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19 AGOSTO: IL GOLPE

di Tullio Bernabei

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Ancora pochi metri e arriverò in cima alla parete. Risalgo la corda lentamente, col respiro grosso che si trasforma ritmicamente in vapore a contatto con la fredda aria notturna.

La scura parete rocciosa mi scorre silenziosa davanti mentre guadagno gli ultimi metri, poi finalmente è il cielo stellato a circondarmi: sono sul bordo del muro, è finita un'altra punta esplorativa nella grotta di Ulugh Beg, il cui imbocco occhieggia nel vuoto l 00 metri sotto di me.

Cominciamo a scendere verso il campo avanzato attraverso pietraie inclinate e scivolose. La brina crea uno strato di ghiaccio sottile e pericoloso, soprattutto adesso che le gambe sentono la stanchezza e la mente non riesce a concentrarsi: il pensiero principale, già da qualche ora, è la preoccupazione per il golpe.

Cosa sarà successo in queste ultime 24 ore? Abbiamo lasciato il campo quando le notizie erano ancora frammentarie: c'era appena giunto l'annuncio del golpe e in tutto il paese regnava il caos. Gorbaciov avrà ripreso il controllo della situazione? Sarà scoppiata una guerra nucleare sopra le nostre teste?

Acceleriamo il passo. Fra le tende regna il silenzio, ma il rumore della ferraglia che ci togliamo di dosso sveglia subito qualcuno. In pochi secondi una raffica di domande e risposte aggiorna noi sulla situazione e i compagni sui nostri risultati esplorativi in grotta.

Apprendiamo che le cose non vanno bene: golpe in pieno svolgimento, Gorbaciov prigioniero da qualche parte o forse ucciso, tutti gli aeroporti chiusi, noi isolati su questa montagna.

Nonostante la lunga veglia sotterranea, non ho ancora sonno e vado a sedermi sulle rocce di una piccola elevazione poco distante. Ho bisogno di pensare, di collocarmi e giustificarmi in qualche modo in questo spazio, in questa storia.

Qui, adesso, sotto un cielo stellato sconosciuto.

Trovare un rapporto fra il mio interesse ad esplorare il vuoto di una montagna dell'Asia e gli eventi del mondo, le grandi lotte di potere che passano sopra le nostre teste, le vicissitudini di milioni di persone vicine e al tempo stesso lontanissime, il senso di tutto ciò.

Ad un tratto un bagliore richiama il mio sguardo. Nel cielo, basso sull'orizzonte e apparentemente vicino, corre un oggetto luminoso e indefinibile. Inizialmente penso ad una stella cadente (San Lorenzo, l' 11 agosto, è passato da poco), poi mi accorgo che deve essere qualcos'altro: la cosa si muove con relativa lentezza e lascia una scia persistente, in espansione, a forma di ventaglio, come i gas di scarico di un jet.

Solo che questa scia è incredibilmente luminosa, e rimane tale a lungo.

Il fenomeno, assolutamente silenzioso, dura 4 o 5 minuti, il tempo di percorrere orizzontai-

80 mente i 180 gradi del mio campo visivo dalla vamo a sentirei leggermente estranei. La nostra montagna, poi la fonte di luce si esaurisce e radiolina trasmetteva in continuazione un canale rimane solo una lunghissima scia che molto russo con lo stesso brano di musica classica lentamente si attenua fino a scomparire. Chi può alternato all'Internazionale, interrotto ogni tanto lasciare una coda così luminosa? da bollettini di propaganda incomprensibili. Ci

Più che un aereo, mi rimane la sensazione che si trattasse di una specie di missile o qualcosa del genere, in concomitanza con strani effetti atmosferici. So che la base militare di Karsi, vecchio trampolino sull'Afghanistan, non è molto distante: l'immaginazione quindi corre, inseguendo ipotesi fantastiche che dipingono oscuri scenari postatomici ...

Improvvisamente mi fulmina un pensiero che avevo inconsciamente evitato: la mia famiglia, la mia compagna. Io mi trovo in un luogo remoto, tutto sommato tra i più sicuri del pianeta, ma loro come vivranno questi momenti? E mia madre, che da 20 anni vive con pazienza e trepidazione le avventure di un figlio che avrebbe forse voluto più "normale"? Vorrei poterle apparire adesso e rassicurarla, dirle che per lei ci sarò sempre.

Poi la mente torna indietro di 48 ore, all'annuncio del 19 agosto. Ilya Kormilzev, il nostro interprete, era riuscito a mettersi in contatto con noi da Dushambè. Dal tetto dell'hotel Tagikistan, nel centro della città, la sua radio portatile aveva gracchiato le prime allucinanti notizie. I nostri compagni russi erano sbiancati in volto e diventati più taciturni di quanto già non lo siano normalmente: qualcuno aveva anche pregato llya di fargli avere notizie della famiglia, ma naturalmente le linee telefoniche erano completamente intasate. Ci aveva anche detto che la televisione aveva sospeso i programmi, che a Mosca si muovevano carri armati e ovunque regnava il caos: ma soprattutto che l'aeroporto di Dushambè, da cui partivano gli elicotteri per rifornirei, era chiuso e il kerosene confiscato dall'esercito.

Nonostante tutto, però, l'ambiente rarefatto dell'alta montagna, l'isolamento e le forti motivazioni esplorative avevano inizialmente filtrato la portata degli eventi, rispetto ai quali continuaeravamo allora sintonizzati su un' emittente inglese, probabilmente la BBC, che giungeva flebile ma sufficientemente chiara da suggerirei pensieri sempre più cupi: interrotti fortunatamente dalle puntate sotterranee, dove il vero problema era resistere al freddo e superare le difficoltà tecniche della grotta. Ma ormai non c'era più tempo per la speleologia: l'assenza di elicotteri voleva dire innanzitutto mancanza di carburante, indispensabile per sciogliere la neve e ottenere l'acqua; ma anche la fine del cibo, la mancanza di collegamenti tra i vari gruppi, l'impossibilità di portare a valle il nostro materiale ... Un urlo di Tono mi distoglie dai pensieri e mi riporta al campo, dove l'ultima razione di minestrone liofilizzato ci prepara ad un sonno profondo e liberatorio.

Il pomeriggio del giorno dopo ci vede, ancora intontiti dal sonno, intenti a progettare ipotesi di fughe a valle. Se abbandoniamo quassù le due tonnellate di materiali e apparecchiature che ci accompagnano, potremmo scendere dalla montagna facilmente. Già, ma poi che strada prendiamo per tornare a casa? L'Afghanistan sarebbe bene evitarlo. D'accordo, allora attraversiamo l' U zbekistan meridionale, poi il Turkmenistan e quindi, arrivati sul mar Caspio, ci tocca entrare in Iran. Superato in qualche modo il cuore dell'integralismo islamico, ne usciamo sfiorando il confine settentrionale irakeno, giusto per scambiare qualche parola di conforto con i curdi, poi finalmente entriamo nella Turchia orientale, un posto notoriamente sicuro.

Arrivati ad Istanbul, comunque, è fatta. Il mezzo? La corriera, non ne vediamo altri. Uno scherzetto di 6-7000 chilometri, durata prevista un paio di mesi avendo fortuna con le coincidenze e comprensione per i visti ...

La sera Ilya chiama da Dushambè e annuncia che le cose vanno ristabilendosi, la "banda degli otto" è stata arrestata e la gente ha respinto il golpe nelle piazze. Forse domani un volo straordinario potrà condurci a valle. Sparsi sulla montagna, si festeggia e si canta.

Il sole del mattino porta la notizia che no, del volo non se ne fa niente, forse domani. Siamo ormai stanchi di stare quassù, o meglio di stare quassù in attesa, col materiale impacchettato e senza poter fare attività, senza poter bere e mangiare.

Ma la notte come sempre porta saggezza e tranquillità, rendendo piacevole chiacchierare, pensar~ ai mondi sotterranei sotto di noi che abbiamo appena cominciato ad esplorare, e che difficilmente torneremo a percorrere.

Vuoti infiniti che scorrono dentro rocce finite.

Poi è il rotore dell'ultimo elicottero, accompagnato da un sole accecante, ad indicarci la via di un felice ritorno.

Pagina a fronte: al campo avanzato di Ulugh Beg si ascoltano con preoccupazione le notizie trasmesse in inglese dalla BBC. In alto: resti di barricate a Mosca, subito dopo la fine del golpe.

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