4 minute read

Impresa etica Dalle terre confiscate alla mafia il vino siciliano simbolo di rinascita

Impresa etica

Dalle terre confiscate alla mafia il vino siciliano simbolo di rinascita

Advertisement

Veronica D’ANGELO

“Centopassi” è il nome di un famoso film sulla vita e l’omicidio di Peppino Impastato, giornalista siciliano ucciso dalla mafia nel maggio del 1978. Erano esattamente il numero di passi che dividevano la casa della famiglia Impastato da quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti.

L’anno dopo l’uscita del film, nel 2001, un gruppo di giovani siciliani selezionati tramite un bando pubblico per il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità orga-

51

nizzata, fonda su impulso di “Libera”, l’associazione di Don Luigi Ciotti, la prima cooperativa di “Libera Terra”. Ad essa ne seguiranno altre, in Sicilia, che saranno chiamate complessivamente a gestire centinaia di ettari di terreno appartenuti ai boss del clan di Corleone, di cui 70 ettari di vigneto.

Qualche anno più tardi, nel 2007, dalla coltivazione di quei vigneti nascono i vini di Centopassi, “anima vitivinicola delle cooperative Libera Terra”, nome che evoca l’impegno a favore della legalità, il valore della memoria e la voglia di riscatto morale e sociale.

Siamo nell’Alto Belice corleonese, alle spalle di Palermo, una zona costituita da colline e montagne, calcaree e arenarie, che arrivano fino a mille metri sul livello del mare, particolarmente adatta alla produzione di vini di qualità grazie alle escursioni termiche, alla ventilazione e alla composizione del terreno.

Sin dall’inizio l’azienda vinicola, grazie al coordinamento del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, decide di puntare sull’unicità del territorio, privilegiando e impiantando i vitigni autoctoni siciliani, dai più conosciuti Grillo e Nero d’Avola a Catarratto e Perricone, e di coltivare in biologico, per rispettare quanto più possibile l’ambiente. Anche i nomi dei vini e le etichette riflettono questa scelta di valorizzazione della storia e dei terreni.

I primi vini prodotti in questi vigneti sono stati il “Placido Rizzotto IGT” bianco e rosso, due blend dedicati al sindacalista corleonese rapito e ucciso dalla mafia.

Gli ultimi, invece, due “Giato D.O.C. Sicilia” nati nel 2016, derivano il nome dall’antico quartiere che circondava il meraviglioso teatro greco sul Monte Jato, che domina dall’alto i vigneti Centopassi.

52

Con il tempo, l’azienda ha puntato sempre più sulla qualità, su vini prodotti da uve monovarietali e da vigne o zone più vocate che hanno dato origine a veri e propri “cru”, confluiti in otto etichette specifiche che si sono affermate sul mercato conquistando il favore di clienti ed esperti.

Nel 2009, infatti, Centopassi viene inserita nelle pubblicazioni di settore più importanti, come la guida di Slow Food e il Gambero Rosso. Grillo e Catarratto vengono premiati per vari anni alla manifestazione “Radici del Sud”, il Catarratto 2018 “Terre di Giabbascio” ha ricevuto il massimo riconoscimento del “Gambero rosso”, i Tre bicchieri, e la sua versione più moderna, “R14” - una riserva che matura in botte per diciotto mesi e in acciaio per ventidue - i cinque grappoli della guida “Bibenda” 2020 nonché i premi “Grande esordio” e il Sole de “I Vini di Veronelli” 2020.

53

Intervisto Vito Rappa, responsabile dell’area vino per il Consorzio Libera Terra Mediterraneo, per capire meglio la filosofia e la chiave del successo di questa realtà. Mi parla con passione di vini dalla personalità netta e di grande bevibilità, “lontani dagli stereotipi comuni sul vino siciliano”, freschi, eleganti e lineari. Vini “privi di ogni sovrastruttura, surmaturazione in vigna o concentrazione in cantina”, per garantire la massima espressività del frutto e trasmettere l’essenza dei territori in cui crescono le uve, in grado di esaltare le specificità dei suoli, dei microclimi e dei vitigni da cui provengono.

Come un padre orgoglioso dei suoi figli, Rappa mi descrive un Grillo minerale e fruttato, un profondo Catarratto e un fresco e dinamico Nero d’Avola. E sottolinea che Centopassi, fiore all’occhiello di Libera Terra che ad oggi produce quasi mezzo milione di bottiglie l’anno, è riuscita a stare sul mercato puntando proprio sulla qualità dei suoi vini, più che sul valore etico-sociale dei terreni da cui provengono.

Se il fine ultimo del riutilizzo di questi beni confiscati è di “restituire dignità, valore e bellezza a territori stupendi ma difficili”, dice Vito, l’obiettivo principale è di creare aziende sane, che promuovano “un sistema economico virtuoso e sostenibile, basato sì sulla legalità e la giustizia sociale, ma anche sulla capacità di stare sul mercato”.

Non c’è retorica nelle sue parole, si percepisce che il valore di questi vini è proprio nella assoluta “normalità” di una sana gestione aziendale, in grado di dare lavoro e generare indotto positivo, di coniugare l’attenzione all’ambiente e le esigenze commerciali.

Gli chiedo se c’è un vino più rappresentativo di Centopassi e mi parla del valore affettivo di Portella della Ginestra, una piccola vigna di un ettaro e mezzo impiantata nel 2011, che sorge a pochi chilometri dal memoriale della strage del

54

1947. Quel primo maggio un manipolo di mafiosi sparò contro una folla di contadini durante la Festa dei Lavoratori.

Qui le viti di Nerello mascalese e Nocera sono allevate ad alberello su una pietraia, esposta a nord a quasi mille metri di altezza, da cui si può scorgere il mare del Golfo di Castellammare. Posso solo immaginare la bellezza mozzafiato del paesaggio. E mi piace pensare al vino rosso intenso prodotto da queste uve come il simbolo perfetto di riscatto di una terra bellissima, capace di dare ottimi frutti nonostante le condizioni di difficoltà.

55

This article is from: