata, quel che resterà impresso è il suono della lingua Navajo ascoltata nei filmati. Del tutto incomprensibile, al punto che venne usata durante la seconda guerra mondiale per impedire ai giapponesi di intercettare le comunicazioni strategiche, l’unica parola che potrete sperare di ricordare è Ya’at’ééh, il saluto Navajo. È una lingua dal suono dolce, sussurrata e flautata, che diventa struggente e ipnotica quando è impiegata nei canti, se poi ci aggiungete i tamburi e le danze attorno al fuoco ai piedi di una Mesa accesa dall’ultimo sole tutto diventa molto suggestivo. La notte trascorre in un Hogan Navajo: una semplice capanna di fango e legni intrecciati che separa dalle stelle che avvolgono i pinnacoli della Monument Valley come un’immensa coperta.


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Il caffè preparato

dai Navajo giunge

PUNTUALE A SPAZZARE VIA l’aria

frizzante

della NOTTE.


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Nessuna comodità, solo una stuoia e un sacco a pelo ma l’esperienza è unica. L’alba arriva presto con tutti i suoi colori, prima il blu cobalto poi appena il sole scavalca l’orizzonte inonda la vallata di tinte calde. La temperatura è bassa, l’atmosfera cristallina, e il caffè preparato dai Navajo giunge puntuale a spazzare via l’aria frizzante della notte. La Monument Valley è la quintessenza del viaggio nel selvaggio West, quello che tutti hanno sognato almeno una volta nella vita, il luogo più fotografato d’America, sfondo di decine di produzioni hollywoodiane (ricordate quando Tom Hanks/Forrest Gump si stufa di


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correre?) e non sorprende quel lieve senso di già visto che per nulla attenua lo stupore di fronte a tanta meraviglia. Canyon de Chelly Il Grand Canyon è certamente un posto maestoso, uno tra i più famosi Parchi Americani, bello da levare il fiato; ma il Canyon de Chelly, poco distante dal confine con il New Mexico, è più intimo e non è da meno: un Monumento Nazionale che merita un posto di rilievo tra i più grandi scenari outdoor del nord America. Lo si capisce subito all’arrivo: il parcheggio per i grandi bus è più piccolo che al Grand Canyon, quindi niente orde di turisti con cappellino, quelli sono tutti dall’altra parte. Soprattutto niente voci, qui si può ascoltare il suono del vento.


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Dal bordo superiore un facile sentiero da percorrere in circa un’ora conduce ai piedi della gola, tra archi e pareti di rocce rosse. Gli Anasazi (gli antenati degli odierni nativi americani Hopi/Zuni) hanno abitato qui, lasciando tracce del loro passaggio nelle costruzioni rupestri addossate alle pareti del Canyon, ma oggi sono le popolazioni Navajo che risiedono su queste terre, coltivando e allevando bestiame. Con circa 300 mila membri e un territorio più vasto di quello di stati come il Massachusetts e il Vermont, i Navajo dominano il panorama fisico e politico di questi luoghi. La Nazione Dinè (che in lingua Navajo significa il Popolo) sono la tribù più potente e numerosa. “I Navajo sono come le lattine di birra: dovunque vai ce n’è una” è una battuta popolare e dal vago sentore razzista che circola da queste parti ma rende bene la dimensione della comunità Navajo. Incrocerete il loro sguardo fiero contornato da capelli neri e lucenti, li vedrete vivere in piccoli clan familiari, poco distanti dalle cittadine, sempre con un Hogan nelle vicinanze con l’entrata rivolta a est per benedire il sole che sorge; li troverete nei luoghi di incontro, come l’Hubbell Trading Post a Ganado, confine tra Arizona e New Mexico, intenti a tessere pregiati tappeti o a creare gioielli in argento e turchese. Li osserverete e capirete che sono un grande popolo, una delle poche tribù indiane che hanno saputo tenere testa al governo degli Stati Uniti, degno di ammirazione e rispetto.


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New Mexico e le terre dei Pueblos Lasciata l’Arizona si entra in New Mexico. La famosa cittadina di Gallup, protagonista di film e fumetti, passa quasi inosservata lungo la main street, come un qualsiasi incrocio di strade. Il primo punto di arrivo è la città di Acoma. Questo è il territorio dei nativi Pueblos. Con il termine Pueblo non si indicano propriamente gli indiani ma i villaggi in cui vivevano alcune tribù di New Mexico e Arizona. Questi pueblo vennero costruiti dagli Anasazi (gli antenati degli odierni nativi americani Hopi/Zuni): erano vere e proprie cittadine fortificate che furono abbandonate prima dell’arrivo dell’uomo bianco e da queste abitazioni presero il nome di “Pueblo” anche gli


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indiani che le abitavano. Fondata nel VII secolo, Acoma è il luogo abitato più antico degli Stati Uniti. È chiamata anche Sky City, città del cielo, collocata com’è su una mesa alta cento metri sulla pianura circostante, più arroccata dei nostrani villaggi medievali. Questo tuttavia non impedì agli Spagnoli di conquistarla. Le case erano in paglia e argilla (adobe) con piccole finestre in un materiale simile all’alabastro che rifletteva i raggi del sole al tramonto, tanto che quando gli spagnoli l’avvistarono credettero che tutto il villaggio fosse pieno d’oro. Una cattedrale francescana con accanto un piccolo cimitero, una piazza per le feste e un solo albero in tutto il villaggio, non c’è molto altro ad Acoma.


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Pace e

empatia

in una connessione COSTANTE CON GLI antenati e CON LA TERRA.


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Straordinaria è invece la via di accesso: una scala scavata nella roccia che poteva facilmente essere difesa e che è interessante percorrere in discesa per raggiungere il vicino Centro Culturale che ospita un interessante museo e un ristorante dove provare le ricette Pueblos, a base di mais, zucca e fagioli. Taos Pueblo Ci sono 19 Pueblo in New Mexico e se non c’è tempo di conoscerli tutti dovrete almeno visitare quello più settentrionale. A nord di Santa Fe, capitale dello Stato, c’è Taos Pueblo, un sito Unesco da visitare assolutamente. Sorge lungo il Red Willow Creek o Rio Pueblo, un piccolo fiume che sgorga dal Sangre de Cristo Mountain Range che attraversa il villaggio. All’ingresso del paese c’è la chiesa di San Geronimo, nella tipica architettura spagnola, mentre gli edifici della parte settentrionale rappresentano la più grande struttura Pueblo ancora abitata e gli archeologi sembrano concordare sul fatto che vennero costruiti tra l’anno 1000 e il 1450. Realizzati in mattoni di paglia e argilla che superano il metro di spessore, il cui obiettivo principale era la difesa, sono tra gli edifici più fotografati degli Stati Uniti. Nelle case non c’è luce né acqua, vietate per preservare l’unicità del luogo. Data la sua collocazione è stato un importante centro di commerci che serviva messicani, spagnoli e gli indiani delle pianure.


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G A L L E R Y


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Oggi gli abitanti della comunitĂ continuano a vivere secondo le ancestrali tradizioni delle gente Pueblo e si dedicano alla produzione di artigianato in cuoio, dipinti e gioielli. Amore, rispetto, compassione, fede,


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comprensione, spiritualità, equilibrio, pace e empatia in una connessione costante con gli antenati e con la Terra. Questi sono i valori su cui si fondano le comunità Pueblo. Difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo. Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA


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Arizona - New Mexico

Informazioni: L’itinerario che suggeriamo in queste pagine si svolge attraverso Arizona e New Mexico, quindi molte informazioni sulle destinazioni si possono trovare nei siti ufficiali dei due Stati. Per informazioni sulle possibilità di viaggio nelle terre dei Nativi Americani visitate il sito dell’Aianta (American Indian Alaska Native Tourism Association) e quello sulle esperienze nell’America dei nativi. Per materiale e informazioni in italiano consultare il sito di Visit USA Association Italy.

Come arrivare: La città migliore da cui partire alla scoperta delle terre dei nativi del Sud Ovest americano è Phoenix, Arizona. Dato che non esistono voli diretti dall’Italia e bisogna fare uno scalo in una città americana il viaggio dura circa 20 ore. Le migliori soluzioni le offrono Air France e KLM via Atlanta o Minneapolis. Questo è il classico viaggio fly & drive quindi una volta atterrati, se non siete in un viaggio organizzato, vi servirà un’auto che potrete noleggiare con Alamo o Hertz, in America l’affitto di un’utilitaria ha costi contenuti.

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Quando andare: In generale, il clima dell’Arizona presenta temperature elevate e scarse precipitazioni, anche se all’interno dello stato si distinguono diverse zone climatiche. Quella di interesse per l’itinerario proposto è la zona settentrionale dell’altopiano del Colorado che si sviluppa a una altitudine tra i 1500 e i 2000 metri. Qui le estati sono calde mentre gli inverni sono freddi e ventosi con precipitazioni nevose anche frequenti. Il clima New Mexico è famoso per l’elevato numero di giornate soleggiate tuttavia, data la presenza di alte montagne nella parte nord, il


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clima e la temperatura sono mutevoli, con inverni abbastanza rigidi ed estati calde, in modo particolare nelle zone desertiche della parte meridionale dello stato. Un viaggio come quello proposto può essere pianificato tra i mesi di aprile e settembre.

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Dove dormire: Santa Fe è il punto migliore per fare base in New Mexico, da qui è facile spostarsi per le varie escursione e poi è una città che vale la pena visitare. Un’ottima soluzione è fermarsi al Hotel Santa Fe. Documenti: Passaporto elettronico e autorizzazione ESTA da richiedere via internet al sito dedicato. L’autorizzazione costa 14 dollari, dura due anni e va ottenuta prima di partire e portata con sé al momento del check-in in aeroporto. Per informazioni dettagliate visitare il sito dell’Associazione Visit USA. %&x

Lingua: Americano, che è un inglese modificato da molti termini in slang. In generale meno formale dell’inglese. Religione: 28% cattolici, 51,4% protestanti, 3% altri riti cristiani, 4,5% altre religioni. Valuta: Dollaro americano.

Elettricità: 110V. Necessario un adattatore.


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Arizona - New Mexico

Abbigliamento: Nel periodo estivo, durante il giorno le temperature possono superare i 40 gradi ma senza umidità quindi dovrete portare dei vestiti leggeri e qualcosa per proteggervi dal sole. Dato che l’itinerario si svolge oltre i 1500 metri di quota alla sera la temperatura cala sensibilmente ed è necessario avere una giacca anti vento. In inverno le temperature scendono intorno allo zero e può nevicare

Telefono: Alcuni operatori telefonici italiani permettono di chiamare dagli Usa con sim italiana a una tariffa flat giornaliera con inclusi minuti, sms e traffico internet. Si consiglia di contattare il proprio operatore mobile. Suggerimenti: Entrare in contatto con le popolazioni native significa anche conoscere e capire la loro cultura e rispettarne usanze e tradizioni. Le popolazioni native sono generose e ospitali ma richiedono che i visitatori abbiano la cura di mantenere atteggiamenti adeguati in presenza di cerimonie religiose e luoghi di sepoltura. Chiedere sempre il permesso prima di fotografare le persone. Da visitare: La visita alla mostra “We Are of This Place: The Pueblo Story.”presso il The Indian Pueblo Cultural Center ad Albuquerque è la doverosa conclusione di un viaggio alla scoperta dei Nativi del sud ovest e permette di conoscere la storia dei Pueblo nativi del New Mexico.


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Link utili: Grand Canyon National Park

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Monument Valley Navajo Tribal Park Taos Pueblo Acoma Sky City Explore Navajo


Laguna blues

LOUISIANA

LAGUN A

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Terra fradicia di paludi, foreste e bayou su cui è attecchito il blues e il jazz, la Louisiana è l’anima profonda degli States. La voce della resistenza culturale si snoda tra plantations, città meticce e campi di battaglia della Guerra civile americana seguendo il filo del Grande Missisippi. La capitale? Baton Rouge, ma è l’eclettica New Orleans il piatto più ricco del banchetto. Testo di Lucio Rossi e Francesca Calò Foto di Lucio Rossi

Cat Island

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LO U I S I A N A Laguna blues


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LO U I S I A N A

È

la città in cui ogni musicista vorrebbe suonare. Almeno una volta nella vita. New Orleans è, innanzitutto la Musica, con tutti gli stereotipi di città dannata e fumosa che si porta dietro. Il jazz e il blues sono la sua quintessenza. Aleggiano per le strade, attirano, divertono i curiosi e commuovono gli appassionati. Sugli spartiti è scritta la sua storia, quella della schiavitù, della ribellione, la piaga malinconica dell’alcolismo, la rivalsa e la joie de vivre di una città che è attraversata da quel flusso conturbante di cultura creola, americana ed europea che la rende unica.


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Fondata dai francesi, ricostruita dagli spagnoli, vissuta come prigione dagli schiavi africani, colorata dagli ispanici del vicino Sudamerica e infine abitata dai caucasici statunitensi, ha un centro antico permeato dallo stile spagnolo e un circondario naturale spettacolare costituito dalle terre della cultura cajun, condensato di origine franco-africana. Dall’animismo africano della religione voodoo, cui è stato dedicato l’Historic Voodoo Museum, alle sfrenate tradizioni del Mardi Gras e del Carnevale di derivazione caraibica, New Orleans offre una molteplicità di manifestazioni folcloristiche tra le più affascinanti


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dell’intero nord America. Ma l’aria carnascialesca si avverte tutto l’anno a Bourbon Street, arteria principale del quartiere francese, nota per i jazz club e i locali dove ascoltare musica. E dato che fare una selezioni dei migliori spot può essere un esercizio complicato, basta partire da un dato concreto: il Preservation Hall è il posto migliore della città, dal 1961 questa associazione culturale ha la missione di preservare il jazz tradizionale di New Orleans e senza dubbio è il posto dove vedere in azione le migliori band di Big Easy (uno dei tanti nomignoli con cui viene definita New Orleans).


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TO R N A I N D I E T R O

ETIOPIALO U I S I A N A

LALIBELA

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Bar e locali spuntano come funghi nel Vieux Carrè, il Quartiere francese, preso d’assalto da quel serpentone di turisti che si riversano speranzosi nella City That Care Forgot, ingozzandosi di gumbo e sorseggiando un’America languida. D‘altra parte, questo è uno dei pochi posti del civile Nuovo Continente dove è permesso bivaccare in strada consumando alcolici e lasciandosi persino andare ad altre perdizioni. E se la musica detta la melodia, il cibo stabilisce il ritmo. Il tempo nella Crescent City non si misura in ore e giorni, ma con i pasti. Mangiare a New Orleans, è un’esperienza culinaria che abbraccia un’ampia gamma di cucine. Dalla cajun e creola alla soul a quella più contemporanea di ispirazione francese.


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Lo street food è il piatto pop, come una performance improvvisata per strada o nella centrale Jakson Square, ma l’alta cucina, con chef stellati che imbandiscono ineguagliabili sinfonie di sapori, tocca note inarrivabili. Merita la sosta l’antico Cafè du Monde non fosse altro per testare la veridicità attorno alla bontà dei leggendari beignet fritti, addentati alzando polveroni di zucchero a velo. Buoni, buonissimi. E gli hipster? Si aggirano nella zona portuale di The Warehouse conosciuta come Arts District, un quartiere eclettico noto per essere anche la SoHo del sud, mentre in Magazine Street gallerie d’arte, ristoranti stellati, negozi chic fanno capolino tra le ville vittoriane.


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A far capire che questa è una città di passaggio, un porto da cui si arriva o si parte, ci sono la Natchez e la American Queen, i classici battelli a pale che solcano il Mississippi. Un dejavu, penseranno in molti, ma la crociera a bordo di uno di questi classici è un modo per entrare in contatto con la vera natura della città e del grande fiume e scoprire quanto le loro sorti siano intrecciate. E se New Orleans è la capitale morale della Louisiana, anche Baton Rouge, la capitale amministrativa, vale una visita. Votata come una delle South’s Best Foodie Cities offre occasioni imperdibili per conoscere la cultura e la storia dello stato. Tappa obbligata il Louisiana State University Museum of Art, lo Shaw Center for the Arts e il Louisiana Arts and Science Museum. Per finire sul rooftop del museo da dove lo sguardo spazia sul placido scorrere del Mississippi. La Great River Road tra New Orleans e Baton Rouge un tempo era costellata di plantation e di chilometri a perdita d’occhio di fattorie. Opulente magioni regnavano sui territori, circondate da capanne per gli schiavi neri ed altri edifici. Solo poche di queste plantation esistono ancora, e molte sono aperte al pubblico, come la Magnolia Mound Plantation, risalente al 1791. Quasi a metà strada, Donaldsonville ai più suonerà sconosciuta.


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In realtà merita una sosta perché nel 1830 fu capitale della Louisiana e ancora conserva edifici storici di un certo pregio, ma soprattutto per il River Road African American Museum, un piccolo museo molto suggestivo in cui si concentra la tragica storia dei neri americani durante la schiavitù. Poi c’è quella struggente Highway 61 a portarti fuori la città, tra piantagioni, paludi, fango, serpenti e zanzare, in un trip musicale che accompagna il sound del grande fiume, a cui il Nobel Bob Dylan, in tempi non sospetti, dedicò un album riconosciuto come pietra miliare della storia della musica.


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Infine, nella contea di Terrebonne, nei pressi di Houma, ci si imbarca per il più classico degli swamp tour e si galleggia nelle acque scure accompagnati dagli alti cipressi vestiti dal muschio spagnolo che pende dai rami come lunghe barbe (in realtà si tratta di una pianta della famiglia delle Bromeliacee, la Tillandsia Usnoides). Si serpeggia lentamente tra i bayou del grande Delta, attraversando canali e isole abitate da alligatori e aquile di mare. E a boccate di armonica blues si ristorano le fauci affamate e gli spiriti in cerca di pace. Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA

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Canada Louisiana

Informazioni: Come arrivare: Informazioni utili sulvolano sito uffidall’Italia ciale di Louisiana Travel Diverse compagnie al Canada, ma la più New Orleansè Convention economica solitamente &AirVisitors TransatBureau che collega Roma con Travel South USA Toronto e Vancouver. Una volta in territorio canadese bisogna Per materiale e informazioni in italiano consultare il sito di Visit prendere un volo interno per raggiungere Whitehorse e USA Association Italy. lo Yukon Territory (Air Canada, Air North le compagnie più gettonate). Dalla Germania c’è però l’opzione volo diretto Come arrivare: con la Condor Airlines, della che vola su Whitehorse durante i mesi Il principale aeroporto Louisiana è il Luis Armstrong estivi. QuestaAirport si riveladispesso la soluzione piùda conveniente International New Orleans, servito tutte le più per raggiungere lo Yukon dall’Europa. Noleggiare importanti rotte continentali e collegato anche adun’auto alcune capitali europee, in particolare Amsterdam. Sono numerosissime per raggiungere il Grande Nord da Toronto può essere le autostrade interstatali, che7000km) consentono di raggiungere tutti gli molto costoso (sono circa anche se panoramico stati confinanti Da in brevissimo maèmolto e avventuroso. Vancouvertempo, il tragitto inveceeffi piùciente breveèeanche il trasporto ferroviario. Gli spostamenti fluviali lungo il corso del anche più spettacolare (si attraversano tre ecosistemi diversi tra Mississippi costituiscono un sistema di trasporto molto attivo. cui il deserto intorno al fiume Fazer a Cache Creek e la tundra in Bristish QuandoColumbia). andare:

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Il clima di New Orleans è influenzato dalla sua latitudine Quando andare: subtropicale e dalla sua vicinanza al Golfo del Messico, quindi per quasi tutto l’anno è caldo e umido. Il momento migliore Clima: Il periodo migliore per visitare il Canada e in particolar per visitare la città è da febbraio ad aprile, quando il tempo più modo lo Yukon Territory è solitamente da metà maggio a fine favorevole coincide con sono i due gradevoli eventi piùespettacolari di New agosto. Le temperature le precipitazioni meno Orleans, il Mardi Gras e la Jazz Fest. frequenti. Sicuramente da evitare il periodo tra marzo e aprile quando lo scioglimento della neve, oltre a causare inondazioni Documenti: in tutto il paese, scopreeinfi nite distese diESTA erbada bruciata dal via Passaporto elettronico autorizzazione richiedere gelo. Meraviglioso è invece il mese di ottobre, corrisponde internet al sito dedicato. L’autorizzazione costache 14 dollari e va all’inizio breve autunno. Le immense dell’Ontario ottenutadel prima di partire e portata con séforeste al momento del checke Rockies siDal colorano, questo di un’ infi nita indelle in aeroporto. 1 aprilein 2016 nonperiodo, è più possibile viaggiare con il VisadiWaiver Program muniti di passaporto quantità sfumature tra il senza rosso eessere il giallo. elettronico, anche se già in possesso dell’autorizzazione ESTA. E’necessario pertanto richiedere un passaporto elettronico nuovo e una nuova autorizzazione ESTA o richiedere il visto non immigrante.


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Lingua: Dove mangiare: Americano, è unsono inglese modificato da molti in Nello Yukonche i prezzi ovunque piuttosto alti, termini si consigliano slang. In generale meno formale dell’inglese. soprattutto i dining a bordo strada, specie se frequentati da camionisti, che possono riservare anche esperienze pittoresche Religione: e “indigene”, meno turistiche. Il prezzo medio per una colazione 28% cattolici, 51,4% protestanti, 3% altri riti cristiani, 4,5% altre (uova, bacon, patata e pane) o un pranzo tipico (hamburger e religioni. In Louisiana vengono ancora praticati riti voodoo. patatine) si aggira intorno ai 10/15 euro. Valuta: Viaggio organizzato: Dollaro americano. Il tour operator Viaggi dell’Elefante propone l’itinerario di 14 giorni “Gran Tour Alaska & Yucon” con partenze il 13 giugno e Elettricità: 110V. Necessario un adattatore. l’8 agosto 2015. Prezzo a partire da 3120 euro a persona. Telefono: Fuso orario: Alcuni telefonici permettono Da – 6 operatori sulla East Coast a – italiani 9 sulla West Coast. di chiamare dagli Usa con sim italiana a una tariffa flat giornaliera con inclusi minuti, sms e traffico internet. Si consiglia di contattare il Documenti: proprio operatore mobile. Passaporto con validità a 6 mesi.

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Abbigliamento: Vaccini: Nel periodo estivo, è consigliabile portare dei vestiti leggeri e Nessuno. qualcosa per proteggervi dal sole. Portate un maglione per le serate più fresche. In ogni stagione è utile un impermeabile. Lingua: Suggerimenti: Inglese e francese. Per ripercorrere la storia della schiavitù lungo il Mississippi visitate il River Road African-American Museum a Valuta: Donaldsonville. Se siete da queste parti un giro tra le paludi è Dollaro canadese. un’esperienza da non perdere, potete dirigervi a Gibson, nel Black Bayou, e mettervi nelle mani del Capitano Billy Gaston.


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SOUTH

S L O W COUNTRY CAROLINA


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South Carolina

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Stato americano insolito, il South Carolina. Charleston è una delle gemme della Low Country del South ma qui c’è molto altro. Il ‘nick name’ che hanno affibbiato allo Stato è ‘the Palmetto State’, dal nome della palma Sabal, tipica delle coste paludose dell’Atlantico. Il ‘motto’ non è da meno: ‘dum spiro, spero’ (finché respiro, spero). Gente tenace e combattiva. Sempre. Testo e foto di Lucio Rossi


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reenville, città in crescita Dalla capitale dello stato Columbia (al pari di Palmetto, sono moltissime le cittadine americane che richiamano nel nome il navigatore genovese) ci si sposta verso nord ovest, quasi al confine con l’altra Carolina (quella del Nord) e la Georgia. Meta: Greenville, graziosa cittadina il cui centro storico ha fama di essere tra le Top-10 downtown d’America; così almeno viene descritto dalla rivista Forbes. Una città del Sud deve avere molte azalee, buoni ristoranti BBQ, la folla fuori dalla messa domenicale a ricevere il saluto del Pastore (protestante-battista, il credo dominante) e un buon numero di eroi sepolti nel locale camposanto cui la gente continua, commossa, a rendere omaggio; tutti elementi che qui si trovano, fanno parte del DNA della popolazione. Greenville è vicina alle Blue Ridge Mountains, a metà strada tra Charlotte e Atlanta. Nel cuore della città c’è un ponte, il Liberty Bridge, che attraversa il Reedy River e le sue cascate all’interno del Falls Park.


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Un tempo le acque del fiume cambiavano colore a seconda del tipo di tintura che veniva impiegata nelle fabbriche tessili stanziate lungo le sue rive. Ora tutto questo non accade più; il fiume è tornato ad avere acque pulite e ospita quindi oche, papere che sguazzano felici nelle pozze tranquille che si creano lungo le rive, mentre queste sono frequentate da persone che portano a spasso il cane o da mamme che spingono carrozzine e bebè lungo le sponde. Quelli descritti, sono scampoli di vita comuni per il centro città, verso il quale inevitabilmente tutti confluiscono.


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Stranieri e visitatori provenienti da altre città d’America, vengono a vedere una città, Greenville, che ha saputo reinventare sé stessa, divenendo l’area che ha attirato il maggior numero di investimenti internazionali pro capite di tutti gli USA (BMW, Mercedes e tra poco anche la Volvo; il South Carolina vuol dire ‘automobili’). Una piccola città che inizia a ragionare in grande e qui già si ‘mangia’ come in una grande città, grazie alla varietà delle offerte gastronomiche: cucina indiana, messicana, libanese, thai, senza contare i cuochi locali che compiono enormi progressi e presto avranno il riconoscimento e la fama di grandi chef.


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Greenville è una piccola città che inizia

a RAGIONARE IN GRANDE


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Poi c’è il mercato del sabato, lungo la Main Street, che richiama in città i produttori della regione che invadono l’arteria principale con i loro box di vendita: verdure e frutti dai nomi seducenti, come la Cherokee Purple, una mela ribattezzata in onore dei Nativi che chiamavano ‘casa’ questo posto. La gente ama Greenville, perché è una città che è stata in grado di cambiare e rinnovare sé stessa, facendone un centro abitato gradevole e accogliente. Euphoria è un ‘food’ festival, giunto alla decima edizione, che ha luogo a fine settembre nella città di Greenville. Durante i tre giorni del festival, i migliori chef della regione si esibiscono nella preparazione delle


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più famose ricette locali, in diverse location della città. È l’occasione per familiarizzare con la cucina di questo Stato del sud che è riconosciuta come una delle migliori in assoluto in America. Myrtle Beach, la piccola Las Vegas Località di mare, più vicina al confine con il Nord Carolina che a Charleston, Myrtle Beach accoglie circa 18 milioni di visitatori ogni anno. Cosa ha da offrire loro? È presto detto: 60 miglia di spiagge, centinaia di hotel, decine di ristoranti e campi da golf. Non si può proprio dire che Myrtle Beach sia un villaggio di pescatori; è invece un luogo ‘inventato’ per il turismo tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso e cresciuto a dismisura sino agli attuali livelli.


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Certo è che gode di ottimo clima quasi tutto l’anno, tanto da essere diventata la località preferita dai pensionati in cerca di caldo e di vantaggiose tasse sulla proprietà, tra le più basse del Paese. Inoltre la cittadina si sviluppa lungo una spiaggia che Tripadvisor colloca tra le più desiderate al mondo. Forse tanto entusiasmo non si spiega sino in fondo, ma resta il fatto che rimane un posto da visitare; la Strip sembra quella di Las Vegas in piccolo: piena di luci, locali dove mangiare e un frequentatissimo luna-park. Visitandolo, il luogo va interpretato come un tentativo di esplorare come gli americani trascorrano il loro tempo libero, oppure come una introspezione antropologica del


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gusto USA per il kitsch. Nei dintorni della città i visitatori hanno la possibilità di osservare i numerosi campi di cotone – una interessante attrazione a ritroso nel tempo - che, pur con tutte le contraddizioni di questo Paese, per fortuna non rappresentano più il simbolo di oppressione e sfruttamento. È comunque bello vederli mentre si percorre l’autostrada e vale la pena scendere dall’auto per esplorare a piedi le vaste distese di piante ricoperte dai candidi fiocchi, un tempo luogo di lavoro e sofferenza per migliaia di schiavi. Se siete da queste parti, c’è poi un luogo che davvero vale la pena visitare; si tratta del Brookgreen Garden, un National Historic Landmark a metà strada tra il giardino botanico e l’esposizione d’arte a cielo aperto.


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Si passeggia tra viali alberati, aiuole fiorite e padiglioni coperti che accolgono opere d’arte di pittura e scultura di famosi artisti: naturalmente dipende dalla sensibilità di ciascuno cosa preferire, ma lo spettacolo delle querce ricoperte di ‘muschio spagnolo’ (Spanish Moss, che è una Bromelia – la Tillandsia Usneoides - tipica del Sud degli Stati Uniti) è qualcosa di straordinario. Charleston, la più bella La città, che all’inizio si chiamava Charles Towne, prende il nome da Carlo Stuart II, Re d’Inghilterra fino al 1685. Charleston era il punto più meridionale dell’Impero Britannico in nord America; è una città che ha davvero ‘vissuto’ la propria storia: ha attraversato guerre civili, incendi, terremoti. Trascurando per un attimo i numerosi fatti storici che hanno visto Charleston come protagonista, si può ben dire che è per certo una delle città più antiche degli USA: fondata nel 1670, porta il nome del re d’Inghilterra Carlo II e ha avuto un ruolo determinante nella guerra di secessione. Ma soprattutto, per chi fosse interessato a visitarla, salterà allo sguardo che Charleston è una bella città, vivibile e non troppo grande come molte altre metropoli americane. Charleston è la città più famosa del South Carolina e icona della cultura ‘southern’ degli Stati Uniti d’America.


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È una città che ha

davvero vissuto

la propria STORIA: HA ATTRAVERSATO

guerre CIVILI,

incendi,

TERREMOTI.


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Elegante e raffinata, è stata per centinaia di anni una cittadina dalle mille contraddizioni storiche e culturali. Charleston sorge tra le paludi, le lunghe spiagge selvagge e gli acquitrini del sud degli Stati Uniti. Un tempo era il più grande porto del Paese per il commercio degli schiavi; enormi velieri salpavano dalle coste dell’Africa occidentale, trasportando le lacrime, la disperazione e i sogni infranti di centinaia di migliaia di uomini e donne, strappati alla loro terra e destinati ad essere venduti per il lavoro nei campi. Lungo il molo d’approdo della cittadina aveva luogo, terribile e spaventoso, il più grande mercato di schiavi del mondo. Queste povere anime venivano


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vendute ai ricchissimi latifondisti, proprietari di sterminate piantagioni di cotone, caffè e soia. Charleston è ancor oggi icona della cultura del sud del Paese, malgrado la sua storia sia rimasta macchiata dalla vergogna del mercato degli schiavi; accanto a questi risvolti negativi, va anche detto che Charleston è stata per secoli una delle cittadine più eleganti degli Stati Uniti. Il suo lungomare è famoso in tutto il mondo: ville colorate e abbellite da eleganti porticati, lunghi viali alberati di palme, giardini lussureggianti ed esotici; a Charleston si respirava e si respira l’aria calda, umida ed esotica dei Caraibi. Durante gli anni Venti del Novecento, la cittadina è divenuta il simbolo, l’icona della vita mondana.


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Elegantissime feste, l’élite del Paese si riuniva qui a celebrare la bella vita nell’epoca folle e contraddittoria del proibizionismo. Da Charleston viene il famosissimo e omonimo ballo, danza originata dalla canzone jazz di Mark Jones e Cecil Mack. Inoltre Charleston è l’annuale anfiteatro urbano del Festival dei due Mondi (da qui il riferimento ai ‘due mondi’), gemello del nostrano di Spoleto. Visitare la costa della Carolina del Sud vuol dire entrare nel profondo della cultura degli Stati Uniti del Sud. Folle, contraddittoria, esagerata, conservatrice e avanguardista allo stesso tempo, la si comprende solo viaggiandoci e immaginando le sue piantagioni di


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cotone, l’aria calda e stantia delle paludi, la musica soul e jazz dei suoi cantanti e la sua intrinseca, naturale eleganza. Si può concludere che la vera attrazione della Carolina del Sud è Charleston; la bellezza caratteristica del suo centro storico rivaleggia con quello di due altre famose capitali del ‘sud’, quali Savannah e New Orleans. Poco distante dalla città si può visitare la Charleston Tea Plantation che, grazie alle sue caratteristiche climatiche, è la prima e unica Tea Estate Americana che produce un ottimo tè nero, il Charleston tea, tanto da diventare il tè ufficiale della Casa Bianca. Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA

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South Carolina

Informazioni: L’itinerario che suggeriamo in queste pagine si svolge in South Carolina, stato del Sud con Ufficio di promozione in Italia presso la società Thema Nuovi Mondi, cui è possibile rivolgersi per materiale informativo: Travel SouthUSA Italia c/o Thema Nuovi Mondi. Molte informazioni anche sul sito ufficiale dello Stato. Per materiale e informazioni in italiano consultare il sito di Visit USA Association Italy. Come arrivare: Si può scegliere di arrivare a Charleston o a Greenville in entrambi i casi si viaggia dall’Italia con Delta via Atlanta e voli in coincidenza per le due città del South Carolina. Una volta a destinazione, se non siete in un viaggio organizzato e decidete di fare un itinerario su strada, in questo caso vi servirà un’auto che potrete noleggiare con Alamo o Hertz, in America l’affitto di un’utilitaria ha costi contenuti.

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Quando andare: Tarda primavera inizio estate sono i peridi migliori per visitare il South Carolina. Dove dormire: A Geenville potete scegliere l’Hotel Hyatt Regency, ottimo albergo nel centro della città. A Charleston una buona soluzione è quella del Hyatt Place vicino al distretto dello shopping e al quartiere storico della città.


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Documenti: Passaporto elettronico e autorizzazione ESTA da richiedere via internet al sito dedicato. L’autorizzazione costa 14 dollari, dura due anni e va ottenuta prima di partire e portata con sé al momento del check-in in aeroporto. Per informazioni dettagliate visitare il sito dell’Associazione Visit USA.

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Lingua: Americano, che è un inglese modificato da molti termini in slang. In generale meno formale dell’inglese. Valuta: Dollaro americano.

Religione: 28% cattolici, 51,4% protestanti, 3% altri riti cristiani, 4,5% altre religioni. Elettricità: 110V. Necessario un adattatore.

Telefono: Alcuni operatori telefonici italiani permettono di chiamare dagli Usa con sim italiana a una tariffa flat giornaliera con inclusi minuti, sms e traffico internet. Si consiglia di contattare il proprio operatore mobile.


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Eventi: Euphoria è un food festival, giunto alla 10ma edizione che si svolge a fine settembre nella città di Greenville. Durante i tre giorni del festival i migliori chef della regione si esibiscono nella preparazione delle più famose ricette locali in diverse location della città. È l’occasione per familiarizzare con la cucina di questo Stato del sud che è riconosciuta per essere una delle migliori in assoluto in America. Link utili: Sito ufficiale di Myrtle Baech Sito ufficiale di Charleston

Old Slave Mart a Charleston

Historic Charleston City Market


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Bella d’inverno


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Le grandi nevicate ovattano di una bellezza candida Boston e i piccoli centri piĂš rappresentativi del Massachusetts. Le stradine lastricate di ciottoli e le lanterne a gas di Beacon Hill, imbiancate dalla neve, riproducono una Boston imperturbabile, ridente cartolina del New England. Testo e foto di Anne Conway www.anneconway.com

Massachusetts

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LAT 42,18 N


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olare sull’aeroporto di Boston al tramonto nel gelido inverno è memorabile; decine di isole innevate nella baia brillano con gli ultimi raggi del sole; il ghiaccio riluce sulla costa, mentre, man mano che ci si avvicina, le case a schiera, i giardini, le strade, avvolte nel blu del crepuscolo, si accendono sotto le luci serali. Nel passato Boston era il primo approdo per tanta gente che arrivava nel nuovo continente: dai primi rifugiati religiosi ai pionieri, che hanno poi creato il primo centro del New England. I flussi di immigrazione – di Irlandesi e Italiani, soprattutto (Little Italy, non a caso è uno dei quartieri più importanti) – ne hanno fatto una città accogliente e tollerante. Tant’è che allo Skywalk Observatory c’è una mostra permanente sull’immigrazione, ‘The Dreams of Freedom’, che testimonia lo spirito di apertura che da sempre la distingue.


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Si trova al 50esimo piano del Prudential Building, un posto speciale da cui si può godere di una vista spettacolare a 360° su tutta la città, avvolta tra nuvole e neve. I bostoniani rimangono impassibili di fronte alla neve; mettono un copricapo più pesante e continuano la vita come prima. Approfittano dell’ora di pranzo per pattinare sul Frog Pond ghiacciato al Boston Common, e nel weekend continuano a fare jogging, avendo cura magari di mettere gli stivaletti di gomma ai cani. Il freddo non impedisce di fare una camminata lungo il Boston Freedom Trail, che permette di vedere gli edifici e i quartieri storici della città, suggellata da una energica


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colazione al Café Fleuri del Langham Hotel. Qui solo il sabato da settembre a marzo c’è il Chocolate Bar, che serve oltre 100 prelibatezze al cioccolato. Potrebbe essere piacevole anche riscaldarsi le mani intorno ad un bicchiere di hot cider, il gustoso sidro profumato di spezie che si trova in tutti i locali. Per la vera colazione all’americana, imperdibile la tappa allo storico Fairmont Copley Plaza Hotel, con suoi numerosi ristoranti e bar tradizionali. La fama di Boston è legata al suo essere città accademica e culla dell’arte. La Public Library (la prima biblioteca municipale negli USA), è un luogo di impressionante grandezza e accessibile a tutti.


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La moderna estensione in cemento e vetro si fonde armonicamente con l’edificio originario, risalente al 1848, con i busti in marmo degli scrittori che osservano la grande sala letture, dalle alte finestre. La sete di cultura è il pretesto per un fuoriporta che ci spinge fino ai paesi di Salem e Concord, poco fuori Boston. La neve copre tutto - le strade, gli alberi, le case in legno. Lunghe stalattiti di ghiaccio pendono dai tetti, e il freddo gela perfino la Stars and Stripes, la bandiera americana. Un panorama fantastico che ben si presta all’atmosfera suggestiva che aleggia intorno a Salem, conosciuta come la città delle


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streghe. Merita la visita il Peabody Essex Museum, un museo che conserva quasi due milioni di opere d’arte di ogni genere, che testimoniano l’importanza storica del porto marittimo di Salem e i forti legami storici di commercio tra il paese e l’Oriente. C’è perfino una casa cinese di 200 anni, trasportata qui mattone per mattone, e poi ricostruita nel cortile. Un patrimonio notevole, che rende il PEM tra i 20 musei più importanti degli USA. Vicino al vecchio molo, il Salem Harbor, si trova The House of Seven Gables (la casa dei sette abbaini), costruita nel 1668, che ha ispirato l’omonimo libro scritto da Nathanial Hawthorne, nativo del posto.


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50 km a ovest, Concord è una graziosa cittadina, rifugio nell’800 di grandi scrittori come Louisa May Alcott, di cui è visitabile la casa, Orchard House, appena fuori del paese: qui vissero anche Ralph Waldo Emerson e Henry


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David Thoreau, autore di Walden ovvero Vita nei boschi, che proprio qui visse la sua esperienza. Oggi come allora su Boston aleggia un’aura magica. Sarà forse il freddo ad averla perfettamente conservata? Chissà, forse sì. Testo e foto di Anne Conway © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA


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Massachusetts

Informazioni: Tourism Massachusetts Italia, Via Pisacane 26 - 20129 Milano, tel.02.33105841, bostonma@themasrl.it - L’Ufficio del Turismo in Italia c/o Thema Nuovi Mondi Srl distribuisce info, manuali di viaggio, cartine e brochure varie a titolo gratuito; si paga solo la spedizione.

Come arrivare: Con voli Air France da Parigi, diretti Alitalia sia da Milano sia da Roma altrimenti con Lufthansa che dispone di voli giornalieri da Francoforte e da Monaco.

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Quando andare: Ogni periodo è valido; il Massachusetts è lo Stato delle quattro stagioni. La primavera e l’estate sono le stagioni più indicate per un viaggio ma anche l’autunno è un momento favorevole dato che coincide con lo straordinario spettacolo del fall foliage, con i boschi che si tingono dei tipici colori dell’autunno. E’ altissima stagione, quindi bisogna prenotare con anticipo. Fuso orario: 6 ore in meno rispetto all’Italia.

Documenti: Passaporto elettronico e autorizzazione ESTA da richiedere via internet al sito dedicato. L’autorizzazione costa 14 dollari, dura due anni e va ottenuta prima di partire e portata con sé al momento del check-in in aeroporto. Per informazioni dettagliate visitare il sito dell’Associazione Visit USA.


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Vaccini: In America non occorrono vaccinazioni. Il Paese possiede un sistema sanitario molto efficiente, ma è opportuno dotarsi di un’assicurazione che copra il periodo di viaggio.

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Lingua: Americano, che è un inglese modificato da molti termini in slang. In generale meno formale dell’inglese. Religione: 23,9% cattolici, 51,4% protestanti, 5,8% altri riti cristiani, 3,4% altre religioni. Valuta: Il dollaro americano.

Elettricità: 110V, ma bisogna usare un adattatore.

Telefono: Per chiamare in Massachusetts 001 seguito dal prefisso locale e dal numero. Per chiamare l’Italia: 0039 più numero italiano. La copertura per i telefono cellulari è molto vasta, anche nelle zone più isolate dello Stato. Link utili: Thema Nuovi Mondi Srl, Tourism Massachusetts Italia


Arte,amore e democrazia

È stata a lungo conosciuta per essere la città dove è nata la Costituzione americana, il cheesesteak e Rocky. Oggi Philadelphia tende le braccia al cielo: prima città americana Patrimonio dell’Unesco, colleziona riconoscimenti e capolavori dell’arte. A luglio? Accoglie la Democratic Convention; ed è standing ovation.


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p h i l a d e lp hi a

ARTE

amore

&DEMOCRAZIA Testo e foto di Lucio Rossi

Philadelphia

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ul podio indetto dalla Lonely Planet per sugellare i luoghi americani assolutamente da non perdere in questo 2016 guadagna la medaglia d’oro. Philadelphia merita la visita. L’aspetto urbanistico notevolmente migliorato e l’alta qualità della vita sono i fattori principali che hanno portato la città fondata nel 1682 da William Penn in pole position. Ma i riconoscimenti si sprecano: già la voce autorevole del New York Times si era pronunciata un anno fa, in tempi non sospetti, proclamando la città come primo place to go negli USA del 2015. Conde Nast la elegge seconda destinazione al mondo per lo shopping. Zagat come una delle 17 città che primeggia per il buon cibo. Che dire, quindi, se non che Philly si fa amare un po’ da tutti. Summa cum laude infine dall’Unesco, che la incorona prima città degli States a diventare patrimonio dell’Umanità.


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A regola d’arte Ma oltre a raccogliere titoli, la città dell’amore fraterno accoglie collezioni. Tanto per cominciare, il Philadelphia Museum of Art custodisce più di 225 mila opere d’arte che attraversano circa 2000 anni di storia. Un complesso neoclassico dove le ambizioni dei connoisseur incontrano il gusto nazionalpopolare di podisti che emulano la salita della mitica gradinata di Rocky, qui considerato un Apollo, con tanto di statua. All’interno è ospitata una collezione permanente notevole e sono sempre presenti mostre temporanee. Proseguendo lungo la Benjamin Franklin Parkway c’è il Museo Rodin, che ospita la collezione più


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importante delle opere dell’artista al di fuori dei confini francesi. Paul CÊzanne, Giorgio de Chirico, Paul Gauguin, Francisco Goya, Henri Matisse, Amedeo Modigliani, Claude Monet, Pablo Picasso, Pierre-Auguste Renoir, Henri Rousseau, Vincent van Gogh trovano spazio nella nuova sede della Barnes Foundation. Merita la visita il Franklin Insitute, un museo della scienza che rende omaggio al celebre inventore; dodici le gallerie espositive permanenti e una ricca programmazione di mostre temporanee. Gli spazi sono tutti dotati di strumenti interattivi che supportano gli ospiti nella user experience. Ma Philadelphia pullula d’arte en plein air.


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Artisti acclamati hanno scelto come tele i muri cittadini, grazie al Mural Program Art, che ha trasformato la città in una grande galleria a cielo aperto. Sono opere di bellezza impressionante, per cui vale la pena aderire ai tour organizzati per scoprire il loro valore iconografico. Per chi volesse spostarsi al di là dei confini cittadini la meta è Chadds Ford, dove il Brandywine River Museum of Arts ospita una grande collezione di Andrew Wyeth e altri grandi pittori e illustratori americani tra ‘800 e ‘900. Da non perdere le performance della Philadelphia Orchestra nel gioiello architettonico del Kimmel Center for the


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Performing Arts così come l’ opera, i balletti e gli spettacoli di Broadway all’ Academy of Music proposti in città. Appuntamento con la storia La culla della Costituzione americana è adagiata tra la 5th e Chestnut Streets. La storia della nascita e della fondazione degli Stati Uniti passa dall’Independence National Historical Park. L’Independence Visitor Center è il luogo perfetto per iniziare la visita nella città. Si trova vicino alle più famose attrazioni di Philadelphia, come la Liberty Bell Center, l’Independence Hall, il National Constitution Center.


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Conosciuto come Independence Mall, questo parco urbano si estende a ovest del fiume Delaware, e offre l’occasione ideale per comprendere le origini degli Usa. La Dichiarazione d’Indipendenza che fu firmata in questa zona storica, dove svetta la torre di mattoni dell’Independence Hall, l’edificio più importante. L’attrazione più popolare è la Liberty Bell (Campana della libertà). Interamente in bronzo, fu inserita nel campanile dell’Independence Hall e utilizzata nelle occasioni più importanti, tra cui la prima lettura pubblica della Dichiarazione d’Indipendenza, mentre l’ultima occasione in cui venne suonata fu il 23 febbraio del 1846, in occasione della commemorazione del compleanno di George Washington. Successivamente la campana si crepò e sebbene sia rimasta da allora silenziosa, la Liberty Bell rimane l’emblema della storia dell’indipendenza americana. La Campana della Libertà è esposta ad Independence Hall, nel Liberty Bell Pavilion. Merita la visita il National Constitution Center, un museo che si estende su un area di più di 48 mila metri quadri che fa da palcoscenico a più di 100 mostre ed esposizione interattive.


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Una città da vivere Fontane, spazi verdi, viali pedonali, public art e caffè all’aperto. E poi ristoranti gourmet, mercati dove fare incetta di specialità gastronomiche e boutique, negozi, shopping center: Philadelphia invoglia ad essere vissuta. A cominciare dal suo polmone verde, il Fairmount Park, un sistema di parchi attrezzato che si estende su una superficie di 3700 ettari, oltre dieci volte la dimensione di Central Park a New York. Nel mezzo del Fairmount Park, la chicca è Shofuso, una casa con giardino che riprende lo stile architettonico giapponese del 17° secolo che attrae molti visitatori. Qui ci si viene per rilassarsi e dedicarsi alle


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attività outdoor. Un altro posto è Rittenhouse Square, un’oasi verde tra le vie dello shopping, molto frequentato dagli skaters. Di certo però Philadelphia è una città che non si spegne mai, perfetta per chi cerca una vita notturna vivace con numerose opportunità di divertirsi. Poi Philadelphia è anche tra le capitali dello shopping. Almeno secondo Condé Nast Traveler. Il posto ideale dove fare incetta di specialità gastronomiche, tessuti e articoli per la casa è il Reading Terminal Market. Da Italian Market, invece, sulla 9th Street di Philadelphia, è possibile acquistare il meglio del made in Italy in fatto di cibo e non solo.


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I fashion addict dovranno spingersi a North Third Street: non mancano i nomi classici come Macy’s e Walnut Street, ma anche quelli per gli appassionati vintage. The Shops at Liberty Place è un altro luogo da non perdere: situato


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nel cuore del City Center dispone di più di 50 negozi. E braccia alzate verso il cielo come Balboa: abbigliamento e scarpe sono esenti da tasse, evviva. Testo e foto di Lucio Rossi © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA


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Philadelphia

Informazioni: Sul sito Discover Philadelphia. Per informazioni relative a viaggi e turismo negli Stati Uniti d’America visitare il sito dell’Associazione Visit USA Association Italy.

Come arrivare: Air Canada opera voli giornalieri su Toronto da dove si vola in rapida connessione su Philadelphia.

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Quando andare: Clima: Philadelphia è una grande città sulla costa orientale degli Stati Uniti, quindi si può visitare in ogni stagione. Per evitare caldo o freddo è meglio approfittare delle mezze stagioni, primavera e autunno sono periodi ideali per godere di tutto quanto la città sa offrire. Fuso orario: Sei ore indietro rispetto all’ Italia.

Documenti: Passaporto valido e autorizzazione ESTA da richiedere via internet al sito dell’Ambasciata Americana. L’autorizzazione costa 14 dollari e dura due anni, va ottenuta prima di partire e portata con se al momento del check-in in aeroporto. Lingua: Inglese.

Religione: Il panorama religioso è piuttosto vario. Il 40% della popolazione è protestante. il 26% cattolico.


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Valuta: Dollaro Usa, 1 euro corrisponde a circa 1,11 dollari Usa. Elettricità: 110 V, richiede un adattatore per presa a lamelle parallele.

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Telefono: Alcuni operatori telefonici italiani permettono di chiamare dagli Usa con sim italiana a una tariffa flat giornaliera con inclusi minuti, sms e traffico internet. Si consiglia di contattare il proprio operatore mobile. Abbigliamento: Dipende dalla stagione, è comunque sempre consigliabile attrezzarsi con scarpe comode per visitare le varie attrazioni della città. Shopping: Il Philadelphia Premium Outlet è il tempio dello shopping vicino a Philadelphia. Decine di negozi, con brand nazionali e internazionali, vi aspettano per riempire un trolley supplementare prima di imbarcarvi sul volo di ritorno. Link utili: Philadelphia Museum of Art Barnes Foundation Franklin Insitute Mural Art Program Constitutional Walking Tour


Il ritorno dei bisonti


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rova ad immaginare milioni di bisonti che vagano per le Grandi Pianure del Nord America; niente strade, niente città, niente fattorie; solo la savana vergine, che si distende per migliaia di kilometri in tutte le direzioni. Poi prova a pensare come il numero di queste bestie maestose potrebbe essere ridotto da una stima di 60 millioni di capi all’ inizio del ‘800 alla quasi totale estinzione a causa dall’avidità e dell’opportunismo dell’ uomo bianco. Ammazzati per la loro pelliccia, le loro lingue (una prelibatezza), come trofei, ma anche dall’esercito americano per privare gli indiani della loro fonte di cibo.


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Nel 1900 sono rimasti intorno a 300 animali. Si sono salvati solo grazie ad alcuni individui e associazioni, come Gli Amici del Bisonte, che hanno voluto salvaguardarli. E man mano si sono ripresi. Oggi il loro numero è stimato intorno a 340,000, tra ranch, riserve e parchi nazionali; la maggior parte si trova in Canada, ma negli USA lo stato di South Dakota trattiene la più grande concentrazione, circa 10%, nei ranch privati, nel Badlands National Park e il Custer State Park, che costeggia la Black Hills National Forest, terra sacra degli indiani Lakota. Gli Americani li chiamano buffalo, i Lakota li chiamano tatanka. Ma tatanka non è solo l’animale: per le tribù delle pianure


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vuole dire anche fratello, madre, uno spirito che non è solo fonte di cibo, ma il fulcro della loro vita. Il loro corpo veniva utilizzato in diversi modi, dalla pelle per i ‘tipi’ e i vestiti, lo stomaco per i recipienti di cottura, alla scapola per scavare. La loro vita dipendeva da quella dell’ animale; quando le mandrie si spostavano, gli indiani le seguivano. Tatanka è anche il nome di un centro educativo vicino a Deadwood, paesino reduce del Wild West, nelle Black Hills. Creato da Kevin Costner, protagonista e direttore del film ‘Balla con i Lupi’, che ha preso a cuore la vita dei indiani Lakota e il bisonte, volendo offrire agli americani la possibilità di capire meglio i ‘pelli rossa’.


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Ed è qui il mioprimo impatto col bisonte, o almeno, con la sua forma e grandezza, dove la tradizionale caccia al bisonte è raffigurata in un gruppo di animali in bronzo:i corpi pesanti cascando uno sopra l’altro, inseguiti dagli indiani a cavallo. La nostra guida Lakota, Philip Red Bird, ci spiega la vita degli indiani e la loro relazione con il buffalo e come li cacciarono, proprio come nel film. A Deadwood ci sembra di fare un tuffo nel passato. Fondato illegalmente nel 1876 dopo l’annuncio della scoperta dell’oro nelle Black Hills sul territorio appartenente agli indiani, la città era un modello esemplare del Wild West,


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dove i bordelli, le case da gioco e le fumerie di oppio erano tra i commerci più affermati. Dei personaggi famosi come Calamity Jane e Wild Bill Hickok vissero e morirono lì (Wild Bill fu assassinato nel saloon), e le loro tombe possono essere visitate nel cimitero del paese. Ormai la città è classificata come National Historic Landmark, il gioco è stato reintrodotto per dare un nuovo stimolo economico, che è in forte espansione. Ci sono circa 30 casino. Nei dintorni di Deadwood si può visitare la miniera d’oro abbandonata di ‘Broken Boot’ (chiamata così perché i nuovi padroni, creando un’attività d’avventura , vi hanno trovato un stivale rotto).


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O si può viaggiare su un treno a vapore del 1880, tra Keystone e Hill City, una ferrovia costruita per i minatori per aver accesso alle loro miniere nelle Black Hills. Queste colline sorgono dalla pianura come una vasta cupola di granito che si è eroso formando dei giganti aghi di roccia, sparpagliati tra i pini ponderosa. Le strade panoramiche incrociano la Foresta Nazionale, tra queste la Needles Highway, 60 kms di strada stretta e attorcigliata che serpeggia intorno a questi pinnaccoli grigi e contorti che spuntano alti tra gli alberi, offrendo una vista mozzafiato. La strada passa vicino Harney Peak, il nucleo geologico e punto più alto dei Black Hills a 2.207 m. Pochi kilometri ad est della montagna spunta Mount Rushmore, rupe scelta dallo scultore Gutzon Borglum per diventare la rappresentazione dei quattro presidenti, George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Il lavoro iniziònel 1927 e venne finito nel1941 da suo figlio, 6 mesi dopo la sua morte. Era previsto che le teste, scolpite con la dinamite, avessero anche dei torsi, ma poi finirono i soldi, e quindi rimasero così. Conosciuto come il ‘Tempio della Democrazia’, riceve più di 2 millioni di visitatori all’anno.


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I miei capi fratelli ed io vorremmo che l’uomo bianco sapesse che i PELLI ROSSA HANNO ANCHE LORO

DEI GRANDI EROI.


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All’ovest di Harney Peak un’altra rupe è soggetta ad un lavoro simile, una scultura che promette di essere la più grande nel mondo quando, se mai, sarà finita. Nel 1931 un capo degli Oglala Lakota, Henry Standing Bear, ha scritto a Gutzon Borglum chiedendogli di includere il grande guerriero dei Sioux, Crazy Horse, con i presidenti: non ha ricevuto risposta. Ha proposto l’idea ad uno scultore polacco, Korczak Zilkowski, che aveva lavorato a Mount Rushmore. “I miei capi fratelli ed io vorremmo che l’uomo bianco sapesse che i pelli rossa hanno anche loro


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dei grandi eroi”, ha detto. E così è nato il progetto per il Crazy Horse Memorial. Il lavoro sulla scultura, il torso di Crazy Horse a cavallo col dito che indica ‘dove è sotterrata la sua gente’, inizia nel 1948. Ziolkowski muore nel 1982, ma il lavoro vieneproseguito da sua moglie e 10 figli, di qui 7, con alcuni nipoti, continuano tuttora. Il viso, che misura 27mt di altezza, venne svelato nel 1998. Al termine la scultura avrà 22 piani in altezza. Per dare un’ idea di scala di grandezza, la testa di Crazy Horse si sovrappone facilmente su quella dei 4 presidenti.


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Il ritorno dei bisonti


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La montagna e’ solo una parte della Memorial Foundation, un’organizzazzione privata ed accanitamente indipendente finanziariamente, che dipende dalle donazioni ed dai visitatori per poter continuare il lavoro. La fondazione include un grande complesso di accoglienza tra museo, auditorium, ristorante, ed un programma di assistenza medica ed educazionale per gli Americani nativi. Ma il lavoro ha provocato delle polemiche. Molti indiani Lakota pensano che sia contro lo spirito di Crazy Horse (che non voleva mai essere fotografato), e le colline stesse, territorio spirituale dei Lakota che era stato loro assegnato in perpetuità col Trattato di Fort Laramie nel 1868, per poi essere stato loro tolto nel 1877, dopo la scoperta dell’ oro. La Pine Ridge Reservation dei Lakota, una delle più grandi riserve indiane in South Dakota ma anche la più povera, incorpora gran parte del Parco Nazionale dei Badlands. Di una bellezza unica, la regione del Badlands è spettacolare ma anche, come indica il nome, tra i territori più desolati del South Dakota. Una volta sotto al livello del mare, oggi i pinnacoli frastagliati, multicolori e a strisce, la rupe ed i canali testimoniano il sedimento lì depositato millioni di anni fa, poi lasciato esposto alle intemperie, un terreno morbido e vulnerabile. E un paesaggio che cambia continuamente, svelando più di 250 varietà di mammiferi fossili.


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Il ritorno dei bisonti

Qui abitano bisonti e pecore Bighorn, (entrambe reintrodotti dopo loro scomparsa), i cani della prateria, roditori che scavano delle città sotterranee, i coyote. Nel cielo sovrastante si possono vedere circolare delle aquile reali. Ma torniamo ai bisonti. Per capire cosa vuol dire una mandria di bisonti, si deve andare a Custer State Park, dove si può partecipare all’evento annuale del Buffalo Roundup. Esperienza unica, che sisvolge a fine settembre e nel 2015, la 50esima, è stato votato come il primo evento degli USA dal American Bus Association. Circa 1.300 bisonti sono radunati, i vitelli sono vaccinati


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e marchiati, e un certo numero viene venduto per mantenere la mandria entro un numero ottimale per il territorio. La mattina del roundup tra 50 e 60 cowboys e cowgirls si radunano per ascoltare i consigli, dire le preghiere, e prepararsi per il raduno. I jeans prottetti da cuoio bordato, gli speroni sugli stivali, cappello da cowboy in testa e pistola alla cinta, solo l’occasionale walkie talkie e smartphone tradiscono il ventunesimo secolo. Tra i cowboy c’è l’ottantenne Bob Lantis, che partecipa al suo 44esimo roundup. Anche sua figlia corre, mentre la nipotina gioca per terra.


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Tra le urla e lo schiocco delle fruste nell’ aria, gli zoccoli martellano la terra

e una nuvola di polvere SI ALZA.


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Il ritorno dei bisonti

I fantini montano i loro cavalli e partono per scovare i bisonti, che sono sparpagliati nelle vallate sotto gli alberi dorati di aspen e cottonwood. Noi seguiamo nei pickup. All’inizio si muovono lentamente, ci vuole tempo per ragrupparli, poi pian piano prendono velocità, formando un fiume nero che attraversa la savana, incastrato dai cowboys. Tra le urla e lo schiocco delle fruste nell’ aria,gli zoccoli martellano la terra, e una nuvola di polvere si alza. I maschi, bestioni che possono pesare 1.400 kg, corrono con la lingua fuori e la coda in su, mostrando il loro allarme. I piccoli, spaventati, corrono accanto alla loro madre. I cowboys li spingono verso il corral sotto lo sguardo eccitato di 20.000 spettatori piazzati sulla collina. E’ una corsa da brivido, l’adrenalina corre libera per uomini e bestie tutti insieme. E poi d’un colpo la folla urla e grida, segnale che gli animali sono entrati nel corral. Gli applausi sono riscontrati dai sorrisi dei fantini. Ancora una volta sono riusciti a portare il Buffalo Roundup a termine, e per un altro anno la mandria dei bisonti, dopo pocchi giorni, sarà poi liberadi vivere in tranquillità e moltiplicarsi, come da milenni, nel South Dakota. Testo e foto di Anne Conway © LATITUDESLIFE.COM RIPRODUZIONE RISERVATA

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South Dakota

Informazioni: Informazioni utili sul sito ufficiale di The Real America. Per materiale e informazioni in italiano consultare il sito di Visit USA Association Italy.

Come arrivare: Il South Dakota è servito da due aeroporti principali, il Sioux Falls Regional Airport (FSD) nel sud-est, e Rapid City Regional Airport (RAP) a ovest. Su entrambi opera, tra le altre, United e Delta. Due grandi autostrade attraversano lo Stato, Interstate 90, che va da Seattle Washington a Boston nel Massachusetts, e la Interstate 29, che va da Kansas City Missouri nord a Winnepeg Manitoba, Canada. In Sud Dakota non c’è un servizio ferroviario per passeggeri.

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Quando andare: È consigliabile visitare lo Stato nel periodo estivo, da giugno a metà settembre quando le temperature sono più miti.

Documenti: Passaporto elettronico e autorizzazione ESTA da richiedere via internet al sito dell’ambasciata americana. L’autorizzazione è gratuita, va ottenuta prima di partire e portata con sé al momento del ceck-in in aeroporto. Dal 1 aprile 2016 non sarà più possibile viaggiare con il VWP senza essere muniti di passaporto elettronico, anche se già in possesso dell’autorizzazione ESTA. Sarà necessario pertanto richiedere un passaporto elettronico nuovo e una nuova autorizzazione ESTA o richiedere il visto non immigrante.

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Lingua: Americano, che è un inglese modificato da molti termini in slang. In generale meno formale dell’inglese.


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Religione: 23,9% cattolici, 51,4% protestanti, 5,8% altri riti cristiani, 3,4% altre religioni.

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Valuta: Il dollaro americano.

ElettricitĂ : 110V, ma bisogna usare un adattatore.

Abbigliamento: Nel periodo estivo, è consigliabile portare dei vestiti leggeri e qualcosa per proteggervi dal sole. Portate un maglione per le serate piÚ fresche. In ogni stagione è utile un impermeabile. Telefono: Alcuni operatori telefonici italiani permettono di chiamare dagli Usa con sim italiana a una tariffa flat giornaliera cin inclusi minuti, sms e traffico internet. Si consiglia di contattare il proprio operatore mobile.




A Pizzo sul mare


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