6 minute read

Israele: il “popolo invisibile” che può sconfiggere “re Bibi”

Next Article
Visti da lontano

Visti da lontano

Esteri

Israele: il “popolo invisibile” chepuò sconfiggere “re Bibi”

Advertisement

di Umberto DE GIOVANNANGELI

Divisi, in genere si perde, perché a prevalere è la logica di fazione che porta a vedere l’avversario da battere nel proprio campo e non in quello realmente ostile. È una vecchia, buona regola della politica, che in molti, soprattutto a sinistra, hanno autolesionisticamente dimenticato. Tranquilli, non stiamo parlando dell’Italia… ma d’Israele, paese che quanto a frammentazione dei partiti, personalismi esasperati, colpi bassi e dossieraggi, non è secondo a nessuno. A volte, però, dagli errori commessi s’impara. E si pone riparo. È quanto accaduto ai partiti arabi israeliani Hadash, Raam Taal, Balad che, dopo settimane di estenuanti trattative, hanno annunciato che correranno in una lista unica alle elezioni del prossimo 17 settembre, dopo la perdita di consensi patita ad a- prile, quando si erano presentati divisi in due liste. L’annuncio è arrivato dal leader di Hadash, Ayman Odeh. Alle elezioni dello scorso 9 aprile c’era stata una spaccatura: da un lato i due partiti di sinistra Hadash e Taal (6 i seggi conquistati) dall’altro la lista del partito nazionalista progressista Balad e della formazione islamista moderata Raam (4 seggi): un totale di 10 deputati (su 120).

11

Nel 2015 c’era stato l’exploit della Lista Araba Unita, terzo partito alla Knesset con 15 seggi. A un mese dal voto, i sondaggi accreditano la Joint List di 11 seggi, che sarebbero decisivi per sancire la vittoria delle forze di centro e di sinistra sul fronte delle destre. Gli sforzi per unire le quattro parti erano stati gravati da disaccordi su quali fasce della lista elettorale comune sarebbero state riservate per ciascuna parte. Alla fine, però, la “quadratura della lista” è avvenuta. Dice all’Unità laburista Odeh: “A prevalere sono state le ragioni dell’unità e la consapevolezza della portata delle elezioni del 17 settembre. Di fronte a noi abbiamo una destra dai forti tratti razzisti, che considera gli arabi israeliani [il 20,9 per cento della popolazione di 8.907.000, 74 per cento ebrei, secondo il recentissimo aggiornamento dell’Ufficio Centrale di statistica, ndr] qualcosa di ancora peggio di cittadini di serie B: li considera, ci considera, delle zavorre da cui liberarsi, degli intrusi in casa loro. Il riferimento, in particolare, è alla legge su Israele come stato della nazione ebraica, approvata a maggioranza nel luglio 2018 dalla Knesset, una legge molto voluta dalle destre e rivendicata come un successo straordinario dal primo ministro Benjamin Netanyahu”. Odeh era intervenuto nel dibattito alla Knesset sventolando una bandiera nera: “Questa è una legge crudele. Oggi dovrò dire ai miei figli, e a tutti i figli delle città arabo-palestinesi del paese, che lo stato d’Israele ha dichiarato che non ci vuole più qui, che d’ora in avanti diventiamo cittadini di seconda classe” aveva scandito tra le urla dei parlamentari della maggioranza. Quella ferita brucia ancora oggi, ribadisce Odeh: “A colpi di maggioranza, Israele ha perso la sua anima originaria. Quella legge che segna un punto di non ritorno, sancisce la realizzazione di un’idea di stato, di popolo, di comunità, che si fonda

12

sull’appartenenza etnica, sull’affermazione di una diversità che crea gerarchia, che al massimo può contemplare la tolleranza ma mai una piena inclusione”. E aggiunge il leader della neo-ricostituita Joint List: “Certo qualcuno potrebbe dire: meglio essere tollerati che essere considerati quinta colonna interna dei palestinesi, collusi con i “terroristi”. Ma noi arabi israeliani non vogliamo essere tollerati, ma considerati cittadini d’Israele a tutti gli effetti, né più né meno degli ebrei israeliani”. Considerazioni che avrebbero dovuto compattare i partiti arabi, ma così non è stato. E il 9 aprile, il risultato di queste divisioni è stato una perdita di seggi determinata da un calo significativo della partecipazione al voto degli arabi israeliani. A l’Unità laburista, Odeh esprime la speranza, una speranza “fondata” tiene a precisare, che l’affluenza alle urne degli arabi israeliani possa raggiungere il 70 per cento il 17 settembre. Nel 2015, la prima volta che i partiti arabi avevano deciso di dar vita a una lista comune, l’affluenza alle urne da parte degli arabi israeliani aveva toccato il 63 per cento. Alle elezioni di aprile, quando i quattro partiti si sono presentati in due liste separate, il voto arabo non ha superato la soglia del 50 per cento. Un altro leader storico degli arabi israeliani è Ahmed Tibi, parlamentare uscente, deciso sostenitore di una pace con i “fratelli palestinesi” fondata sulla soluzione a due stati. Per chi fu anche consigliere personale di Yasser Arafat, la legge dello stato-nazione ha indicato la via dell’apartheid: “Ha un elemento di supremazia ebraica la creazione di due classi separate di cittadini, una che gode di pieni diritti e una che ne è e- sclusa. E anche nel secondo gruppo vi è uno sforzo per creare diverse categorie”.

13

La destra, aggiunge Tibi “ha fatto di tutto per emarginare da ogni ambito della vita sociale e politica gli arabi israeliani. In ogni elezione, quando le notizie sull’affluenza al voto degli ebrei sono negative, i capi della destra, a cominciare da Netanyahu, per incitare ad andare al voto, usano lo spauracchio arabo: stanno andando a votare in massa, e voi che fate, volete che il futuro d’Israele sia deciso da costoro”. Tutto vero. Ma quello che la vecchia leadership araba fa fatica ad ammettere, è che il calo della partecipazione al voto degli arabi israeliani è anche il prodotto di un distacco soprattutto da parte dei giovani, quelli che più spingono verso un ricambio generazionale. A ciò si aggiunge un altro elemento che Salman Masalha ha messo bene in evidenza in un interessante articolo apparso nei giorni scorsi su Haaretz (e tradotto in Italia da Israele.net): “Nelle elezioni locali, il voto tribale o settoriale ha molta influenza, spesso decisiva, su tutto: dall’assegnazione di posti di lavoro ai bandi per l’offerta ai vari benefit che un’autorità locale può elargire. Al contrario, nelle elezioni per la Knesset il voto arabo non esercita alcuna influenza. Quando i leader dei partiti arabi dichiarano in anticipo che in ogni caso non entreranno a far parte di nessuna futura possibile coalizione di governo, recidono alla base la passione per la politica parlamentare che vorrebbero promuovere. Senza alcuna possibilità che il suo voto determini la condotta del governo nazionale, l’elettore arabo non vede motivo per partecipare alle elezioni”. E poi: “A ciò si aggiunga il fatto che i partiti d’opposizione sionisti respingono a priori l’eventualità di creare un governo che dipenda in modo determinante dal sostegno dei partiti arabi. L’elettore arabo si sente quindi doppiamente abbandonato dal sistema politico: dai partiti d’opposizione e dai suoi stessi rappresentanti arabi

14

… Contrariamente alle convinzioni più diffuse, risulta che i cittadini arabi israeliani si sentono tali e desiderano ardentemente partecipare alla determinazione dell’agenda politica e sociale del paese. Ma l’ostacolo con cui devono fare i conti è la mancanza di leader e partiti che riconoscano questa volontà e siano pronti a raccogliere la sfida”. Il discorso di Masalha tocca un punto dolente della cultura politica israeliana, prima ancora che del sistema: la conventio ad excludendum degli arabi israeliani da qualsiasi coalizione di governo, anche quelle a guida laburista. Al massimo, come gesto di apertura e anche come auspicabile calamita di voti, alcuni partiti sionisti hanno incluso nelle proprie liste esponenti della comunità araba israeliana, ma senza eccedere e comunque senza che questi cooptati potessero ambire a poltrone ministeriali (un discorso a parte vale per i Drusi, che la maggioranza ebraica non considera alla stregua degli arabi israeliani, tant’è che i drusi svolgono il servizio militare e fanno parte della polizia e della guardia di frontiera). Per battere le destre c’è bisogno del voto degli arabi israeliani, confermano tutti i sondaggi. Un compito che non spetta solo alla ricostituita Joint List, ma che deve entrare anche nell’agenda dei partiti di centro e di sinistra che si oppongono a una destra radicalizzata che ha governato quindici degli ultimi diciannove anni. È questa la convinzione di Tamar Zandberg, parlamentare ed ex leader del Meretz, la sinistra pacifista, che ci dice:”Occorre un patto di governo con i partiti arabi. So bene che questo significa operare una discontinuità radicale con il passato e che la destra cavalcherebbe quest’apertura per dimostrare che i “veri ebrei” non accetteranno mai questa compromissione, tuttavia ritengo che oggi vi sia davvero bisogno di aprire un nuovo capitolo nella storia d’Israele, con atti politici coraggiosi che indichino chiaramente che una nuova identità nazionale deve tenere dentro anche la

15

minoranza araba, con la sua sensibilità, le sue aspirazioni e la sua cultura. Se crediamo davvero, ed io lo credo, che la destra stia minando le basi stesse della convivenza democratica, allora dobbiamo essere conseguenti non tagliando fuori da un fronte anti-Netanyahu gli arabi israeliani e i loro partiti tradizionali”. Un’apertura che Ayman Odeh non lascia cadere: “Siamo pronti a sederci a un tavolo e discutere di un programma minimo che tuteli la comunità araba, a partire da un impegno per modificare la legge costituzionale che istituzionalizza la discriminazione nei nostri confronti. Ora, però, il nostro impegno prioritario è convincere la nostra comunità della posta in gioco alle elezioni del 17 settembre. C’è grande malessere e disillusione tra la nostra gente, soprattutto tra i giovani. Ma la scelta di ripresentarci uniti vuole essere un segnale di speranza, la dimostrazione che siamo capaci di riflettere sugli errori commessi facendo prevalere le ragioni dell’unità. So che non basta, ma è un passo importante che può ricreare entusiasmo e motivare un impegno”. Una strada in salita, ma non una missione impossibile. Il futuro d’Israele passa anche dal voto del “popolo invisibile”: gli arabi israeliani.

16

This article is from: