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Il Parco Trotter. La storia di un progetto urbanistico all’avanguardia

Storia e Urbanistica

Il Parco Trotter. La storia di un progetto urbanistico all’avanguardia

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di Giovan Giuseppe MENNELLA

L’Esposizione universale di Milano del 2015 non è stata la sola che si è tenuta nella città lombarda. Infatti, è ormai dimenticata quella che si svolse nel 1906. In quel periodo, all’inizio del ‘900, Milano andava facendo le prove generali per diventare una vera e propria metropoli. Giovanni Verga, un siciliano che però visse in gran parte a Milano, la definì la città più città d’Italia. La struttura urbanistica era radiale, cioè espandentesi a cerchi concentrici che, appunto a cavallo tra 800 e 900, andavano progressivamente inglobando i "borghi", come “la Barona”, “Turro”, “Garola”, quelli che erano chiamati “i corpi santi” perché c’erano i cimiteri, quelli poeticamente descritti da Foscolo ne “I sepolcri”. Negli anni ’20 del Novecento, durante il fascismo, la città doveva raddoppiare le sue dimensioni. Nel borgo di Turro iniziava la Brianza, i salumai vi facevano stagionare i salumi. In quella zona intorno al 1906, quando con l’Esposizione Milano si è mostrata al mondo come città in espansione, si erano cominciate a costruire le prime case popolari, per via della grande concentrazione di fabbriche come la Breda, la Falck, le due Marelli e della popolazione operaia. Era la parte di città che sarebbe stata raccontata dal cinema neorealista o dagli scritti di Giovanni Testori. Siamo nella periferia Nord, intorno alle attuali Viale Monza e via Padova, già com-

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presa nel catasto urbano fatto redigere da Maria Teresa nel ‘700. Questa zona ha una specificità: ha accolto fin dall’800 gli immigrati, prima da Brescia, da Piacenza, dalle valli bergamasche e dal Nord in genere, poi dagli anni ’50 del Novecento dal sud dell’Italia e, infine, ai nostri giorni, dal Sud del Mondo. C’erano le “curt de le Americhe” corti dove si fermava provvisoriamente chi stava per emigrare nelle Americhe. Magari si facevano fare i documenti falsi. Era anche una specie di portale, un “gate” dove si ritrovavano tutti insieme quelli che venivano da fuori. Un detto popolare dice che milanesi non si nasce ma si diventa. In questa zona al Nord di una Milano in espansione demografica e industriale c’era un galoppatoio, o “trotter” come era chiamato all’inglese. Ancora oggi se ne può identificare l’ovale. Quindi, c’erano i cavalli e le loro corse. A un certo momento, il Comune decise di spostare il galoppatoio nella zona di S. Siro, dove è situato tuttora, insieme allo stadio del calcio. Lo spostamento fu deciso per realizzare un’interessante operazione urbanistica, per costruire dei padiglioni, case basse in stile da campagna inglese. Fu la risposta del Comune, all’inizio del ‘900, per risolvere i problemi del sovraffollamento e della scarsa salubrità e igiene delle abitazioni di quei quartieri operai, di cui soffrivano soprattutto i bambini. Tra l’altro, fu costruita “La casa del sole”, un grande sogno pedagogico, una scuola all’aria aperta, con un parco, che servisse da scuola ai bambini più poveri e più malati per le condizioni abitativa precarie di quella periferia industriale. In quei padiglioni e giardini potevano imparare a leggere e scrivere e avevano anche la possibilità di giocare liberamente all’aria aperta, una sorta di imparar giocando, curando la salute. C’era anche un convitto per gli orfani, numerosi soprattutto dopo la fine della II Guerra Mondiale, durante la quale i bombardamenti avevano colpito pesantemente la città.

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La scuola iniziava dalla più tenera età e a ogni padiglione corrispondeva un grado scolastico. I bambini curavano l’orto, avevano da allevare una capretta, facevano il formaggio, prendevano il sole necessario per migliorare la salute e l’igiene. E facevano anche il bagno perché c’era anche una piscina, il cui invaso, asciutto, è riconoscibile ancora oggi in un viale di tigli, dove c’era “La casa del sole”. L’invaso oggi è abbandonato e degradato, ma si potrebbe sempre riadattare e restaurare. L’esperimento fu apprezzato e studiato in tutto il mondo, arrivavano delegazioni da Belgio, Uruguay, Argentina etc. I ragazzi crescevano facendo attività all’aria aperta, lezioni, bagni di sole, allevamento di animali. Avevano anche una piccola tipografia, redigevano giornalini. Invitavano anche scrittori, come Mario Soldati, che si dimostravano molto interessati e incuriositi. Negli anni ’70 si tenne un laboratorio con Bruno Munari, straordinario progettista che lavorava anche con i bambini. Questo progetto sembra oggi davvero straordinario, simboleggia quello che seppe fare Milano, dall’inizio del ‘900, cioè un progetto sociale collettivo per l’accoglienza e l’inclusione, non a caso nell’epoca di un’amministrazione socialista riformista. Quel riformismo che allora sul piano politico più generale nel Paese fu perdente, messo da parte per l’inseguimento di sogni, o incubi, rivoluzionari e sconfitto anche dall’emergente fascismo. E’ straordinario e quasi fantascientifico anche rispetto alla situazione attuale. Infatti, dagli anni ’70 del Novecento il Parco Trotter fu abbandonato e le strutture andarono progressivamente in degrado. L’abbandono e il degrado corrisposero alla deindustrializzazione e alla chiusura delle grandi fabbriche fordiste della zona e alla perdita di consistenza e centralità della classe operaia. Specialmente in questa zona la città ha perso la sua vecchia e secolare anima operaia e popolare. Però, proprio quando gli edifici stavano cadendo in rovina irreversibile, c’è stato un risveglio di interesse nella collettività presente sui luoghi. Genitori, insegnanti,

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comitati di quartiere hanno cominciato a chiedere che si ripristinassero e ora un gruppo di progettista ha definito il quartiere come NO-LO cioè Nord Loreto e si lavora per restaurare i manufatti delle vecchie strutture cadute in disuso. Non a caso, questo fervore è aumentato man mano che arrivavano nuovi immigrati da molte parti del mondo. Se c’è una morale in questa interessante storia del cosiddetto “Parco Trotter” è che non ci si salva individualmente, ma tutti insieme, con un’azione collettiva socializzante, aiutandosi a vicenda.

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