Ugo La Pietra
UGO LA PIETRA Italy
REM asks to Ugo La Pietra Face-to-face Interview Monday, 31 March 2014 57’06’’ 11 questions
UGO LA PIETRA - Io ho iniziato a fare cinema negli anni ’70, precisamente nel 1973 quando sono stato invitato da Ettore Sottsass alla Triennale di Milano, allora caratterizzata dall’assenza di manufatti. Per quella Triennale presentai il film “La grande occasione”, una pellicola che indaga la recitazione dello spazio agibile, disponibile e moltiplicabile. Il cinema dunque è sempre stato importante per la mia ricerca, l’ho usato sia per fare architettura sia per fare arte. [...] Anche gli architetti radicali1 sostenevano la stessa cosa, cioè che si poteva fare architettura facendo un film. [...] Detto questo, per me il cinema è stato una grande sorpresa, e l’ho fatto proprio come si fa un’architettura. Quando penso a un’architettura, chiudo gli occhi e me la immagino, ci vado dentro, poi la disegno e la rappresento. Allo stesso modo, nel cinema penso a un progetto di un film e me lo immagino fotogramma per fotogramma. Posso vedere il film, prima ancora che sia fatto. Del resto quella di prefigurare la realtà, il vissuto e lo spazio è una capacità tipica dell’architetto. [...]. REM - REM guarda anche all’arte contemporanea: cosa ne pensa del rapporto tra arte e architettura? U.L.P. - Agli inizi degli anni ’60, 1. L’Architettura Radicale è un movimento sperimentale che si sviluppa negli anni 1960-1975 circa. Tra i maggiori esponenti Archigram, Superstudio e Strum
REM - The cinema was able to foresee architectural sceneries or to use existing architectures to stage some histories. To you, how about relationship with the cinema, do you ever think about architecture seen by the point of view of a camera? UGO LA PIETRA - I started making cinema in the 1970s, precisely in 1973 when Ettore Sottsass sent me to the Triennale di Milano, back then it was characterized by a lack of handworks. For that Triennale I presented “La grande occasione”, a movie that investigate on the acting of the accessible, available and multipliable space. Cinema has always been important in my research, I used it both to make architecture and art. [...] Even radical architects1 said the same thing, that you can make architecture by making a movie. [...] Having said that, for me cinema was a big surprise and I made it just like an architecture. When I think about an architecture, I close my eyes and imagine it, I go inside of it, then I draw and represent it. Similarly in cinema I think about a movie project and imagine it frame by frame. I can see a movie before it is made. After all the ability of foreseeing reality, life and space is a typical skill of an architect. [...] REM - REM also looks contemporary art: what do you think of the relationship between art and architecture? U.L.P. - In the early 1960s, precisely in 1963, I graduated with a thesis entitled “sinestesia tra le arti” (“synesthesia between arts”). I was convinced that it was the time to overcome the so called 1. The Radical Architecture is an experimental movement that develops in the years ‘60 - ’75. Leading exponent: Archigram, Superstudio and Strum
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REM - Spesso il cinema è riuscito a prefigurare scenari di architetture possibili o utilizzare architetture esistenti per inscenare delle storie. Qual è il suo rapporto con il cinema? Pensa mai alle sue architetture viste dal punto di vista di una cinepresa o di una storia che può accadere?
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REM asks to Ugo La Pietra precisamente nel 1963 mi sono laureato con una tesi che si chiamava “sinestesia tra le arti”. Ero convinto che fosse il momento di superare quella che fino ad allora era chiamata “l’intégration des arts”2: l’architetto che progettava l’edificio, poi chiamava l’artista per decorare lo spazio, magari con un basso rilievo. Io pensavo, invece, che ad un certo punto le discipline potessero in qualche modo travasare tra di loro. [...] Il rapporto tra arte e architettura è un rapporto molto interessante che, in alcuni momenti storici si è attuato, in maniera anche molto fertile, in altri momenti ci sono state grande vicinanza, soprattutto negli anni ’60 e ’70. Rimane il fatto che queste discipline spesso e volentieri si separano molto, in alcuni casi così tanto da non dialogare minimamente. Ciò è accaduto soprattutto in questi ultimi anni, quando l’architetto è diventato sempre più, con grande autonomia, un artista sui generis nella sua disciplina. Oggi c’è un clima favorevole, almeno sul piano teorico, per questo travaso tra le discipline, basterebbe solo iniziare a lavorare per il sociale e non nel sociale. [...] Questa pratica consiste nel fare un progetto, un’azione o un intervento coinvolgendo il sociale non solamente considerandolo spettatore. [...]. REM - La prossima Biennale di Architettura dal tema “Fundamentals”, si concentrerà sugli elementi dell’architettura utilizzati da qualsiasi architetto, sempre e ovunque. Koolhaas ne ha anticipati alcuni: porta, pavimento, soffitto. Ci potrebbe parlare dei fondamentali della sua ricerca architettonica? U.L.P. - Parlando dei fondamentali dell’architettura, più che di elementi formali e astratti, penso che si dovrebbe parlare dei rituali, cioè il nostro rapporto 2. Era una misura del governo del Quebec, consiste nel prenotare parte del bilancio per la costruzione o l’ampliamento di un edificio o di un sito pubblico per la realizzazione di una o più opere d’arte progettati specificamente per questi luoghi.
“intégration des arts”2: the architect that designs the building and calls the artist to decorate the space, maybe with a bas-relief. I thought that at a certain point disciplines could combine between them. [...] The relationship between art and architecture is really interesting and it was implemented in certain historical periods in a fruitful way; in other periods they were really close, especially during the ‘60s and the ‘70s. Undeniably those disciplines often split, sometimes they don’t even converse. In particular this happened in these last few years, because the architect became, with a lot of autonomy, more unique in his disipline. Today there’s a conducive atmosphere, at least in a theoretical level, for this combination between disciplines, it would be enough to start working for the social rather than in the social. [...] It consists of doing a project, a play, an intervention involving the social not only by considering it the audience. [...] REM - This year, the Biennale exhibition of Architecture “Fundamentals”, will focus on the elements of the architecture used from any architect, always and anywhere. Koolhaas, has ancitipated some of them: door, floor, ceiling. Could you tell us something about the fundamentals of your architectural research? U.L.P. - Talking about the fundamental of architecture, I think we need to talk about the rituals rather than the formal and abstract element, that is our relationship with a door, rather than with a fireplace or a television. It is a relationship that must be looked through the ritual that characterises the element in some way. So the contents and meanings that we can give to a fireplace rather than a television. […]
2. It was a measure of the government of Quebec, it is to reserve part of the budget for the construction or extension of a building or a public site for the construction of one or more works of art designed specifically for these places.
La grande occasione, Ugo La Pietra, 1973
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REM - Dopo diverse Biennali che celebrano il contemporaneo, “Fundamentals” si concentrerà sulla storia. Per un architetto è importante comprendere la storia per vivere con estrema partecipazione la contemporaneità, storia o contemporaneità? Perché questa scelta? U.L.P. - Io credo molto nella storia, anche se capisco che oggi un giovane di 20 anni potrebbe pensare di poterne fare a meno, ma per me è fondamentale. Sono convinto che c’è chi fa la storia e chi la scrive e sono due cose molto diverse. Non a caso io alla biennale non ci sono e non ci sarò mai, anche se ho lavorato tutta la vita su questi temi che vengono trattati. Sono stato invitato alla Biennale negli anni ’70 quando ancora non si capiva bene cosa facessi. [...] Nello stesso anno io ho
3. Il Commutatore, 1970, Modello di Compressione. Uno strumento di conoscenza, quindi propositivo; realizzato in un momento in cui il cosiddetto “design radicale” costruiva oggetti evasivi e utopici.
All the things that belong to the physical architecture are related to our rituals, and I have often tried to overcome and break in my work. For example, with my tilted floor (“Il Commutatore”3, 1970), we can easily understand that you just have to move our point of view so that everything changes, everything can be seen in a different way: the ceiling is no longer the place where they hang the chandeliers, but it can become a place where to place, represent or do. […] The elements are all encoded into our head according to a certain kind of ritual, that the story can change. In my opinion this is the theme that you should watch, observe and plan. REM - After different architectural exhibition that celebrate the contemporary, “Fundamentals” will focus on the history. For an architect, between history and contemporaneity, which is important to understand the history to live with extreme attention the contemporaneity? And why? U.L.P. - I very belive in history, also I understand that today a 20 years old guy might think to live without it, but in my opinion history is fundamental. I’m sure that there’s who make and who write history and there are two many different things. About it I never be and I will never be to Biennale, also I worked on these theme for all my life. I was invited ti Biennale in the ’70 when it was not clear what I did. [...] In the same year I explained in all of the 3 sections of Biennale, when the art’s world was confused yet then, when everything was straightened and the arts recovered their specificity, they defined their scopes, limits, borders, secrets words, a person like me no longer needed. Today I still do paintings, but they don’t count anything. Instead works of some
3. The Commutatore, 1970, it is a model of compression. It is a means of knowledge, and propositive; i created it in a moment in which the so-called “radical design” constructed evasive and utopian objects.
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con una porta, piuttosto che con un focolare o con un televisore. È un rapporto che va guardato attraverso il rituale che in qualche modo caratterizza l’elemento. Quindi i contenuti e i significati che possiamo dare ad un focolare piuttosto che a un televisore. [...] Tutte le cose che appartengono alla fisicità dell’architettura sono legate hai nostri rituali, che spesso nel mio lavoro ho cercato di superare e rompere. Per esempio, con il mio piano inclinato (“Il Commutatore”3, 1970) si capisce facilmente che basta spostare il nostro piano di osservazione affinchè tutto cambia, tutto si possa vedere in modo diverso: il soffitto non è un più il luogo dove si appendono i lampadari, ma può diventare un luogo dove collocare, rappresentare o fare. [...] Gli elementi sono tutti codificati nella nostra testa secondo un certo tipo di rituale, che nella storia può cambiare. Secondo me è questo il tema che si dovrebbe guardare, osservare e progettare.
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esposto in tutte e 3 le sezioni della Biennale, ancora quando c’era una certa confusione nel mondo dell’arte poi, quando tutto si era rafforzato e le arti hanno riconquistato le loro specificità, hanno definito i loro campi, i lori limiti, i loro confini, le loro parole segrete, una persona come me non serviva più. Oggi continuo a fare quadri, ma non valgono niente. Invece le opere di alcuni miei amici come Scheggi, Castellani e Bonalumi4, con i quali ho esposto per 20 anni, valgono ventimila, trentamila, quarantamila euro. Castellani 300 mila euro. Questo vuol dire che si posso prendere strade diverse. Per fortuna a me sembra di essere una persona utile più che importante, perché tramite il mio lavoro si può capire che si può guardare il mondo in modo diverso. REM - All’inizio del 1900 aveva senso parlare di una architettura nazionale, quindi di architettura ”cinese”, architettura “svizzera”, architettura “indiana”. Cento anni più tardi, dopo due guerre mondiali, diverse velocità di sviluppo e talenti individuali, le architetture che una volta erano specifiche e locali sono diventate globali. L’identità nazionale è stata sacrificata alla modernità? Oggi, 2014, ha ancora senso parlare di architettura “nazionale”? U.L.P. - Io ho fatto esattamente un percorso opposto: già ne gli anni ’60 gli architetti radicali, di cui facevo parte erano critici nei confronti dell’architettura internazionalista, erano contrari alla progettazione dello stesso edificio in più luoghi. Io ho parlato spesso di design e architettura territoriale. Essa si distingue dal folclore, perchè implica il progettare tenendo conto delle molteplici risorse del luogo che non sono solo fisiche, ma comprendono anche dei valori e delle risorse sotterranee molto più difficili e complesse da leggere, perché legate ai comportamenti, alla storia e alle stratificazioni. [...] Noi non viviamo 4. Scheggi, Castellani e Bonalumi; Le loro ricerche, fortemente interdisciplinari, sono rivolte a problematiche legate alla percezione visiva.
of my friends like Sceggi, Castellani, Bonalumi4, whereby I exposed for 20 years, count twenty thousand, thirty thousand, forty thousand euro. Castellani three hundred thousand euro. This means that you can take different ways. Luckly it seems like to me that I’m a person more useful then important, because with my work you can understand that you can look the world in a different way. REM - At the beginning of 1900, it had sense speak of a national architecture, like “Chinese” architecture, “Swiss” architecture, “Indian” architecture. One hundred years later, after two world wars, different speeds of development and individual talents, once the architectures were specific and local have become interchangeable and global. Has the national identity been sacrificed to the modernity? And today, at 2014 does it have sense speak of national architecture? U.L.P. - I do exactly an opposite path: already in the ’60 the radical architects, I was one of them, were critics about national architecture, they were against to design the same building in different locations. I often talked about design and territorial architecture. Territoriality is distinguished from folklore, because it implies to project taking into account about multiple resources, not only physical, that a place had, but includes worth and hidden resources that are difficult to note, because these are related to comportaments, story and stratifications. [...] We live in a society that grow and change in exaltation of territoriality, in this time globalization is stronger. You can see it in the most important categories of our society: those are in relationship with market, with money and the power. Today nations count anything, count only the type of investiment over the nations,
4. Sceggi, Castellani, Bonalumi; Their research is interdisciplinary, were facing problems related to visual perception.
Spazio Ambiente, Enrico Castellani, 1970
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REM - Nel 1988 pubblica il primo libro sull’attività di Giò Ponti che, dopo quasi 30 anni, è ancora il miglior libro scritto sull’architetto milanese. C’è una particolare attrazione tra lei e Ponti? U.L.P. - L’esperienza della scrittura di questo libro, oltre che essere stata molto bella, fa capire molti aspetti del mio lavoro. Io ho conosciuto bene Ponti, è stato mio professore al Politecnico di Milano e poi ho lavorato con lui a Domus. Ponti era una persona che nessuno storico era in grado di affrontare perché, la separazione disciplinare delle arti impediva una descrizione a tutto tondo del Maestro. [...] Un aneddoto interessante su questo volume, che vale la pena raccontare, è che durante la sua stesura avevo tutti contro. Ero osteggiato dalla cultura ufficiale milanese, che aveva sempre boicottato Ponti (la cultura ufficiale è stata sempre quella di Rogers)5: egli era molto libero, conosceva il mondo, era libero da certi condizionamenti, passava attraverso le varie discipline, amava i materiali, aveva una grande passione dell’artigianato. [...] Era una figura controversa e per la cultura milanese era una persona trasgressiva. [...] Ponti era una figura europea in una Milano provinciale. Era una figura anomala e per questo ho deciso di fare un libro su di lui. avendo contro quelli di Domus. 5. Cultura milanese filo Rogers formata da: Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi, Gae Aulenti, Guido Canella e Giancarlo De Carlo.
and this is why is more difficult thinking about different type of war. REM - In 1988, you publish the first book on the activities of Gio Ponti, after almost 30 years, it is still the best book written on the Master. Is there a particular attraction between you and Gio Ponti? U.L.P. - The experience of writing this book was very interesting and it enables people to understand various aspects of my job. I’ve known Ponti very well, he was my professor at Polytechnic of Milan and then I’ve worked with him in Domus. Ponti was the kind of person that no one could deal with, because the separation of the arts that was already in progress for some time prevented an all-around description of the Master. [...] An interesting anecdote about this volume, which is worth to be mentioned, is that while writing it, everybody was against me. I was opposed by the official culture of Milan, which have always boycotted Ponti (the official culture is that of Rogers)5: he was a carefree person, he knew the world, he frequented it, he was free of some constraints, he passed through the different disciplines, he loved the materials and moreover he had a great passion for handicraft. [...] He was an extremely controversial figure, and for the culture in Milan he was a transgressor. [...] Ponti was a European figure in a provincial Milan. He was an abnormal figure, and for this reason I decided to write a book about him, even if I was opposed by the people of Domus.
5. Milanese culture formed by Rogers, Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi, Gae Aulenti, Guido Canella and Giancarlo De Carlo.
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in una società che cresce e si sviluppa nell’esaltazione della cosiddetta territorialità, anzi in questo periodo storico è predominante la globalizzazione. Lo si può vedere soprattutto nelle categorie più importanti della nostra società: quelle legate al mercato e quindi al potere. Oggi le nazioni non valgono più niente, valgono solo le forme d’investimento al di sopra di esse, e questo è il motivo per cui è più difficile pensare diversi tipi di guerra.
REM asks to Ugo La Pietra REM - Com’è stato il suo primo contatto con la ricerca architettonica? Quando ha deciso di diventare architetto, “ricercatore delle arti visive”? U.L.P. - Il mio primo contatto con l’architettura è stato drammatico. Fin da piccolo volevo fare l’artista, quindi una volta diplomato decisi di andare all’accademia, ma mio padre voleva che noi tre fratelli ci laureassimo tutti. Perciò scelsi il male minore e optai per la facoltà di architettura, anche perché pensavo di sapere disegnare abbastanza bene. Non c’è stata una scelta di tipo passionale, io volevo fare l’accademia.
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REM - Le andrebbe di parlarci della sua tesi di laurea? U.L.P. - Mi sono laureato con la “Sinestesia tra le arti”. Non è stata solo una tesi teorica: ho lavorato anche a una serie di progetti che consistevano nel collocare nella città le opere di grandi artisti come Lucio Fontana, Constantin Brancusi con la sua Colonna infinita. Alla fine del lavoro di tesi, tutti i progetti sono stati raccontati attraverso una mostra. Ho fatto anche una serie di opere insieme ad alcuni amici/scultori come Marchese, Azuma e Benevelli6. E’ stata una tesi molto apprezzata, poiché a quel tempo non era consuetudine arrivare all’esposizione di tesi facendo una mostra. La “sinestesia tra le arti” è ancora un sogno! L’intervista completa sul sito magazinerem.tumblr.com
6. Marchese, Azuma e Benevelli; Esponenti di rilievo della scultura astratta contemporanea italiana ed europea.
REM - What made you decide to be an architect? When you has decided to become an architect? U.L.P. - My first contact with the architecture has been dramatic. Since I was a kid, I wanted to be an artist, therefore as soon as I have graduated high school, I decided to go to the art school, but my father wanted all his sons to get a Bachelor’s degree. So I chose the lesser of two evils and opted for the faculty of architecture, because I thought I was pretty good at drawing. It was not a choice by my passion, I just wanted to go to the art school. REM - Would you like to tell us something about your thesis for Bachelor’s degree? U.L.P. - I graduated in “Sinestesia tra le arti”. It was not just a theoretical thesis: I also worked on a series of projects that were to place the works of great artists such as Lucio Fontana and Constantin Brancusi with ‘The Endless Column’, in the town. At the end of the thesis work, all projects have been presented through an exhibition. I also worked a series of artworks together with some friends/sculptors such as Marchese, Azuma and Benevelli7. It was a very valuable thesis, since at that time presenting projects at the thesis exhibition was out of the usual. ‘Synesthesia between the arts” is still a dream! The full interviews on website magazinerem.tumblr.com
6. Marchese, Azuma and Benevelli; They are important representatives of the Italian and European contemporary abstract sculpture.
“Programma Maggio 1972” Vincezo Ferrari, Ugo La Pietra
According to Ugo La Pietra
floor wall ceiling roof door window facade balcony corridor fireplace toilet stair escalator elevator ramp fundamentals
+ the rituals
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According to Rem Koolhaas
elements of architecture
REM MinKyung Han Marco Belloni Issue #2 Philippe Rahm / Ugo La Pietra Thanks to Davide Rapp Matteo Poli REM will be printed in Italy and published one time a month Distributed by mail and person
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