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IL LUNGO VIAGGIO .................................................................................................................... pag
IL LUNGO VIAGGIO
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di Antonio De Vivo
Dovrebbero mancare pochi metri, ormai. Sasha e Vadim li abbiamo incontrati da un pezzo; niente da fare, il sifone non è passabile. D' altronde siamo sul fondovalle, non si può pretendere che una grotta scenda ancora più in basso. Mi chiedo se avrei energia per continuare a scendere, se Sasha fosse passato. Se fosse passato, non sarei neppure qui a chiedermelo, sarei già giù.
Bisogna finire il rilievo, mancano pochi metri al fondo; fa un freddo micidiale, sto tremando.
La temperatura non arriva a 5°C, e siamo bagnati. Le mute stagne hanno ceduto in qualche punto, e l'acqua gelida, nei passaggi più bassi, è già entrata. A v anzi amo lentamente, curvi in questa condottina circolare che non finisce più.
Freddo. Freddo. Tendo il filo del Topofil tentando di allontanare da me il pensiero del freddo. Penso alle donne, al sole, al vino. Tutto ciò che qui non c'è.
Ancora qualche metro; una saletta con cascata, acqua e aria gelida che ti arrivano addosso.
Una strettoia. Guardo Tullio, è intento a scrivere dati. Trema anche lui.
Freddo. Freddo. Mi infilo dentro, tirandomi dietro il filo da rilievo. L'acqua infangata mi scorre sotto la pancia. Questa è l'antitesi del piacere, ne sono quasi convinto, l'antitesi del caldo, del sole, delle donne e del vino. Esco dall'acqua, il soffitto si abbassa, sifone.
È il fondo. Tullio mi raggiunge. Siamo a -131 O, sotto la valle che scorre a lato del massiccio del Chul Bair nella catena del Sur Khan Tau, parallela a Baisun Tau.
Un autoscatto, e la pellicola fissa per sempre un grande sorriso. Fa ancora freddo, ma lo sentiamo meno. Le donne e il vino sono sempre in testa, ma sembrano abbellire questo luogo pazzesco anziché evidenziarne la terrificante inospitalità.
Penso ai 5 (! ! ) chilometri di meandro che ci aspettano per raggiungere l'uscita· , ai prossimi due giorni che passeremo a strisciare tra due pareti distanti 40 centimetri.
Incredibile Boy Bulok, meandro infinito più lungo della terra.
La fatica è un prezzo un po' salato per qualcosa che non ha prezzo ...
. . . Da ore camminiamo su un solo fianco, perché di fronte non ci si sta. E non si può cambiare fianco, altrimenti il velcro della tuta speleo si strappa e si apre contro la roccia.
Il sacco che ci trasciniamo dietro da 12 ore si è trasformato ormai in un concetto, quello di pe-
so, ma ha perso le connotazioni dell'estraneità; è diventato parte di noi e con noi deve uscire.
Penso che il concetto di meandro deve essere nato qui, a Boy Bulok; non riesco ad immaginare qualcosa di più meandriforme di così.
Adesso è finita, però: a 5 chilometri dal fondo, 3,5 chilometri dal campo a -800, il meandro è finito.
Ci buttiamo a terra nell'orrenda condottina iniziale (ma in uscita è bellissima), felici di sguazzare nell'acqua fangosa che esce all'aria aperta dopo pochi secondi.
Un ultimo sforzo, un'ultimafoto. Poi drizziamo le stanche membra, barcollanti e coperti di fango. Sono le tre del mattino, siamo rimasti dentro cento ore.
Penso a un aggettivo che possa descrivermi, ora, oltre a "sporco". Provo "esausto" e va abbastanza bene.
Oh madre mia, dolce amica e compagna, se mi vedessi ora ...
Il vento gelido dei 3000 metri irrigidisce i nostri gesti impacciati mentre ci liberiamo delle mute stagne semidistrutte dalle rocce taglienti.
La fatica è qualcosa che ti fa sperare che la prossima grotta sia più larga di Boy Bulok.
Pagina a fronte: il bivacco su amaca a - 800 metri, unico momento di riposo nell'impegnativa grotta Boy Bulok. Sopra: autoscatto sul fondo dell'abisso, -1310 metri, nell'agosto 1989. Ilfondo è stato raggiunto da 7 italiani, che hanno anche effettuato la topografia.