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Jacopo Andrea Pannodi Stereo8

STEREO8

Negli anni '70 lo Stereo8 era un formato di registrazione su nastro, utilizzato soprattutto nelle autoradio. Oggi vuole essere una selezione musicale di otto brani che riteniamo meritevoli di un ascolto. Sette nuove uscite e una bonus track dal passato, una cassetta per dicembre da mettere in play anche su Spotify.

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Oliver Tree Cash Machine Da Cash Machine Frequenze: Indietronica

Do Nothing LeBron James Da LeBron James Frequenze: Post punk

70 Nel corso del 2019 Oliver Tree si è affermato come uno degli hitmaker meno convenzionali del panorama statunitense: un ex pilota di scooter professionista dai capelli a scodella vestito con tutoni sgargianti anni ’90, che canta e si produce da solo. “Cash Machine” non si discosta molto dai suoi pezzi precedenti e ancora una volta è un banger pulitissimo di synth e chitarre dall’attitudine pseudo-emo che resta in testa per non andarsene più.

L’Elfo – Made In Catania

Da Made In Catania Frequenze: Alternative rap

Chris Bailey, il frontman dei Do Nothing, ha avuto l’ispirazione per il loro ultimo brano vedendo l’organizzatore di un festival che prometteva ai suoi clienti premi assurdi, tra cui una cena con LeBron James. Il risultato è un atipico inno ai truffatori che trae la sua forza dal contrasto riuscito tra il parlato minimale delle strofe e il cantato più incisivo dei ritornelli. L’Elfo è uno dei pochi freestyler italiani che è riuscito a dimostrare di avere il giusto potenziale anche dentro una sala da registrazione. “Made In Catania” prosegue sul filone gypsy caratteristico dell’artista siciliano ed è un omaggio alla sua città e alla sua terra, che spicca per un testo nel quale si ibridano dialetto e italiano, trascinato dal beat in salsa gitana creato da Funkyman.

KAYTRANADA, Kali Uchis 10% Da BUBBA Frequenze: Dance pop Il binomio tra il producer haitiano-canadese e la cantante americana è la standout track di “BUBBA”, uno dei dischi più entusiasmanti dell’ultimo mese. La chimica tra i due artisti è istantanea e sfocia in un brano pieno di groove che mette in risalto la flessibilità di KAYTRANADA e la voce sinuosa di Kali Uchis, in un dialogo dinamico ed elettrizzante.

R.E.M. Stand Da Green (1989) Frequenze: Alternative rock I R.E.M. sono uno dei gruppi che hanno plasmato più nel profondo l’evoluzione del rock contemporaneo e “Green”, il loro primo album realizzato sotto major, è stato un punto di svolta fondamentale della carriera della band. Il singolo “Stand”, in particolare, tanto criptico quanto allegro, un po’ parodia del pop smielato anni ’60 e un po’ riflessione esistenziale, è una perculata geniale che dimostra quanto fossero eclettici e inventivi Michael Stipe e soci.

In pochi mesi Fulminacci è passato dal completo anonimato ad essere considerato quasi all’unanimità come la prossima grande cosa della canzone italiana e il suo ultimo singolo non fa che alzare ulteriormente l’asticella. “San Giovanni” è un pezzo “scritto di pancia”, come lo ha definito lo stesso cantautore romano, una storia di città spontanea e sincera da ascoltare per ripararsi dal freddo dicembrino. Fulminacci San Giovanni Da San Giovanni Frequenze: Pop d’autore

Stormzy Crown Da Heavy Is The Head Frequenze: Gospel rap “Heavy Is The Head” è il disco con cui si attendeva il salto di qualità di Stormzy da icona locale a star internazionale e in questo lavoro il rapper di Croydon ha deciso di rap- presentare tutte le sfumature della sua personalità artistica. Uno degli esperimenti meglio riusciti dell’al- bum è “Crown”, un brano conscious che abbandona il grime per toccare lidi più soul, in cui l’artista inglese sorprende con un timbro e una sen- sibilità lirica da primo della classe.

Arlo Parks Paperbacks Da Sophie Frequenze: Alternative pop

A soli diciannove anni Arlo Parks è già una degli esponenti più originali dell’ondata di artisti di seconda generazione britannici, capace com’è di mescolare influenze black, jazz e pop in un calderone che sembra tanto attuale quanto vicino alla tradizione. La traccia di chiusura del suo nuovo EP è una ballad suadente ed eterea come un sogno ad occhi aperti, che ricorda da vicino la SZA degli esordi. Se vuoi ascoltare questa playlist cerca Stereo8 su Spotify

Recensioni -------------------------------------------------------------------- Giuseppe Tubi / Ovvero quando un cattivo di topolino si mette a fare l’artista.

Mostra

“Giuseppe Tubi è un…” niente, nem- meno il tempo di iniziare e siamo già caduti nella sua trappola. A quell’ “un” dovrebbe seguire un apos- trofo? Oppure è giusto così? Non lo sappiamo, non possiamo saperlo. Come del resto qualsiasi altra cosa lo riguardi. Nel 1992, Tubi ha infatti scelto di celare la sua identità dietro un nome d’arte, usando il termine nella sua accezione più pura, realizzando, di fatto, la sua prima opera d’arte. “Giuseppe Tubi è l’identità di copertura che ho scelto per agire nel sistema dell’arte contemporanea come presenza virtuale, conservan- do come unica traccia fisica quella delle mie opere (qualora la abbia- no).” Questa frase ci fa capire molto del personaggio, è una dichiarazione forte, un serio e rigoroso approccio che sottende una lunga riflessione sulla propria condizione di artista e sul “sistema dell’arte”. La parentesi finale poi, tutt’altro che superflua visto che Tubi ha distrutto tutta la sua produzione iniziale, non essen- do soddisfatto dei risultati ottenuti, introduce quella nota quasi ironica, certamente disincantata e pragmatica, che caratterizza il suo lavoro. Tutto questo è evidente fin dal titolo della mostra alla galleria Il Masch- erino: Giuseppe Tubi: Antologica delle mostre irrealizzate. Solitamente infatti un’antologica è una selezione delle opere maggiormente rappresentative di un artista, qui invece Tubi sceglie di raccontare non la sua storia, ma un’altra, precisamente altre quattro, che sarebbero potute esserlo ma non lo sono state… almeno fino ad oggi. Ricapitolando, un’entità che non esiste presenta delle mostre che non sono esistite, eppure le opere sono lì ed è tutto dannatamente reale. Basterebbe questo per decretare Tubi come un maestro dell’attual- mente tanto di moda storytelling, ma sarebbe fargli un torto enorme, poiché questa è la condizione di partenza della sua arte, non certo l’arrivo. Come direbbe lui “il medi- um non è il messaggio” con buona pace di McLuhan. A chiarire questo concetto ci viene in soccorso la prima delle mostre mai realizzate: La materia di cui sono fatti i sogni. Nel 2008 Tubi decide infatti di con- frontarsi con un caposaldo dell’ar- te contemporanea: il monocromo. Un perfetto esempio di come il mezzo, lo “strumento”, ovvero una tela interamente dipinta di un solo colore, non sia il messaggio dell’ar- tista, o almeno non solo. Sebbene tra i più citati dai “Questo lo potevo fare anche io”, a ben guardare, pur essendo pressoché infinite le possi- bili declinazioni del tema, gli artisti ricordati dalla storia dell’arte per es- sersi confrontati con il monocromo si contano sulle dita di una mano. Pur tributando il dovuto rispetto a Kazimir Malevič, padre putativo di questa tradizione con il suo Quadra- to nero su fondo bianco e successive declinazioni, è un altro artista russo di quegli anni a iniziare a tracciare il solco nel quale troviamo Tubi. Nel 1921 Aleksandr Rodčenko, con il suo trittico di monocromi dei colori pri- mari, dichiara la morte della pittura, ma in realtà di un intero modo di intendere l’arte: gli artisti non sono importanti per l’arte, non lo sono le loro emozioni, le loro esperienze, in- somma le loro vite. Vi ricorda qual- cuno? Certo queste riflessioni sono figlie della rivoluzione russa, di quel- lo che banalizzando e sbagliando potremmo definire “comunismo”.

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