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l’Unità Laburista - Europa o barbarie - Numero 36 del 9 gennaio 2021

Europa

#NextGenerationNaples

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Antonio DINETTI

La sfida mondiale contro la pandemia è stata lanciata sui fronti della salute e dell’economia, in particolare sulle laceranti disuguaglianze sociali che si sono create o approfondite e sulla stessa capacità di resilienza delle comunità e dei singoli.

L’Unione Europea ha avviato azioni solo qualche mese fa impensabili, radicali. Il nostro Governo, con risultati alterni, cerca di ammortizzare le ondate di contagio, di preservare l’efficace funzionamento della struttura sanitaria e ospedaliera, di alleviare i repentini e brutali impatti sul tessuto produttivo e sul lavoro in generale;23

sperimentando un’inedita e spesso controproducente conflittualità con i governi regionali, figlia delle modifiche costituzionali, non sempre lucide, degli ultimi anni.

La distanza sociale, figlia illegittima della obbligatoria distanza fisica, è ora il paradigma da sfatare modificando, verrebbe da dire tramite un upgrade, la natura delle relazioni vitali del nostro quotidiano; le asimmetrie socioeconomiche e informative generatesi in quasi un anno di emergenza pandemica stanno creando sfiducia.

Il senso delle azioni intraprese dovrà trasformare in maniera significativa l’accesso ai diritti fondamentali del cittadino, le interazioni quotidiane e il nostro modo di rapportarci con l’ambiente e le dinamiche urbane: in una parola, la stessa vita collettiva e individuale. Se questo avverrà con una visione precisa e forte, che faccia da collante tra le parti sociali e possa indirizzare univocamente gli sforzi verso risultati concreti, sarà da verificare.

Uno dei temi fondamentali su cui Unione Europea e Governi stanno freneticamente lavorando è quello della Trasformazione digitale; non più necessità auspicabile o asset innovativo come ai tempi, (sembra una vita fa), delle prime politiche su smartworking, formazione a distanza, Industria 4.0 ed altro, ma obbligo indifferibile per la necessità di spingere, secondo paradigmi nuovi e veloci, un’economia nazionale in asfissia, l’apparato scolastico in allarmante ritardo generazionale e la trasformazione territoriale necessaria.

Il Nextgeneration UE deve calarsi capillarmente sui territori secondo un’ottica di investimento sul futuro e ciò riguarderà sia le metropoli che le aree interne, a partire da problematiche fortemente diverse ma ugualmente discriminanti. Appare evidente che tra amministrazioni regionali e comunali le condizioni ante Covid, potremmo definirle con una forzatura le condizioni di partenza allo scoppio

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dell’emergenza, siano state e siano tuttora del tutto disomogenee. Quando le grandi metropoli affrontano, per fare un esempio, il problema della mobilità per la scuola, anche in relazione alle scelte contrastate tra attività in presenza e didattica a distanza, le differenze strutturali emergono con crudezza. Al punto tale che gli stessi Presidenti di Regione assumono poi decisioni più restrittive rispetto al Governo nazionale, forti di una puntuale conoscenza delle criticità del proprio territorio e nello sconforto generale della cittadinanza.

La città di Napoli può essere considerata scenario paradigmatico di tutti i tipi di difficoltà e ostacoli da superare per le grandi aree metropolitane, una sfida esemplificativa, il campo di battaglia più aspro sul quale testare e applicare le azioni del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza desunto dal NextGenerationUE. Non è un luogo comune ma una realtà conclamata.

Al di là delle più legittime valutazioni politiche sugli ultimi anni di amministrazione, non possono che essere elencate tecnicamente, in un drammatico cahier de doléances, disfunzioni amministrative, deficit finanziario, carenze infrastrutturali di tutti i tipi, croniche debolezze del tessuto economico, un governo del territorio metropolitano nel migliore dei casi disatteso, nessuna visione o idea di città, forti resistenze al cambiamento.

In un tale contesto, nel quale solo il lavoro sull’ Open Innovation e le rivoluzionarie sinergie tra Università e mondo delle grandi aziende con le Academies di San Giovanni hanno aperto da tempo squarci di futuro, per partire con un’idea di Città resiliente e smart non vi è che l’imbarazzo della scelta sui problemi da risolvere.

La #nextgenerationNaples potrebbe quindi essere annoverata tra le più difficili e articolate sfide sugli indirizzi per una nuova Europa se solo si sciogliessero fonda-

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mentali nodi politici, la cui soluzione definitiva avverrà solo con la prossima tornata elettorale e, va sottolineato, non senza grandi incognite. Naturalmente intorno alla questione si alternano fitte le più diverse discussioni ed elencazioni di progetti da realizzare ma, a opinione di che scrive, senza che emerga con chiarezza quell’idea di Città cui si alludeva. Società civile, mondo delle imprese e politica non lesinano idee ma quel che manca è l’affermazione compiuta di un modello che, negli ultimi anni, è stato disatteso, se non apertamente rifiutato.

La sfida della modernità a Napoli implica grandi sacrifici da assumere da parte della politica e dei cittadini, la rinuncia a un modello di consenso che per anni ha prodotto provincialismo e isolamento, l’assunzione di precise responsabilità sull’opzione del cambiamento, in termini culturali, di efficienza operativa, di partecipazione collettiva. Va affermata la volontà di ricominciare daccapo su temi che per decenni hanno prodotto il nulla, come Bagnoli, non solo per malgoverno, scandali politici e indagini giudiziarie in atto, ma soprattutto riconoscendo che la strada imboccata tanto tempo fa forse era impercorribile. Non a caso, nelle prime dichiarazioni politiche sulle nuove ingenti risorse a disposizione, si è accennato al fatto che non dovranno essere impiegate per la realizzazione di progetti vecchi.

A cosa alludeva il ministro Amendola? Solo al tempo passato inutilmente su Bagnoli e Napoli est? Io credo che l’aggettivo vada letto in un’accezione estesa: vecchio sta per superato. Superato non solo dal tempo ma dalla modernità, dalla concretezza e realizzabilità, dalle nuove vocazioni delle capitali europee e dalle sfide esiziali che la pandemia ci impone. Il piano di Bagnoli è nato un quarto di secolo fa, in un’epoca in cui c’era ancora l’intervento straordinario nel Mezzogiorno e ancora non esistevano il Decreto Ronchi e le leggi sulle bonifiche, ancora erano sconosciuti i problemi e le possibilità reali di effettuare certe scelte senza che divenis-

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sero distopia.

Il treno del Recovery fund non può essere perso perché sarà l’ultimo utile per l’ambizioso obiettivo di un’Europa che vuole agire come un unico Stato, con orizzonti di sviluppo mutati e nuova governance dei processi di trasformazione.

Modernità per Napoli vuol dire aderenza a questi programmi, capacità di agire contemporaneamente su più livelli, passare finalmente dalla tradizionale e spesso inutile “contrattazione” delle risorse alla progettazione concreta di opere strategiche che non possono attendere, integrate tra loro e perfettamente rispondenti agli obiettivi europei: opere che, a quel punto, non avrebbero bisogno di contrattazione né di assegni europei in bianco, nascerebbero perfettamente inserite in questo gigantesco sforzo di cambiamento.

Un cambiamento che negli anni passati sentivamo utile, che oggi è ineludibile.

È forse ironia amara della sorte che un’emergenza epocale come questa avvenga nel momento di maggior debolezza della politica nazionale e cittadina ma è con questa materia che dobbiamo avere a che fare e il vero motivo per il quale potrà cadere un governo qualsivoglia non sarà dovuto alle scelte di una parte di maggioranza o opposizione ma al non riuscire a rispondere collettivamente e in termini soddisfacenti al Recovery Plan e ai cambiamenti che ci impone.

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