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Lorenzo Vitrone di

Una quarantina di anni dopo però un gruppo di artisti “made in USA”, quindi non esattamente comunis- ti, orienta la sua ricerca nella stes- sa direzione: forme geometriche semplici, riproducibili in serie, e monocromia, tutto pur di rimuovere la presenza dell’artista dall’opera, questa è la ricetta del minimalismo. È opinione diffusa nella storia dell’arte che a ispirare il minimalis- mo sia stato un movimento di una decina d’anni precedente, il Color field painting, di cui faceva parte anche un certo Barnett Newman, famoso per i suoi quadri Zip: dei monocromi divisi in due da una linea di colore diverso. Non vi racconto tutto questo per mero sadismo in- tellettuale, ma per rendere giustizia, o almeno provarci, alle prima due opere della mostra: monocromi argento attraversati, appunto, da bande verticali. Riproporre un’idea che ha più di mezzo secolo non sarebbe da Tubi e a una seconda occhiata ci accorgiamo infatti che c’è qualcosa di strano in queste “zip”: sono irregolari, in rilievo... ebbene sì sono peli, materiale or- ganico dell’artista, che se esaminato potrebbe rivelarne la vera identità. Con un semplice gesto il frutto di decenni di fatica di grandi artisti per eliminare l’autore dall’opera diventano “magicamente” l’autoritratto di un artista anonimo. Con i successivi due monocromi Tubi alza la posta e chiude il cerchio. Se i primi ricostruiscono infatti un autoritratto biologico, scientifico, questi restituiscono invece i suoi ricordi, le sue emozioni. Sfida tutt’altro che semplice, considerando che sono appunto monocromi, vinta con genio e raffinatezza dall’artista: i quadri marroni sono parti delle pellicce della madre e della nonna di Tubi, ma soprattutto, si possono toccare, diventando così simulacri di memo- ria tattile. La rappresentazione di un “vero” più vero del vero, ciò a cui l’arte dovrebbe sempre tendere, e a ricordarcelo è un artista con una fal- sa identità. E questa è solo la prima delle mostre, ma anche l’unica che vi racconterò, perché l’arte è fatta per essere vista. Prendete quindi queste come una sorta di istruzioni per l’uso, pur sapendo che Tubi le scon- volgerà ad ogni passo. Avete tempo fino al 15 febbraio, buona fortuna.

di Luca Giordani

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-------------------------------------------------------------------- Joker / Si può ancora fare la rivoluzione con un film?

Cercare di offrire una nuova ed in- edita chiave di lettura ad un film così visto e discusso come Joker di Todd Phillips - lo stesso regista della trilogia della Notte da leoni - appare come un’ardua impre- sa. In particolare dopo che ogni testata e ogni critico, dai social ai salotti tv, dai quotidiani alle sedi accademiche, insomma chiun- que avesse a che fare con la setti- ma arte si sia sentito in dovere di esprimersi in merito, in quei rari momenti in cui il dibattito attor- no a un film travalica le sedi artis- tiche e finisce sulla bocca di tutti.

Forse però tornare a ragionare a freddo sulla pellicola a distanza di più di due mesi dal suo leone d’oro di Venezia, dopo che si sono calmate le acque, potrebbe offrire diversi spunti lontani da quell’infervora- ta partita che è continuata a lungo tra chi ha urlato al capolavoro e chi si è accanito sull’opera per partito preso. Innanzitutto al film va rico- nosciuto proprio questo: la capac- ità di aver riempito in maniera cap- illare le sale per oltre un mese, ma soprattutto per aver riacceso un dibattito troppo atrofizzato e rele- gato solo ai lavoratori del settore.

Cinema

Che Joker abbia rianimato il confronto e la questione sulle possibilità sociali dell’arte cin- ematografica non c’è dubbio. Entrambe le posizioni pro e con- tro al film si sono dispiegate in modalità esponenziali su tutto il pubblico, non solo quello cinefi- lo. Accendere il dibattito in sale piene fa sì che il film si discosti immediatamente da quelle con- siderazioni errate che lo pongono al pari del fenomeno Avengers: Endgame, che di sociale non ha saputo sollevare nulla, se non una discussione di forma ac- centuata dalle dichiarazioni di Scorsese su cos’è cinema e cosa non lo è. Joker è un film forte, intenso, che gravita ovviamente attorno alla mostruosa perso- na Joker/Joaquin: la macchina da presa lo esamina e lo indaga come un microscopio. C’è solo Joaquin Phoenix, lui è il centro nevralgico dell’intero universo del film. Una pellicola costruita interamente sul personaggio che ne rappresenta la polpa, un kam- merspiel all’hollywoodiana che a tratti sembra voler imboccare l’Academy per suggerire quale sia la miglior scelta per il miglior attore di quest’anno. Ma a pre- scindere dalle qualità registiche ed attoriali, Joker ha fatto venire al pettine un nodo a lungo di- menticato, quello del binomio et- ica-estetica nel cinema. Il grande riconoscimento attribuito al film è stato quello di aver dipinto l’im- magine di una società i cui valori morali appaiono oppressi ormai da uno stallo politico-sociale e dove pagare in primis gli effetti di questo disagio sono gli ultimi, gli emarginati. Basti pensare a come la maschera del pagliaccio di Gotham city si stesse insinu- ando sui volti dei manifestanti nelle principali piazze di rivolta in Cile, Libano, Iran e Barcello- na come sentore di una nuova corrente di disordini ben trad- otta da quella presente nel film.

Sicuramente Joker e il suo ghigno non ci metteranno molto ad as- surgere a pseudo-icona di resis- tenza come già molte maschere dello schermo hanno fatto in passato (vedi V per Vendetta o più recentemente quella di Sal- vador Dalì de La casa di carta). Ma parlare di critica sociale non vuol dire farla. Proprio in questa mancanza va riconosciuta la na- tura cialtrona di un film che vuole criticare il sistema in toto senza mai calarsi in problematiche effettive. La critica sociale posticcia ridotta al “viviamo in una società” tanto presa in giro dai meme su Internet - e di cui la nostra gen- erazione ha già imparato tanto, troppo, da film come Fight Club e da milioni altri imitatori - dà l’illu- sione di un cinema impegnato dal quale poi, se esaminato a freddo, non si ricava nulla. La superficial- ità del voler “criticare tutto” può allettare un pubblico poco edu- cato a un cinema che voglia davvero mostrare le contraddizioni del reale, per colpa soprattutto di uno stesso cinema ormai da anni incapace di sollevare l’intera opinione pubblica a riflessioni di massa, cosa che invece Joker, tanto di cappello, ha saputo fare. Forse continuare a sbrogliare fino in fondo il tema della malattia psichica e del difficile rapporto di essa con le relazioni sociali avreb- be conferito al film una maggiore identità che non sarebbe rimasta in un vago mare magnum di prob- lemi della “società cattiva” espos- ti dal film. Joker è un film che ha ragione di esistere, estremamente godibile per le performances reg- istiche interpretative e ovviamente anche narrative, ma il cui messag- gio rischia di essere idealizzato a tal punto da parlare di capolavoro. Bene riproporre il nodo etica-es- tetica, ma bisogna scioglierlo.

di Lorenzo Vitrone

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