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Non solo Gomorra di Elena Lopriore

NON SOLO GOMORRA SCAMPIA SI RISCATTA TRAMITE L’ASSOCIAZIONISMO

LE UTOPIE DEL GRIDAS

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Dicette o pappice vicino ‘a noce, ramm’ ‘o tiemp’ ca te spertose (“Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo”) è il proverbio napoletano che ha ispirato la gente di Scampia per la realizzazione del loro 38° corteo di carnevale. Nello specifico, il tema scelto per la parata di quest’anno riguarda la questione ambientale e l’urgenza di intervenire per porvi rimedio. Il tempo però è finito, per questo bisogna collaborare e agire subito per far fronte alle emergenze che interessano tutti. Questo è il significato dato alla figura dei pappici che, con tenacia e costanza, riescono a raggiungere il proprio scopo, attendendo pazien- temente la vittoria sull’inesorabile scorrere del tempo, rappresentato da una clessidra che verrà presto ribaltata. Il senso di lavoro e azione dal basso ha animato anche un al- tro corteo di carnevale, svoltosi nel quartiere di Centocelle, periferia orientale di Roma.

Quest’ultimo ha riservato, tra i vari carri allegorici, anche uno spazio per ricordare la libreria La Pecora Elettrica, luogo di aggregazione culturale di Centocelle, che nel 2019 ha subito due incendi dolosi, comunicando quindi la triste decisione di chiudere definitivamente. Nono- stante ciò, come le energie e le risorse raccolte all’interno del quartiere romano non sono andate perse, così a Scampia c’è chi resiste e si mette in gioco per la causa comune. Il carne- vale è vissuto nella periferia nord di Napoli come un’occasione di denuncia e critica sociale, e il cuore pulsante di tale iniziativa è il G.R.I.D.A.S. (Gruppo Risveglio dal sonno, con allusione al sonno della ragione che genera mostri di Francisco Goya). L’associazione è stata fondata nel 1981 da Felice Pignataro, Mirella La Magna, Franco Vicario ed altre persone accomunate dalla volontà di utilizzare al meglio e a vantaggio della comunità le proprie capacità artistiche e culturali. Il loro scopo è sempre stato quello di stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva, nella convinzione di poter cambiare il mondo attraverso l’impegno comunitario, e a partire dal 1983 hanno sempre perseguito questo obiettivo in occasione del carnevale di quartiere. Il G.R.I.D.A.S. è stato il primo ad occuparsi dell’organizzazione del corteo mediante laboratori per la costruzione delle maschere e dei carri, coinvolgendo negli anni le scuole ed altre associazioni operanti sul territorio. “Mascherarsi è negazione della propria identità per assumerne un’altra”, richiamandosi a qualcosa di magico e superiore, esterno all’uomo che compie quell’azione. Così, anche nel teatro a ruoli fissi, le maschere venivano adoperate dagli attori al fine di rendere più evidente l’identificazione con i perso- naggi ed amplificare la propria voce. Nel libro dedicato al carnevale del G.R.I.D.A.S., intitolato “L’utopia per le strade”, viene sottolineata la rilevanza degli “antichi e sempre ricorrenti usi delle maschere”, contribuendo a creare una vera e propria tradizione per il quartiere napoletano “senza storia”. È usanza concludere il corteo con un falò per bruciare i simboli negativi, relativi al tema d’attualità scelto per il carnevale, e far trionfare invece quelli po- sitivi, che danzano insieme attorno al fuoco. La festa è la più antica e partecipata di Napoli, talmente importante da coinvolgere tutti, dai più piccoli ai più grandi e dal singolo quartiere alle più svariate associazioni nazionali. In apertura del corteo di quest’anno si è esibita l’Or- chestra Giovanile “Musica libera tutti”, iniziativa con sede a Scampia, mentre l’animazione e le coreografie di tutta la parata sono state affidate ai ragazzi, provenienti da tutta Italia, membri della “Murga”, un’antica arte di strada fatta di percussioni, teatro e danza. Altra componente essenziale e distintiva del carnevale del G.R.I.D.A.S. è la creatività, visibile nei variopinti striscioni e nelle stravaganti costruzioni, caratteristica fondamentale fin dalla na- scita dell’associazione, ad opera del fondatore Felice Pignataro con i suoi murales “parlanti”.

Parlanti in quanto diventati la voce della protesta, quella di coloro che sono riusciti a esprimere il proprio pensiero attraverso l’arte, rendendo più vero il rapporto tra vita e cultura e allietando il grigio carcere quotidiano, mediante l’uso dei colori. “La periferia in cui viviamo è un’enorme distesa di case, palazzoni di tredici piani, allineati lungo una sorta di autostrade a doppia cor- sia, che allontanano e isolano abitanti e palazzi piuttosto che collegarli. Gli spazi liberi fra gli edifici, costruiti in base alla legge urbanistica 167, si sono affollati, dopo il terremoto del 1980, di altre fabbriche di case. C’è pure una grande villa comunale, finalmente inaugurata, dopo un decennio di gestazione, a fianco alle ben note “vele”, le case popolari a piramide, rivelatesi poi invivibili e in via di abbattimento e di ristrutturazione. La disumanità della configurazione è accentuata da recinzioni e cancelli che gli abitanti stessi hanno sistemato a difesa delle loro proprietà. Il desiderio di sollecitare una comunicazione umana e di abbattere le barriere è stato per noi lo stimolo, non potendole abbattere nella realtà, ad abbatterle simbolicamente dipin- gendole: si utilizzavano così le barriere come supporto di un discorso figurato, i muri dipinti.”

Così Felice nel suo libro “Murales - utopia sui muri” presenta la realtà del quartiere di Scam- pia e la sua iniziativa culturale, in relazione all’impatto sul territorio di azioni esterne ed estranee alla gente di Scampia, che si è ritrovata racchiusa in immense “zone grigie”. Il quartiere non solo è finito in uno stato di degrado, ma anche in mani sbagliate: quelle della Camorra. L’insediamento della criminalità organizzata ha influenzato fortemente la forma mentis delle persone, ottenendo così il controllo anche dell’aspetto culturale della comunità.

Per questo motivo, ogni tipo di alternativa alla cultura camorristica ha costituito una risor- sa indispensabile per la salvezza di Scampia. Felice Pignataro ha deciso di mettere le sue enormi capacità artistiche al servizio degli “ultimi” per conseguire il bene comune e dare visibilità alle battaglie sul territorio. Nato a Roma nel 1940 e cresciuto a Mola di Bari, ha stu- diato a Napoli e si è poi stabilito definitivamente nella periferia della città, dal 1972 fino al 2004, quando è morto a causa di un tumore polmonare. Felice ha cominciato a dipingere fin da adolescente e coltivato il suo talento per il resto della vita, arrivando a realizzare più di 200 murales in giro per l’Italia, divenendo così uno dei più prolifici muralisti del mondo. Ciò che accomuna tutte le sue opere è la straordinaria capacità di rappresentare un pensiero mediante immagini iconografiche ma anche con locandine, sculture e autoadesivi. “Alcune forme non sono forse immediatamente comprese e ci si chiede che cosa significhino, ma an- che questo è importante: incuriosire, turbare, seminare inquietudine, dal momento che una prospettiva certa e accattivante per tutti non c’è, c’è però il rischio di essere tutti uniformati nel modello dominante, e ufficiale, imposto dai media. Certo, non si può cambiare il mondo con un pennello, né mai nessuno ha fatto una rivoluzione perché convinto da un quadro.

Ma la rappresentazione su un muro, costantemente visibile, di una prospettiva diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi o che non abbiamo affatto, se turba, provoca, smuove, è già qual- cosa.” La speranza è che si passi poi dai dipinti alla realtà, anche se può sembrare un oriz- zonte irraggiungibile bisogna continuare sempre a camminare, “perché l’utopia serve proprio a questo: a camminare”. Questo è il messaggio che Felice ha diffuso, insistendo sull’importanza di svegliarsi, essere consapevoli e agire di conseguenza, ed è sempre questo l’auspicio insito nella filosofia del G.R.I.D.A.S. Il simbolo dell’associazione, infatti, è un volto diviso in due metà: partendo da sinistra, è raffigurato un teschio con un ciglio sull’occhio, a simboleggiare una mor- te apparente, il sonno della ragione. Nella parte destra vi è una pagliaccia, per rappresentare la femminilità e l’allegria, ovvero la vita. Quindi, da un momento morto, quale è il sonno della coscienza, ci si risveglia, si rinasce, si torna capaci di vedere il bello in ciò che ci circonda.

PARTENDO DAL BASSO

Prima di fondare il G.R.I.D.A.S., a partire dal 1967, Felice e sua moglie Mirella, han- no portato avanti un “contro-scuola”, ossia un doposcuola diverso, destina- to ai bambini delle baracche del Campo A.R.A.R. di Poggioreale e poi all’I.S.E.S. di Secondigliano, sempre con l’intenzione di liberare la creatività dei più piccoli.

il PLUS

Il loro primo passo è stato quello di partire dal basso, dai più giovani, in modo tale da seminare e far germogliare le potenzialità per cambiare la realtà circostante. Il processo deve nasce- re innanzitutto dall’interno, da un’assunzione di responsabilità da parte di chi vive in prima persona in quel mondo. Solo una volta trovata la volontà e la consapevolezza, è possibile ope- rare dall’esterno, intervenendo sull’educazione e la formazione di coscienze critiche e libere.

Maddalena è una ragazza di soli quindici anni, cresciuta a Scampia nella realtà del Lotto P, un complesso di edifici che è stato per lungo tempo lo scenario di uno dei più importanti giri di dro- ga. Molte famiglie semplici ed oneste che vivono lì, pur non essendo coinvolte direttamente nel sistema di spaccio, sono costrette a conviverci, preoccupandosi di tenere lontano il più possibile i propri figli dalla criminalità. Maddalena studia Scienze Umane presso il liceo “Elsa Morante” di Scampia e fa parte, già da otto anni, del gruppo scout Napoli 14, con sede in Santa Maria Della Spe- ranza, una delle chiese del quartiere. Frequenta inoltre due corsi di musica nell’Orchestra giovanile “Musica libera tutti”, organizzati dai Padri Gesuiti del Centro Alberto Hurtado. Si tratta dunque di una ragazza molto attiva e impegnata in diverse attività formative per la sua persona. Come lei, anche altri suoi coetanei partecipano alle varie iniziative presenti nel quartiere, soprattutto quelle proposte dal Centro Hurtado, quali ad esempio il doposcuola presso la “Rettoria” ed incontri di informazione su temi di attualità. Sono molti di più, però, i ragazzi che seguono la strada dell’il- legalità ed entrano a far parte del sistema “malato” del loro quartiere, andando ad alimentare il fenomeno della dispersione scolastica. Bisogna quindi attivarsi per evitare che i giovani scelgano la strada sbagliata, ed è proprio questo l’obiettivo primario dell’attività svolta dalla Compagnia di Gesù nel quartiere. Daniele, un gesuita originario di Tivoli, è giunto a Scampia l’anno scorso e opera soprattutto nel mondo della Pastorale Giovanile con i ragazzi del Lotto P. Il suo compito è quello di “presenza”, ovvero di stare con loro, giocare con loro, aiutarli a studiare e instaurare un rapporto. In assenza di una cultura propria del quartiere, al di fuori di quella camorristica, è però molto difficile riuscire a creare un’identità tale da poter essere un punto di riferimento per i ragazzi. Se- condo Daniele “occorre innanzitutto acquistare la fiducia dei giovani e, solo allora, si può cercare di proporre una visione differente. L'ostacolo più grande posto lungo questa strada è la loro diffi- coltà ad avere sogni e desideri, creatasi con il consolidamento della Camorra, come un cancro...”.

I Padri Gesuiti, presenti nel quartiere dagli anni ’90, si sono sempre dedicati ad una attività es- senzialmente pastorale ma, con una forte sensibilità sociale, hanno provato a offrire alla gente di Scampia opportunità culturali e lavorative. Nel 2001, padre Fabrizio Valletti ha seguito la sua missione di sperimentare un incontro fra azione religiosa, formazione culturale e promozione sociale, fondando a tale scopo il Centro Hurtado. Quest'ultimo oggi è diventato un importante polo di aggregazione per Scampia, che pone al centro la formazione della persona, partendo dallo sviluppo delle potenzialità e delle competenze. Nello specifico, i gesuiti del Centro orga- nizzano percorsi per sopperire al fallimento della scuola nel contenere la dispersione scolastica e creare una nuova prospettiva per i ragazzi, oltre alle attività più strettamente legate alla ca- techesi. I risultati non sempre sono stati quelli desiderati, perciò si è deciso di proporre nuove iniziative più specializzanti e concretizzabili in opportunità di lavoro: due laboratori, di sartoria e di legatoria e restauro del libro. Per i bambini è stata istituita quella che è l’unica biblioteca pubblica nel quartiere, con l’obiettivo di unire la lettura al gioco e alla manualità. “Riparliamone” è, invece, un progetto ideato per i ragazzi dell’università che prevede degli incontri, durante i quali è possibile esporre nuovamente la propria tesi di laurea, allo scopo di condividere con i propri coetanei gli studi individuali. I giovani che partecipano a queste iniziative non sono so- lamente di Scampia, alcuni provengono anche da altri quartieri di Napoli o addirittura da altre città. “È emozionante soprattutto vedere i risultati raggiunti nel Lotto P, in cui è stato fatto un primo passo verso la formazione di una coscienza critica nei giovani, in grado di fare delle scelte e prendere una posizione” ha commentato Daniele. Anche la mentalità generale mostra segnali di cambiamento; il ruolo della donna, ad esempio, è stato rivalutato profondamente, perché ci si è accorti che la strada maschilista non può più funzionare. L'associazione “Dream Team – Donne in rete” è nata proprio a sostegno delle donne di Scampia, per riscattare la loro dignità e i loro diritti, accompagnandole in processi e progetti di rigenerazione e rilancio culturale, eco- nomico e sociale. Si tratta di uno strumento di inclusione sociale, in aggiunta alle altre asso- ciazioni operanti nel quartiere per rendere la comunità il più coesa e collaborativa possibile.

Sonia è una volontaria presso il campo rom di Scampia, insieme ai gesuiti del Centro Hur- tado operanti sul posto. Ha iniziato e continuato il suo servizio a partire dal 2017, facendolo diventare parte integrante della sua quotidianità. Riesce a far conciliare la sua attività nella ASL come terapista in riabilitazione e quella di volontaria, organizzando quindi in funzione di esso la propria vita famigliare e lavorativa. Le condizioni in cui vivono i rom a Scampia, ormai da più di 20 anni, sono precarie; i campi, senza acqua e senza luce, dove i bambi- ni rischiano di essere morsi dai topi, rappresentano una situazione davvero insostenibile e delicata. Questo è uno dei motivi per cui i volontari nei campi rom sono molto pochi e pre- valentemente adulti; i ritmi sono molto pesanti e il relazionarsi con una realtà così diversa può risultare più difficile del previsto. Purtroppo, la mancanza di intervento e di risoluzioni da parte delle amministrazioni pubbliche ha lasciato immutate le evidenti situazioni di difficoltà. Nel 2002, dopo la costruzione di una baracca per la comunità rom di Scampia, è nata l’as- sociazione di promozione sociale “Chi rom... e chi no”, a partire dalla creazione di relazio- ni significative con questa importante realtà sociale e culturale del quartiere. Il significato del nome riprende dal dialetto napoletano “rom”, che vuol dire “dorme” (chi dorme e chi no), per alludere alla necessità di risvegliarsi e prendere coscienza. L’obiettivo è infatti quello di attivare concreti processi di cittadinanza e partecipazione e favorire la trasfor- mazione positiva del territorio. Inoltre, “Chi rom... e chi no” ha dato vita a La “Kumpania Impresa Sociale”, un progetto gastronomico interculturale volto a coinvolgere donne rom e donne italiane per farle collaborare, e sperimentare, attraverso la cucina, modelli culturali diversi dal proprio, sfruttando al meglio i momenti di convivialità. Ciò che smantella tutti i pregiudizi è il fare insieme, la condivisione di attività ed esperienze. Lo spazio affidato ad entrambe le iniziative è il “Chikù”, un’area gastronomica e culturale, location per conve- gni ed eventi, ristorante e punto di aggregazione del quartiere, nel quale si sono svolti an- che i festeggiamenti della “Murga” di Scampia, la sera precedente al corteo di carnevale.

VERSO IL RISVEGLIO

Il problema principale della periferia, è innegabile, è il degrado, un dato di fatto evi- dente cui, però, occorre far fronte. Abbattendo le Vele non si risolvono le cause che hanno generato il degrado, poiché una demolizione non implica necessariamente un’immediata ricostruzione. “L’abbattimento della vela è un fatto simbolico, qua- si come un rito apotropaico” ha commentato Sonia. In una realtà come quella di Scampia, che è stata per troppo tempo abbandonata a sé stessa, c’è bisogno di un’azione di rigenerazione comune, affinché si verifichi una trasformazione reale.

Si tratta di una realtà sotto l’occhio dei riflettori, sia del mondo televisivo sia del palcoscenico politico, perciò sperimentare personalmente cosa è Scampia e chi sono le persone che vi abi- tano è un’esperienza formativa che sorprende e trasforma il proprio punto di vista. “Bisogna raccontare le brutture che qui la cattiva politica ha imposto, ma senza luoghi comuni, e poi bisogna mostrare il riscatto che il popolo ha messo in piedi” come ha detto Luigi de Magistris, sindaco di Napoli. Negli anni molte cose sono cambiate e stanno cambiando tuttora, insieme alla volontà di liberarsi dell’etichetta, lo stigma di Scampia che inizia a pesare sui cittadini.

La speranza c’è... ed è quella che finalmente non si scappi più, si prenda coscienza della propria forza e ci si riappropri del diritto di decidere del proprio destino. Per dimostrare che Scampia non è solo Gomorra.

di Elena Lopriore

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