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Giovanni Tiriticco di La cura psichiatrica in Italia, un allarme tra i giovani

La cura psichiatrica in Italia, un allarme tra i giovani

Un’introduzione La neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è oggi una delle aree più complesse della medicina. In un mondo che cambia cosí rapidamente, i fattori che influenzano la psiche dei minori aumentano. Infatti il periodo della minorità è caratterizzato dalla riorganizzazione dell’identità del soggetto e rappresenta un momento cruciale per la salute mentale dell’individuo. Le malattie, in questo ambito medico, sono dette “disturbi neuropsichici”, a loro volta suddivisi in disturbi neurologici e psichiatrici. I primi sono legati a malattie genetiche o acquisite e si manifestano, nell’80% dei casi, durante l’infanzia o l’adolescenza. I secondi invece, tra cui psicosi, anoressia, iperattività, depressione, disturbi dello spettro autistico, dipendono dall’emotività del soggetto e dalla concorrenza tra fattori ambientali e biologici.

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Lo specchio del disagio A livello mondiale, la totalità dei disturbi neuropsichici riguarda il 20% dei ragazzi tra 0 e 17 anni e costituisce dunque una parte rilevante del Global Burden Of Disease (Impatto Mondiale delle Patologie). In particolare, i disturbi dell’apprendimento sono tra i più comuni e riguardano il 5% della popolazione infantile. Sono inoltre largamente diffusi l’ADHD (iperattività) e i disturbi dello spettro autistico. Le patologie psichiatriche possono degenerare in pesanti disabilità fisiche, arrivando eventualmente a limitare le autonomie di base del paziente (mangiare, bere, andare al bagno da soli).

Negli ultimi anni, la diffusione dei disturbi neuropsichiatrici è aumentata esponenzialmente. A livello mondiale la domanda di diagnosi e ricovero sta aumentando del 7% annuo. In Italia invece, la richiesta di ricovero è cresciuta del 45% negli ultimi cinque anni. E’ un incremento esorbitante, come in nessun’altra area della medicina. Nelle nostre scuole, gli studenti portatori di una disabilità dovuta a disturbi neuropsichici, sono aumentati del 40% in dieci anni. Ad oggi, su quattro bambini in sala d’aspetto dal pediatra, uno si trova lì a causa di sintomi riconducibili a disturbi mentali. Infine il suicidio è diventato una delle prime cause di morte tra i 15 e i 29 anni. I dati allarmanti riportano un’emergenza globale e raccontano un disagio giovanile che ha nuove modalità di manifestarsi, come la dipendenza da internet e l’isolamento domestico. A fronte del continuo aumento della domanda, non è presente un’organizzazione dei servizi omogenea ed è spesso assente il coordinamento tra ospedali, territorio e scuole. Nonostante la portata di un malessere diffuso, nel nostro paese il tasso di ospedalizzazione, per i ragazzi dai 12 ai 17 anni, rimane solo dell’1,9 per mille. Non bastano infatti i letti di ricovero dedicati alla neuropsichiatria infantile: poco più di 300 nell’intero territorio nazionale, 14 nel Lazio e zero in sette regioni italiane. La carenza di posti letto, costringe le amministrazioni locali ad escogitare soluzioni improvvisate, che non considerano la specificità di intervento necessaria a quella fascia d’età. La neuropsichiatria infantile richiede infatti delle conoscenze distinte, in quanto i disturbi sono spesso caratterizzati dalla comorbilità (dal latino cum + morbus, è la coesistenza di due aspetti patologici nello stesso paziente). Le patologie mentali dei ragazzi hanno inoltre la capacità di cambiare nel tempo e di trasformarsi; ad esempio i disturbi dello sviluppo possono evolversi in schizofrenia o in iperattività.

Purtroppo oggi, solamente il 37% dei minori con disturbi psichiatrici viene ricoverato in reparti di neuropsichiatria infantile, il resto viene assegnato a reparti psichiatrici per adulti (SPDC). All’interno di questi, non si può dare il giusto peso alle caratteristiche cliniche proprie della delicata fascia d’età. Si aggiunge poi un altro aspetto negativo: nei centri SPDC, il ragazzo/a viene isolato dai suoi coetanei ed entra in contatto con malati cronici adulti che stazionano da anni nella struttura di ricovero. E’ normale che il ragazzo/a, di fronte a tali situazioni, provi sconforto, spaventandosi e pensando: “allora finirò anche io cosí”. Succede infatti che i malati poco curabili, respinti dalle famiglie e in assenza di soluzioni alternative, trascorrano i loro giorni nei reparti SPDC che, per questo motivo, conservano la natura repressiva degli ormai chiusi manicomi. Si capisce dunque come il ricovero di minori all’interno di strutture per adulti rischi di aggravare la situazione e cronicizzare i disturbi dei giovani pazienti. Eppure solo un utente su due riesce ad accedere ai servizi di neuropsichiatria infantile. Non potendosi affidare alla presa in carico degli ospedali pubblici, le famiglie si rivolgono alle cliniche private. In aggiunta, genitori e figli finiscono per girare in cerca di risposte, spostandosi di clinica in clinica e ripetendo costose ed evitabili indagini diagnostiche. Così peggiora lo scompenso economico delle famiglie, cha appaiono inoltre sempre più frammentate e isolate. Mentre, soprattutto in quest’area della medicina, è fondamentale la partecipazione attiva dell’intero nucleo familiare durante il percorso di cura. In tutta la penisola, l’aumento dell’accesso ai servizi di presa in carico va a scapito di quelli dedicati alla riabilitazione. Dopo la terapia, il ragazzo deve essere accompagnato nel reinserimento all’interno del contesto sociale e scolastico; altrimenti c’è il rischio di “ricaderci dentro”. In questo caso, solamente un utente su tre riesce a ricevere un intervento riabilitativo adeguato. La carenza di personale qualificato e di posti per il ricovero produce liste d’attesa di mesi, o addirittura anni; i tempi d’attesa infiniti impediscono di agire tempestivamente sui ragazzi, frustrano le famiglie e inaspriscono il disagio sociale.

Il problema dell’assenteismo della politica La mancanza di linee guida nazionali ha creato negli anni un’enorme disomogeneità e disuguaglianza tra le regioni. Ed ecco che assistiamo allo spostamento di famiglie, con a carico figli malati, da regioni dove l’accesso ai servizi è pressoché impossibile (Campania, Calabria) verso altre regioni come il Lazio.

5 Ad attrarre queste persone è il centro di eccellenza di Via dei Sabelli di Roma, che accoglie pazienti da ogni dove ed è per questo sempre pieno. Il centro è una delle poche stelle che, se vengono lasciate brillare da sole, finiranno per spegnersi. Infatti, in generale, nel Lazio la situazione è critica quanto nel resto del Paese. Qui la presenza di strutture territoriali di neuropsichiatria è scarsissima e le poche operanti, in assenza di collaborazione con gli ospedali, non riescono a prendere in cura i soggetti dimessi. In più il Lazio detiene un primato negativo: il numero maggiore di prescrizioni di farmaci antipsicotici e antidepressivi. Gli psichiatri, non riuscendo a gestire l’enorme accesso ai servizi, bombardano i pazienti di pasticche; la soluzione non è però a lungo termine perché i medicinali attenuano i sintomi, ma non curano le malattie. La politica nazionale e locale è sempre più assente rispetto alla sanità pubblica. Sembra anzi che i governi degli ultimi anni si siano fatti sentire a suon di tagli al Fondo Sanitario Nazionale. L’inerzia dell’attuale classe dirigente ha fatto sì che ciascun dipartimento psichiatrico tenti di utilizzare soluzioni improvvisate. Praticamente, l’organizzazione della risposta all’emergenza viene lasciata alla buona volontà dei primari. Ad esempio la ASL Roma 1, che agisce nel I Municipio di Roma, ha deciso autonomamente di creare PIPSM: “Presidio Territoriale Prevenzione Interventi Precoci Salute Mentale”. Nella ristretta area in cui opera, PIPSM si occupa di intercettare preventivamente il disagio giovanile. Il Presidio dialoga anche con i dipartimenti pubblici, favorisce in tale modo quella famosa interazione tra ospedali e territorio di cui ci sarebbe un gran bisogno in tutto lo Stivale. In altri casi sono i volontari a rimboccarsi le maniche per aiutare i ragazzi, ne è esempio Il Grande Cocomero: un’associazione che collabora con il reparto psichiatrico di Via dei Sabelli per assistere i piccoli pazienti dopo la diagnosi. Nonostante le iniziative di questo tipo riescano ad avere un impatto sul territorio, rimangono troppo poche e troppo isolate. di Giovanni Tiriticco

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