Lungarno n. 94 - aprile 2021

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MISSIVE SELVATICHE di Martina Vincenzoni

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a cassetta delle lettere non ha mai perso il suo fascino, nonostante la crescita di comunicazioni telematiche abbia causato la quasi esclusiva presenza di menù di pizzerie da asporto e volantini con vacue promesse immobiliari. Un’idea interessante per variare questo pattern è quella delle Missive Selvatiche: se siete fortunati, vi può capitare di ricevere in regalo del tutto casuale un pacchetto che contiene tre opere d’arte donate dai rispettivi autori. Fotografie, illustrazioni, poesie, collage…

Novità d’arte in città di Camilla Guidi

disegni di Alessia Quercioli

“5

Art Accounts to Follow on Instagram Now”. Si intitola così l’articolo apparso sul quotidiano statunitense The New York Times lo scorso febbraio nel quale il critico d’arte Jason Farago inserisce il Museo Stibbert proprio tra i 5 account d’arte da seguire immediatamente su Instagram. Farago, partendo da una riflessione sul cambio di prospettiva che la pandemia ha portato con sé in relazione alla funzione che Instagram può svolgere per le istituzioni museali, confessa che dopo un’iniziale avversione e diffidenza per il mezzo è ormai dell’idea che qualora il museo riesca a concepire i propri account social come estensioni dei propri programmi culturali e non solo come mezzi di promozione, allora essi possono avere un valore reale e compartecipare alla missione del museo stesso. Il primo caso che Farago riporta è proprio quello dello Stibbert (“il più eclettico e allettante museo di Firenze”) che, dalla splendida villa in collina in cui ha sede, mostra attraverso il proprio canale Instagram la vasta eredità del collezionista anglo-italiano Frederick Stibbert. Un successo, dunque, per il profilo social del museo che esibendo gli straordinari dettagli della

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propria collezione genera curiosità e aumenta il desiderio di tornare presto a frequentare quel luogo. Altro luogo in cui tornare presto è Palazzo Strozzi, che il 15 aprile inaugurerà la sua nuova mostra intitolata American Art 1961-2001, una grande rassegna curata da Vincenzo de Bellis e Arturo Galansino sull’arte americana tra due momenti storici decisivi, quali l’inizio della Guerra del Vietnam e l’attentato dell’11 settembre 2001. Saranno esposte per l’occasione più di 80 opere di 55 artisti americani (tra cui nomi celebri come Andy Warhol, Mark Rothko e Roy Lichtenstein) per scoprire attraverso i linguaggi diversi della pittura, fotografia, video, scultura e installazioni, la ricca e sfaccettata produzione artistica americana del secondo Novecento. Infine, giovedì 18 marzo sono cominciate le visite della nuova edizione di Museo è comunità – progetto di inclusione multiculturale pensato per i Musei del Bargello e curato dall’associazione culturale L’immaginario – che si svolgono una volta a settimana per 12 settimane consecutive. Questa terza edizione ha coinvolto un gruppo di 8 persone italiane e straniere e affronta le opere della collezione del Museo di Palazzo Davanzati, inseguendo il presupposto che il museo possa rendersi luogo di scambio e incontro non solo tra epoche diverse ma anche tra culture e provenienze.

L’idea è di Pamela Maddaleno e Alessia Castellano e risale alle scorse feste natalizie e dopo le edizioni curate insieme a Margherita Nuti del collettivo pratese, è in corso la realizzazione della terza edizione a cui si aggiunge un collettivo fiorentino coordinato da Michelle Davis e Giulia Iaquinta. “È un progetto di resistenza artistica – ci racconta Margherita Nuti - nato dall’esigenza di un gruppo di artisti di condividere il proprio lavoro in un momento di forte disagio”. Arte e pubblico sono infatti forzatamente separati da tempo e l’idea di raggiungere le persone nelle loro case vuole ridare dignità anche all’esperienza fisica dell’arte. Più di 50 artisti stanno spontaneamente raggiungendo, con le loro opere, le città di Prato, Pistoia, Firenze, Roma, Bologna e Torino, e l’elenco è in costante espansione. In un momento in cui la società agisce in base al principio per cui l’arte sarebbe un bene non essenziale, la prima dimensione da sacrificare, “noi vogliamo porre delle domande: cosa accade se un’opera si trova in un luogo dove non si suppone dovrebbe essere? Cosa accade se si riceve un regalo che non è stato richiesto? E cosa accade se un artista mette la propria opera nelle mani del caso, se non si sa più chi sono i fruitori e non si è più certi di ricevere un riscontro da questi ultimi? Sono domande alle quali non abbiamo risposta ma che riteniamo giusto farsi in un momento in cui si può finalmente rimettere tutto in discussione”. La reazione più comune è lo stupore rispetto alla gratuità del dono. Un modo gentile ma diretto per ricordare il ruolo degli artisti nella società e chiederci: a quanto ancora siamo disposti a rinunciare?


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