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LIMITED EDITION - WEB PROJECT

WELCOME

GHERARDO FELLONI MARCELO BURLON EDGARDO OSORIO TORY BURCH ANDREA ROSSO EDGARDO OSORIO


Interiors

CHEZ GHERARDO FELLONI Il direttore creativo di Roger Vivier apre le porte della sua casa di Parigi. Un trionfo eclettico di accostamenti inaspettati. Tra modernariato, preziosi pezzi d’arte e oggetti kitsch, souvenir personali e ricordi di moda

Testo Giovanna Pisacane Foto Romain Ricard



in apertura

L’ingresso della casa. Al centro, il tavolo di cemento, resina e cera di Nicola Martini. I vasi sono dell’artista contemporaneo William Martin. Lo chandelier è di Seguso Murano, un pezzo storico degli anni Sessanta.

Gherardo Felloni, dallo scorso anno direttore creativo di Roger Vivier, ritratto nella sua casa di Parigi.

In senso orario. Il salottino con le poltrone di Gae Aulenti per Palazzo Grassi e il tavolino di Duccio Maria Gambi, commissionatogli dallo stesso Gherardo; sul muro al centro “Artwork by Victor Vasarelyâ€? del 1975, tra le due lampade anni ‘60 provenienti dalla sala d’attesa della stazione centrale di Milano. La sala da pranzo con al centro un tavolo degli anni ‘40; sullo sfondo, “Two naked womenâ€?, il dipinto di 1LFRODV 3DUW\ /D WHVWD GL PDUPR UDIoJXUDQWH $SROOR ,QoQH OD FDELQD DUPDGLR FRQ LO GLSLQWR “Back with a faceâ€? di Nicolas Party (dalla Galleria Kaufmann Repetto di Milano), al centro il tavolino anni ‘60 di Fornasetti e un vaso Belle Époque napoletano.

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l suo primo atto, una volta insediatosi nell’headquarter di Roger Vivier, a Parigi, è stato rifare l’ufficio. ÂŤPerchĂŠ volevo essere circondato da ciò che piĂš mi piace; brutti, belli, poveri, lussuosi che siano, per me è fondamentale avere attorno oggetti che mi rappresentinoÂť, racconta Gherardo Felloni, che tra le sue passioni annovera la lirica, la recitazione e i film d’epoca. Un amore dichiarato anche attraverso le campagne pensate per la Maison di cui oggi è direttore creativo. La S/S 2019 con Catherine Deneuve, un omaggio all’attrice che con “Belle de Jourâ€? di Luis BuĂąuel non solo conquistò milioni di shoe-addicted ma fece entrare il marchio nell’immaginario collettivo borghese. E la piĂš recente con Susan Sarandon, nelle vesti di un’insegnante di recitazione, in un remake ispirato al film “Io la conoscevo beneâ€? di Antonio Pietrangeli. La sua casa, nel

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cuore di Parigi, è un vero e proprio invito al viaggio, tra cimeli acquistati nei mercati vintage, opere d’arte e mobili restaurati, ciascuno con una storia, come un tavolo che apparteneva a un maestro di scuola. Un interior designer mancato? ÂŤSono un compratore occasionale, a eccezione dei gioielli che spesso trovo a Milano, da Pennisi. Amo indossare collane preziose dal gusto antico abbinate a jeans e sneakers. Poi frequento il mercato delle pulci a Parigi e, da qualche anno, partecipo a delle aste, in particolare in ItaliaÂť. Tra i mobili a cui è piĂš affezionato: ÂŤLa consolle in formica verde con specchiera rotonda, recuperata dall’Hotel Parco dei Principi e disegnata da Giò PontiÂť. E il tavolino in cucina. ÂŤĂˆ degli anni ’40. Apparteneva a un maestro di scuola che aveva sei figli. Per dar loro lezione, aveva creato un buco al centro per lui e sei cassettini per loroÂť. Un mix and match di

antico e moderno, tra opere d’arte, ricordi e scarpe. Ovunque. Come trofei. Sandali, Mary-Jane, pumps, tra i volumi di design e moda e fotografie d’epoca, come il ritratto di Monica Vitti sul caminetto della sala, lÏ, nel mezzo, tra un paio di Christian Dior vintage verdi, un prototipo mai prodotto sotto la guida di John Galliano; il tacco lo avevo fatto con le mie mani, puntualizza il designer. O ancora, le dÊcolletÊ nere di Roger Vivier per Christian Dior: La prima scarpa di Vivier degli anni Sessanta che ho acquistato a un’asta e gli stivali con le margherite applicate del designer Fabrizio Viti, la prima persona con cui ho lavorato. Questi stivali me li ha regalati lui e risalgono alla collezione con cui ha debuttato con il suo marchio, racconta. Sul muro un paio di Miu Miu furry, un ricordo del suo passato alla corte di Miuccia Prada, dove nel 2014 si occupava di pelletteria e



bijoux: «ogni persona che le vede le associa a un Muppet», ride. «In casa mia tutto è basato sull’accostamento degli opposti: ho una testa di marmo raffigurante Apollo di scuola romana dell’Ottocento, che potrebbe rappresentare il mio io adulto, ma è

poggiata su una base di cemento rosa baby di Duccio Maria Gambi, che la rende a suo modo “infantile”», aggiunge. In sala troneggia “Two naked women”, il dipinto di Nicolas Party, uno tra i suoi artisti preferiti. «Mi ispiro a tante cose; se dovessi indivi-

duare un “mentore” sceglierei Nina Yashar (la fondatrice iraniana della galleria Nilufar di Milano, nda). Osservandola ho imparato molto su come accostare gli oggetti». Ed è impossibile trovare oggetti usa e getta, senz’anima, «non amo buttare le cose,


Il salotto di casa; sullo sfondo una copia in gesso dello schiavo morente di Michelangelo.


Dall’alto. Mary-Jane verdi di Christian Dior, prototipo mai prodotto creato dallo stesso Felloni sotto la guida di John Galliano; le dÊcolletÊ nere di Roger Vivier per Christian Dior e lo stivale con le margherite di Fabrizio Viti. Sotto. Le Miu Miu furry sul muro, le scarpette rosa con piume Roger Vivier, le Maharaja Sling Back Pump della S/S 19 e le Mary-Jane argentate di Miu Miu.

Al centro un tavolino da cocktail dell’interior designer Piero Fornasetti, anni ‘60; a destra, GDYDQWL DOOD oQHVWUD OD VFXOWXUD k'LDQDy VWDWXD realizzata in Francia nel XIX secolo.

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compro a lungo termine, e troverete sempre dei tappetiÂť. In casa pare comandare Mina, la gatta di Gherardo Felloni. ÂŤLei è padrona quanto me, ha accesso ovunque... ma credo che il suo spazio preferito rimanga il mio lettoÂť. Felloni non ama lavorare da casa: ÂŤHo uno studio che non uso quasi mai. E poi lĂŹ dentro sembra sempre che sia esplosa una bombaÂť. Dalla finestra si scorge l’amato giardino. ÂŤĂˆ lĂŹ che mi rilassoÂť. Ma è la sala da pranzo, dove c’è un grande tavolo, il luogo dove passa la maggior parte del suo tempo, anche solo per guardare un film. E in cucina: ÂŤDa italiano che vive in Francia sento la necessitĂ di cucinare a casa. Solo cose semplici, non ho molto tempo. La cucina francese è elaborata, talvolta un po’ troppo per le abitudini di noi italianiÂť. Victor Hugo scriveva “dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilinoâ€?. ÂŤLa mia casa? La definirei eclettica, a modo mio: mi rappresenta quasi in tutto, ho curato e trovato tutto quello che c’è dentroÂť.



Interiors

Testo Silvia Frau Foto Bratislav Tasic

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Su una collina di El Hoyo, antico ritrovo di streghe buone, Marcelo Burlon ha edificato la sua casa-factory: 600 metri quadrati che sono: ÂŤUna sorta di contenitore animato da tanti spazi di condivisione, per ospitare amici e creativiÂť

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Interiors

in apertura

Una overview della zona living, con i grandi divani bianchi e le coperte in cashmere black, decorate con il simbolo del marchio County of Milan, fondato da Marcelo Burlon.

Una veduta dalla camera da letto, decorata con una parete di legno “lenga”, tipico dei monti delle Ande.

In basso, il grande soggiorno e la zona cucina, con vetrate aperte sulla natura incontaminata della collina di El Hoyo.

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ltre 14 mila chilometri, un minimo di tre scali aerei e almeno 24 ore di viaggio. Le ultime due da percorrere in macchina, da Bariloche fino alla Provincia di Chubut, nella Patagonia andina, tra una natura fatta di laghi, fiumi cristallini, montagne e roccia viva. Quando si arriva a El Hoyo, sembra di essere ai confini del mondo. Ma è solo un viaggio di ritorno per Marcelo Burlon, che l’ha lasciata da bambino per l’Italia, dove nel 2012 ha fondato County of Milan - dopo aver lavorato nella vita notturna, organizzando feste memorabili ai Magazzini Generali e legandosi strettamente al mondo della moda. Un brand che riprende nelle stampe i temi e la simbologia di questa terra. «Per me è un posto speciale. I miei nonni materni erano libanesi, si erano trasferiti a El Bolsón (a una decina di chilometri in linea d’aria) negli anni Trenta. Il nonno era un commerciante, percorreva distanze enormi a cavallo di fattoria in fattoria, vendendo alimenti e oggetti di uso quotidiano. Qui è nata mia mamma e ha conosciuto mio padre, italiano». Un luogo che, in quegli anni, accoglieva una grande comunità hippie. «E ora accoglierà la mia tribù», racconta, «fatta di amici, musicisti, dj, pittori, artisti». Lo spazio non manca. Edificata su un terreno di 22 ettari, la sua nuova casa è di 600 metri quadrati. Il corpo centrale è costruito sulla roccia: «In un luogo

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molto energetico, si dice fosse un punto di ritrovo di brujas blancas, le streghe buone». Da qui le vetrate si aprono completamente verso la vallata e sulle altezze delle Ande, in un dialogo ininterrotto tra interno e esterno, rafforzato dall’uso di materiali locali, come il legno “lenga”, «che si trova ad alta quota, nelle Ande, ed è molto difficile da recuperare» e il ferro. «Volevo una struttura semplice, una sorta di contenitore in cui ci fossero spazi di condivisione: un grande salotto con divani, una stanza con la televisione e la consolle: ho tanti amici dj, io stesso lo sono e si improvvisano sempre feste. E una cucina gigante, dove sperimentare tutti insieme, anche se l’ultima volta c’era Marco Miglioli, chef stellato Michelin, ai fornelli. Il tavolo è di 12 metri, era il pavimento di un container che è stato lucidato e ora accoglie 35 persone». Sempre riadattando dei container, continua, «abbiamo realizzato anche le case per gli amici, sono molto semplici», ma hanno un’estetica integrata nel paesaggio, grazie agli stessi materiali: legno, ferro e vetro. «Perché nella casa centrale c’è una sola camera da letto», ride. «Tutti amici ma “a una certa”, ognuno a casa sua». Il progetto iniziale di Alejandro Sticotti, architetto tra i più noti a Buenos Aires, è stato riadattato in corso d’opera, «con l’aiuto del mio amico di infanzia Diego Breide, è stato lui il deus ex machina dell’operazione. Insieme

ai ragazzi del paese. E non è stato semplice: per portare il materiale in queste zone abbiamo usato le gru e i camion, c’erano cinque tonnellate solo di cavi… ». Per gli interni ha scelto nuances naturali, declinazioni di bianco, panna, grigio, i tappeti sono disegnati da lui, in una collaborazione con Illulian, che li produce in Persia, in lana e seta; «e ogni stanza ha una stufa a legna, come usa in queste zone». La piscina esterna è riscaldata e riprende il colore dei laghi della Patagonia, un verde scuro, reso da un granito che si trova ancora a Sud, sull’oceano Atlantico, «nella zona dove passano le balene». Vicino alla casa Marcelo sta creando una galleria di arte contemporanea en plain air, con soli artisti argentini. «Ho un totem che dominerà la vallata di Luna Paiva, che ad Art Basel ha presentato lavori davvero interessanti, e un’opera in granito nero di Juan Pablo Marturano, uno scultore incredibile, che prima scala e poi scolpisce la montagna». Nella casa c’è anche una palestra «perché “bisogna allenarsi”», ma l’intenzione è anche di fare trekking. E shopping. «Supporto gli artigiani locali, in casa ho una collezione di mate intarsiati (un recipiente per bere l’omonima bibita, tipica argentina, nda). Quando arrivo con i miei amici, poi, facciamo incetta dei loro lavori». Per un senso di comunità, che è parte del suo dna ed è capace di azzerare le distanze.

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Testo Fabia Di Drusco Foto Francisco Almeida

La dimora eclettica di Edgardo Osorio a Firenze è piena di colore, textures preziose, oggetti accumulati nel tempo. Dai coralli antichi siciliani che lo affascinavano fin da bambino, ai preziosi pezzi d'antiquariato


WÜNDERKAMMER


Overview

in apertura

Il salone dove Edgardo Osorio riceve gli amici. Caratterizzato dai grandi divani rosa, un antico altare portoghese e due obelischi simmetrici.

Preziose carte da parati di De Gournay creano un'atmosfera da giardino d'inverno all'interno della casa.

In alto. L'ambiente che Osorio definisce il più "neutro" della casa, dove ha aggiunto «solo colonne e coralli». In basso. La collezione di conchiglie e coralli siciliani antichi spicca sulla carta da parati a fondo nero.

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uando Edgardo Osorio, il designer di Aquazzura, è antrato per la prima volta nellʼappartamento di Palazzo Corsini che sarebbe diventato la sua casa fiorentina, «era tutto bianco, dalle mura ai mobili». Lui lʼha riempito di bagliori metallici, di tessuti preziosi, di unʼinfinità di oggetti e soprattutto di colore, dal rosa brillante dei divani al rosso lacca di alcune pareti. «Chiaramente io sono un massimalista, ma apprezzo anche il minimalismo, optare per unʼestetica o lʼaltra dipende dal contesto. E qui il contesto era un palazzo, per cui mi sono ispirato a quelli italiani e francesi visti sui libri. Ho mantenuto le porte antiche, il camino del ʼ700, gli stucchi originali. E nel tempo ho riempito la casa di tutti gli oggetti che mi appassionano, scovati dagli antiquari, alle aste, nei mercatini delle pulci di tutto il mondo. Mixando pezzi con un passato e

arte contemporanea. Perchè è il mix che mi affascina. Il vecchio da solo è polveroso, il moderno da solo può risultare asettico. Ci sono tanti libri, unʼinfinità di riviste, tante foto della mia famiglia, i coralli antichi siciliani e le conchiglie su cui ho sempre fantasticato e che ho collezionato fin da bambino. Sono sempre stato affascinato dallʼidea della wünderkammer... Ho usato tantissima carta da parati, che amo molto. Quando De Gournay ha visto fotografato su una rivista lʼuso che avevo fatto delle loro carte da parati, per creare una stanza che fosse come un giardino dʼinverno allʼinterno della casa, mi hanno chiesto di creare una collezione speciale per loro». Una chinoiserie tropicale, una foresta amazzonica uscita da un libro di botanica dellʼ800, popolata di tucani, pappagalli, farfalle su un fondo di un rosa luminoso da boudoir rococò. Motivo che si è tra-

dotto anche in una superba capsule collection di cinque modelli di scarpe adatte a madame de Pompadour come alle it-girls contemporanee. «Sono state le due arredatrici portoghesi che mi hanno aiutato a immaginare la casa a propormi i grandi divani di velluto rosa del salotto. E mi sono scoperto un amore incredibile per questo colore, che ha cominciato a spuntare ovunque, in qualsiasi cosa mi sia trovato a fare. Lo trovo straordinariamente rilassante, mi fa stare bene, come lʼaltro mio colore preferito, lʼacqua». Per il designer la prima funzione di una casa è proprio quella «di farci sentire felici, di trasmettere una sensazione di relax, oltre che di raccontare un gusto, unʼestetica, la propria storia». Per questo ha voluto un salone molto grande, ottenuto abbattendo la parete che divideva i due precedenti saloni, «in quello che cento, forse duecento anni fa era un terrazzo



che è poi stato chiuso, uno spazio super confortevole, da riempire di amici, dove ci si possa sedere tranquillamente sui divani o per terra». Ma ha voluto anche una stanza che segnasse il passaggio tra la parte conviviale, pubblica, della casa e quella privata, «una stanza dalle pareti

rosse, perchè adoro lʼidea della lacca cinese». La stanza da letto è la più vuota, con un grande letto bianco «perchè mi piace che il letto trasmetta la sensazione del pulito, un comodino Impero, una pila di vecchie valigie per terra e un grande occhio di Dalì in bronzo realizzato (e rivi-

sto) da un fantastico artigiano libanese». Altri pezzi notevoli: un altare portoghese in legno dorato in salotto, affiancato da due obelischi identici in marmo comprati a unʼasta a Torino – «Sono un amante della simmetria» –, e un vaso di metallo dorato di Hervé Van Der Straeten.


Il vecchio tavolo d'alabastro è appoggiato su una base di metallo realizzata sul modello di un tavolo anni '70. Il vaso è di HervÊ Van der Straeten.


Testo Giampietro Baudo Foto Noa Griffel

Ăˆ tra le piĂš ricche self-made women d’America. Con ambizione e determinazione ha costruito un impero valutato 1,5 miliardi di dollari Pensando alle donne, e vestendole secondo il suo Tory Burch lifestyle


TORY'S WORLD


Overview

in apertura

Una veduta del foyer della casa newyorkese di Tory Burch.

La stilista Tory Burch ritratta nel suo appartamento nella Big Apple.

Dall'alto. Una veduta d'insieme della living room e uno scorcio dell'ingresso decorato con una speciale chaise longue patchwork.

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redere in se stesse. Avere un pizzico di ambizione, nel senso più puro del termine. Ed essere determinate». La ricetta di vita di Tory Burch è facile e lei è la prova vivente che funziona. Tra le più ricche self-made woman americane, secondo da rivista Forbes, oggi guida una Maison che è un vero impero, con un valore stimato di circa 1,5 miliardi di dollari. Cementato in 15 anni di collezioni, progetti e iniziative anche sociali. Compresa da Tory Burch Foundation creata per supportare lʼimprenditoria femminile a diversi livelli. «Bisogna credere in se stesse... Penso che le donne abbiano spesso un vero problema di fiducia. E vale anche per me. La Fondazione serve anche a quello: aiutare la conversazione e stimolare la collaborazione abbracciando le proprie ambizioni». LʹOfficiel Italia: Come è nata la tua passione per la moda? Tory Burch: Sono sempre stata un maschiaccio… Durante la mia infanzia ho

trascorso le giornate facendo sport con i miei fratelli nella nostra fattoria. Il mio interesse per la moda è nato dopo il primo lavoro post college: ero lʼassistente dello stilista jugoslavo Zoran. È stato un ingresso incredibile nel fashion system. LOI: Qual è il primo ricordo di moda? TB: Lʼabito di Yves Saint Laurent che mia madre mi ha comprato per il ballo di fine anno. Era la prima volta che indossavo un vestito. LOI: Come definiresti la tua estetica? TB: Ho sempre avuto il mio modo, molto personale, di vestire. Al liceo aggiungevo patch e gagliardetti allʼuniforme scolastica. E i miei amici del college chiamavano amorevolmente il mio stile personale con lʼacronimo di “prockˮ, un poʼ preppy e un poʼ rock. Mi è sempre molto piaciuto il concetto di reinvenzione. LOI: Chi è il tuo maestro creativo? TB: Mi sono sempre lasciata ispirare da donne forti, determinate e con grande fiducia in se stesse. Donne che hanno ab-

bracciato le loro ambizioni... LOI: Quali sono gli elementi essenziali della donna Tory Burch? TB: Un trench classico, un bel paio di mocassini e una borsa strutturata, come la nostra bag battezzata Lee Radziwill: la indosso quasi ogni giorno. LOI: Quando crei le tue collezioni hai in mente una musa ispiratrice? TB: Non si tratta di una donna ma di tanti tipi di donne provenienti da tutto il mondo, da Tokyo a Bombay e Parigi. LOI: Cosa significa per te la parola lifestyle, così importante per raccontare il tuo mondo? TB: È il modo in cui vivi la tua vita. Le donne moderne hanno una vita frenetica tra carriera, famiglia, responsabilità sociale, lavoro... Hanno bisogno di pezzi che parlino di quella complessità. Penso spesso a me stessa quando penso a un lifestyle. Il mio è sicuramente poliedrico. Essere una mamma è la parte più importante. Oltre alla famiglia, il mio stile di vita riguarda



tutto ciò che mi ispira: arte, viaggi, divertimento, musica, cultura. LOI: Come descriveresti la tua casa di New York? Riflette la tua vita? TB: Sicuramente, la mia casa è una raccolta dei miei viaggi e delle mie esperienze. Adoro essere circondata da foto di famiglia e oggetti trovati nei mercati delle pulci

di tutto il mondo. Dipende dal mix e da come le singole cose coabitano tra di loro. LOI: Quanto della tua moda veste la tua casa? TB: La mia casa rispecchia sicuramente i miei gusti, così come la nostra collezione Home. Tutto è ispirato dai miei genitori e dalle cose che ho visto e che mi hanno ac-

compagnato e circondato mentre crescevo. Mi piace mischiare pezzi della nuova collezione con elementi vintage, che ho raccolto nei negozi bric-à-brac o nei bazaar allʼestero. LOI: Il percorso creativo legato a una casa o una collezione è lo stesso? TB: Progettare una casa e progettare una


collezione sono percorsi molto simili. Per entrambi scelgo un approccio eclettico, mescolando vecchio e nuovo, aggiungendo elementi inaspettati e speciali. Unici. LOI: se dovessi scegliere, chi consideri il tuo maestro di stile e di vita? TB: I miei genitori. Erano entrambi molto curiosi intellettualmente, mi hanno inse-

gnato che viaggiare ti rende uno studente curioso per tutta la vita. LOI: Quanto la tua famiglia è stata importante nella tua carriera e nel tuo attuale percorso creativo? TB: È stata fondamentale per aiutarmi a costruire la mia Maison. È stato lʼincoraggiamento dei miei genitori a darmi la si-

curezza di avviare il progetto Tory Burch. E oggi molti dei miei familiari lavorano con me. LOI: Chi è la persona che ha creduto nel tuo percorso di stile dall'inizio? TB: Se devo scegliere, mia mamma ha sempre creduto in me. Crescendo, mi ha sempre incoraggiato a raggiungere i miei


nelle pagine precedenti

Una veduta d'insieme della living room, con pareti tinteggiate di verde acido e un'opera di Lucio Fontana appesa sopra il camino.

Dall’alto. Due scorci della biblioteca della casa, dove dominano il colore rosso e le tonalità calde del legno d'acero.

La sala da pranzo; sul tavolo alcuni pezzi della collezione home.

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obiettivi. Mi ha insegnato che non cʼerano limiti su ciò che le donne possono fare. LOI: Hai combinato la carriera nella moda con un impegno sociale... perché? TB: Il modo in cui sono stata cresciuta è molto semplice: restituire è un valore che i miei genitori mi hanno instillato. È la ragione per cui ho fondato la griffe e ho creato la Tory Burch Foundation dedicata allʼempowerment femminile. LOI: Con la tua Fondazione stai lavorando a importanti progetti. Quali saranno i prossimi passi? TB: Il prossimo è il nostro vertice del 5 marzo. Stiamo riunendo leader, attivisti e artisti per sfidare i pregiudizi e creare nuove norme a difesa e a sostegno delle donne. LOI: Quali sono i tuoi piani futuri? TB: Sento che siamo solo all'inizio. Con lʼarrivo di Pierre Yves (Roussel, ndr) come nuovo Ceo, sono entusiasta di poter lavorare per portare il marchio Tory Burch al livello successivo. LOI: Cosa immagini per il tuo brand e per la tua Fondazione tra dieci anni? TB: In dieci anni, spero che la nostra Fondazione si sia espansa a livello internazionale e sia in grado di promuovere empowerment e imprenditoria femminile a livello globale.



Testo Simone Vertua Foto Julian Hargreaves

Con Diesel Wynwood il marchio creato da Renzo Rosso battezza il suo primo building residenziale. Composto da 143 appartamenti personalizzabili sulle esigenze di una clientela young e cosmopolita


THE DIESEL HOME


Overview

in apertura

Un veduta della zona living. Nebula sofa e tavolini, Diesel Living with Moroso; Starman e bowls, Diesel Living with Seletti; luci a sospensione e lampade, Diesel Living with Foscarini; libreria, Diesel Living with Scavolini; parquet color indigo, Diesel Living with Berti.

Un ritratto di Andrea Rosso all'interno di uno degli appartamenti del Diesel Wynwood.

Da sinistra in senso orario. Uno scorcio della cucina, Diesel Living with Scavolini; Duii Lamp, Diesel Living with Foscarini; mattonelle, Iris Ceramica. Una veduta della zona benessere arredata con mensole, Diesel Living with Scavolini; sedia Gimme Shelter, Diesel Living with Moroso; rivestimento Liquid Cosmo, Iris Ceramica. Un overview della zona bagno con Sistema Open Workshop per bathroom, Diesel Living with Scavolini; rivestimento Liquid Cosmo, Iris Ceramica. Un angolo del living con poltrona Longwave, Diesel Living with Moroso; lampade, Diesel Living with Foscarini; piccolo tavolo, Diesel Living with Moroso.

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enzo Rosso è stato uno dei primi a puntare su Miami, aprendo nel ’94 il Pelican Hotel a South Beach su una Ocean Drive ancora fatiscente. Il patron di Diesel aveva saputo cogliere i segnali: il nascere del mito della città dei beautiful people dove compravano casa Madonna e Gianni Versace; entrata nellʼimmaginario colletivo grazie agli scatti delle storie on the beach di Bruce Weber, tra super models e bellezze iconiche. A 25 anni di distanza e applicando la stessa filosofia, torna a investire sulle aree a elevato potenziale. La location per il primo building residenziale Diesel Living è il quartiere on the rise di Wynwood, celebre per i suoi murales e i suoi locali. Il progetto Diesel Wynwood prevede un edificio di sette piani firmato da Zyscovich Architects, con 143 appartamenti personalizzabili che sono stati messi sul mercato (la prevendita nella scorsa edizione di Art Basel | Miami Beach) al prezzo di una maglietta. Una maglietta molto partico-

lare però: perché ognuna delle 143 The Condo T-shirts è stata stampata con un dettaglio di uno degli appartamenti in vendita e il prezzo varia da 1 a 5,5 milioni di dollari, a seconda del valore dellʼappartamento. «Normalmente quando pensi a Miami ti vengono in mente le palme, la spiaggia e “Miami Viceˮ. Qui è un po’ diverso», spiega Andrea Rosso, primo dei sette figli del patron di Diesel e direttore creativo di Diesel Living. «Intorno al 2003 il distretto ha iniziato a trasformarsi ed è diventato via via sempre più cool. Per noi Wynwood è una sfida, siamo vicini al mare, la temperatura è perfetta, c’è tantissima luce e questo sarà il primo building realizzato da Diesel Living e rispecchierà la città nella sua totalità. Diesel Living esiste da dieci anni, ed è cresciuto pian piano chiamando a collaborare aziende leader nel settore, Scavolini, Seletti, Moroso... Adesso è arrivato il momento di dare al brand un respiro internazionale. Siamo interessati a tutti i mercati, Europa, America,

soprattutto l’Asia. Ci siamo presentati al salone del mobile a Shanghai e abbiamo ottenuto dei feedback molto positivi». Il legame con il brand di moda è strettissimo: «Condividiamo gli spazi con l’ufficio stile, per cui scambio di idee e contaminazioni sono all’ordine del giorno. Capita spesso di andare alla stampante e trovare una grafica per una T-shirt che si adatterebbe benissimo anche a un tessuto d’arredamento. Penso che in un’ambiente di condivisione aumentino gli imput a creare e inventare». Qual è la casa dei sogni di Andrea Rosso? «Vorrei abitare nella dimora di Harrison Ford in “Blade Runner 2049” di Denis Villeneuve, anche se mi mancherebbe la natura. Mi piace molto l’idea di una casa nella foresta. Vado pazzo per la casa sulla cascata di Franck Lloyd Wright, che unisce perfettamente natura e architettura. Recentemente sono stato a vedere una sua villa immersa nel panorama desertico a Phoenix e sono rimasto affascinato dal suo concept futuristico». Il condominio



sarà certificato WELL e includerà piscina, palestra, una sala per la meditazione, unʼampia lobby open-space con una zona dedicata a mostre dʼarte e un giardino/ giungla tropicale. «Per noi è fondamentale il benessere della persona, è importante l’aria che respira, la distribuzione dello

spazio, la luce che entra dentro casa. La natura è la protagonista assoluta e il building è suddiviso in due unità, East e West, sunrise e sunset. Il condominio è orientato in base al movimento del sole e negli appartamenti materiali e colori sono selezionati in base all’esposizione solare».

Quanto c’è in una casa Diesel del suo personale modo di abitare? «Sono interessato al colore e il caos non mi dà fastidio. Bisogna pensare fuori dagli schemi, se un poster viene posizionato sul pavimento, ha un suo perché. Non dev’essere sempre tutto perfetto».


La zona pranzo arredata con un grande tavolo e una libreria gigante, Diesel Living with Scavolini; sedie, Diesel Living with Moroso; lampade, Diesel Living with Foscarini; piatti dalla collezione Cosmic Diner Collection e vasi, Diesel Living with Seletti. Parquet, Diesel Living with Berti.


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