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Canova: "Eterna Bellezza"di Ivana Iebba
from N. 30 MARZO 2020
by Scomodo
Soggettività che hanno smesso di cercare se stessi come se si fossero già trovati, quando invece abbiamo ap- pena cominciato veramente a perd- erci. Migranti nella perenne tensione e ricerca che il nostro migrare porti a un futuro migliore, che poi migliore di cosa non lo sappiamo neanche noi. Una generazione che si sta al- lenando a riprodurre quella vita che in momenti di folle lucidità ha provato a schiacciare senza magari affogarla nell’alcool, senza bere per ricordare. In Ipergigante e nei due album precedenti della band abruzzese troviamo tutto questo condito con la malinconia di scelte sbagliate e rimpianti per le scelte non fatte. Ed eccoci di nuovo a riprendere, in conclusione, ciò con cui avevamo iniziato: indie come indipendente e indipendente come responsabil- ità. Se la musica alternative così come l’hanno pensata i Pixies, i primi Blur, i primi Arctic Monkeys, i Sonic Youth, ecc. sembra essere straniera al giorno d’oggi o diventa- ta pane per l’alternativismo radical chic, i Voina sembrano riassumer- si quella responsabilità che la vera scena indipendente porta con se. Una responsabilità necessaria per mostrare nei contenuti e nella forma quello che ciò che non è diverso da quello in cui si è immersi quotid- ianamente non può mostrare. In queste note e in queste parole l’in- dipendenza si traduce in ciò che la maggior parte dei brani oggi non dice perché non abbiamo voglia di sentircelo dire. La responsabilità assunta sta nello sbatterci in faccia che il senso che ci aveva indicato la generazione dei nostri genitori non l’abbiamo ritrovato e che abbia- mo fallito perché ultimi figli di un sistema altrettanto fallito. Se volete sentirvi dire che andrà tutto bene e che ce la faremo i Voina si sono assunti la responsabilità di dirci es- attamente il contrario perché Indie.
di Fabrizio Tamma
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Cosa può voler dire per noi oggi immergersi fra le opere del mag- gior esponente del neoclassicismo? Ritrovare una dimensione di pace in cui ogni dettaglio contribuisce a elevarci verso una perfezione quasi divina. È ciò che intendeva Johann Joachim Winckelmann, il princi- pale teorico dell’arte neoclassica, affermando che l’unica via per diventare inimitabili è l’imitazione degli antichi. Un’imitazione che non è copia sterile, ma è finalizza- ta a distillare le leggi della bellez- za, strettamente legata, nel mondo antico, alla perfezione morale. Il massimo esempio di questa bellez- za, tale da far dimenticare ogni altra cosa ed elevare al di sopra di se stessi, è l’Apollo del Belvedere, solitamente esposto ai Musei Vaticani, ma per per questa mostra in pres- tito al Museo Nazionale Romano. “Canova, eterna bellezza”, all’inizio del percorso espositivo l’artista ci viene introdotto at- traverso il suo autoritratto, nel quale sceglie di ritrarsi simile a Cesare, nell’atto di guardare il cielo in segno di immortal- ità e apoteosi. Iniziamo dunque il percorso nel suo mondo di bellezza divina, guidati da una luce che, crea un’atmosfera cal- da e fa emergere le statue, prin- cipalmente in marmo bianco. Siamo introdotti alla Maddalena penitente, allegoria di un popolo francese reduce da una rivoluzi- one che, per quanto gloriosa, ha portato con sé anche il terrore. Prima scultura esportata in Fran- cia, riporta in auge a livello artis- tico il tema della religione cristi- ana, proibita durante la rivoluzi- one e ripristinata da Napoleone.
Arte
Lo sfondo nero esalta la disper- azione della santa, la solitudine di una donna determinata a portare a termine la sua pen- itenza. Maddalena è raffigurata nell’iconografia tipica del peni- tente: ha una veste legata in vita ed è inginocchiata su una roccia. La veste è succinta e il corpo sen- suale, a ricordare la natura del suo peccato. In mano ha la croce di Cristo, in bronzo, che la don- na guarda intensamente; piange pensando all’atroce peccato com- messo dall’umanità. Le lacrime, il pathos, la coesistenza di mate- riali differenti, mettono in luce un legame tra Canova e Bernini, Maddalena è una nuova Proser- pina, rapita dall’amore per Dio. Il tema religioso è sviluppato dalla mostra anche attraverso i modelli di monumenti funera- ri. Canova si distinse infatti per la capacità di trasmettere calma e riflessione di fronte al dram- ma della perdita di un person- aggio importante per la storia. Canova amava dar forma a quei miti classici che non avevano mai avuto una rappresentazione scul- torea, ma da sempre popolano la letteratura, la poesia e l’immag- inario occidentale, perfetta tras- posizione artistica del principio di originalità nell’imitazione. Esem- pio di ciò è il gruppo di Amore e Psiche stanti. Da non confondere con il ben più celebre Amore e Psiche giacenti, che si trova al Lou- vre, del quale il fotografo Mimmo Jodice ha realizzato scatti molto suggestivi che troviamo esposti nella mostra a Palazzo Braschi. In Amore e Psiche stanti è rappre- sentato l’abbraccio tenero e inno- cente di due ragazzi molto giovani. Amore poggia la testa sulla spalla della ragazza, che gli pone nell’ interno della mano una farfalla, leggiadra come il loro amore, che qui appare spirituale. La farfalla simboleggia l’immortalità, che nel mito di Apuleio sarà conqui- stata da Psiche dopo molte prove. Nell’Amore e Psiche giacen- ti il rapporto fra i due è invece passionale. La favola è l’allego- ria del desiderio sempre attuale della nostra anima di scoprire i segreti imperscrutabili della vita. Visitare questa mostra significa immergere lo sguardo in un ca- leidoscopio di personaggi mitici o storici classici, identificarsi con i relativi valori. Potenza fisica e morale viene ad esempio espres- sa dal gruppo dei Pugilatori, che rappresenta la leggenda di Creu- gante e Damosseno, narrata da Pausania. A contrapporsi due figure dalle anatomie potenti e perfettamente trattate, ma dagli sguardi differenti: un’onestà fiera appare nel primo, sete di vendetta e malvagità nel secondo, presagio dei suoi intenti sleali e omicidi. Il bassorilievo poi, su cui è rap- presentata la morte di Socrate, ci fa entrare in contatto con la filo- sofia. Dopo aver difeso davanti a un tribunale la sua vita dedicata alla missione divina di insegnare ai concittadini la sapienza come ricerca, accetta stoicamente di bere la cicuta; una morte eroi- ca, narrata da Platone nell’Ap- ologia di Socrate e nel Critone. La mostra si chiude nel segno della perfezione: una danza- trice scolpita in un marmo simi- le a carne che ruota su se stessa mostrando la perfetta armonia e minuziosissima ricchezza di particolari di ogni suo fram- mento. Una visione che purifica l’animo, che annienta le passioni negative spingendo lo spettatore a perdersi nella bellezza fine a se stessa, la stessa di cui parla- va John Keats in Ode on a Gre- cian Urn: Bellezza è verità, ver- ità bellezza, - questo solo. Sulla terra sapete, ed è quanto basta”. Una bellezza che è eterna, che mentre tutto scorre è sempre lì.
di Ivana Iebba
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