Letteraria n.10/2012

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Luglio Agosto 2012

Anno 2 - Numero 10

www.lemilleeunapagina.com

Cari amici ecco la nostra newsletter. Non solo novità e bestseller, ma proposte di libri che, secondo noi, sono meritevoli di essere letti. Nella speranza di aiutarvi nelle vostre scelte e di darvi idee sempre nuove di cultura.

Finalmente è arrivata l’estate, il periodo migliore per leggere GIALLI E MOLTO ALTRO IN UNA NEWSLETTER SEMPRE PIU’ RICCA QUANDO IL CINEMA INCONTRA LA LETTERATURA

Spesso il cinema prende spunto dalla letteratura e ci regala dei film davvero interessanti. Questo connubio si è rivelato particolarmente felice per il romanzo dell’argentino Eduardo A. Sacheri, “Il segreto dei suoi occhi”. Continua a pagina 2

Sopra, lo scrittore argentino Eduardo A. Sacheri (pag. 2); a sinistra, lo scrittore indiano Amitav Ghosh (pag. 10)

UN LIBRO LEGGERO E DIVERTENTE DA PORTARSI SOTTO L’OMBRELLONE

Un meraviglioso ottantenne: l’intramontabile John Le Carré, scrittore per eccellenza dei romanzi di spionaggio (pag.8)

Se poi è anche di uno scrittore della nostra terra, ancora meglio. Francesca Protti ci propone l’ultimo romanzo del vigevanese Piersandro Pallavicini, “Romanzo per signora”, un ritratto ironico di un gruppo di “anziani” in vacanza. Continua a pagina 4

IL NOIR ITALIANO, UN GENERE TUTTO DA SCOPRIRE

Con la sua nuova rubrica, Riccardo Sedini, dell’Associazione “GialloMania”, ci aiuta a scoprire autori interessanti di un genere che coinvolge sempre più gli scrittori italiani: il noir. Andrea Napoli, con il suo “”GangstaMilano: chi sbaglia paga” è il primo autore proposto. Continua a pagina 13

INDOVINA IL ROMANZO La frase qui accanto descrive la protagonista dell’ultimo romanzo di un famoso scrittore americano contemporaneo, che ha raggiunto la celebrità grazie al suo primo, ormai famosissimo, romanzo uscito nel 2002 sul declino dell’America a fine anni ’90. Qual è il romanzo da cui è tratta la frase?

“Patty è cresciuta nella contea di Westchester, nello stato di New York. Era la prima di quattro figli, seguita da altri tre che corrispondevano meglio alle aspettative dei genitori. Era parecchio Più Grossa degli altri, e anche Meglio Originali, e anche considerevolmente Più Tonta.” ”

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UNA STORIA D’AMORE E MORTE NELL’ARGENTINA DEL TERRORE A volte, gli eventi inaspettati, non programmati, sono quelli che più lasciano un segno, che ci entusiasmano maggiormente. L’incontro casuale con un film, in questo caso, ha provocato un vero e proprio colpo di fulmine. Non per una persona, ma per una storia. Il film, e la storia, che mi hanno colpita così profondamente è “Il segreto dei suoi occhi”, del regista argentino Juan José Campanella. Ne avevo visto passare, per caso, lo spot pubblicitario che mi aveva intrigato: un delitto, una storia d’amore, e sullo sfondo l’Argentina degli anni Settanta, nell’ultima fase peronista, già irrimediabilmente, e tristemente, catapultata verso gli anni bui della dittatura militare. E quest’ultimo aspetto è stato quello che più ha destato il mio interesse. Un incontro casuale, da cui non mi aspettavo nulla di particolare. Il film, vincitore dell’Oscar 2011 come miglior film straniero, si è rivelato all’altezza delle più rosee aspettative: ottima regia; straordinari gli attori (famosissimi in patria ma sconosciuti, purtroppo, in Italia); bellissima la colonna sonora; la trama ben strutturata, intensa, commovente, con un finale a sorpresa. Risultato: il film è balzato ai primissimi posti dei miei preferiti. E, non appena ho scoperto che è stato tratto da un romanzo, mi sono subito attivata per recuperare il libro, che non mi ha delusa. Ci sono molte differenze tra romanzo e film, come sempre (forse, nel caso del film di Campanella, il risultato è anche superiore), ma la trama e il modo di narrare le vicende dei protagonisti è rimasto fedele al libro, scritto da Eduardo A. Sacheri.

Gli attori Ricardo Darín e Soledad Villamil, rispettivamente Benjamín e Irene, in una scena del film omonimo.

Nato a Buenos Aires nel 1967, professore di storia nelle s c u o l e superiori e a l i v e l l o universitario, in patria Sacheri ha pubblicato La copertina del libro di Sacheri numerose pubblicato in economica da Rizzoli raccolte di racconti e alcuni romanzi. “Il segreto dei suoi occhi”, uscito nel 2005, gli ha dato la fama grazie proprio al film, di cui ha scritto la sceneggiatura insieme al regista. La vicenda inizia negli anni Novanta. Benjamín Chaparro (Esposito, nel film) è appena andato in pensione. Per ovviare al tedio delle lunghe ore senza più un lavoro, che non ha mai amato molto, decide di scrivere un romanzo. Ma non un romanzo qualsiasi. Benjamin vuole mettere nero su bianco una vicenda accaduta venticinque anni prima, quando lui era un giovane funzionario della cancelleria del tribunale di Buenos Aires e quando aveva appena conosciuto la donna che amerà con una passione travolgente, ma silenziosa, per tutta la vita: Irene, prima stagista nell’ufficio di Benjamin, poi giovane laureata e, infine, giudice del tribunale. Con la scusa di parlarle del suo progetto, ma in realtà per rivederla, Benjamín si reca nell’ufficio di Irene. Come se il romanzo fosse l’appiglio giusto che potrà dargli il coraggio di uscire allo scoperto, dichiarandosi finalmente a Irene, Benjamín ripercorre la sua vita, l’amore per Irene, il lavoro che, dopo molti anni, lo porterà a stare vicino a lei, l’amicizia col collega Sandoval, ubriacone ma devoto amico (nel film compirà un gesto di altissimo sacrificio per salvare Benjamin); e, soprattutto, cerca di ricomporre, con la scrittura del suo romanzo, il puzzle del delitto di Liliana Colotto, giovane maestra stuprata e uccisa una mattina del maggio del 1968. Un’intuizione brillante e improvvisa dà a Benjamin la chiave per risolvere l’omicidio. Ma siamo agli sgoccioli della presidenza di Isabel Peron ed è ormai prossima la presa al potere della giunta militare che insanguinerà l’Argentina dal 1976 al 1983, e il colpevole, dopo poco tempo, verrà scarcerato, utile aguzzino nelle mani di poliziotti corrotti. Per poi sparire per sempre, senza lasciare traccia di sé, lasciando Benjamin e il marito della vittima, Morales, senza una vera giustizia.

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LETTERARIA! Il finale è un vero colpo di scena, che riporta equilibrio nella vicenda umana dei personaggi, soprattutto di Benjamín, sospeso da sempre tra il suo tormentato amore platonico, i sensi di colpa nei confronti di Sandoval, e un’esistenza appena sfiorata ma mai pienamente vissuta. Il romanzo è un susseguirsi di balzi temporali, da un presente in cui Benjamín Chaparro si trova a rendere conto delle sue scelte, ad un passato lontano ma ancora così vicino, tanto forti sono state le conseguenze della morte violenta di Liliana sull’intera esistenza di Benjamín (“In quel momento ignoravo tutti i problemi che quel giorno avevo seminato nel mio destino e che prima o poi avrei dovuto raccogliere”, dice Chaparro all’inizio dell’indagine che gli è stata affidata, precorrendo gli eventi tragici che coinvolgeranno lui e le persone a lui vicine). “Non sono granché sicuro dei motivi che mi spingono a scrivere la storia di Ricardo Morales dopo tanti anni. Potrei dire che quanto è accaduto a quell’uomo ha sempre esercitato un oscuro fascino su di me, quasi mi offrisse l’opportunità di vedere riflessi, in quella vita sconvolta dal dolore e dalla tragedia, i fantasmi delle mie paure”. Queste paure sono le stesse che hanno influenzato un’intera generazione di argentini, quella che ha sperimentato sulla propria pelle il dramma della dittatura militare, la “Guerra Sporca”, come fu chiamata, con le torture sistematiche eseguite nel famigerato centro di detenzione ESMA (la scuola per gli ufficiali della marina argentina); i voli della morte, una pratica di sterminio tramite la quale migliaia di presunti dissidenti politici furono gettati nell’oceano vivi e sotto l’effetto di droghe da appositi aerei militari; i desaparecidos, le persone arrestate di cui non si è mai conosciuta la sorte e che ancora oggi le madri di Plaza de Mayo stanno cercando. È anche questo, “Il segreto dei suoi occhi”, romanzo che non può essere definito solo un poliziesco, o una storia d’amore, o un racconto di denuncia sociale storica: è ciascuna di queste definizioni e tutte insieme allo stesso tempo. Per questo motivo è ancora più interessante.

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Nel film, la vicenda di Irene e Benjamín e delle indagini si svolge in un arco di tempo più stretto, gli eventi vengono talvolta modificati anche drasticamente (come il destino di

Vista aerea dell’ESMA (Erculea Superior de Meccanica de la Armada), il più famoso dei centri di detenzione attivi durante la dittatura. Oltre 5.000 persone vi furono rinchiuse e solo poche centinaia ne uscirono vive. Sandoval, più tragico ma anche più drammaticamente “nobile” nel film) . La stessa Irene, nel romanzo, è una figura presente sì, ma più che altro nei pensieri di Benjamin. Nel film, le esigenze cinematografiche prendono il sopravvento, la storia d’amore è più d’impatto sullo spettatore che non sul lettore, e le scelte del regista, congiuntamente con lo scrittore, hanno determinato variazioni a volte sostanziali. Il risultato, però, non cambia. Siamo davanti all’ennesimo caso in cui l’arte cinematografica attinge alla letteratura, come abbiamo già visto tante altre volte (e come possiamo vedere anche più avanti, a pag. 8), e ancora una volta si può dire che il connubio è ben riuscito. Non mi sentirei di consigliare solo la visione del film o solo la lettura del romanzo. Il colpo di fulmine di cui parlavo all’inizio e che mi ha fatto innamorate della storia sarebbe incompleto se uno escludesse l’altro. Lascio a voi la scelta se vedere prima il film o leggere prima il romanzo.

La locandina originale del film, vincitore dell’Oscar per il Miglior Film straniero del 2011. Manifesto raffigurante le fondatrici del movimento della “Madri di Plaza de Mayo”, sequestrate e uccise nel 1977.

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RIDI E AVRAI LE RUGHE GIUSTE RUBRICA DEL BUON UMORE A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Nemo profeta in patria, ha detto qualcuno. Per la mia forma mentis, niente di più vero. Commetto, infatti, il grave errore di immaginare gli scrittori come lontani da me, dalla mia realtà familiare e quotidiana. Ho scoperto, di recente, quanto mi sbagli. Alla ricerca di un regalo pasquale per mamma, mi sono imbattuta in “Romanzo per Signora” di Piersandro Pallavicini nato a Vigevano (nella mia realtà geografica) nel 1962, ricercatore di chimica presso l’Università di Pavia (come mia sorella, solo che lei si occupa di fisica), nel cui libro si cita non solo Vigevano, ma anche Dorno, Parona, Mortara, da dove viene “quel gigante di Mauro Bosetti, il capo del protagonista, che, nella sua ombra era solo un travet che macinava il lavoro noioso … vagliando i manoscritti che arrivavano per posta” in una nota casa editrice. A Bosetti piacevano Chiara e Parise, Moravia - invece - lo annoiava nel profondo (tanto da venire soprannominato Mortavia) e detestava Sanguineti (di cui si è occupato, per i suoi studi, il fidanzato della stessa sorella di cui sopra). Il nostro romanzo, mi sono detta, perfetto per mamma. Quando l’ha finito, l’indagine è stata d’obbligo. “Ti è piaciuto?” – “Uhm … sì, un po’ troppo scurrile per i miei gusti, ma comunque parla di noi e come noi, dei nostri posti.” Non ho avuto scelta, ho dovuto leggerlo anche io e a pagina 41 ho trovato la perfetta descrizione del testo. Per Bosetti “esistevano solo quatto categorie. Il settanta per cento dei libri rientrava nella categoria “noioso come un rosario”. O in quella della martlàa a travèers, per stare con un’espressione lomellina che gli piaceva particolarmente, lui che veniva da Mortara. Ciò che non gli sembrava noioso quanto una sfilza di ave marie, o pesante come una martellata per traverso in fronte, apparteneva alla categoria dei “navigabili”. Si aggiudicavano un venti per cento del pubblicato. Restava un orribile dieci per cento. Erano i romanzi “da piaghe da decubito”. Il peggio, mortiferi e angoscianti … Sul serio, non gli piaceva quasi niente. Solo un romanzo ogni cinque, dieci anni, una percentuale irrisoria, sarebbe stato davvero bello.” Ecco … “Romanzo per Signora” fa parte di questa percentuale irrisoria giacché non è né da piaghe da decubito, né una martlàa a travèers, né noioso come un rosario. Non è nemmeno navigabile, ma bello

e divertente. La narrazione incalzante, ironica e divertente ti strappa una risata quando meno te lo aspetti, grazie a una scrittura propria di una autore che adopera con disinvoltura sarcasmo e paradosso. Un gruppetto di settantenni, due coppie e un vedovo, senza impegni né problemi economici, afflitti da malanni più o meno disastrosi, in vacanza a Nizza, in Jaguar, in un hotel a quattro stelle, con un elenco si ristoranti di lusso e un’American Express a credito illimitato. I cinque, vale a dire il Cesare (l’io narrante), il Buttafava, il Persegati, la Franca e l’Adriana, sono lasciati liberi di agire per vedere come riescono a godersi la vita e a combinare un sacco di guai, tanti che farebbero invidia a un gruppo di adolescenti. Perché questo sono, cinque adolescenti imprigionati in copri di anziati che in tono irriverente e appassionato, disincantato ed esilarante offrono al lettore un ritratto della terza età che va oltre a buonismi e facili moralismi. In un susseguirsi di liti coniugali, incredibili rivelazioni, risse, scene isteriche, uso e abuso di hashish, confessioni di vite che volgono al termine, gita in una clinica privata in cui si pratica l’eutanasia, Cesare è alla ricerca di Leo Meyer, lo scrittore che negli anni ’80 ha scoperto e sostenuto, l’amico della vita che ricompare, ora, con occhi incavati dalla malattia in un taxi in corsa. Lo stesso Leo misteriosamente scomparso, che ora ritorna nella vita di Cesare e ne riaccende l’ossessione che covava sotto le ceneri della sua sparizione. In più di un punto la lingua è un po’ scurrile, bisogna ammetterlo, ma è quella propria dei gruppi di amici, in cui ci si lascia andare anche a storielle a sfondo sessuale e a un linguaggio vivace con cui scongiurare le proprie paure. Ed è una lingua reale, concreta. Confessa lo scrittore. “Credo poco nei voli pindarici, nella poeticità del narrare. Sono per una narrativa che si attiene il più possibile ai fatti e alla chiarezza, che fa della frase, che vuole dire solo quello che vuole dire, il proprio punto di forza. Non amo la “narrativa sciamanica”, dove una frase può essere interpretata in dieci modi diversi, perché ha solo un bel suono.” Per imitare la quarta di copertina, chiuderemo con le parole dello stesso Pallavicini. “Lo so che alla fine ne è uscito un romanzo struggente, con questi cinque anziani a ricapitolare le loro vite in smobilitazione, mentre provano caparbiamente a riallacciare i fili degli affetti. Ma Cesare è fermamente deciso a non cedere di un'unghia alla malinconia e al rimpianto. Come me, che mentre scrivevo tiravo giù dagli scaffali Wodehouse, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, e facevo esorcismi in forma di battute. Intanto che nel romanzo, questa volta felicemente, il mistero cresceva e la trama si infittiva … Si ride così poco nei romanzi italiani contemporanei … Se uno non è credente, non ha nulla a cui aggrapparsi. L’umorismo è una delle poche cose che ci salvano.”

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ALLA FIERA DELL’EST* RUBRICA DI LETTERATURA EBRAICA A CURA DI LAURA FEDIGATTI

“Sono nato nella città di Radzymin, vicino a Varsavia, capitale della Polonia, il 14 luglio 1904. Mio padre, Pinchos Menachem Singer, era un rabbino, un uomo molto religioso. Mia madre, che si chiamava Betsabea, era figlia del rabbino di Bilgoray, paese non lontano da Lublino. Agli inizi del 1908, quando avevo tre anni, i miei genitori si trasferirono a Varsavia; mio padre esercitava la sua missione di rabbino in una strada di un quartiere poverissimo, che si chiamava via Krochmalna.” Inizia così l’autobiografia di uno dei maggiori scrittori del Novecento, vincitore per Premio Nobel per la letteratura nel 1978. Isaac Bashevis Singer non rinnegherà mai le sue origini di ebreo polacco, anzi se le porterà dietro per tutta la vita, restando fortemente legato alla realtà degli shtetl, i villaggi ebraici dell’Europa orientale, dove si parlava solo yiddish, una lingua germanica scritta con caratteri ebraici, e che in pochi anni furono cancellati dalla faccia della terra dai nazisti. Anche quando arrivò negli Stati Uniti, per raggiungere

Lo scrittore americano di origini polacche Isaac Bashevis Singer

l’amato fratello Israel Joshua (anch’egli apprezzato scrittore, autore del romanzo “I fratelli Ashkenazi”) e per sfuggire all’antisemitismo, sempre più dilagante, Singer continuò a scrivere in yiddish, la sua lingua madre e del suo popolo, la prima imparata e dalla quale non si potrà mai staccare. Perché, come disse nel 1976, poco prima di ricevere il Nobel, in un’intervista rilasciata a un altro gigante della letteratura ebraica, Philipp Roth, “un vero scrittore non scrive in una lingua appresa da adulto, ma nella lingua che conosce sin dall’infanzia”. Un vero scrittore, quindi, non perde mai il punto di vista delle sue origini, e Singer non lo farà mai.

Quando arriva a New York, dopo un viaggio travagliato, Singer è già uno scrittore: ha collaborato con una rivista polacca come correttore di bozze, ha tradotto in yiddish alcune opere di scrittori quali Gabriele D’Annunzio, Stefan Zweig, Thomas Mann e Erich Maria Remarque, ha pubblicato dei racconti e un romanzo a puntate, “Satana a Goray” (pubblicato in Italia da Longanesi). Già un capolavoro. La storia è un classico della tradizione ebraica e si basa su un episodio davvero avvenuto nel luogo e nel tempo descritti dallo scrittore. Nella Polonia del XVII secolo, nel villaggio di Goray, dopo l’ennesimo massacro compiuto dai cosacchi, i sopravvissuti ascoltano la predicazione di un falso Messia, Sabbatai Zevi. Nello stesso tempo, un venditore ambulante, Re b I t ch e M at e s, annuncia la redenzione e il ritorno degli ebrei a Gerusalemme or mai prossimo. La comunità (probabilmente stanca di persecuzioni e ansiosa di credere ad un futuro finalmente migliore) si lascia andare ad un’isteria di massa, con La copertina del romanzo conseguenze fatali che si “Satana a Goray” abbatteranno sull’intero villaggio. Caludio Magris ha definito questo romanzo “un racconto demoniaco..., in cui la mitologia diabolica è solo il velo bizzarro dell’accorata condizione umana”. Il romanzo è pervaso dalle atmosfere cupe di un medioevo soffuso di credenze bibliche, di un tempo, il 1600, cui Singer ritornerà più tardi in una delle sue opere tardive, “Lo schiavo”, del 1962, in cui viene descritto l’amore tormentato tra un ebreo e una donna cristiana. Ma è negli anni Quaranta che inizierà a scrivere la serie di romanzi e racconti che lo faranno diventare uno dei più importanti rappresentanti della letteratura ebraica. E per permettere a tutti di leggere le sue opere, sarà lo stesso Singer a tradurle dallo yiddish all’inglese, con l’aiuto di alcuni parenti ed amici. Uno di questi, in particolare, è un nome prestigioso: Saul Bellow, un altro ebreo destinato alla fama e alla grandezza letteraria, anche lui insignito del Nobel due anni prima di Isaac Bashevis.

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LETTERARIA! In realtà, Bellow e Singer non furono mai grandi amici: come spesso è tipico degli esseri umani dotati di grandi talenti artistici, il narcisismo e l’invidia portano a considerare con sospetto i propri simili, soprattutto quando si dedicano alla stessa arte. Anche qui non troviamo eccezione. Nonostante lui stesso avesse “introdotto” Singer sulla scena letteraria americana, Bellow non gli risparmiò mai i suoi perfidi motti sarcastici, arrivando a definirlo “una personalità lambiccata, un opportunista, un carrierista”. Come se nessun scrittore non lo sia mai stato. (Bellow trovava Singer troppo intriso di cultura ebraica, mentre lui si considerava prima di tutto americano, e solo in seconda battuta ebreo). Il primo romanzo “americano” di Singer è “La famiglia Moskat” (pubblicato in Italia in economica da TEA e da Longanesi nel 2010 in una nuova edizione rilegata), uscito a puntate sul “Jewish Daily Forward” (quotidiano ebraico nato a New York nel 1897, tuttora esistente come mensile) dal novembre 1945 al maggio 1948. Il romanzo ebbe un discreto successo, venne anche letto alla radio e vide la sua p u bbl i c a z i o n e c o m e l i b ro d e fi n i t i vo, d o p o va r i rimaneggiamenti, nel 1950. Molti considerano “La famiglia Moskat” il capolavoro di Singer. In realtà, sono molte le opere definite in questi termini. Certo è che questo romanzo è sicuramente il più lungo e impegnativo dello scrittore. E’ una saga familiare lunga cinquant’anni, dagli inizi del Novecento fino alla Seconda guerra mondiale, fino alla “soluzione finale”. La vera protagonista del romanzo, in realtà, è l’Ostjudentum, la società ebraico-orientale, in particolare quella di Varsavia, con la sua densa cultura. Ma è quello che Singer vuole: mettere sulla carta, affinché non venga cancellato d e fi n i t i va m e n t e dalla memoria s t o r i c a dell’umanità, tutto il bagaglio culturale degli ebrei della diaspora; gli insegnamenti del Ta l m u d , i complessi rituali religiosi che scandiscono ogni momenti della vita quotidiana; le credenze e le super stizioni; i messia (per lo più falsi, come quello del primo romanzo “Satana a Goray”) e i demoni (il mondo di Singer è popolato dai demoni, come lui stesso era considerato, un demone che dava vita a un mondo scomparso con una lingua scomparsa); i pogrom e

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i massacri; e, soprattutto le persone che hanno animato per duemila anni questo mondo straordinario. Per questo Singer usa la sua antica lingua, non per un attaccamento morboso al passato, ma perché è solo attraverso lo yiddish che lo scrittore riesce a trasmettere, interamente e pienamente, l’essenza vera del suo popolo. Alla “Famiglia Moskat” seguirono 18 romanzi, 14 libri per bambini, saggi, articoli recensioni. Tra i romanzi, oltre al già citato “Satana a Goray”, vorrei ricordare “Il mago di Lublino”, “La famiglia Moskat”, “La fortezza”, “Nemici: una storia d’amore”, “Shosha”, “Il penitente”, “Ombre sull’Hudson”. Ne “Il mago di Lublino”, scritto nel 1 9 6 0 pubblicato in Italia da Longanesi, Singer ci regala un altro dei suoi fantastici personaggi, a metà tra il bene e il male, che cade nell’abisso, per poi rialzarsi, forte della sua “ebraicità” che sola può concedere una redenzione. Ya h s a , i l protagonista, infatti è un illusionista, un mago, ma anche uno scassinatore, che, nella Polonia prima della guerra, usa i suoi poteri per derubare gli altri. E’ anche un fedifrago (e qui si dovrebbe aprire un lunghissimo discorso sulla sessualità fortemente presente in Singer e negli altri scrittori ebrei), stanco della moglie, un ateo irriverente e insofferente delle regole ferree della sua religione. Per sottrarsi ai suoi doveri e responsabilità, Yasha progetta di fuggire lontano con la sua amante, salvo poi pentirsi e autopunirsi con una vita di reclusione. Il suo sogno è di volare via, di essere in un qualunque luogo lontano dalla dura realtà. “Yasha si appisolò e sognò che stava volando. Si staccava dal suolo e saliva sempre più, sempre più. Si domandò perché mai non ci avesse provato prima... era così facile, così facile. [...] Da anni ormai lo affascinava l’idea di mettersi un paio d’ali e di volare.” Un sogno, quello di volare via, che sta a simbolizzare il voler fuggire dalla dura realtà dei massacri, da un destino che stava per abbattersi inesorabile su tutto il mondo ebraico. Un sogno che Singer riuscì a realizzare prima che fosse troppo tardi, fuggendo negli Stati Uniti e scampando ad un destino segnato.

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Nel 1957, ormai cittadino americano da quattordici anni, un seguacec di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo Singer pubblicata la prima raccolta di racconti: “Gimpel olandese, colpito a soli 23 anni da una scomunica (chermes, in l’idiota”. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è tradotto ebraico) che lo bandì dalla sua comunità per tutta la vita. da Saul Bellow ed è uno dei più famosi di Singer. “Sono Gimpel l’Idiota, ma non credo di essere stupido. Anzi. Però i compaesani mi chiamano così”. Gimpel rappresenta lo sciocco ingannato dal mondo, lo “scemo del villaggio”, che tutti si permettono di prendere in giro, perché lui lascia fare; e, nello stesso tempo, è anche il saggio, colui che ha capito che il mondo ha bisogno di un equilibrio, che non c’è solo bene e male, e che è meglio credere, perché non si sa mai cosa ci possa riservare l’aldilà. Proprio nei racconti (ne scrisse decine e decine) Singer diede il meglio di sé, con la loro carrellata di personaggi di ogni genere: ciabattini, rabbini, studiosi, peccatori, figlie e mogli più o meno virtuose, ricchi mercanti e poveri servi, santi e demoni. Tutto il Barbra Streisand con Mandy Patinkin nel film mondo dello shtetl viene rappresentato con una “Yentl”, tratto dal racconto omonimo di Singer vivacità di linguag gio, un’attenzione e un’introspezione psicologica da far sembrare, quasi, che i protagonisti di questi racconti debbano prendere Opera fondamentale di Spinoza, l’Etica regola l’esistenza vita ed uscire una volta per tutte dalle pagine scritte e che semplice di Fischelson, con la sua razionalità e precisione, restano figure indimenticabili della letteratura ebraica. fino a quando la passione per una donna, Dobbe la Nera, si Come la straordinaria figura di giovane donna in “Yentl, lo sostituisce a quel razionalismo che lo aveva protetto fino ad ora. Sì, perché in Singer, l’amore è visto in tutte le sue diverse sfumature, dall’innamoramento casto di due giovani promessi sposi, alla passione carnale, dall’idillio amoroso, alla stanchezza coniugale. Abbiamo detto i demoni. Quelli di Singer non sono degli esseri malvagi e irrazionali, ma provengono tutti dalla tradizione ebraica (come anche i dybbuk, le anime dei defunti che non trovano pace ed entrano nel corpo dei vivi per tormentarli) e per questo li ritroviamo in moltissimi racconti, quali “Il non veduto”, “La distruzione di Kreshev”, “L’ultimo demone”, solo per citarne alcuni. Lo stesso Singer è stato definito “demone” dalla sua segretaria che, scherzando, aveva detto che non era mai riuscita a vedere l’ombra dello scrittore. Un commento che per Singer avrebbe avuto il sapore di un bel complimento. La piazza del mercato di uno shtetl nei primi anni del Novecento studente della Yeshiva”, da cui Barbra Streisan ha tratto, nel 1983, il film omonimo, da lei interpretato e diretto. Yentl è una donna e come tale dovrebbe sottomettersi alle regole del Talmud, che prevedono per lei il matrimonio e la maternità. Niente studi, quelli sono per gli uomini. Quando muore il padre, che di nascosto l’aveva iniziata ai precetti talmudici, Yentl si ribella e inizia una nuova vita come un uomo. Si sceglie un nome maschile, riesce ad entrare in una yeshivà, una scuola ebraica, stringe amicizia con un compagno di studi e arriva persino a sposarsi con la dolce e sottomessa Hadass. Oppure come lo studioso, il dottor Fischelson, in “Lo Spinoza di via del mercato”, dove Singer dà prova di essere stato

*”Alla fiera dell’est” è un canto pasquale ebraico, “Chad Gadya”, a cui si è ispirato Angelo Branduardi per la sua celeberrima canzone

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IL BATTITORE LIBERO* LETTURE CON LICENZA DI AVANZARE A CURA DI ANTONIO SEGRINI

La prassi, in genere, è la seguente: capita, leggendo un libro che la nostra immaginazione galoppi a tal punto da spronarci speranzosi a vedere il film; che poi puntualmente, salvo poche eccezioni, le speranze rimangano tali è un altro discorso. La seconda opzione, meno frequente, è quella di vedere un film nelle sale e poi, incuriositi, ritrovarsi tra le mani il tomo dal quale la pellicola ha preso ispirazione. A me è successa una cosa ancora meno usuale: la visione de “La talpa” mi aveva lasciato qualche punto interrogativo, piccoli dettagli che mi erano sfuggiti e questo mi ha spinto ad approcciare il capolavoro di John Le Carré; una volta terminata la lettura e messi a fuoco i particolari, ho sentito il desiderio di guardare nuovamente la bellissima trasposizione cinematografica dello svedese Tomas Alfredson. A questo punto il cerchio si è chiuso: la visione dell’uno rende godibile la lettura dell’altro e viceversa, in un piacevole gioco di rimandi. Siamo nel 1973, in pieno clima da guerra fredda tra il blocco sovietico e quello occidentale, ai massimi livelli dei Servizi segreti inglesi si annida una spia, un traditore, un uomo così abile che è riuscito a far decapitare il vertice del SIS o MI6 (come si vuole chiamarlo) nella persona di Controllo, l’unico a sospettare la presenza di una talpa, attirando un suo agente in una trappola diabolicamente congegnata: una missione in Cecoslovacchia che avrebbe dovuto fornire preziose informazioni si rivela in realtà un clamoroso insuccesso e costringe alle dimissioni Controllo ed il fido George Smiley. Ma anche tra le fila dei russi si registra qualche defezione e

quando Irina fa le sue confidenze a Ricky Tarr, uno dei cosiddetti “cacciatori di scalpi” (coloro che si occupano appunto di reclutare agenti nemici potenzialmente defezionari), ecco che lo scenario cambia. Il governo inglese, informato da Tarr, decide, in gran segreto e senza naturalmente far trapelare nulla che possa giungere all’orecchio dei Servizi, di affidare a Smiley il pericoloso e delicatissimo incarico di scoprire chi è l’infiltrato. Sarà un percorso molto doloroso per Smiley, che si ritroverà ad indagare coloro con i quali ha condiviso anni di lavoro e che scoprirà che anche l’affetto più caro gli è stato “trafugato” a causa di una macchinazione di Karla, l’uomo più scaltro del Centro di Mosca, il reale controllore della talpa. Smiley, tradito in amicizia ed in amore ma incapace di staccarsi da coloro che l’hanno ingannato, è il vero eroe/antieroe della vicenda, lontano anni luce dal prototipo James Bond con quel fisico dimesso ma dal cervello fino. Certo, l’intreccio è complesso, intessuto di trame e sottotrame, gli agenti segreti, si sa, più che parlare chiaro alludono, accennano, dicono e non dicono, l’azione è ridotta al minimo, non ci sono inseguimenti rocamboleschi o fughe mozzafiato, ma le atmosfere sottilmente malinconiche sono perfette per calarci in quel particolare periodo storico, il romanzo è in gran parte imperniato sulla ricostruzione delle carriere degli attuali componenti del Circus (nomignolo per definire i Servizi segreti britannici) operata da Smiley con quell’acume e quella pazienza certosina che gli permetteranno di individuare la talpa.

Due grandi attori britannici a confronto nei panni di Smiley: a sinistra, Gary Oldman, strepitoso interprete del film di Alfredson; e Sir Alec Guinness, che ha interpretato la famosa spia nelle serie televisive della BBC nel 1979 e nel 1982 Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


LETTERARIA! John Le Carrè scrive della vicenda con assoluta cognizione di causa in quanto lui stesso, prima di diventare scrittore, è stato agente dei Servizi e la sua carriera è stata stroncata proprio da un agente doppiogiochista del KGB, verrebbe da pensare che abbia condensato tutti i suoi desideri di vendetta in queste pagine. Possiede un raffinato talento letterario, uno stile completamente diverso dalla stragrande maggioranza degli autori di questo genere tanto da far dire a qualcuno: “Bond o Bourne o gli altri mirabolanti esecutori di trame criptoviolente non hanno smesso d'esser pubblicati dopo La talpa. Si sono semplicemente limitati a rimanere nel limbo degli implausibili.” Una piccola curiosità: il titolo originale “Tinker taylor soldier spy”, gli pseudonimi con i quali Controllo aveva ribattezzato i sospettati di tradimento, fa il verso ad una conta infantile inglese (come potrebbe essere la nostra “Tre civette sul comò”), che così recita: “Tinker, Taylor, Soldier, Sailor, Rich Man, Poor Man, Beggar Man, Thief ”. Sarò esterofilo ma a me sembra decisamente più carina! John Le Carrè, pseudonimo (e non poteva essere altrimenti!) di David John Moore Cornwell, è uno dei più conosciuti e apprezzati scrittori di romanzi di spionaggio. Nelle sue opere tende a dare un’immagine meno spettacolare ma più vicina alla realtà degli agenti segreti, in palese contrasto con il più famoso esponente del genere, James Bond. La spia che venne dal freddo, il cosiddetto “ciclo di Smiley” (“La talpa”, “L’onorevole scolaro”, “Tutti gli uomini di Smiley”), “Il sarto di Panama” e “Il giardiniere tenace” sono i titoli più riusciti della sua produzione mentre in Un ingenuo e sentimentale amante si stacca dal genere spy-story con notevoli risultati.

“Cosa faceva Smiley, stava seduto? Stava anche lui al buio? Mendel ne aveva tutta l’impressione. Di tutti i tipi strani che aveva conosciuto, Smiley era il più bizzarro. A guardarlo avresti detto che non era in grado neppure di attraversare la strada da solo, eppure offrirgli una mano sarebbe stato come offrirla a un porcospino”. Tratto da “La talpa” di John Le Carré

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Film e libro accomunati dalla stessa grafica: sopra, la locandina del film e, a sinistra, la copertina del libro, riedito per l’occasione da Mondadori.

*Fino agli anni '80 veniva definito "battitore libero" quel calciatore che, sgravato da compiti di marcatura fissa degli avversari, era appunto "libero" di giostrare a suo piacimento alle spalle dei difensori suoi compagni di squadra o di avanzare a sostegno degli altri reparti.

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YOGA NON E’ YOGURT*... ... ma molto altro RUBRICA DI YOGA E DINTORNI A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Una porta che si apre sull’India e la sua storia, per esempio. Che l’India sia uno stato un po’ affollato è cosa nota a tutti, fa parte dell’immaginario collettivo di ognuno di noi. Questo perché l’India è, per antonomasia, il paese sorto da una delle più straordinarie mescolante di etnie e culture. Amitav Ghosh (Calcutta 1956) ha deciso di raccontare questa nascita attraverso la simbolica narrazione di quell’incontro - scontro di mondi opposti da cui una civiltà nuova sorse. Se queste sono le premesse, non stupisce scoprire che Ghosh negli ultimi otto anni si è dedicato anima e corpo alla stesura di un grande romanzo in tre volumi. In un totale di più di mille pagine, un “tusitala” nato qual è il grande scrittore contemporaneo ha dato vita, al momento, solo alle prime due puntate, “Mare di Papaveri” e “Il Fiume dell’Oppio” (in Italia editi, come gli altri romanzi di Ghosh, da Neri Pozza). La maestria narrativa si traduce in un’opera dalla potenza dickensiana per ricchezza di personaggi, per l’abilità con cui viene stesa la tela di fondo, per la capacità di mescolare dramma e commedia. Ghosh è uno autore cauto e ardito insieme, che con sicurezza si muove in una personale e affascinante rivisitazione della storia di una consistente parte del pianeta. Tutto questo è possibile attraverso una scrittura vivace, animata da una rutilante ma mai gratuita né mai inventata voce mista, un impasto, una miscelazione di lingue, gerghi, dialetti; attraverso complessi edifici narrativi fitti di personaggi, situazioni, ambienti, tra natura e cultura, uomini, piante ed elementi, navi, porti, giungle agricoltura, industria, commercio. E non di un commercio qualsiasi, ma del micidiale commercio di oppio, così potente da scatenare una vera e propria guerra tra l’Imperatore Celeste della Cina, determinato a estirpare il traffico della letale sostanza e sua Maestà Britannica, il cui governo imperialista si erge a difensore dei principi del “free trade” e dei diritti del capitalismo. “Mare di Papaveri” è l’appassionante prima puntata di questa trilogia e, con un intreccio ben congeniato e avvincente, racconta della tumultuosa società bengalese degli anni ‘40 dell’800. Sulla Ibis, una goletta in fuga da Calcutta, confluiscono personaggi scomodi tanto diversi quanto rappresentativi di quel mondo. Si tratta di un’umanità davvero straordinaria: marinai, clandestini, braccianti, galeotti, un raja in rovina, una vedova sfuggita alle dure costrizioni del suo clan, uno schiavo americano

liberato, un’orfana europea dallo spirito libero. A mano a mano che i legami con le origini si affievoliscono - e i contorni delle vite precedenti sbiadiscono - i passeggeri e i membri dell’equipaggio cominciano a considerare se stessi “fratelli di navigazione”, uniti da una comunanza che oltrepassa continenti, razze e generazioni. La nave, di fabbricazione americana, viene acquisita da un armatore inglese per commerciare oppio e per trafficare coolies, uomini in fuga dalla p o v e r t à dell’entroterra indiano, devastato

La copertina del romanzo “Mare di papaveri”, edito da Neri Pozza dall’economia coloniale che ne ha fatto un’immane piantagione di papavero e destinati a un futuro da braccianti in condizioni di semischiavitù in qualche terra lontana. Il fondale storico è ricostruito con grande perizia e ricchezza di particolari, ma senza eccessi da erudito. Le vicende si svolgono nel 1838, alla vigilia della “guerra dell’oppio” cui si accennava prima, un periodo particolarmente significativo della storia indiana. Ma non solo. La guerra dell’oppio segna infatti l’inizio del colonialismo occidentale in Cina e dà a Ghosh la possibilità di mettere in scena la natura feroce e aggressiva della presenza britannica nel sud-est asiatico. Le dinamiche commerciali che guidano la società sono descritte e condannate senza appello. Le grettezza degli occidentali è messa in scena con grande efficacia nei dialoghi e nelle descrizioni.

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LETTERARIA! “Il Fiume dell’Oppio”, seconda parte del trittico, sposta la narrazione negli anni ’60 dell’800 e dall’India dei campi di papaveri da oppio di Bihar alla Cina di Canton. Ora i naviganti della Ibis si incontrano-scontrano con le ciurme di altri due navi, la Redruth, con le sue piante rare, e la Anahita, carica di una gigantesca quantità di oppio. Dalla Ibis sbarca un personaggio in incognito, che ritroveremo in una posizione defilata ma importante della storia. Dalla Anahita, molto danneggiata, come il suo carico, dalla tempesta, sbarca

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uomini ballavano la quadriglia con gli uomini). Nella prosa di Ghosh si mescolano il pidgin del mondo degli affari (una vera e propria lingua, dove "pidgin" riproduce la pronuncia cinese di "business") e il goffo inglese di una parte della comunità di Fanqui- town, il cantonese elementare dei poveri, tocchi di hindi, di parsi, di malese e la lingua della burocrazia imperiale, con le sue preziosità e le sue astuzie. Grazie a libri come questo il romanzo d’avventura continua a svolgere uno dei ruoli fondamentali che gli è stato assegnato

La copertina del secondo volume della trilogia di Ghosh e un’immagine del fiume Gange, sulle cui rive è ambientata la prima parte della storia Bahram Modi, un Parsi di Bombay, mercante di oppio, in fuga dalla prepotente, ricchissima famiglia della moglie, un uomo frustrato che a Canton ha scoperto l'amore in una giovane donna e che gli ha dato un figlio. Ed è soprattutto attraverso gli occhi di Bahram, uomo buono anche se confuso, che seguiamo le tumultuose e tragiche vicende della guerra dell'oppio. Mentre a raccontare un lato più leggero della vicenda c'è Robin Chinnery, figlio (romanzesco) di George Chinnery, il pittore (reale) dei grandi dignitari cinesi, che con le sue lettere minuziose fa la cronaca degli eventi per l'amica floricultrice che viaggia con le sue piante e i suoi bei disegni sulla Redruth, cercando un fiore che forse non esiste. Una storia che continua a essere complessa e affollata senza affaticare il lettore, ma che tradisce, anche, la sapienza di cultore della linguistica qual è Ghosh, maestro nel rendere la Babele che era Canton a metà dell’800, un luogo in cui le ricchezze erano fuori misura, i banchetti erano senza fine, i cibi gloriosi, i rapporti amorosi tra uomini un dato comune (e gli

nella storia letteraria, continua cioè a essere un importante strumento di indagine della storia, in questo caso la realtà del colonialismo, oltre che un impareggiabile strumento di evasione. Con pazienza, dovremo attendere l’ultimo volume e la fine della storia.

*Liberamente tratto dall'incipi di “Yoga per negati”

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SOTTO IL TIGLIO* PICCOLA RUBRICA DI CULTURA TEDESCA A CURA DI FRANCESCA PROTTI

Frank Schätzing (Colonia, 1957) è definito “il maestro del thriller intelligente all'europea, che mescola mirabilmente scienza, politica, etica, ecologia, suspance”. Dopo gli studi in Scienze delle Comunicazioni, ha lavorato come pubblicitario e discografico (ha fondato l'agenzia Intevi e l'etichetta Sounds Fiction). Un musicista quindi, ma anche performer, pubblicitario, appassionato inventore di thriller e studioso della natura, insomma una personalità eclettica e affascinante. Le suggestioni contenute nei suoi fortunatissimi libri, “Tod und Teufel”, “Der Schwarm” (“Il quinto giorno”), “Lautlos” (“Silenzio assoluto”), “Limit” (“Limit”), tradiscono il suo desiderio di non voler essere inscatolato in un genere e l’estrema poliedricità delle sue passioni che gli consentono di passare dal Medio Evo al futuro, dal terrorismo al serial killer, dal mangiare e bere alle meraviglie del mondo e delle sue acque. Il suo primo romanzo, “Tod und Teufel “ (“Il Diavolo nella Cattedrale”, edito in Italia da Editrice Nord e in

Franz Schätzing economica da TEA), venne pubblicato nel 1996, ma arrivò in Italia solo 10 anni dopo, sulla scia del grande successo internazionale ottenuto con “Il Quinto Giorno”, un thriller catastrofico che “ridefinisce i confini del romanzo avventuroso”. Già il titolo, “Il diavolo nella cattedrale”, mette ben in evidenza uno dei temi di fondo del testo. Il diavolo rievoca non solo la certezza di Jacop che l'assassino sia il demonio, ma anche la

leggenda secondo cui il costruttore della cattedrale di Colonia avesse davvero venduto l'anima al diavolo per riuscire a realizzare il suo progetto. L'opera edile durerà 660 anni, dal 1248 al 1880, animata dal desiderio non solo di restituire alla città un duomo (la Vecchia Cattedrale era bruciata nel 1248), ma anche di ospitare degnamente le reliquie dei Re Magi portate da Milano dal Barbarossa. La vicenda si svolge dal 10 al 14 settembre 1260. La costruzione della cattedrale è ancora agli inizi e fa molto discutere. Jacop la Volpe, un astuto furfantello, assiste all'assassinio del mastro costruttore Gherard Morart, precipitato dalle impalcature del duomo. Jacob è certo di aver visto un ombra, forse il Diavolo stesso, spingere Gherard giù dall'impalcatura. Tra altri omicidi, fughe e aiuti disperati Jakob trova in Richmodis, la figlia del tintore Goddert, e in Jaspar, uomo di chiesa ed erudito, le uniche persone disposte a credergli e ad aiutarlo sia nella ricerca del colpevole, che nel tentativo di sventare un ben più ardito complotto. In una breve nota introduttiva si dichiara come “qualsiasi somiglianza tra i personaggi del libro e coloro che vivono e amano nell'odierna Colonia è assolutamente casuale. Tutt'altro che casuali sono, invece, le somiglianze con i personaggi più o meno noti del XIII secolo. Oltre la metà di questi personaggi interpreta se stessa”. Alla stesura del romanzo è preceduto un attento e molto teutonico lavoro di ricerca e studio dell'epoca, della storia del duomo, delle abitudini e degli stili di vita, delle personalità del tempo, della topografia cittadina, del modo di esprimersi. Il lavoro sulla lingua è, forse, quello che meglio dimostra la maestria di Schätzing. Lo scrittore ha scelto il tedesco “che usiamo comunemente, inserendo però qualche parola antica ormai in disuso”. Un esempio? Per indicare la birra, l'attuale Bier è sostituito da Gruit, termine risalente al XIII secolo. Altra peculiarità del testo è la soffusa ironia che permea il testo e caratterizza alcuni personaggi. Jaspar, che se ne serve per esprimere idee poco in sintonia con lo Stato e la Chiesa, o Uhrquhart, dove l'ironia indossa le vesti di un marcato cinismo. Un'ultima curiosità. Colonia è parte integrante del testo, quasi uno dei personaggi. Strade, luoghi, quartieri sono citati e descritti con cura, tanto che a turisti e fan di Schätzing si offre un giro della città che percorre i luoghi del romanzo. * Unter den Linden (Sotto il Tiglio) è uno dei più bei viali di Berlino, che prende il proprio nome dall'incipit di un canto d'amore di Walter von der Vogelweide, poeta medievale (1170 ca. – 1230 ca.).

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L’IMPRONTA RUBRICA NOIR DI RICCARDO SEDINI ASSOCIAZIONE CULTURALE “GIALLOMANIA”

www.giallomania.it Un saluto a tutti i lettori di questa preziosa News letter. Io ormai molti di voi mi conoscono sono Riccardo Sedini , presidente dell'associazione culturale Giallomania. Ho voluto chiamare questa rubrica L'Impronta, proprio con l'idea di lasciare ai lettori un impronta indelebile sulla lettura del giallo. Questa è una rubrica un po’ particolare perché vi condurrà per mano nei meandri di tutto ciò che concerne la cultura noir e i suoi dintorni. Alterneremo recensioni con veri e propri articoli sulla storia del giallo e della sua nascita. Per chi non conoscesse ancora l'associazione culturale

La copertina del poliziesco di Andrea Napoli, edito nella collana “Giallo&Nero” della casa editrice Chinaski

Giallomania può connettersi al sito www.giallomania.it e li troverà recensioni e interviste dei più svariati scrittori noir. Lo scopo di questa rubrica e penso anche della libreria è di fare cultura a tutto tondo e di dare visibilità e spazio ad autori che magari non presenteremo in libreria,ma che meritano di essere presi assolutamente in considerazione, nonostante il loro circuito editoriale/distributivo non gli permetta di farsi conoscere al grande pubblico e di non essere un cosiddetto "prodotto da banco ". In questo numero vogliamo parlarvi Di Andrea Napoli e del suo libro " GangstagMilano. Chi sbaglia paga ". Il romanzo racconta la vita di strada dell'hinterland milanese e i suoi lati oscuri. Andrea Nespoli è uno spacciatore di cocaina. Pur provenendo da una famiglia borghese ed avendo una buona cultura,vive in maniera “borderline” nelle strade di Milano.

Gioca,spaccia e ha come amici persone pericolose. Di queste, una in particolare: Federico D'angelo. D'Angelo, il re dei ghetti, è un killer spietato che controlla tutto lo spaccio e la malavita di Milano. Lui e i suoi guerrieri comandano in maniera silenziosa l'intera città. Ad Andrea questo non interessa, per lui Federico è un amico leale e sincero. Nespoli capisce che è incastrato tra due mondi in cui non riesce a trovare la sua giusta dimensione e nonostante sia innamorato di Elena, continua la sua vita senza farsi troppi problemi. Ma una notte....accade l'inevitabile. E certe scelte portano necessariamente a conseguenze inaspettate. E' un calcio nelle palle questo noir metropolitano di Andrea Napoli,la realtà di una certa Milano gettata lì come uno schiaffo. Eppure se non ci fosse Andrea Napoli si dovrebbe inventarlo. Lui con la sua carica emotiva e il suo scrivere di pancia,con la sua rabbia mai sopita nei confronti di certi canoni sociali e regole,che trasuda ad ogni riga. In questo libro c'è tutto l'autore il suo bene e il suo male . la sua scrittura è ruvida e graffiante,per soffermarsi in brevi attimi di lirismo,dove i sentimenti predominano su tutto. E' giovane, Andrea, ma si capisce che ha già vissuto tanto, che spesso la strada è stata il suo credo e la sua unica vera padrona che lo attrae e lo respinge. Sono scottanti i temi toccati da Napoli,ma lui riesce come un esperto suonatore a far vibrare magistralmente le corde di una Milano che molti Milanesi si ostinano a non vedere . Magistrale la caratterizzazione dei personaggi e il plot narrativo creato per flash back che ti attira in un vortice di violenza e vita reale che non ti permette di staccarti dalla lettura. “Gangstag Milano. Chi sbaglia paga” è pubblicato da Chinaski Edizioni.

Lo scrittore Andrea Napoli Libreria Le mille e una pagina, C.so Garibaldi 7 27036 Mortara (PV) | 0384.298493 | www.lemilleeunapagina.com


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CULTURA E’... ANCHE UNA BUONA TAVOLA! RUBRICA DI CUCINA E DINTORNI A CURA DI ALBERTA MAFFI L’estate è la stagione in cui bambini e ragazzi sono in vacanza. Tanto tempo libero, quindi, per staccare un po’ da scuola, compiti e studio. Spesso, però, non è facile trovare un modo per passare i giorni di meritato riposo senza annoiarsi. Perché, allora, non approfittarne per cucinare insieme ai nostri ragazzi? Sì, avete capito bene, cucinare. Le mamme potrebbero obiettare che loro già lo fanno tutto l’anno. Certo, è vero, non sembrerebbe un’attività “da vacanza”. Io, però, voglio proporvi un modo tutto diverso di “mettersi ai fornelli”: cucinare con i vostri figli, preparando delle ricette apposta per loro, facili, gustose e piene di fantasia. Allora, anche cucinare può rivelarsi un gioco divertente per i più piccoli e anche per gli adulti. Sarà un modo creativo per passare un po’ di tempo insieme. Ecco allora un paio di libri pensati proprio per trasformare i nostri bambini e ragazzi in fantastici chef !

Dalle tartine agli stuzzichini per una merenda con gli amici, dalle insalate sfiziose alle bibite e ai dolci. Eccovi un esempio di ricetta, un “peccato di gola” facile da preparare! MATTONE DI NUTELLA INGREDIENTI:

1 scatola di biscotti secchi 1 vaso da 250 gr di Nutella 1 confezione piccola di bevanda al cioccolato oppure 1 tazza di latte con 2 cucchiaini di cioccolato solubile gelato alla crema

CUCINARE SENZA FORNELLI, DIVERTENTE E... PIU’ SICURO

La casa editrice MOTTA junior è sempre molto attenta all’aspetto anche istruttivo dei suoi libri per i più piccoli. “40 ricette senza fornelli” fa parte della collana “Tutti a tavola!” e propone una serie di r i c e t t e m o l t o fantasiose che ogni bambino p u ò realizzare, s e n z a utilizzare i fornelli, quindi in t u t t a tranquillità e sicurezza.

Versate la bevanda al cioccolato in una tazza, immergetevi i biscotti a uno a uno e poi sistemateli nel piatto di portata in questo modo: 6 biscotti uno accanto all’altro, in due file da tre. Spalmate la Nutella sui biscotti. Coprite con un altro strato di biscotti, poi con uno strato di Nutella, e così via. Al momento di gustare il dolce, sistemate su ogni mattonella una pallina di gelato.

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LETTERARIA! LA MODA ANCHE IN CUCINA

Questo libro piacerà moltissimo alle bambine. In questi ultimi tempi, è molto “di moda” un tipo di dolce che abbiamo importato, come tante altre cose, dall’America. Parliamo dei cupcakes, dei dolci piccoli e morbidi, ognuno dei quali è per una sola persona, che possono essere al naturale o, più frequentemente, vengono decorati con creme, glasse, f r u t t a , cioccolato, insomma tutto quello che la fantasia ci suggerisce. Sono ideali per accompagnare il tè del pomeriggio, per la colazione o la merenda. La casa e d i t r i c e EdiBimbi propone un coloratissimo libro per i piccoli cuochi che vogliono cimentarsi, SEMPRE aiutati dai grandi, nella preparazione di questi deliziosi dolci. “Dolcetti perfetti! Cupcakes decoratissimi per tutte le occasioni” è una vera festa per gli occhi e fa venire l’acquolina in gola solo a vedere i tantissimi cupcakes che si possono preparare. Vi propongo la ricetta del cupcake più romantico di tutti. Buona merenda!

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PER LA GLASSA 200 gr di zucchero a velo 4 cucchiai di succo di limone colorante alimentare azzurro Riscaldate il forno a 180°C e inserite 24 stampini singoli per muffin o cupcakes. In una terrina, mescolate la farina, il lievito e il sale. A parte, lavorate il burro con lo zucchero fino a ottenere una crema e poi aggiungete le uova, l’essenza di vaniglia e la scorza d’arancia, sempre mescolando con cura. Unite i due composti e amalgamate il tutto fino a ottenere un unico composto liscio e omogeneo. Versate il composto nei 24 stampini in parti uguali e cuocete in forno per 20 minuti, finché i capcakes saranno ben lievitati e dorati. Lasciate intiepidire negli stampi per 5 minuti, poi trasferite i capcakes su una gratella per dolci e lasciate raffreddare completamente. Per fare la glassa, versate lo zucchero a velo setacciato in una terrina e aggiungete il succo di limone e qualche goccia di colorante alimentare azzurro. Mescolate fino a ottenere una glassa densa e senza grumi e poi spalmatela sui cupcakes. Aggiungete il vostro tocco personale decorando con fiori di stagione!

CUPCAKES DELLE FATE INGREDIENTI PER 24 CUPCAKES

150 gr di farina 2 cucchiaini di lievito 1/2 cucchiaino di sale 100 gr di burro ammorbidito 75 gr di zucchero 3 uova 1 cucchiaino di essenza di vaniglia 1 cucchiaino di scorza d’arancia grattugiata

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Prossimamente in libreria: Per luglio e agosto, la libreria si riposa! Niente presentazioni. Si riprenderà a settembre: sabato 15 settembre avremo in libreria Edoardo Albinati, che presenterà il suo ultimo romanzo, pubblicato da Mondadori: “Vita e morte di un ingegnere”.

Indovina l’autore:

Chi vuole partecipare, può inviare una mail oppure passare in libreria e lasciare la risposta. Il primo lettore che ci invierà o porterà la risposta giusta vincerà un buono da spendere nella nostra libreria.

Soluzione del numero precedente:

L’incipit dello scorso numero è tratto dal racconto “Louise”, inserito nella raccolta “Storie ciniche” di W. Somerset Maugham (Adelphi)

DA: L IB R E R IA L E M IL L E E U N A PA G IN A C .s o G ar ib al di 7 2 7 0 3 6 M or ta ra (P V ) 0 3 8 4 .2 9 8 493 in fo @ le m il le eu na pa gi na .c om

LETTERARIA Luglio - Agosto 2012

A CURA DI:

Laura Fedigatti Alberta Maffi Francesca Protti Riccardo Sedini Antonio Segrini

Anno 2 - Numero 10


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