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UZBEKI, TAGÌCHI E LA VITA NEI VILLAGGI ............................................................................... pag

UzBEKI, TAGÌCHI E LA VITA NEI VILLAGGI

di Emilio Centioli, Tullio Bernabei

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Un gettone di melo era carico di frutti maturi. Su ogni ramo eran rimaste cinque o sei foglie ben disposte, tanto che un pittore anche se avesse voluto ritrarne uno simile, non avrebbe saputo farlo con esattezza.

Sulle pendici crescevanfiori d'ogni specie e colore. Una volta ne feci contare le specie e risultarono 33 o 34 del tutto differenti. Una di esse emanava un profumo simile un po ' a quello delle rose rosse; la chiamai "tulipano dal profumo rosa".

Gli alberi carichi di frutti maturi erano estremamente belli. Nell'ammirarli, i fedeli del vino cominciarono ad agitarsi per la bevanda preferita. Benché avessimo preso delle droghe, poiché lo spettacolo era troppo bello, seduti sotto gli alberi dai frutti maturi, si bevve. Restammo colà a conversare sino al tramonto.

Vaqai-i-Babur, Le vicende di Babur, 148311530

Fra le popolazioni dell'Asia centrale, gli uzbeki e i tagìchi sono i gruppi etnici con cui più frequentemente, nel territorio di Baisun Tau, siamo venuti a contatto. La catena oggetto delle ricerche è infatti situata proprio sul confine tra le repubbliche di U zbekistan e Tagikistan, circa l 00 chilometri a N della frontiera settentrionale dell'Afghanistan.

L'Uzbekistan è il paese più esteso e popoloso dell'area: oltre 20 milioni di abitanti su una superficie pari a 44 7 mila chilometri quadrati, una volta e mezzo l'Italia. Il Tagikistan è invece il più piccolo, circa 5 milioni di abitanti su 143 mila chilometri quadrati. Gli uzbeki vivono prevalentemente in pianura e hanno sviluppato una fiorente economia agricola dove spicca la coltivazione del cotone, mentre i tagìchi occupano territori più montuosi dedicandosi al commercio di frutta e all'estrazione di essenze dai fiori.

La caratteristica comune di questi popoli è senza dubbio la religione (entrambi sono di fede islamica sunnita), ma a dividerli esistono notevoli divergenze etniche e linguistiche: gli uzbeki fanno parte del ceppo linguistico turco-anatolico, mentre i tagìchi appartengono al ramo indoeuropeo e discendono dai persiani.

Il loro idioma, il tagiko, proviene quindi dal sanscrito ed è uno dei tre dialetti della lingua persiana: gli altri due sono ilfarsi (parlato in Iran) e l'afgani (in Afghanistan).

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Nonostante la totale diversità linguistica, i due gruppi etnici hanno imparato a convivere e si sono parzialmente mescolati, sia attraverso matrimoni misti che mediante piccoli insediamenti nei territori opposti.

N e i villaggi si parla comunemente la lingua locale ma spesso è compreso anche il russo, che la maggior parte degli uomini apprende, o meglio apprendeva, durante il servizio militare.

Il rapporto tra le etnie locali e i russi (e le altre popolazioni dell'ex URSS) non sembra particolarmente entusiasmante: il modo di vita asiatico, le differenze culturali e religiose, le tradizioni vecchie migliaia di anni hanno rappresentato ostacoli quasi insormontabili per il processo di "russificazione" che ha tentato di trasformare economicamente e socialmente questi territori, con esiti alterni.

Certo si sono registrati a volte risultati economici tangibili, ma i costi sono stati alti: non parliamo solo della progressiva erosione culturale del mondo asiatico, ma anche di disastri ambientali come le inutili desalinizzazioni o la progressi va riduzione delle acque del lago d'Aral per scopi irrigui, per non parlare dell'arretratezza tecnica attuale e della mancanza di un decentramento ben organizzato, di un rinnovamento in senso industriale.

Senza dubbio le potenzialità economiche dell'area sono ancora enormi, soprattutto nel sottosuolo, ma i problemi appena citati uniti alle grandi estensioni degli spazi, alla vastità di un territorio non organizzato in modo efficiente non consentono di ipotizzare uno sviluppo in tempi brevi. E comunque, quale dovrebbe essere il tipo di sviluppo? Ricalcare il modello produttivo occidentale sarebbe un errore fatale, inapplicabile alla cultura asiatica di queste genti quanto il modello comunista.

La risposta è difficile, ma perlo meno saranno questi stessi popoli a cercarla. In tutto il processo futuro, tuttavia, peserà in modo concreto l'influenza di nuovo preponderante dell'islamismo e soprattutto dell'integralismo islamico, un fattore negati v o che si è già manifestato nei primi sanguinosi scontri interetnici.

Un vento antico che sembra destinato a cara tterizzare, per vaste aree del pianeta, l'inizio del terzo millennio.

Dove invece la vita non cambierà per molto tempo ancora, mantenendo i suoi ritmi scanditi dal the e dal Corano, è nei villaggi di montagna, tagìchi o uzbeki che siano.

Nelle valli ai piedi delle grandi pareti spiccano Du O ba (due acque), vecchio di 2000 anni, Ala Ciapan, Kurgancià (collina), Dubalò (alta quercia), Batckà. Quest'ultimo è uzbeko, pur sorgendo in territorio tagìco, e ha la particolarità di essere raggiungibile solo a piedi o a cavallo: a differenza degli altri, l'energia elettrica qui non è ancora arrivata.

N o n che nei villaggi vicini la presenza di corrente abbia portato grosse innovazioni. L'isolamento continua ad essere totale per 6-7 mesi l'anno a causa della neve, mentre il riscaldamento invernale (10-15° sotto lo zero) viene realizzato mediante combustibile organico (sterco animale) fatto essiccare in estate sulle pareti esterne delle case.

Dall'elicottero abbiamo la possibilità di osservare nell'insieme la struttura di questi villaggi montani, che non è mai casuale. L'impianto planimetrico ripercorre con un'attenta analisi la morfologia del terreno e sfrutta le pendenze per la creazione di centinaia di canalizzazioni idriche: l'acqua rappresenta più che mai la vita.

Sono sempre presenti la casa del "capo villaggio", in posizione predominante rispetto alle altre abitazioni, una moschea, un magazzino ed un piccolo edificio adibito all'insegnamento del Corano e della lingua russa, anche se le 8 classi scolastiche, dai 7 ai 15 anni, utilizzano unicamente la lingua locale.

Penetriamo tra le case di Dubalò, un villaggio tagìco situato a 1800 metri di quota, in territorio uzbeko. Le pareti sono costituite da argilla mista

120 a paglia, lo stesso impasto che caratterizza i solai sorretti da grandi travi di ginepro.

I tetti generalmente sono a doppia falda o, negli edifici più rappresentativi, a pagoda, simili a quelli dell'alto Ti be t cinese. Il materiale impiegato per la copertura è oggi frequentemente una sorta di lamiera zincata, che garantisce un migliore isolamento termico.

Entriamo. L'abitazione tipo ha un piano seminterrato adibito a stalla-fienile e un primo piano, sul livello stradale, come residenza. La planimetria rispecchia una forma geometrica ad "U", con un portico-veranda aperto sul lato principale della casa e sormontato da un tetto piano sorretto da colonne di legno intagliato (sempre ginepro).

Le stanze sono generalmente tre o quattro: il Mecmon Honà è la stanza degli ospiti, dove dormono anche i figli della famiglia; Hosch Honà è invece la stanza del fuoco, cioè la cucina.

Qui è generalmente presente un grosso camino di argilla presso il quale una delle donne lavora gran parte della giornata. Troviamo poi un ripostiglio e infine la Honà vera e propria, la stanza da letto o talamo nuziale: ovviamente si tratta di un luogo molto riservato.

La religione consente ad un uomo di avere fino a tre mogli, a condizione che sia in grado di mantenerle.

Una volta entrati nella M ecmon H onà del capo di Dubalò, quello che ci colpisce sono i tappeti. In gran numero, coloratissimi, piegati e addossati ad una delle pareti: ci viene spiegato che ognuno di essi rappresenta la visita di un ospite straniero, di una persona importante. Al di là di questo, comunque, il tappeto ha molteplici funzioni nella vita dei villaggi: ci si dorme, si mangia, si prega, ci si scalda. Le case non possiedono né sedie, né tavoli, né letti: tutto si svolge in terra, ma fra la nudità del terreno e lo svolgersi di una qualsiasi attività quotidiana si frappone sempre un fantastico e coloratissimo tappeto.

I servizi igienici non sono ubicati all'interno delle abitazioni, e nei casi migliori esiste una

piccola capanna nel cortile, priva di acqua corrente. Un buco nel terreno sormontato da due tavole riproduce un rozzo bagno "alla turca".

N o n lontano dal portico si trova inoltre il forno per il pane, che viene cotto all'interno di cavità scavate nell'argilla e coperto con cenere mista a terra per ottenere la giusta temperatura: il risultato è del pane veramente ottimo.

L'organizzazione sociale e politica è abbastanza semplice, e certo non segue le regole statali. Il titolo di capo villaggio è ereditario, non esiste polizia e i crimini sono ben pochi: quando avvengono, comunque, giudice ultimo è il mullah o kadì, il prete musulmano.

Quando le donne scendono al fiume o alle fontane per fare scorta di acqua, la polvere ocra dei vicoli evidenzia in maniera netta i vivaci colori dei loro abiti di seta: lunghe camicie sopra pantaloni variopinti e leggeri, foulard ricamati a coprire parzialmente il volto secondo tradizione.

La seta viene colorata con una tecnica complessa detta ikat, un metodo introdotto dallo stile buhara: i fili vengono legati insieme con cura e poi immersi in lunghi bacili di tintura; prima di essere usati, vengono nuovamente tinti uno per uno, a cominciare da quelli scuri.

Mentre i bambini giocano nelle stradine polverose, le madri passano i pochi momenti liberi a cucire o ricamare i tipici zucchetti che indossano uomini e ragazzi, le tjubiteke. Le alte mura di recinzione di giardini e cortili riflettono l'isolamento cui sono costrette le donne in questo tipo di comunità. "Le donne sono come gemme nascoste - ci ha detto un vecchio di Dubalò -è impossibile conoscerle se non c'è qualcuno che ti presenta".

Se capita di incrociare un loro sguardo, subito lo rivolgono verso il basso, rosse in viso: solo bambine e adolescenti osservano gli stranieri con innocente curiosità.

Come detto in precedenza, il sistema economico di questi villaggi è basato sull'agricoltura: si coltivano albicocchi, uva, noci, meli, patate, carote, pomodori, aglio, cipolla e frumento.

Pagina a f ronte, in alto: i tetti a pagoda simili a quelli dell'alto Tibet cinese. In basso: i tappeti assumono un 'importanza fondamentale nella vita quotidiana e il loro numero è anche un segno di ricchezza. In alto: un gruppo di donne presso la sorgente del paese. Sopra: bambino tagico. 121

Con parte del ricavato si comprano o barattano altri generi alimentari: principalmente riso, the verde e zucchero. I più ricchi possiedono anche qualche capra e montone.

La gente del posto ci racconta che Dubalò incontrò grandi difficoltà negli anni Trenta, ai tempi della collettivizzazione forzata. Lo stato impose la coltivazione del cotone, al posto del frumento, anche a queste quote, ma la pianta cresceva male e in compenso la gente moriva di fame. Dopo la seconda guerra erano rimasti 9 abitanti, ora sono circa 300.

L'alimentazione è caratterizzata dall'unicità dei piatti, ma non esiste denutrizione: il pilaf (riso con carote, rape gialle, cipolle e pezzi di carne di capra) e la ciaka (latte di capra scremato e lasciato fermentare, tipo yogurt) garantiscono, assieme a pane e frutta, gli elementi nutritivi necessari. Un particolare interessante è che la carne risulta sempre fresca, poiché la religione impone di mangiare immediatamente gli animali

UCCISI.

Quanto alle bevande, il ciai (the) regna incontrastato, caldo e senza zucchero.

In inverno le scorte alimentari sono integrate da grandi quantità di frutta secca, conservata dentro sacchi di juta, che garantisce un buon apporto calorico per tutta la famiglia.

Ma ecco che su Dubalò scende la sera. Improvvisamente si entra in un austero immobilismo, e il silenzio viene interrotto solo dalle preghiere cantate dal muezzìn prima e dopo il calar del sole. I fuochi accesi nei forni di argilla illuminano dolcemente i contorni delle case, la tranquillità regna sovrana nelle valli sotto le grandi montagne. Il nero cielo asiatico si tinge di costellazioni nuove.

Alle prime luci dell'alba, ben prima del sorgere del sole, dal piccolo minareto della moschea la preghiera ad Allah si innalza nuovamente e corre, insinuandosi tra le stradine ancora buie, preannunciando l'arrivo di un nuovo giorno.

Pagina a fronte, in alto: donne tagìche con i caratteristici abiti di seta molto variopinti. In basso: ospiti a pranzo dal capo villaggio di Dubalò; nonostante l 'unicità dei piatti, in quest'area non esiste denutrizione. In alto: un vecchio pastore per le stradine polverose di Dubalò. 123

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