![](https://assets.isu.pub/document-structure/200416133207-b3944c16e5c1e11e0aac2eb59fef0988/v1/e07c898808f537ee40dc25c45c4f9f9f.jpg?width=720&quality=85%2C50)
15 minute read
Cultura Capitale di Simone Martuscelli, Cristiano Bellisario e Riccardo Vecchione
from N. 30 MARZO 2020
by Scomodo
Cultura Capitale -------------------------------------------------------------------- Inchiesta sui risvolti dell’essere una capitale culturale
Da qualche anno l’Italia ha importato una trentennale tradizione europea: la nomina di una città a Capitale della cultura. Ma quanto questi eventi abbiano effettivamente radici culturali, a livello sia italiano che europeo, rimane tuttora poco chiaro.
Advertisement
In aeroporto In tempi di quarantena, il virus è un buon aggancio per aprire qualsiasi discorso. Il 14 marzo il sindaco di Parma Federico Pizzarotti ha postato sui social una foto serale di Piazza Garibaldi, una delle piazze principali della cittadina emiliana, totalmente deserta. “Non avrei mai pensato di vederti così, nell’anno della Capitale” recitava la descrizione. Sì, perché quest’anno Parma aveva ottenuto la nomina a Capitale italiana della cultura: ed è indubbio che l’emergenza COVID-19 sia stata, per la città, doppiamente dannosa. Tanto che alcune delle città candidate all’edizione 2021 hanno già lanciato un appello per far sì che Parma resti Capitale anche per l’anno successivo, in modo da poter recuperare l’annata ormai compromessa. Ma cosa sono, in effetti, le “Capitali della cultura”? In ambito europeo, l’idea viene nel gennaio 1985 a Melina Mercouri, allora Ministro della Cultura greco. Di ritorno da un incontro con i ministri della cultura europei, in aeroporto Mercouri propone l’idea al suo corrispettivo francese Jack Lang. L’idea si sviluppa rapidamente e già nello stesso 1985 viene assegnata la prima edizione. Ma se la scelta questa volta cade, quasi di diritto, su Atene – per premiare chi per primo ha avanzato la proposta di istituire questa rassegna – si pone presto il problema di determinare i criteri attraverso i quali scegliere di volta in volta le città ospitanti.
Viene stabilito che i paesi ospiteranno a rotazione la kermesse, e che dal 2000 in poi ogni anno saranno due le città coinvolte. Inoltre, dal 2021 verranno coinvolti anche i paesi dello Spazio Economico Europeo (area che coinvolge anche paesi non-UE) o stati candidati all’ingresso nell’Unione. La commissione giudicante si compone di dieci esperti nominati in maniera più o meno paritaria dai vari organi dell’UE: Commissione, Consiglio e Parlamento. Nella guida per le città che intendono presentare la propria candidatura, vengono elencati sei criteri ai quali le città devono prepararsi a rispondere per concorrere. Questi criteri sono: il contributo ad una strategia culturale a lungo termine; il contenuto artistico e culturale; la dimensione europea; la mobilitazione e sensibilizzazione; la capacità di portare a termine il compito. Nel 2014 Matera viene proclamata, insieme a Plovdiv (Bulgaria), Capitale europea della cultura per il 2019. L’allora governo Renzi coglie quindi l’occasione di importare questa tradizione ormai trentennale, e istituisce nel decreto Cultura del maggio 2014 la “Capitale italiana della cultura”. La prima edizione è ospitata da cinque città diverse (Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena), mentre per gli anni successivi la scelta cade su un’unica località: eccezion fatta per il 2019, quando la nomina non avviene per favorire il convergere di tutti gli sforzi sull’organizzazione della Capitale europea a Matera. Nel caso della Capitale italiana della cultura la giuria, rispetto a quella europea, si compone di sette elementi: tre scelti dal Ministro dei beni culturali e tre dalla Conferenza unificata Stato-regioni, mentre l’ultimo – il presidente di giuria – viene nominato in intesa dal Ministro e dalla Conferenza unificata. Dando un rapido sguardo ai criteri, però, è possibile riconoscere come l’approccio dell’iniziativa portata avanti dall’Unione Europea abbia obiettivi diversi rispetto a quella italiana. Se nei criteri UE grande rilevanza assume un’integrazione sempre più pervasiva nell’infrastruttura europea (la “dimensione europea”) connessa all’intreccio di uomini e conoscenze in ambito culturale (la “strategia culturale a lungo termine”), il corrispettivo italiano è mirato maggiormente a uno sviluppo dell’area (all’inizio si parla di “valorizzazione del territorio”) per poi fare riferimento esplicitamente ad “incrementare il settore turistico” e alla “realizzazione di opere e infrastrutture di pubblica utilità destinate a permanere sul territorio a servizio della collettività”. Anche grazie al “fare uso di nuove tecnologie”. Due modi diversi di vedere la cultura: legame sovranazionale contro volano per il turismo, entrambi con un occhio strizzato neanche in maniera troppo velata alla crescita economica. Culture e contro-culture La candidatura a Capitale Europea della Cultura rappresenta una grande opportunità per una città e tuttavia necessita di una gestione attenta e coerente sin dall’inizio. È un dato di fatto che nel mondo contemporaneo gli eventi culturali ricoprano un ruolo sempre maggiore e che il settore generi produzione e impiego, permettendo la creazione di nuove imprese, aumentando le rendite dei cittadini, incrementando le entrate e le uscite: tutto questo contribuisce allo svolgimento delle attività economiche e alla crescita del contesto locale e regionale. I benefici economici di quest’iniziativa cominciano a manifestarsi due anni prima dell’evento e non si esauriscono col termine dello stesso ma anzi continuano ad avere rilevanza fino a cinque anni dopo. Si tratta sicuramente di un incremento economico non trascurabile tanto che i risultati di uno studio del 2016 affermano che nelle città vincitrici il PIL pro-capite aumenta del 4,5%. Il primo fenomeno da osservare è ovviamente quello del turismo poiché questi eventi sono, come diretta conseguenza della loro capacità di attrazione di spesa e di persone, una fonte di creazione d’attività, ricchezza ed impiego. Gli eventi e i festival culturali attraggono in tutto il mondo migliaia di turisti, e il primo passo è dunque l’ampliamento dell’offerta culturale. Parlando di dati, ad esempio, Marsiglia detiene il record di 11 milioni di visitatori con una riqualificazione urbana costata miliardi e un piano di investimento di 600 milioni per le strutture culturali, tra i quali figura il Museo delle culture europee e mediterranee che nel 2018 ha contato oltre 1,3 milioni di visitatori. È interessante guardare all’impatto sulle presenze turistiche sia nel breve che nel lungo periodo e notare come il programma abbia generato effetti positivi sulle città coinvolte: in media si è registrato un incremento del 12,7% delle presenze nell’anno della manifestazione e, dato più interessante, solo un limitato calo, pari a circa il 4%, nell’anno successivo. Quindi un +8% di presenze turistiche sull’anno precedente alla manifestazione anche nell’anno successivo. Non sempre è così però: una ricerca sulle 34 capitali tra 1998 e 2014, a confronto con altre 800 città europee, rivela che nell’anno dell’evento c’è un aumento medio dell’8% delle presenze alberghiere che tuttavia sfuma presto. “Fino al 2011 solo quattro città ospitanti sono riuscite a rilanciare il turismo a lungo termine:
Lisbona, Reykjavík, Tallinn e Bologna.”
Fino al 2011 solo quattro città ospitanti sono riuscite a rilanciare il turismo a lungo termine: Lisbona, Reykjavík, Tallinn e Bologna, quanto la spinta promozionale duri nel tempo dipende dalle scelte strategiche e dalle politiche di comunicazione e promozione che le diverse città hanno perseguito negli anni successivi. Divenire Capitale della Cultura non consiste solamente nello sviluppo di una determinata programmazione culturale, ma anche in uno sforzo economico e finanziario realizzato per la creazione di nuove infrastrutture culturali, per il rimodellamento urbano e per l’adeguamento delle strutture turistiche e delle politiche comunicative della città. Gli investimenti necessari per la preparazione e lo svolgimento della manifestazione fungono da traino per l’intera economia e nelle precedenti edizioni sono stati utilizzati per interventi di natura infrastrutturale tra cui, prevalentemente, l’ammodernamento dei beni culturali e delle infrastrutture del trasporto e la riqualificazione urbana. Essi apportano un miglioramento dell’immagine e del luogo e di conseguenza dei benefici aggiunti a livello artistico, culturale, turistico ed economico durevoli nel tempo. Questi investimenti si sono tradotti in benefici per i settori direttamente coinvolti, ma in modo indiretto (il cosiddetto “indotto“), aumentando il consumo anche per altre attività e settori, quali commercianti, artigiani, ristoratori, costruttori ecc. Pertanto, a trarne vantaggio sono stati i cittadini della città e del territorio circostante, la cui qualità della vita viene incrementata sotto vari punti di vista. Dando uno sguardo al passato, gli investimenti sono stati molto differenti di città in città: si passa dai 5 milioni di euro di Bologna agli oltre 200 milioni di spesa di capitali di Genova, Weimar o Copenaghen. Il budget economico, toccando anche tutte le attività di realizzazione del programma culturale, la promozione e il marketing della manifestazione, i costi del personale e dell’amministrazione, dà un contributo allo sviluppo e alla creazione di nuove figure professionali, generando nuove opportunità di impiego. Le ricadute positive della manifestazione non sono esclusivamente di natura economica: l’eredità è anche rappresentata da vantaggi di natura politica, sociale e culturale. Spesso l’evento modifica permanentemente l’offerta e l’immagine della città ospitante. Alla proiezione di un’immagine positiva verso l’esterno si è quasi sempre accompagnato uno sviluppo dell’identità culturale della città, un’accresciuta partecipazione dei cittadini e del loro senso di appartenenza, la diffusione di nuovi valori culturali, una maggiore apertura verso l’Europa e l’internazionalizzazione. L’elemento sociale è stato particolarmente evidente in quelle realtà caratterizzate da una forte presenza di comunità marginalizzate, appartenenti a gruppi etnici minoritari, si è cercato di rafforzare il processo di inclusione e coesione sociale e di innalzare il livello di conoscenza della storia e della cultura del territorio da parte della popolazione locale. Eppure, sebbene le città candidate si presentino come “inclusive”, questa retorica spesso resta sulla carta: solo Lille inserì obiettivi sociali nel programma culturale piuttosto che trattarli come temi separati. A Sibiu, in Romania, ci fu un boom di attese sulla
36 edizioni organizzate della Capitale europea della cultura
71 città diverse.
457 I milioni di euro investiti nel miglioramento delle infrastrutture in vista di Matera Capitale europea della cultura 2019.
12,7% L’aumento medio delle presenze turistiche nelle città nell’anno della manifestazione. La crescita si assesta poi all’8% nell’anno successivo.
4,5% L’aumento del PIL pro-capite per le città organizzatrici in seguito alla nomina, secondo uno studio del 2016.
4 Le uniche Capitali che sono riuscite a rilanciare il turismo a lungo termine dal 1985 al 2011: Lisbona, Reykjavik, Tallinn e Bologna.
1500 I volontari che hanno contribuito all'organizazione di Matera 2019, rispetto ai 18mila promessi
crescita che rimasero disattese dopo la fine dell’evento, perché i problemi delle strutture culturali restarono irrisolti. È lecito chiedersi allora se le Capitali Europee della cultura favoriscano solo “Eventi culturali convenzionali collegati a istituzioni affermate e che riflettono i gusti culturali della borghesia”, come avvenuto a Stavanger (Norvegia). L’altra faccia della medaglia è dunque che i problemi, l’inclusione e la partecipazione della comunità locali sono criteri di selezione essenziali per il successo dell’evento, ma in molti casi solo l’immagine turistica all’estero è valorizzata. In alcune Capitali della cultura sono nati movimenti di protesta per il conflitto tra l’identità culturale locale e la gestione del marketing: come a Cork nel 2005 o a Weimar nel 1999. A Turku, in Finlandia, nel 2011 fu organizzato il contro-evento: “Capitale UE della controcultura”. Malgrado i vantaggi potenziali, allora, è importante essere realisti. Le città possono incontrare problemi nel contesto della manifestazione, come critiche, rischi, difficoltà finanziarie e risultati inferiori alle aspettative. Spesso gli insuccessi sono dovuti a punti deboli nella gestione del progetto o da errori nella predisposizione degli obbiettivi. È importante capire allora che gli effetti vantaggiosi non sono automatici, l’iniziativa genererà tanti più risvolti positivi per il territorio, quanto più sarà vissuta non come semplice evento di natura culturale, destinato principalmente ai visitatori, ma come processo di sviluppo dell’intera città durante il quale prendono forma nuove idee e progetti e nascono nuove collaborazioni. Ecco perché è fondamentale che gli impegni presi da tutte le parti in causa a livello nazionale al momento della selezione siano rispettati nella fase di preparazione e durante la manifestazione stessa.
Tra i sassi Già all’alba della sua designazione a ECoC, Matera colora gli animi lucani (e non solo) di grande entusiasmo e spirito di rivalsa per una città che, fino a non troppi anni fa, era suggellata come “vergogna d’Italia”. Una buona governance, la partecipazione attiva dei cittadini, una spiccata creatività delle iniziative in programma e la dimensione europea del progetto: questi sono i criteri che Matera è riuscita ad esaltare in questo percorso di aggiudicazione della nomina. Giunti alla conclusione dell’anno che l’ha vista protagonista, si può dire che gli obiettivi raggiunti, come prevedibile, sono parziali. Ciò che delude è che si è puntato poco sulla qualità e sulla lungimiranza: ossia, tanta carne al fuoco per i turisti del 2019, ma le iniziative a lungo raggio, per i cittadini e per il turismo futuro, risultano lacunose. Ripercorriamo quindi le fasi preparatorie dell’evento: la gestione del tutto viene subito affidata ad una fondazione di partecipazione, la Fondazione Matera-Basilicata 2019. Gestirà tutti i fondi, con dirigenza di nomina politica. Viene pianificato un investimento di circa 457 milioni di euro per migliorare e riqualificare alcune connessioni viarie strategiche come l’asse Matera – Bari centrale – Bari Aeroporto, rafforzare il servizio pubblico verso i principali poli urbani e favorire forme di mobilità. Dopo due anni e mezzo dalla nomina e con 217 milioni di euro già stanziati, mancavano collegamenti, accoglienza e coordinamento delle attrazioni turistiche. Questa pesante inadempienza spinge la giuria europea, che controllava l’avanzamento del progetto, a manifestare la propria profonda preoccupazione “rispetto alla struttura della governance della Fondazione Matera 2019 che continua a risultare estremamente poco chiara ed eccessivamente complessa, ostacolando il progresso del progetto”. Nel mentre l’altra capitale europea della cultura, la città bulgara di Plovdiv nominata assieme a Matera per il 2019, con un budget sei volte inferiore aveva già ricevuto l’elogio dall’UE per lo stato di avanzamento dei lavori. Disastro, quindi, sul fronte delle infrastrutture e dei lavori pubblici, con le linee ferroviarie Matera-Ferrandina e Matera-Gioia del Colle che rimangono una speranza, e opere fallaci o mai finite, come la scuola Bramante e il palasport di Lanera, che viene clamorosamente bucato dal primo temporale. La riqualificazione urbana si ferma a qualche strada e marciapiede e, come se non bastasse, la viabilità è rallentata a causa dello stallo del bando sui parcheggi. In tutto questo caos di negligenze, si salva solo la stazione centrale di Matera realizzata a cura dell’architetto Stefano Boeri e la proroga del servizio navette per tutto il 2020, mentre per la viabilità interna essenziale è stato il rafforzamento dei mezzi pubblici (finanziato con gli utili del 2019 probabilmente fino a esaurimento scorte, poi chissà...). Tutt’altra sorte ha avuto l’aspetto del turismo e della partecipazione, con risultati eccellenti. In effetti già in precedenza Matera aveva vissuto un’esplosione di popolarità, con una crescita dei visitatori del 176% tra il 2010 e il 2017 e di un ulteriore 20% nel 2018. Nell’anno da capitale della cultura ha registrato un aumento dei turisti stranieri del 44%, per un totale complessivo di quasi 870mila pernottamenti.
La Fondazione Matera-Basilicata 2019 stima circa 330mila accessi a quasi 1.250 eventi, di cui oltre 400 si sono tenuti in altri comuni della regione. In tutta la Basilicata le presenze sono cresciute del 34%. Esemplare anche la risonanza dell’evento. Il brand Matera è arrivato davvero ovunque: 41 Paesi hanno parlato di Matera e le hanno dedicato articoli e servizi, a questo si aggiungono le produzioni televisive (oltre 1.300) e un'intensa attività sui social. Inoltre, secondo Lifegate, “l’intenzione della fondazione di coinvolgere i cittadini del territorio materano sembra essere riuscita, con la partecipazione di 18mila persone alle produzioni culturali e il 70 per cento del programma sviluppato attraverso processi di co-creazione realizzati insieme agli abitanti”. Ma se si va a scavare bene, si scopre che, in realtà, quasi tutto il peso del lavoro è gravato sulle spalle di circa 1500 volontari, reclutati attraverso video online e annunci. La Fondazione, dal 2015 al 2019, ha pubblicato solamente 12 avvisi pubblici, accumulando un personale totale di circa un’ottantina di operatori privi di competenze specifiche e per di più selezionati attraverso commissioni e criteri poco chiari e trasparenti. E, come se non bastasse, nella relazione analitica del 28 giugno scorso, la Fondazione Matera-Basilicata 2019 ha rendicontato spese mensili per personale pari a 250 mila euro. Costo allarmante che ha spinto la Confesercenti Provinciale di Matera a chiedere alla Fondazione di “poter conoscere meglio l’impiego di tali risorse, poiché trattasi di risorse pubbliche, e quindi dei cittadini e delle imprese, […] considerando i risultati mediocri che i lavori della stessa Fondazione stanno apportando alla Città di Matera e alla regione Basilicata”. Risultati: uno spreco capitale, poca professionalità e cosa più grave la mancata possibilità di investire sul lavoro, uno dei punti nevralgici e di maggiore portata dell’intero progetto. Per quanto riguarda il palinsesto eventi, pensato intorno allo slogan Open Future, molto interessanti alcune proposte come la “Silent academy”, i cui protagonisti sono stati artisti e artigiani migranti che hanno curato la realizzazione di workshop e opere, ma anche le iniziative in ambito di sostenibilità ambientale. Tra queste ricordiamo quella dell’artista Ha Schult, il quale ha voluto denunciare lo stato di degrado del Pianeta portando a Matera il suo esercito di mille “Trash people”, sculture antropomorfe in scala realizzate con i rifiuti che dal 1996 viaggiano nei luoghi più iconici del mondo. Una riflessione, quella ambientale, che non rimane solo teorico-documentaristica ma che si trasforma in azione concreta: l’iniziativa “Gardentopia”, che ha visto 3.800 persone partecipare alla trasformazione di zone urbane dismesse in aree verdi quali aiuole, giardini e orti in 26 comuni della Basilicata. Non si può non nominare infine la realizzazione di Magnet, l’hub di San Rocco, che ha sostituito un ex complesso monastico con un polo d’innovazione tecnologico e digitale. Quest’ultimo lavoro non può non generare una riflessione: quale sarà il rapporto tra Matera vecchia e Matera del futuro? La Matera che è stata presentata ai turisti del 2019 è più che altro una città vecchia impacchettata a nuovo. Quella scelta da Pasolini per il suo “Vangelo secondo Matteo” era una città simbolo di una realtà contadina, morsa dal sole meridionale, non intaccata dalla modernità e dall’omologazione urbanistica, ed era questo ciò di cui andare fieri. Bisognava adattare la visione europea a quella di Matera, e non viceversa. Matera non è mai stata una “vergogna” e tirare a lucido Sassi e Piano non è mai stata la soluzione. Un evento dunque senza dubbio di successo quello che l’ha vista come Capitale europea della cultura, ma che se spostata fuori da questo contenitore, lascia trapelare non pochi dubbi (come spesso siamo abituati in materia di gestione del nostro territorio) sulla visione occupazionale a lungo raggio e sull’integrazione strutturale tra città e cultura, tra il centro storico e periferie moderne. di Cristiano Bellisario,
Simone Martuscelli e Riccardo Vecchione