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Roio, Pietro Forti

STALLO ALL’AMERICANA -------------------------------------------------------------------- I Democratici statunitensi stanno andando all-in sull’impeachment. Intanto, però, il Partito dell’asinello è profondamente frammentato, e ciò si riflette sulle primarie.

Scomodo Dicembre 2019 È lunga e tortuosa la strada delle primarie democratiche, che ogni quattro anni sfoltisce il campo dei molti concorrenti allo scranno dello Studio Ovale. Una maratona fatta di continui sorpassi, passi falsi e infarti lungo il percorso, in confronto alla quale lo scontro rosso-blu nel finale a due sembra piuttosto una corsa da velocisti. Fra sondaggi resi altalenanti da ogni nuovo dibattito o debole folata di vento, che sembra invece lasciare inviolato il ciuffo del Donald, e il campo dei suoi avversari frammentato come non mai nella storia delle primarie, previsioni sui possibili esiti di queste ultime risulterebbero quanto mai fallimentari. Senza considerare poi il rimescolamento di carte cui si assisterebbe se il fattore impeachment risultasse effettivamente decisivo, oltre alla difficoltà nel presagire le mosse di una mina vagante non inquadrabile come Donald J. Trump. E come sconfiggere un nemico talmente sconclusionato e imprevedibile, da apparire a tratti addirittura imbattibile? Facendo fede a un vecchio proverbio da carpentieri e alcolisti che recita così: “Il chiodo si estrae con il chiodo”. Se la sbornia si affronta con ciò che si è bevuto la sera prima, nella fattispecie elettorale un duello di questo genere va combattuto ad armi pari. Ma capire chi possa impugnarle, fra i quattro grandi volti dem rimasti ad aspirare alla Casa Bianca, non è cosa facile. Sul piano nazionale, il 5% dell’ultimo arrivato Bloomberg – in svantaggio di cinque punti rispetto allo stallo all’ex sindaco di South Bend, Pete Buttgieg, che l’Economist vede prossimo al declino – già spaventa gli altri candidati, fosse anche per i fondi inesauribili a cui il miliardario può attingere per la sua campagna.

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Ma se per Trump poteva funzionare – in barba alle sue quattro bancarotte – il buon vecchio argomento populista secondo cui un abile imprenditore possa rinfoltire le tasche statali tanto quanto le proprie, difficilmente Bloomberg può aspirare a far leva su un elettorato che vede già nell’attuale Presidente il portabandiera di questa consolante menzogna. E anzi l’aura da sperperatore potrebbe rivelarsi fatale, viste le reazioni disgustate del senatore del Vermont Bernie Sanders alla notizia dei massicci investimenti propagandistici del beniamino di New York. Il risultato è uno stallo alla messicana (in questo caso, più genericamente “all’americana”). All’indomani della vittoria di Trump su Hillary Clinton, il panorama giornalistico statunitense si convinse che, nella retrospettiva di uno scontro diretto con una figura anti-establishment come Sanders, il tycoon non avrebbe riscosso lo stesso successo, perché incapace di incanalare i voti di quella grande fetta di indecisi e disillusi che invece gli assicurò la vittoria. Di contro, l’ancora fresca Segreteria di Stato della Clinton mal si prestava all’abitudine USA al ricambio amministrativo. Una situazione che si ripropone oggi pressoché immutata con l’ex Vicepresidente Joe Biden, il quale ha avuto la lungimiranza di rifiutare a priori l’endorsment di Obama sapendo di avere già l’appoggio dell’elettorato afroamericano, ma non ha saputo resistere a quello del già Segretario di Stato John Kerry. Sul versante opposto però, la concorrenza di Elizabeth Warren si aggiunge come elemento di disturbo all’ascesa di Sanders che ha dalla sua uno zoccolo elettorale di fedelissimi che difficilmente confluirebbero in un altro candidato in caso di una sua sconfitta. Quest’ultimo negli anni ha saputo attestarsi, “rigando dritto” come scrive il New York Times, lungo una vincente linea mediana fra outsider e pro-establishment. Tutto ciò nonostante l’età e un infarto, seguito subito dopo da un rally da 26.000 persone (il più partecipato delle primarie sinora) in cui ha incassato importanti endorsements. E se la lezione di Dick Cheney gli rammenta che neanche quattro infarti possono fermare un politico, a Sanders non resta, come cantava Johnny Cash, che tenere d’occhio da vicino quel suo povero cuore e continuare a ripetersi: “I walk the line”. Campo minato Il Guardian afferma in modo netto: “I candidati Democratici del 2020 sono Joe Biden, Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Chiunque altro è irrilevante”. Una considerazione forte, a fronte di una delle corse alla nomination più partecipate di sempre nel campo dem, ma d’altronde i sondaggi sembrano confermare questa visione. I tre sono i candidati più “forti” e decisamente quelli con più esperienza, ma sono davvero così solidi? Joe Biden: l’ex vicepresidente è probabilmente l’ultimo della sua specie, un superteam di centristi che ha occupato la testa del Partito Democratico per quasi tutto il ventunesimo secolo dopo la sconfitta di Al Gore. E non è un caso che John Kerry (candidato ’04, poi Segretario di Stato ’13-’17), Hillary Clinton (candidata ’16 e prima Segretario di Stato ’09-’13) e Barack Obama facciano tutti il tifo per lui. In particolare il 44esimo Presidente è largamente considerato il più progressista del gruppo, se non altro per la mancanza di gaffe e miopie (come quelle che garantirono la sconfitta alla Clinton) e per posizioni forti su temi caldi (l’assenza delle quali rese inevitabile la rielezione di Bush contro Kerry). Biden, seppur relegato per otto anni alla posizione di VP (Vice President), un ruolo più simbolico che altro tranne che in casi arcinoti come quello di Dick Cheney, rimane dopo la Clinton l’unica “star” in grado di correre. Il Guardian afferma in modo netto: “I candidati Democratici del 2020 sono Joe Biden, Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Chiunque altro è irrilevante”.”

O quasi: a 76 anni è il secondo più vecchio tra i candidati (Sanders ne ha 79) e ha dimostrato, durante i dibattiti e durante la campagna, di fare più affidamento sulla popolarità dell’amministrazione Obama che sulle proprie abilità comunicative. E nonostante la sua popolarità non abbia granché vacillato durante tutto il 2019, la conferma della sua posizione da front runner potrebbe risentire fortemente di questo difetto alla prova del voto. Al centro, d’altronde, si è liberato uno spazio: con il ritiro di Kamala Harris dalla corsa, Biden perde un buon avversario e guadagna un potenziale alleato nella creazione di una squadra credibile. Nonostante i due non siano in ottimi rapporti (la Harris l’ha attaccato pesantemente in più di un dibattito) la “top cop” di Los Angeles potrebbe avere un ruolo sin dalla campagna, o a candidatura stabilita, andando a rafforzare il già solido rapporto tra Biden e l’elettorato afroamericano, punto di forza anche della Clinton alle scorse elezioni. A sinistra qualcuno potrà semplificare la contrapposizione tra gli altri due candidati forti con due semplici descrizioni: la liberale e il socialista. Ma per quel che concerne i candidati Elizabeth Warren e Bernie Sanders la questione non è così banale. Infatti ci sono gli antecedenti del 2016 a legarli: Sanders era pronto ad appoggiare una candidatura della Warren. Con il rifiuto della Warren e il suo appoggio alla politica della Clinton si creò una frattura. Un danno che, allora, costò caro nel delinearsi della nomination, con buona parte dell’elettorato del senatore del Vermont tutt’altro che contento dell’elezione della Clinton. Motivo, tra l’altro, che ha spinto rappresentanti congressuali di spicco come Ilhan Omar e, soprattutto, Alexandria Ocasio-Cortez ad appoggiare Sanders, che così rafforza la sua posizione tra le donne e nelle minoranze etniche, proprio le fasce di popolazione in cui aveva riscontrato meno appoggio. La Warren in questa prospettiva caotica delle primarie democratiche, con più di venti candidati, propone una politica relativamente anti-establishment, seppur più moderata rispetto a Sanders: ad esempio, tentando di tenersi stretto l’elettorato liberale, ha abbracciato il piano di Bernie “Medicare For All”, la più rivoluzionaria proposta di riforma del sistema sanitario americano, ma promettendo di non tassare la classe media per finanziarlo. Punto ove Sanders non aveva fatto sconti, sostenendo che in ogni caso chiunque ci guadagnerebbe risparmiando denaro sulle spese sanitarie. Ognuno di questi candidati ha il suo punto di forza: Biden tra anziani e afroamericani, Warren tra liberali e donne, Sanders tra latini e giovani. Dove si colloca la grande sorpresa dei dibattiti e, unico candidato credibile rimasto in gara dall’inizio, il giovane ex sindaco dall’Indiana Pete Buttgieg? Sicuramente non tra i liberali, tra i giovani e nelle minoranze, che sembrano quasi odiarlo: e allora, da dove viene quel 10%? E Bloomberg, il nuovo candidato, ex sindaco di New York che secondo i sondaggi si piazzerebbe addirittura al 6%? Proprio sull’entrata, effettuata quasi sfondando la porta, del miliardario Mike Bloomberg si è sollevata la questione del fundraising, rafforzata dall’uscita della Harris a causa proprio della mancanza di fondi per condurre una campagna efficace. L’ex sindaco ha speso decine di milioni di dollari in meno di un mese per lanciare la candidatura: oltre 37 milioni nella prima settimana, sforando i 100 milioni già il 10 dicembre. In una campagna che si era aperta all’insegna del rifiuto dei Super PACs (i mega finanziamenti privati) e del contributo dal basso (Sanders, da gennaio a ottobre, ha raccolto più di 60 milioni con donazioni da 20$ in media) l’entrata in corsa di Bloomberg scombina le carte. “Ognuno di questi candidati ha il suo punto di forza: Biden tra anziani e afroamericani, Warren tra liberali e donne, Sanders tra latini e giovani.”

Entrato troppo tardi per avere impatto nei primi stati che an- dranno al voto, Bloomberg ha invaso la California e altri Sta- ti di cartelloni pubblicitari. La potenza di fuoco di Bloomberg potrebbe trasformare l’elezione del 2020, a questo punto, in uno scontro tra miliardari, oppure decretare la fine della stagione dei mega-finanziamenti nella politica democratica ove fallisse. E se il primo caso è inquietante, il secondo certamente lascerebbe una domanda sospesa: chi, dei sopravvissuti al campo minato che sono le primarie democra- tiche, potrebbe competere con la forza economica su cui si basa la perenne campagna di Trump?

“You’re fired!” Il dibattito pubblico americano da alcuni mesi a questa parte è dominato da due elementi che proseguono ormai parallela- mente: da un lato la sfida delle primarie democratiche, che ci dirà chi sarà lo sfidante finale di Trump; dall’altra le rumorose vicende dello stesso Donald, che da settembre è al centro di una vicenda ben più seria delle po- lemiche che si sono sollevate in passato attorno alla sua figura. Alla fine dell’estate scorsa infat- ti sui banchi delle commissioni Intelligence di Camera e Senato è arrivato un report prodotto da un informatore anonimo, che rendeva nota una controversa conversazione telefonica avve- nuta in primavera fra il presi- dente Trump e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky. Dalle trascrizioni di questa con- versazione sembra emergere che il presidente americano abbia chiesto a Zelensky un “favore” ben al di fuori dalla prassi isti- tuzionale: screditare Joe Biden, il suo potenziale rivale per le elezioni presidenziali. Dopo aver ricordato al suo omologo gli ingenti aiuti militari che gli

USA da anni forniscono al governo di Kiev per sosten- erlo nel Donbass — regione dell’Ucraina orientale triste- mente protagonista dal 2014 di un conflitto tra forze ucraine e separatisti filo-russi — Trump chiede a Zelensky di indagare sul figlio di Joe, Hunter Biden, ponendo come “controparti- ta” proprio gli aiuti sopracitati. Hunter siede dal 2014 nel con- siglio di amministrazione del- la Burisma Holdings, azienda produttrice di idrocarburi che opera proprio in Ucraina, già in passato finita sotto indagi- ni che tuttavia non hanno mai prodotto esiti contro di lui. La notizia della conversazione comincia ad occupare sempre più spazio nei media del paese, e i Democratici si trovano da- vanti ad un bivio: assumersi il rischio di cominciare un im- peachment contro Trump, op- pure non ritenere sufficienti le prove a disposizione, lascian- do però Trump “impunito” e con la possibilità di riprovare ad “abusare” dei suoi poteri. Si arriva così al 24 settembre 2019, quando la Presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, annuncia l’apertura formale della procedura d’impeachment. Un processo a cui si è ricorso solamente tre volte negli oltre duecento anni di storia del paese. Ma non è così facile. La procedu- ra per andare in porto ha bisog- no di superare il voto di Camera e Senato. Nella prima, controllata dai Democratici, è necessaria la maggioranza semplice. Al Senato invece, in mano ai repubblicani, sono necessari i due terzi dei voti favorevoli. Le possibilità di un successo finale sembrano scarse. È molto difficile che i repubbli- cani decidano di votare contro il proprio cavallo vincente. E come se non bastasse gli stessi Democratici non sono sembra- ti compatti negli scorsi mesi.

L’elettorato infatti è fortemente spaccato. Come racconta un reportage del NYT, molti deputati Democratici, dopo aver preso posizione a favore dell’impeachment, hanno subito l’ira di una parte del proprio elettorato. È il caso della deputata Elissa Slotkin del Michigan, che durante l’annuncio della sua posizione nella propria circoscrizione, è stata raggiunta contemporaneamente da reazioni di odio e di sostegno. Fischi e applausi si sono alternati in un comizio molto teso, che già preannuncia la difficoltà di una sua futura rielezione. Per lei e molti altri deputati la tentazione di astenersi e non prendere posizione rimane molto forte. Ciò nonostante il 19 dicembre i Democratici hanno votato compatti superando la maggioranza alla Camera e mettendo formalmente in stato d’accusa il Presidente. La domando ora è se e come sarà possibile superare il voto al Senato. Secondo quanto dichiarato dallo storico Rick Perlstein nel programma Global Public Square della CNN, solo una forte mobilitazione dell’opinione pubblica potrà scuotere i repubblicani. A suo parere, invece che concentrarsi sulla gravità del singolo episodio, i Democratici dovrebbero spiegare agli americani quanto sia scorretto l’intero modo di operare dell’amministrazione Trump, come avvenne con Nixon, che fu abbandonato dai suoi stessi senatori. Soltanto “educando” il sentimento pubblico potranno aumentare le possibilità di successo. Come Lincoln: “in this country public sentiment is everything […] whoever moulds public sentiment goes deeper than he who enacts statutes, or pronounces judicial decisions”. Verso l’Iowa e oltre L’Iowa è il primo Stato ad essere toccato dalle primarie dem. La sua natura “duplice” (non troppo repubblicano né democratico) gli garantisce un ruolo di spicco. Però proprio il fatto che un candidato sia entrato in corsa e che abbia deciso di puntare tanto sugli stati del cosiddetto “Super Tuesday” gli toglie importanza: Bloomberg, di fatto, si è chiamato fuori dalla corsa in questo Stato. E tuttavia, l’andamento delle primarie qui potrebbe dare chiare indicazioni su quali candidature sono ancora forti e quali invece andranno a diminuire d’importanza con il procedere della competizione per la nomination. Ma oltre alla questione tempistica, l’Iowa è di particolare importanza in vista delle primarie anche per il fatto che è uno dei cosiddetti “swing state”: Stato “altalena”, che passa da una maggioranza democratica a una repubblicana quasi di anno in anno. Questo vuol dire che il modo in cui i candidati Democratici - e in particolare il vincitore delle primarie - saranno percepiti dai cittadini sarà di fondamentale rilevanza per le elezioni presidenziali di fine 2020. “Il 19 dicembre i Democratici hanno votato compatti superando la maggioranza alla camera e mettendo formalmente in stato d’accusa il Presidente.”

L’analisi che segue, anche attraverso diverse testimonianze raccolte dalla redazione, potrà essere utile ad avere un’idea di come uno degli Stati più rappresentativi dell’America stia rispondendo a questo particolare momento politico.

Pur avendo una popolazione composta al 90% di bianchi, l’Iowa è caratterizzato da una forte presenza sia democratica - nonostante Hillary Clinton abbia ricevuto solo il il 41.7% dei voti nel 2016 - che repubblicana (Donald Trump vinse le elezioni in Iowa con il 51.1%) figurando nei grafici proprio come mezza blu, nelle aree metropolitane e nel distretto della capitale Des Moines, e mezza rossa, nella restante parte rurale e di aperta campagna, dove vivono per la maggior parte fattori e impiegati delle varie aziende agricole. Nelle elezioni presidenziali del 2016, le uniche sei contee in cui ha vinto la Clinton erano quelle che contenevano le maggiori città, con l’eccezione di Sioux City (che però è in una situazione particolare visto che si trova metà in una contea e metà in un’altra). Quindi se le città tendono più a sinistra, i “farmers” e i lavoratori agricoli vengono in media attirati più dalle promesse isolazioniste dei governi di destra. Per cui non c’è da rimanere sorpresi dallo spuntare qua e là di cappellini MAGA (Make America Great Again) e manifesti pro-Trump quando dai cartelloni pubblicitari sorride Elizabeth Warren. Il tutto mentre Bernie Sanders tiene un rally con un’affluenza da migliaia di persone in Iowa Falls lo scorso 7 dicembre.

“L’Iowa è uno Stato piuttosto rosso (repubblicano) ultimamente, ora che gli ideali di sinistra riguardo le fattorie si sono spostati sulla industria agricola” spiega alla redazione di Scomodo Huston Johnson, 18 anni, originario della Pennsylvania. Huston vive in Iowa ormai da sei anni, e sta proseguendo la sua carriera di studente politicizzato e attivo (era presidente dello Student Council della sua scuola superiore) come stagista presso il governatore dell’Iowa, a Des Moines, dove trascorrerà il prossimo semestre a imparare le cosiddette ‘ropes’, le basi del mestiere. “Penso che Trump vincerà in Iowa, ma dipende anche da chi vincerà la nomina democratica. Sinceramente penso che Pete Buttigieg gli possa dare pane per i suoi denti. Non ha opinioni assurde che farebbero desistere la maggior parte dell’elettorato dal supportarlo, ha un tono di voce pacato, e poi è gay!”. Huston stesso è fieramente gay, e ciò ci dimostra come le minoranze più discriminate e talvolta ghettizzate (cosa che sono nelle comunità rurali dello Stato che stiamo prendendo in analisi) si rapportino più facilmente ai programmi in cui si rispecchiano. Ma continua: “Trump è molto popolare in Iowa al momento. Ha promesso spesso di aiutare fattori e famiglie delle classi meno abbienti, e questo ovviamente fa molto leva su una popolazione fortemente agricola come la nostra. La maggior parte degli elettori si rispecchia in uno stile di vita agricolo, per questo non amano l’idea di persone che tassano pesantemente la loro produzione in nome di alleggerimenti fiscali per una classe con cui non interagiscono affatto.” Gemma Cope, anni 19, al primo anno di college per infermieristica, non è troppo d’accordo: “È ancora presto per dire con facilità chi potrebbe essere un buon candidato contro di lui. Io personalmente voterei per Bernie Sanders, per molte ragioni”. I due candidati di sinistra, soprattutto in vista dell’Iowa (dove Buttigieg è a sorpresa in testa ai sondaggi) si sono spesso schierati contro l’ex sindaco di South Bend, soprattutto nel dibattito di dicembre, durante il quale l’hanno preso di mira per come sta finanziando la sua campagna: Sanders ha citato il fatto che sia secondo solo a Biden per miliardari che hanno donato per la sua campagna (39, contro i 44 di Biden: Warren e Sanders ne dichiarano 0) , mentre la Warren l’ha attaccato per un incontro a porte chiuse in una cantina di vini costosissimi in California. “Ci sono ancora molti candidati (ufficialmente quindici Democratici vs tre Repubblicani, ndr) rimasti in corsa, vedremo”, conclude Gemma. Si aspettano dunque le primarie democratiche con il fiato sospeso, curiosi di vedere chi dei quindici candidati rimarrà in gara. I repubblicani intanto, con il presidente uscente ancora molto forte, in Iowa sembrano poter dormire sonni tranquilli. “Non c’è da rimanere sorpresi dallo spuntare qua e là di cappellini MAGA (Make America Great Again) e manifesti pro-Trump quando dai cartelloni pubblicitari sorride Elizabeth Warren.” Dove osano le aquile I due grandi partiti non erano più abituati ad assistere a uno scontro così ampio tra più candidati così competitivi. Le primarie del 2008 erano state sì competitive, ma tra due candidati forti e con più caratteristiche personali che programmi in lotta tra loro. La frammentazione interna campo democratico, d’altronde, non aiuta né l’egemonia centrista né la definitiva ascesa di un campo progressista quasi socialista. E se il peggior scenario sembra l’elezione di Trump, l’incursione sempre più frequente di candidati esterni, come Steyer, Bloomberg o Yang, potrebbe essere un elemento di incertezza nella costruzione di un percorso politico. E che, con Biden come ultimo papabile candidato dell’era post-Clinton, potrebbe essere un trampolino di lancio per un lungo dominio repubblicano. di Carlo Giuliano, Elena Parrocini, Leonardo João Trento, Marina Roio e Pietro Forti

I CONSIGLI DEL LIBRAIO

Scomodo presenta la rubrica “I consigli del libraio”, uno spazio che mira a far conoscere ai nostri lettori le librerie indipendenti della nostra città, realtà che operano e credono nell’importanza della diffusione della cultura attraverso il cartaceo.

Con queste realtà iniziamo a tessere la Rete del Cartaceo: l’obiettivo è creare una piattaforma fertile in un’ottica di continuo scambio e dialogo con i luoghi della cultura, tornando a creare un fermento che sia lo spunto per realizzare una proposta culturale varia e strutturata all’interno della nostra città.

KOOB Piazza Gentile da Fabriano,16 00196 Roma RM

“Alla Radice” di Miika Nousiainen Editore: Iperborea

TEATRO TLON Via Federico Nansen, 14/16 00154 Roma RM

“Come cambiare la tua mente” di Michael Pollan Editore: Adelphi

JASMINE Via dei Reti, 11, 00185 Roma RM

“Una cosa è una cosa ” di Alberto Moravia Editore: Bompiani

Paolo consiglia: Si ride molto in questo sorprendente, emozionante e spassoso Alla radice, del finlandese Miika Nousiainen pubblicato dalla meravigliosa Iperborea, e si distruggono studi Finlandia alla Thailandia, e di qui all’Australia. Si ride, ma mai in modo sciocco, ci si commuove, ma non è mai melenso. E’ una sorpresa continua con Pekka e Esko, uno il negativo dell’altro e quando finisci il libro te ne stai lì contento, come quando hai conosciuto qualcuno che ti piace davvero. E qui ne hai conosciuti due! E infine una sfida: entrate in una libreria dove c’è un angolo Iperborea, magari disordinato (come il nostro!), copritevi gli occhi e sceglietene uno a caso. Mi mangio il cappello se ne trovate uno che non vi piace, avercene di editori così...

Michele e Lucia consigliano: Un po' storia delle sostanze psichedeliche, un po' autobiografia di un materialista che entra in contatto con dimensioni trascendenti o spirituali, Come cambiare la tua mente (o Come cambiare la tua idea, sfumatura contenuta nel titolo originale How To Change Your Mind) ci conduce dritti nel cuore chimico della psilocibina, dell'LSD, dell'ayahuasca e della DMT. Con scrittura limpida e approccio divulgativo, Pollan disegna la traiettoria che dalla controcultura porta alle più recenti sperimentazioni terapeutiche, fa sfilare davanti a noi i protagonisti imprescindibili e quelli meno noti della storia psichedelica, e ci accompagna nell'esplorazione di tutti quei dubbi e interrogativi sulla coscienza che hanno il potere fecondo di incrinare certezze e automatismi.

Alessandro consiglia: Una serie di racconti, Un tuffo nella Roma che oggi non c’è più, quella che nei suoi quartieri, pieni di storia, di energia dava e prendeva vita e spazio alla e dalla gente comune. Uno sguardo, quello di Moravia, che ci presenta questa “gente comune” dal suo interno, con la sua vita piena di normali stranezze in cui tutti potremmo riconoscerci.

LIBRERIA EQUILIBRI Piazzale delle Medaglie d’Oro, 36b 00136 Roma RM

“Impossibile” di Erri De Luca Editore: Feltrinelli

ODRADEK Via dei Banchi Vecchi, 57 00186 Roma RM

“La strage di stato” di Giovanni-Ligini-Pellegrini

IL MARE LIBRERIA INTERNAZIONALE Via del Vantaggio, 19 00186 Roma RM

“Altre menti” di Peter Godfrey-Smith Editore: Adelphi

LIBRI & BAR PALLOTTA LA LIBROLERIA SIMON TANNER PUNTO SCUOLA TRA LE RIGHE CLAUDIANA OTTIMOMASSIMO LIBRERIA TRASTEVERE MINERVA Piazzale di Ponte Milvio, 21 00135 Roma RM Via della villa di Lucina, 48 00145 Roma RM Via Lidia, 58 00179 Roma RM Viale dei Promontori, 168 00121 Roma RM Viale Gorizia, 29 00198 Roma RM Piazza Cavour, 32 00193 Roma RM Via Luciano Manara, 16/17 00153 Roma RM Via della Lungaretta, 90e 00185 Roma RM Piazza Fiume, 57, 00198 Roma RM Ci sostengono anche:

Barbara e Marzia: Un libro da leggere per apprezzare la precisione nell’uso delle parole che fa profondamente riflettere. Impossibile è la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda. Il libro è un lungo interrogatorio tra un anziano sospettato dell’omicidio di un suo vecchio amico, compagno di lotta e poi collaboratore di giustizia, e un giovane magistrato che non crede alle coincidenze. Nello svolgersi degli interrogatori, affiorano le ragioni e i sentimenti e l’atteggiamento del magistrato che cambia e quasi suo malgrado si trova sempre più vicino all’imputato. I dialoghi con il magistrato sono alternati con lettere d’amore che mettono in luce la dimensione intima della vicenda.

Davide consiglia: Un libro fondamentale senza il quale risulta difficile la comprensione storica degli anni '70. Era il 12 dicembre 1969 quando scoppiò la bomba a p.zza Fontana. Possiamo dire che le bombe nei mercati, nelle strade e nelle piazze di matrice jihadista, in questo nostro nuovo secolo, hanno la loro genealogia in quelle di Stato negli anni '70 in Italia. Non solo abbiamo inventato il fascismo negli anni '20. Ma anche il terrore nelle piazze. La Strage è di Stato e la manovalanza è fascista. Una tragedia raccontata con un linguaggio non ideologico da alcuni Compagni del movimento che decisero di realizzare la CONTROINCHIESTA. Un libro che le nuove generazioni dovrebbero leggere e discutere con passione e impegno civile.

Marco consiglia: Chi come me pratica l’attività subacquea, nella sua vita ha sicuramente un aneddoto da raccontare sul polpo. Devo ammetterlo per un periodo ho pescato i polpi, erroneamente chiamati polipi. Poi ho imparato a conoscerli e ad amarli, alcune volte accarezzandoli, ho notato che arricciavano i tentacoli quasi a dimostrazione di piacere. Altre Menti descrive come da un ramo dell'albero della vita assai distante dal nostro sia nata una forma di intelligenza superiore, i cefalopodi - ossia calamari, seppie e soprattutto polpi. La nostra visione antropocentrica ci ha portati a considerare questo pianeta come nostro e al nostro servizio in quanto dono di Dio. Altre Menti smonta questa convinzione e lo fa mostrandoci come l'evoluzione non sia finalizzata all'uomo e come quella dell'uomo non sia l'unica coscienza sviluppata, ma una delle tante. Il fatto è - ci rivela Peter Godfrey-Smith, indiscussa autorità in materia e appassionato osservatore sul campo - che i cefalopodi sono un'isola di complessità mentale nel mare degli invertebrati, un esperimento indipendente nell'evoluzione di grandi cervelli e comportamenti complessi. È probabile, insomma, che il contatto con i polpi sia quanto di più vicino all'incontro con un alieno intelligente ci possa mai capitare. Ma Godfrey-Smith tocca in questo libro un altro punto capitale: nel momento in cui siamo costretti ad attribuire un'attività mentale e una qualche forma di coscienza ad animali ben distanti da noi nell'albero della vita, dobbiamo anche ammettere di non avere certezze su che cosa sia la nostra coscienza di umani. "Protendo una mano e allungo un dito, ed ecco che lentamente un suo braccio si srotola e viene a toccarmi. Le ventose mi si attaccano alla pelle, la sua presa è di una forza sconcertante. Una volta attaccate le ventose, mi abbraccia il dito attirandomi delicatamente verso !'interno. Il braccio è zeppo di sensori, centinaia su ognuna delle ventose, che sono decine. Mentre attira a sé il mio dito, lo assaggia. Pieno com'è di neuroni, il braccio è un crogiolo di attività nervosa. Dietro di esso, per tutto il tempo, i grandi occhi rotondi continuano a fissarmi».

Il libraio vi augura una buona lettura

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