![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/2c33922e0645397cfb20daafac24be7e.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
7 minute read
STORIE DI ULUGH BEO ........................................................................................................................ pag
STORIE DI ULUGH BEG
di Antonio De Vivo
Advertisement
UN MATTINO
È prestissimo, tipo le cinque, cinque e mezza.
Fa un freddo assassino, come sempre la mattina dopo una notte spazzata da gelide raffiche di vento. Le parole di Giovanni incontrano un solido ostacolo nella mia mente assonnata, ma credo di rispondergli qualcosa di sensato e compiuto.
Sta cercando le taniche per raccogliere acqua, giù nel canyon, a circa 40 minuti dal campo. Gli chiedo: "Giovanni, ti serve aiuto?", risponde: "N o, torna pure a dormire". Riscendo nell'abbraccio caldo del sacco piuma, chiudo gli occhi con un sorriso sulle labbra e penso "sono un verme". Sento già i passi di Giovanni che si alternano al rumore dei bastoncini, il tutto che sta sparendo dallo spettro dell'udibile mentre urlo sottovoce, rauco - "Giovanni, aspettami, vengo anch'io". Silenzio, non mi ha sentito. Esco dalla tenda, il vento e le prime luci mi svegliano del tutto mentre combatto con occhiali appannati, capelli e lacci delle scarpe.
Carico una terza tanica nello zaino, prendo i bastoncini, e mi metto all'inseguimento. È bello partire mentre tutti gli altri dormono. Avanzo con passo un po' incerto e assonnato mentre penso al colpo di stato, agli elicotteri che non arrivano, a noi bloccati qui a quattromila metri con le ultime buste di liofilizzati e poche pastiglie di carburante meta, troppo poche per poter sciogliere la neve. Guardo avanti e, nonostante la distanza, la miopia non mi impedisce di scorgere Giovanni. Un caffè, ci vuole un caffè, la mattina.
Dopo un po' lo raggiungo. Il freddo è sempre intenso ma comincia a cedere ai più miti consigli del sole uzbeko. Giovanni spezza il muto incanto e dice "siamo sopra Ulugh Beg". "Già", rispondo, pensando che non saremo noi a vederne la fine, o forse, chissà.
Aprire una strada, e non poterla percorrere fino in fondo.
Ci inoltriamo nel canyon che amplifica lo scorrere della piccola sorgente duecento metri più in basso. Sotto, dentro, Ulugh Beg scorre meandriforme verso valle, e noi impotenti ne osserviamo l'irregolare coperchio inclinato.
Raggiungiamo la sorgente, l'acqua gelida finisce nella taniche e scuote il sistema nervoso periferico delle nostre facce rinselvatichite.
Oggi, forse, è l'ultimo giorno, le ore se ne vanno come le speranze di seguire le tracce del passato geologico di Ulugh Beg.
Risaliamo in silenzio verso il campo, il sole ormai scalda aria, terra, e noi puntiformi umani in questo grande pacifico orizzonte.
Al campo i compagni sono alzati, scarichiamo dalle spalle gli zaini pieni d'acqua. Ci sediamo intorno alla moka ormai annerita dalla combustione del meta.
Un caffè, ci vuole un caffè, la mattina.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/d9fa8aef67fcccf53a189cb35d578935.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/d85343be66a30809cc53cf2793acc76d.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
56 Voglia non ce n'è. È così bello, qui al campo.
The caldo, una sigaretta, quattro chiacchiere.
Non tira neanche tanto vento. Ma Tullio insiste, e poi ormai glielo abbiamo promesso.
C'è da fare la foto.
È un'immagine mentale, un'idea, da tradurre su pellicola. Talmente bella da sembrare impossibile, utopia pura. E in gente come noi l'utopia ha sempre trovato un ottimo fertile terreno.
Fotografare di notte l'intera calata fino alla grotta e l'ingresso di Ulugh Eeg dall'unica postazione possibile, un pezzo di strato calcareo di un paio di metri di spessore, che sporge nel vuoto di cinque. Come la prua di una nave fantasma, in un oceano di buio.
È "la" foto, perché non sarà possibile ritentarla. Mentre indosso l'attrezzatura, Tullio eU go preparano i cavalletti e montano due macchine fotografiche. Si stendono a terra, per limitare il pericolo di finire in fondo al muro, cosa assolutamente disdicevole (per fare una foto occorre un fotografo). U go protegge le attrezzature fotografiche con le mani, per evitare che i pipistrelli le facciano volare (ma proprio qui devono passare?).
Scendo fino all'ingresso, entro, scendo un paio di pozzetti, torno verso l'esterno dalla parte bassa della grande frattura.
Parliamo via radio, ma a volte la comunicazione cessa così diamo fiato ai polmoni.
Rumore d'ali intorno a me. Un'aquila? No, per fortuna è solo un gracchio. Tenta di farmi sloggiare, ma dopo un po' si stanca lui e se ne va.
Sparo un congruo numero di bulbi flash, poi torno sui miei passi, riesco e inizio la risalita. Nel frattempo le stelle disegnano fili dorati nel cielo nero di Baisun Tau e sulla pellicola.
Almeno questa è la speranza.
Risalendo, illumino diversi punti della parete, facendo il possibile per non perdere nel vuoto bulbi e flash.
Un a posa di mezz'ora, per la foto dell'utopia.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/205da8ce5045aee8a6c5439d08610e2f.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Fotografia notturna della via di discesa, dalla sommità del muro fino all'imbocco della grotta Ulugh Beg: sono 150 metri di parete strapiombante, illuminati a tratti dal flash azionato dallo speleologo. Il movimento delle stelle è dovuto alla lunga esposizione.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/987277fccd59b02b0cac2f0f6779431e.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/6e739120d47b5d07f6169a65644226b7.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/d712c87e02953272253e71a5133b68ed.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
58
Punti di luce nella parete, piccoli uomini ragno sospesi ad una corda, il nero profilo del muro sul nero del cielo uzbeko mediato dalla corsa delle stelle.
Verrà, la foto? Sarà la copia della nostra immagine mentale?
Speriamo di no.
Si può fotografare, un'idea?
ANIMA IN GHIACCIO
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/69f8378c92b614a66edcbfe7f5bd6fc3.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Niente da fare. L'intero meandro è ostruito da ghiaccio. Ma quanto spesso sarà? Un metro, due, tre? Saliamo fino in cima, qui sembra più sottile. Ci assicuriamo su un chiodo, poi, a turno, in una opposizione demenziale, fisica contro le pareti, scivolosissime, mentale contro l'idea di scivolare, iniziamo a percuotere questo ghiaccio compatto, verde, durissimo.
Anima in ghiaccio, fermarsi e rinunciare o proseguire.
Il ghiaccio si frantuma in scaglie piccolissime che ci coprono e si sciolgono addosso. Entrano nella tuta, dal collo, dalle maniche, imbevono di freddo ogni centimetro quadrato di tessuto.
Poi i -l °C di Ulugh Beg, coadiuvati da una brezza non primaverile, ci ricongelano l'acqua addosso.
Ci diamo il turno, non per stanchezza di chi batte, ma per evitare il congelamento di chi aspetta. Mi chi batte come un forsennato, apre un piccolo varco: dall'altra parte del muro di ghiaccio sembra esserci acqua corrente. Mi infilo le mani sotto le ascelle, la tuta si strizza e i gomiti gocciolano abbondantemente.
Ore, così. È il mio turno, ormai il passaggio è quasi aperto. Stelle di ghiaccio partono da tutte le parti. Batto a occhi chiusi, senza più morale dell'asciutto e del bagnato. Al di là del bene e del male. Batto e basta. Ma quanto è grossa, la colata?
Anima in ghiaccio. Una strettoia, ma di ghiaccio. Vedo al di là.
Acqua. Bisogna passarci sotto. Veloci. V eloci?
Mi getto collegato al discensore sulla corda, non so quanti metri ci siano sotto il passaggio.
Esco di testa dall'altra parte, scendo a testa in giù, il discensore si blocca contro il ghiaccio, ora l'acqua entra anche nel casco. Insomma, questo è troppo.
In uno spunto di orgoglio estraggo le gambe dal buco glaciale e mi lascio cadere su un terrazzo di ghiaccio tre metri più sotto.
Mi giro, urlo aMichi "Continua! Si passa!!".
Mi raggiunge, fradicio come me.
Anima in ghiaccio.
Il ghiaccio conserva. Anche l'entusiasmo.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/07624d4b61b5f9a1f13670c7182ce6cd.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
TAMERLANO
Ascoltiamo in silenzio. Giovanni lancia il sasso nel vuoto del pozzo. Aspettiamo pochi secondi, che però indicano metri, decine di metri.
Un pozzo ellittico, stupendo, si apre sotto i nostri piedi.
Spezza il meandro inclinato con un cambio di pendenza, proprio quello che speravamo. Scendiamo veloci in sequenza. Un primo terrazzo, poi il fondo. La ricerca della prosecuzione si scontra ovunque su una grossa frana. Il pozzo è ostruito, non c'è corrente d'aria. Scaviamo in quello che un tempo doveva essere il meandro a valle, senza successo.
Giovanni tenta una traversata in una condotta laterale del pozzo; continua, ma non siamo in grado di risalirla, non abbiamo il materiale necessano.
Risaliamo, decisi a trovare la via buona.
Sopra il pozzo Tullio compie una traversata mozzafiato, molto simile ad un'opera d'arte d'avanguardia. Ma anche lì, nulla.
Chissà dov'è, il passaggio buono. Lasciamo il grande pozzo dedicato a Tamerlano, ricalcando, meno felici, i passi entusiastici della discesa.
Il grande principe ha lasciato un segno nella storia, il grande pozzo nel nostro cuore.
Resterà a scandire il tempo, compagno del tempo, cullerà l'acqua e il gelo, e ne sarà cullato.
Chi conoscerà il fondo del tuo passato, Tamerlano?
59
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/03572104e85c173de6f323c2e3e9f6f9.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/74ed7eda63cb72b499c0592f48ec5fca.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/cf02d82ae363d8e172af914e7a48add5.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
In alto, a sinistra: un settore dell'enorme sestante chefacevaparte dell'osservatorio astronomico edificato da Ulugh Beg a Samarcanda. Si tratta della più grande costruzione medioevale di questo tipo. A destra e sopra: immagini notturne al campo base di Samarcanda 91.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/221228145020-1069ce6643abd65dfda3829275af19f4/v1/d2e055377f62ffe371dffab11101bb8c.jpeg?width=720&quality=85%2C50)