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Enrico Militodi LA COPERTINA

Maria Marzano è una giovane illustratrice, o almeno alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?” è questo che risponde. Entra in questa famiglia di pazzi che è Scomodo, nel gennaio del 2018 e si integra a pieno nel progetto all’interno del quale oggi ricopre il ruolo di young art director. Questo dopo aver terminato gli studi presso lo IED, Istituto europeo del Design. Ora si dedica a 360° alla parte grafica del nostro mensile, dopo che il caro Francesco Rita (in arte Frita), il nostro mentore grafico, le svela i trucchi del mestiere e la accoglie sotto la sua ala. Definisce il suo ingresso nella realtà di Scomodo come cruciale e, sebbene per ora si senta un giovane baccello in coltura con tante scintille e idee, non può fare a meno di ringraziarla per il fatto che le permetta di essere un vero illustratore e la faccia entrare in contatto col suo istinto primordiale, perché, mi confessa, quando disegna si sente un uomo primitivo che fa pitture rupestri sulle pareti delle caverne.

Una rubrica per raccontare chi ha deciso di donare la sua arte e il suo lavoro come copertina del mese

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A 18 anni sei venuta a Roma dalla Puglia per seguire il tuo sogno di diventare Iillustratrice e grafica, poi ad un certo punto hai incontrato Scomodo; cos'è cambiato da allora? Raccontaci di questo incontro/scontro. Sicuramente sono cambiate le abitudini alimentari, cinese d’asporto e Red Bull sono il carburante per la corretta produzione grafica editoriale. Mi sono avvicinata al progetto da gatto molto timido e curioso, ma anche molto incosciente, sia perché non avevo ancora ben chiaro cosa fosse Scomodo, essendo un fuori sede mi mancava molto il backgroud romano, e anche perché partecipare a questo progetto ti fa in qualche modo prendere coscienza su ciò che succede intorno a te. Ricordo la prima riunione alla quale ho partecipato, aspiravo a scrivere sul giornale, poi ho capito che forse non ho tanto la stoffa dello scrittore e che è tutta questione di linguaggi e così ho iniziato a disegnare per Scomodo.

Sono ormai due anni che sei nella famiglia di Scomodo: tirando le somme, com’è lavorare in una realtà come la nostra? È un opportunità che dovrebbero avere tutti i ragazzi, mi è mancata molto una comunità così da studente liceale al meridione (fortunatamente stiamo lanciando il progetto al nazionale, quindi sono molto contenta che altri ragazzi d’Italia avranno quest’opportunità). È un progetto che insegna, dove si impara e ci si confronta veramente con gli altri e con se stessi e sopratutto si cresce insieme. Dove tra l’altro si acquisiscono skills inusuali per dei ragazzi, ad esempio relazionarsi con le poste, con la tipografia, gestire contabilità e rendicontazione delle spese, ordinare la giusta quantità di salsiccie per un numero x di persone previste e pensare anche ai vegetariani ecc.. Questo dal punto di vista globale del progetto. Entrando nello specifico dell’attività editoriale, è una redazione davvero figa, è aperta, ogni articolo nasce da dibattiti e confronti ma la cosa che apprezzo di più è che siamo senza censura.

È indubbio che il ruolo della copertina sia decisivo per quanto riguarda la lettura di un prodotto cartaceo. Cosa significa realizzare la copertina per un mensile come Scomodo e quale pensi sia l’apporto che dà al numero, alla sua diffusione e alla sua godibilità? Infatti sfatiamo il mito che un libro non si giudica dalla copertina, altrimenti il ruolo degli artisti, dei grafici e degli illustratori sarebbe vano. Realizzare la copertina di Scomodo è una grande “felicità”, sicuramente la copertina è lo specchio di qualsiasi prodotto editoriale, la prima cosa che si guarda, quindi realizzarne una è molto soddisfacente però realizzare quella di Scomodo per me ha anche un altro significato. È pensata per altri ragazzi e in qualche modo la mia piccola battaglia da aspirante grafico è quella di educare gli occhi alle belle immagini. Sono molto contenta di esserci anch’io fra gli artisti strepitosi che hanno sostenuto il progetto regalandoci la loro arte e la loro visione.

So che non ami spiegare il tuo lavoro, ma quali sono state le scelte che hai fatto per raccogliere e rispecchiare i contenuti di questo numero? In fondo c’era qualcosa che mi era molto familiare, la dimensione fanciullina di discussione e la decadenza. Mi è successo di recente di trovare una persona a me tanto cara in una di queste strutture psichiatriche pubbliche, e sembrava tutto molto surreale: dalle pareti sgargianti e piene di crepe, alle bucce d’arancia usate come posacenere, all’angolo del tavolo sul quale era stato disegnato in maniera perfettamente allineata una serie di pois. È sempre una commistione tra lettura dei contenuti e una libera e spontanea influenza delle vicende del quotidiano, et voilà poi l’immaginario visivo è venuto un po' da sè.

Al di là del ruolo generale di ogni copertina, qual è l’impatto che vorresti avesse la tua copertina sul lettore? Cito i Pooh (o i Gemelli Diversi, de gustibus): “Dammi solo un minuto” d’attenzione in più. Siamo abituati ormai a una lettura veloce, e questo non solo per le parole ma soprattutto per le immagini, con un colpo d’occhio è bello o brutto; eppure un disegno non deve essere bello ma deve comunicare, essere chiaro, leggibile e magari anche far riflettere. Anche se a proposito della riflessione entro sempre molto in conflitto con la figura dell’artista che è vista socialmente come qualcuno che deve rappresentare la verità, in realtà bisogna solo fornire uno spunto di riflessione, essere un pungolo per il lettore.

di Enrico Milito

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