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MUSTAFÀ, IL PRIMO ESPLORATORE DI BOY BULOK ................................................... pag
MUSTAFÀ, IL PRIMO ESPLORATORE DI BOY BULOK
I primi esploratori di Boy Bulok, nel 1985, ebbero la sorpresa di trovare i resti di un uomo alla base del pozzo di ventotto metri, ad una mezz'ora di difficile percorso dall'ingresso. Segnalarono il ritrovamento alle autorità locali e recuperarono il corpo, chiudendo così uno dei misteri che si tramandavano in quelle valli: che fine avesse fatto Mustafà.
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C'era la prima guerra mondiale, la Russia zarista occupava quelle remote regioni, ma probabilmente né la guerra né lo zar erano molto incombenti sui villaggi alle falde del Chul Bair. Sembra che Mustafà fosse un "prete", forse un imam; curiosissimo. Decise di entrare in Boy Bulok, probabilmente attratto dalla corrente d'aria che usciva dall'ingresso e dal desiderio di capire da dove provenisse il rivoletto d'acqua che ne sgorgava.
Voci dicono che vi entrò perché la sorgente aveva smesso di buttare e lui desiderava parvi rimedio.
Entrò per il passaggio angusto, con la sua lampada a petrolio, e mai più nessuno lo vide, né lo seguì: ciò che di lui restava tornò alla luce e al villaggio solo oltre sessant'anni dopo.
Ora noi sappiamo che Mustafà era bravo, bravo davvero: forse anche in lui brillava quel fuoco di curiosità che aveva bruciato il suo compatriota Ulugh Beg. Molto, molto bravo e coraggioso.
Con vestiti che supponiamo fossero i soliti di quelle regioni, da montanaro, si era spinto incredibilmente in dentro, risalendo ostinatamente tutto lo stretto meandro con la sola compagnia della sua lampada. Sali, sali era entrato nella complessa zona sommi tale, cento metri sopra l'entrata. Mezzo chilometro di strettoie lo separavano ormai dai compagni in attesa fuori, al sole.
Probabilmente sbagliò. Forse si inoltrò senza porre abbastanza attenzione al cammino in quegli stretti, numerosi passaggi labirintici nei quali pure noi ci siamo facilmente persi molti anni dopo. Sbagliò, entrò in una regione vasta, fatta di gallerie abbastanza ampie, da cui poteva allontanarsi solo tornando esattamente indietro lungo quei passaggi ormai persi in una qualsiasi di quelle gallerie.
Forse disperato cominciò a vagare, povero grande Mustafà, cercando una via che scorresse verso valle, verso l'uscita; e imboccò così il Meandro Senza Fine, primo uomo a veder lo, sino a trovarsi sul pozzo che presto lo taglia.
Sul bordo posò la lampada e si sporse, forse per vedere se la via dimenticata era di lì.
E lì sei caduto, grande Mustafà, ma noi ora sappiamo cosa ti capitò, sappiamo che eri uno di noi, e abbiamo scritto queste note per ricordarti con ammirazione.
GIOVANNI BADINO