Mangiavino n 8

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MANGIAVINO ®

bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore

ISSN 2283-7973

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COME L'ARIA DEL LARZAC A FAGIOLI IN VAL RESIA L'EREDE DI DORO IL CABERNET SAUVIGNON ALESSANDRO E IL PICOLIT DI SAVORGNANO 43 JERBIS

MV

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

€ 8,00


MANGIAVINO

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Goccia di Carnia Srl, Forni Avoltri Udine, Friuli Venezia Giulia, Italia - gocciadicarnia.it 3


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Unicità, Eleganza, Semplicità: nate dalla natura, ancor prima che dal progetto.

Architettura senza Tempo Immaginiamo e costruiamo nuove forme di abitare la vitalità e l’anima della casa. Tempo, forma, luce, materia: una visione completa e innovativa per il vivere contemporaneo. www.domusgaia.it

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MANGIAVINO

Editoriale

L’ ultimo scorcio del 2015 ha riservato belle sorprese per il Friuli Venezia Giulia. Dapprima il piacevole risultato ottenuto dall’area dedicata alla nostra Regione al Padiglione del Vino in Expo Milano; ha riscontrato un grande successo tanto da essere la più frequentata in assoluto dagli appassionati provenienti da tutto il pianeta! Il merito è senz’altro della proposta allettante costituita dagli ottimi vini che i Produttori nostrani hanno saputo offrire. Merito altresì dell’attenta regia che l’Ente regionale preposto all’evento ha costruito. Mi piace infine pensare che l’ottimo risultato sia da attribuire anche ai Sommelier dell’AIS del Friuli Venezia Giulia che durante la loro presenza in Expo, attraverso la preparazione, la passione e la cordialità hanno raccontato il vino della nostra regione e tutte le sue bellezze.

L’ultima notizia, in ordine di tempo, riguarda l’inserimento da parte di Lonely Planet (la bibbia mondiale dei viaggi) del Friuli tra le dieci aree top al mondo! Tra le mete da non perdere, tra le destinazioni di cui tutti parleranno nel 2016! Nel nuovo volume “Best in travel 2016, il meglio di Lonely Planet”, c’è il Friuli Venezia Giulia, al quarto posto, con le sue zone vitivinicole d’eccellenza! Il dato ci riempie di gioia e ci fa comprendere anche quanto siamo apprezzati nel mondo. Nulla succede per caso. Se da un lato il grande lavoro di relazioni e attenzioni ha portato il focus su questa Regione è altrettanto vero che i meriti e le qualità del suo mondo vitivinicolo sono innegabili! Ci sono tutte le premesse per un ottimo futuro! Buon 2016 e buon Friuli Venezia Giulia a tutti noi! Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

foto di Fabrice Gallina

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I VINI DEL C ASTELLO DI SPESSA, IL FUTURO GARANTITO DAL PASSATO

Sono gli anni Settanta quando inizia l’avventura di Loretto Pali nell’affascinante mondo dell’enologia. Erede di una famiglia di imprenditori nel settore del mobile, decide di produrre vino. “Il Friuli è la terra in cui sono nato – spiega Loretto Pali. Ne conosco gli incantevoli luoghi, l’ospitalità della sua gente, la storia, l’arte e il patrimonio enogastronomico che la fanno apprezzare nel mondo”. Oltre 80 ettari di vigneti di proprietà, un apparato produttivo dotato delle più avanzate tecnologie e una cantina storica di affinamento per produrre ogni anno più di 700 mila bottiglie ambasciatrici di una straordinaria cultura enologica orientata alla qualità e capace di soddisfare le esigenze di un mercato internazionale. L’azienda vinicola Castello di Spessa a Capriva del Friuli (Go) si trova in una delle più pregiate zone enologiche italiane, le colline del Collio goriziano che degradano verso la fertile pianura solcata dall’Isonzo. I suoi vigneti si estendono per 28 ettari nella DOC Collio e per 55 ettari nella DOC Isonzo. Il clima mite grazie alla vicinanza del mare Adriatico (Venezia e Trieste si trovano poco lontano) è ideale per la viticoltura, con una buona escursione termica, ideale per preservare al meglio profumi e aromi delle uve. I terreni del Collio sono formati da strati di marna e arenaria, che donano ai vini ( in particolare ai bianchi, per i quali la zona è conosciuta a livello internazionale) un carattere unico dalla caratteristica di sapidità. Nella DOC Isonzo il terreno si contraddistingue invece per la presenza di argilla, sabbia e ghiaia e conferisce struttura e colore ai vini rossi, intensi e vellutati, ed aromi eleganti ed armoniosi a quelli bianchi. Le cantine di invecchiamento del Castello di Spessa, molto scenografiche, sono scavate nel sottosuolo del maniero e si trovano su due livelli: il primo è il più antico e risale al periodo medievale; il secondo, più sotto, a 18 metri di profondità, è ricavato da un bunker militare realizzato nel 1939 e ha una temperatura costante a 14°, ideale per la maturazione dei vini. Castello di sPessa – la doC Collio Siamo nel Collio goriziano a ridosso del confine con la Slovenia, in un territorio vocato da sempre alla vitivinicoltura di alta qualità grazie alla favorevole posizione geografica. Protette dai venti freddi del nord-est dalle Prealpi Giulie e lambite dal benefico effetto del Mare Adriatico, le vigne godono di un clima ideale per regalare uve pregiate. I dolci rilievi collinari, che circondano il Castello di Spessa ospitano i 28 ettari di vigneto di proprietà dove sono coltivati i più antichi e nobili vitigni locali e internazionali: Friulano, Ribolla Gialla, Sauvignon, Pinot bianco e Pinot grigio, Pinot nero, Merlot e Cabernet Sauvignon. Dalle uve coltivate con maestria nascono i Cru aziendali dedicati alle famiglie che negli anni sono state proprietarie del Castello; Segrè, Di Santarosa, Torriani e all’illustre ospite Giacomo Casanova. I vini riposano e si affinano nelle originali cantine del 1300 sotto il Castello a una profondità di 18 metri, in attesa di accrescere il proprio valore.


CASTELLO DI SPESSA

Visite negozio e cantina storica via Spessa, 1 Capriva del Friuli (GO) info@castellodispessa.it T./F. +39 0481 808124

Casanova Pertè Guida Vini d’Italia 2016 Quattro tralci Collio Sauvignon 2014

3 bicchieri

Colore giallo paglierino scarico con perlage minuto e persistente. Profumo intenso con sentori floreali di biancospino e pesca bianca. Il gusto è delicato e fresco con piacevole persistenza aromatica su note floreali

Guida Vini d’Italia 2016 Tre bicchieri Collio Pinot Bianco 2014

Guida essenziale Vini d’Italia 2016 Massimo riconoscimento Collio Pinot Bianco di Santarosa 2012

Fermentazione senza raspi e vinaccioli svolta a 28° circa. Macerazione di 15/20 giorni e malolattica svolta in vasche di acciaio. Il vino messo nelle barriques (Neveres, Allier e Tronçais a tostatura media) ha riposato nel bunker del Castello di Spessa a 18 metri nel sottosuolo per 24 mesi. L’assemblaggio delle barriques è avvenuto in vasche inox. Imbottigliato senza filtrazione, per preservarne l’integrità, è stato quindi affinato in bottiglia per ulteriori 12 mesi nelle cantine del Castello prima di essere messo in commercio

Castello di sPessa – la doC isonzo Dai 55 ettari di proprietà coltivati a vigneto nella zona Doc Isonzo, tra Cormòns e Gorizia, nascono i vini del Castello di Spessa: Friulano, Sauvignon, Pinot grigio, Chardonnay, Ribolla gialla, Verduzzo, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, sono i vitigni magistralmente lavorati per la produzione di vini a denominazione Isonzo scelti dagli estimatori per un consumo quotidiano, elettivo all’insegna della qualità. E per le grandi occasioni, fiore all’occhiello: la Ribolla gialla “Pertè”, proposta in versione spumante. Castello di sPessa- le graPPe Grappe di altissima qualità ottenute dalle vinacce dei vini di Spessa.


MANGIAVINO

owner & winemaker

COLLIO - FARRA D’ISONZO - FRIULI

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MANGIAVINO

La Famiglia Puiatti con la Maison Villa Parens prosegue una lunga tradizione fatta di conquiste, primati ed innovazioni. Pioniera di una Filosofia della Purezza, dell’Essenziale ed Incontaminato, ha istituito il “Puiatti Concept”, eleggendolo ad autentico sinonimo di eleganza e semplicità. Per la sua attualità ed unicità, un cambiamento epocale nell’universo dell’estetica del mondo vinicolo, che esprime e valorizza storia, territorio, gusto, e piacere contemporaneo, in un inimitabile equilibrio.

DIVERSAMENTE COLLIO PER IL FUTURO DELLA TRADIZIONE Il futuro appartiene a chi ha il coraggio di essere differente e le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo. La creatività è la capacità di trasformare qualcosa che vive nell’astratto per renderla percepibile. Ciò che è piacevole immaginare da soli diventa stupendo se condiviso, attorno ad un consenso ci sono i sorrisi, c’è la gioia di tanti. Costruire qualcosa di veramente speciale è un’Arte, una sapiente miscela dove ogni elemento è una nota all’interno di una grande armonia. Con la devota passione di chi è nato, cresciuto e vissuto nel territorio, confrontandosi con lo stesso e la sua tradizione, rieccoci a fare ciò che più amiamo. Una nuova, contenuta, raffinata, esclusiva produzione, concepita secondo natura, con eleganza e semplicità, con purezza e genuinità, per sedurre ed emozionare con originalità e tipicità. Dal 1967, attraverso il 2014, Diversamente Collio, per il gusto di bere elegante. A voi scegliere, a noi stupirvi. Il vino prima di essere una bevanda è un’idea

il vino per passione e per lavoro

www.villaparens.com

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Terreno, microclima, vigna, passione. Terreno, microclima, vigna, passione.

Ecco la ricetta ricetta deiEcco vini la Zorzettig. dei vini Zorzettig.


MANGIAVINO Sommario Come l’aria Sottoli

del

Larzac di Federico Magni /p. 12

Confetture

e

del

Campo Incantato di Alessandro Pareschi /p. 16

Il Cabernet Sauvignon di Renzo Zorzi /p. 20 La Ricetta di MangiaVino /p. 26 É

arrivato

I Fasano L’erede

Via Grazzano di Renato Paglia /p. 32

di

di

I Ultins

Mister Dok di Enrico Bertossi /p. 30

Doro di Federico Magni e Giorgio C. Riva /p. 35

di

In Copertina “Vortici Dorati” Foto di Fabrice Gallina

Cjargne - Mario Mulinar di Marco Calzavara /p. 41

Dolci... Liberty di Bruno Cataletto /p. 46 Gianfranco

e il

Segreto

del

Alessandro

e il

Piccolit

di

Sauvignon di Daniele Cernilli /p. 48

Savorgnano di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 52

Soddisfazione Low Cost di Giorgio C. Riva /p. 56 Gli Extravergini Nostrani - Settima Tappa di Alessandro Pareschi /p. 60 L’oro Rosso La Trota

di

dell ’ alto

Livenza - Lo Zafferano di Silvia Martinuzzi /p. 66

Sterpo di Raffaella Nardini /p. 68

43 Jerbis di Federico Magni /p. 71 A Fagioli Ricette

in

Val Resia di Donatella Pezzaioli /p. 74

con i

La Rubrica

Fagioli

dei

di

Resia di Andrea Canton /p. 76

Libri /p. 78

/12

/35

/52

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MANGIAVINO

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MANGIAVINO

COME L'ARIA DEL

LARZAC

di Federico Magni • Foto di Umberto Pellizon

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MANGIAVINO

Dal blu del Mediterraneo, da Montpellier, città

colorata, universitaria, viva, in continua espansione, centro della Languedoc, ci dirigiamo verso i paesaggi del Larzac, nei pressi di Lodève. Il Larzac è una massa di calcare che si estende tra Millau e Lodève, tra l’Hérault, in Languedoc-Roussillon, e l’Aveyron, in Midi-Pyrénées, per quasi mille chilometri, a un’altezza media di settecento metri. In superficie, poca acqua, pochi alberi, pietre ammassate, greggi sparsi, e poi, cielo infinito e aria fresca e fine. Per l’uomo, clima “difficile” in Larzac: secco e molto caldo d’estate; assai ventoso e freddo d’inverno. Elevata escursione termica sui contrafforti del Larzac, intorno ai trecentocinquanta metri d’altezza, ideale per uva e vino della AOC Terrasses du Larzac. Contrassegnato, quest’ultimo, da complessità aromatica e da freschezza e per il clima e per l’ampiezza dell’escursione termica, appunto, che favoriscono la maturazione lenta e progressiva dei grappoli. Caratterizzato, il vino, ovviamente, anche dai terreni argillo-calcarei, e dai “ruffles” e dai “galets” della zona. Nostra meta il Domaine Pas de l’Escalette, a circa 350 metri d’altitudine, che prende il nome dal Pas de l’Escalette, a 616 metri, lungo il vecchio tracciato della strada nazionale n. 9, che segna nettamente la separazione tra l’altipiano del Larzac e la pianura. Oggi, però, si passa per il Tunnel du Pas de l’Escalette, lungo l’autostrada A75, che anche noi percorriamo. Uscita n. 52, Lodève. Poi prendiamo la direzione di Le Cirque de Labeil e seguiamo i cartelli per Domaine du Pas de l’Escalette. I vigneti del Domaine, condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica, in piccoli terrazzamenti per una superficie totale di quindici ettari, con un’età media delle vigne che supera i trent’anni, sono esposti est-ovest. A dominare, incontrastati, i classici vitigni meridionali della zona: grenache, carignan, syrah e cinsault, per i rossi (e il rosato); grenache blanc, carignan blanc e terret bourret, per i bianchi. L’approvvigionamento idrico è assicurato, naturalmente, dalle numerose sorgenti sotterranee. Julien Zernott e Delphine Rousseau sono due giovani intraprendenti e appassionati. Entrambi originari della Loira, altra grande zona di vini, si sono da tempo installati nelle Terrasses del Larzac, insieme ai due splendidi figli, Jules e Gabriel, cui hanno dedicato il vino Les Petits Pas, vivo, fresco, proprio come loro. Julien è un “vecchio” rugbista, dalla stazza imponente e le mani giganti. È di poche parole, ma con un sorriso caldo, e sempre pronto. Ci eravamo già conosciuti, anche con Delphine, in occasione di una “festa”“degustazione” di vignerons amici, di tutta la Francia, a Montpellier, e ritrovarsi è stata una grande gioia. L’accoglienza, neanche dirlo, è calorosa e ricca di assaggi di vini freschi e fini, come l’aria di qui. Siamo a pochi giorni dalla vendemmia, che si preannuncia ottima, e le cose da fare sono molte, ma Julienne e Delphine trascorrono volentieri del tempo con noi. Il pomeriggio è assai caldo, di un caldo molto secco e quindi sopportabile e, al calare della sera, l’aria si rinfresca immediatamente. Questo è il segreto, ci ricorda Julien, prima di accompagnarci a cena nel piccolo bistrot del vicino villaggio, dove ai vini locali sono ottimamente abbinati i piatti della tradizione locale. Sazi, non senza aver invitato Delphine e Julien a venire a trovarci in Friuli, trascorriamo la notte a Lodève, prima di ripartire il giorno seguente.

Julien Zernott

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LE GRAND PAS 2013 Uve: grenache 70%, carignan 15%, syrah 15% - Alc. 13,5% - € 30 Il grande passo, come quello fatto da Julien e Delphine all’inizio della loro avventura in Linguadoca. Rosso rubino intenso a svelare sensazioni già complesse nonostante la giovane età. Si parte con la marasca sotto spirito per poi virare su speziatura di pepe lungo, tabacco da pipa, china e un tocco di resina. Erbe aromatiche essiccate e un’intensa nota di viola a chiudere. Il sorso, avvolgente e profondo come da attese, svela una sorprendente freschezza accentuata da continui ritorni salini e balsamici. Roussillonade (funghi e salsicce grigliati a fuoco di pigna).

LE GRAND PAS 2012 Uve: grenache 70%, carignan 15%, syrah 15% Alc. 13,5% - € 35 Un solo anno di differenza dal vino precedente, ma già ben percepibile dal colore che si fa più profondo e dall’olfatto che si evolve con il frutto e la spezia che diventano più scuri e il balsamico che è quasi di aghi di pino. Il tabacco è in foglia e la grafite ben presente insieme a sferzate iodate. Assaggio lungo, appagante, dalla beva che non ti aspetti se non avessi già assaggiato il 2013 con chiusura che si sviluppa su richiami speziati. Animelle di agnello.

LES CLAPAS BLANC 2013 Uve: grenache blanc 50%, carignan blanc 30%, terret bourret 20% Alc. 12,5% - € 25 I riflessi dorati si fanno più ampi, la frutta è a polpa gialla, susina e mela, e si accompagna a delicate note di biscotti secchi. I fiori sono in leggero appassimento e aumentano i sentori speziati e lievemente fumé. Tutto questo non pregiudica in alcuno modo la mineralità iodata che è senza dubbio il marchio distintivo del Clapas blanc. Il gioco di alternanza tra potenza e delicatezza prosegue durante l’assaggio che non può che essere ripetuto. Grand aïoli.

LES CLAPAS ROUGE 2012 Uve: syrah 50%, carignan 30%, grenache 20% Alc. 13,5% - € 24 Bel rubino guizzante e luminoso. Sa di ribes nero, mora e marasca. Poi di rosmarino, sale Maldon, chicci di caffè e grafite. Ben riconoscibili note di bouquet di fiori secchi, fava di cacao e di tè verde. L’equilibrio tra durezze e morbidezze, con forse una leggera prevalenza per le seconde, connota il gusto. Lo accumuna agli altri assaggi una lunghezza davvero rimarcabile che chiude lasciando il palato pieno di erbe aromatiche. Petto di vitello farcito.


LES PETITS PAS 2014 Uve: syrah 60%, grenache 30%, carignan 10% Alc. 13,5% - € 14 Il vino in onore dei piccoli di casa Zernott e Rousseau, Jules e Gabriel, e, proprio come loro, gradevole, vivace, fresco. Fin dallo splendido color rubino. L’olfatto è un susseguirsi di cassis, lamponi e fragoline di bosco impreziosite da qualche grano di pepe verde schiacciato, cioccolato al latte e mirto. Che dire del sorso, snello, lineare, piacevole, dal tannino appena accennato e attraversato da continui richiami speziati e di frutti di bosco. Pâté in crosta. LES PETITS PAS 2013 Uve: syrah 60%, grenache 30%, carignan 10% - Alc. 13,5% - € 14 Nel 2013 prevale la nota floreale rispetto a quella fruttata in un bouquet di ciclamino, violetta e rosa tra cui si fa strada il ribes nero. Toni sottilmente iodati esaltano la spezia scura e si affiancano a note balsamiche appena accennate ma che conferiscono tipicità. Il sapore è fresco e diffuso e con una freschezza vivificante. La pulizia e la nettezza dei richiami alla nota floreale si fanno ricordare a lungo, giusto il tempo per bere un altro sorso. Filetto di manzo con grattata di tartufo nero del Larzac. LES CLAPAS ROUGE 2013 Uve: syrah 50%, carignan 30%, grenache 20% - Alc. 13,5% - € 20 Julien lo definisce la sua cuvée meridionale. Ma non pensiamo al vino meridionale “importante” e pieno, quanto piuttosto a profumi di piccoli frutti rossi in macedonia, alla polpa e al succo della ciliegia, a un floreale intenso di glicine, alla macchia mediterranea di erbe aromatiche, sale e roccia spaccata che pervade anche il palato a evidenziare una corrispondenza, floreale e fruttata, da manuale. Escargot in fricassea.

LES CLAPAS BLANC 2014 Uve: grenache blanc 50%, carignan blanc 30%, terret bourret 20% Alc. 12,5% - € 25 Vigne vecchie di vitigni “storici” del Languedoc donano un colore paglierino brillante con riflessi dorati. Intenso ed espressivo, si svela su sensazioni di pesca nettarina, mela granny, scorza di cedro, mandarino, poi fioriture primaverili, bacche di ginepro e una nota ben presente di mineralità che è sia marina che rocciosa. Appagante e al contempo nervoso, si allunga fresco e sapido invogliando alla beva. In ultimo a nettare il palato torna il sale. Brandade (simile al baccala mantecato).

DOMAINE DU PAS DE L’ESCALETTE Le Champ de Peyrottes 34700 Poujols T. +33 6 73843589 www.pasdelescalette.com 17


MANGIAVINO

SOT TOLI E CONFET TURE

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DEL CAMPO INCANTATO di Alessandro Pareschi

Foto di Alessandro Pareschi

I

ricordi contadini e l’essenzialità contemporanea si mescolano nei prelibati sottoli di Francesca Ruffini, ambasciatrice dei prodotti orticoli della pianura friulana. Perfezionista incallita, Francesca da sempre si dedica alla valorizzazione dei prodotti genuini della sua terra, in particolare dell’asparago bianco di Tavagnacco. Fiore all’occhiello dell’anfiteatro morenico friulano, dalle caratteristiche uniche grazie ai terreni e al microclima dell’area. Francesca, oggi coadiuvata dalla figlia Elena, dal 2000 si dedica all’arte della trasformazione degli ortaggi con lo scopo di renderli fruibili tutto l’anno. L’azienda si fonda su alcuni principi cardine che ne hanno decretato il meritato successo: coltivazione degli ortaggi e dei frutti a basso impatto ambientale e una notevole riduzione dei trattamenti e delle concimazioni. La trasformazione dei prodotti è assolutamente naturale, non prevede l’utilizzo di conservanti e segue ricette antiche trasmesse dalle precedenti generazioni. Oltre alla ricerca della qualità e dell’integrità della materia prima, Francesca e Elena rispettano al massimo tutti i processi produttivi per ottenere sottoli di carattere, croccanti e delicati. Il segreto è cuocere ogni ortaggio per conto proprio e assemblarli prima di invasarli. Importante, per un buon risultato, è anche l’olio impiegato; differente per ogni tipo di ortaggio lavorato. Di girasole, per esaltare le tenui sensazioni degli ortaggi o delle verdure più delicate, ed extravergine friulano per quelli più saporiti e consistenti. Assolutamente da provare le punte di asparagi bianchi, leggermente acidificati, dal caratteristico sapore intenso e dal finale piacevolmente amarognolo. Perfetti in abbinamento con un piatto di affettati di casa e un calice di Friulano o di Ribolla Gialla spumante. Ultime nate in casa Ruffini, le salse da accompagnare ai formaggi, i pomodori verdi ripieni, la crema pizzichina e i sali aromatizzati alle erbe dell’orto di Francesca.

IL CAMPO INCANTATO Via Leonardo da Vinci, 20 33010 Tavagnacco (UD) T. 0432 661057 - 335 5770981 ilcampoincantato@libero.it

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MANGIAVINO

IL CABERNET SAUVIGNON PROFUMO DELL’ORTO di Renzo Zorzi • Foto di Fabrice Gallina

Ho sempre pensato che il vino ottenuto dall’omonima uva abbia un legame speciale con la terra e i suoi prodotti, in particolare quelli dell’orto. Profumi delle erbe estive, di violetta o di rotondi frutti come il peperone, appartengono alle sue caratteristiche odorose più comuni.


C

hiare, ma non troppo, le sue origini. Quelle moderne appartengono certamente alla Francia ma le radici sono lontane. “Questo vitigno insieme con altri come il cabernet franc e il merlot proviene dal Bordolese, regione a Sud-Ovest della Francia, dal circondario della Gironda. Probabilmente è il vitigno Biturica, descritto da Columella e Plinio originari di Durazzo, da cui il nome Vidure. Un’altra ipotesi che ha però molti aspetti in comune con l’origine del vitigno dall’Epiro è quello che lega il nome Cabernet al suo corrispondente guascone Cabornet ed infine alla Vitis carbunica di Plinio, traduzione latina del vitigno (e del vino) greco Kapnios” (Vitigni d’Italia, Calò, Scienza, Costacurta -1991). Oggi il vitigno è diffuso in tutto il mondo e rappresenta un interessante oggetto di confronto tra le migliori zone vitivinicole internazionali. “L’aspetto forse più eccezionale del Cabernet Sauvignon è la sua adattabilità, la capacità di mettere radici in terre lontane continuando a dare vini riconoscibili, quali che siano le condizioni climatiche. Ciò che lo rende particolare al gusto non è tanto il peculiare sapore fruttato – che è pure paragonato spesso al mirtillo, mentre gli aromi ricordano il peperone verde – quanto la struttura e la capacità di esprimere perfettamente le caratteristiche di ogni singola annata, le tecniche di vinificazione e le condizioni fisiche locali, insomma il terroir” (Guida ai vitigni del mondo – Jancis Robinson – 1996). Interessante è anche il punto di vista, di quasi un secolo prima, riguardante le peculiarità del vitigno: “Il cabernet sauvignon è estesissimo nella Gironda, dove entra nella composizione di quasi tutti i crus rossi. Dà un vino colore vivo e brillante, un po’ duro nei primi anni, ma che invecchiando acquista finezza” (I vitigni stranieri da vino coltivati in Italia - Mondini - 1903). Sempre il Mondini spiega perché fu definito sauvignon: “il Guyot, fra i vitigni del Médoc, dà il primo posto al Cabernet sauvignon e rivela che esso è così chiamato perché somiglia molto, nelle foglie e nel legno, al Sauvignon bianco e quasi occorrerebbe aspettar la maturazione delle uve per distinguere questi due vitigni”. In Italia, precisamente nell’Alessandrino, il primo a coltivarlo fu il conte Manfredo di Sambuy nel 1820. Entra in Friuli verso la metà del 1800 si presume importato dal conte Theodor Karl Leopold Anton de La Tour. “Il Congresso di Gorizia del 1891 ne consigliò in maniera decisa la diffusione, in quanto – riesce benissimo, sia per qualità che per quantità, nelle parti più basse del Collio e della Valle del Vipacco … e riesce altrettanto bene pur nei terreni alluvionali e persino nelle terre magre del Friuli … Noi non sapremo consigliare miglior vitigno per vini fini neri –“ (Il Friuli Venezia Giulia e i suoi Grandi Vini - Filiputti - 1997). Ma anche l’illustre studioso, nonché lui stesso viticoltore, Gabriele Luigi Pecile già nel 1863 spendeva parole a favore dei risultati eccellenti che questo vitigno poteva dare in Friuli. “Che i colli di Buttrio, di per mo’ di esempio, i terreni sabbiosi e asciutti del basso Friuli potessero produrre del vino di Bordeaux, introducendo le viti ed adottando il sistema di coltura del Médoc? O veramente il sole che riscalda i colli e i piani del Bordolese è differente del nostro? …” (La Vite nella storia e nella cultura del Friuli - Costantini, Mattaloni, Petrussi – 2007). Uva diffusa in tutte le aree Doc del Friuli Venezia Giulia. I risultati sono eccellenti. Complessivamente 800 sono gli ettari vitati; poco meno del refosco dal peduncolo rosso (850) e più del pinot bianco (550). È un vitigno a bacca nera. La foglia è media, pentagonale, quinquelobata. Pagina superiore glabra e quella inferiore aracnoide. Lembo piegato a coppa. Il grappolo è medio piccolo, cilindrico, piramidale, alato e abbastanza compatto. L’ acino è medio, sferoidale. La buccia è consistente e spessa, molto pruinosa, di colore blu scuro. Sapore amarognolo è astringente. Buona resistenza alla peronospora e alla botrite. Germoglia tardivamente. Il vino è rosso rubino intenso tendente al violaceo, vira al granato nell’invecchiamento. Profumo intenso, fruttato di mirtilli e lampone, peperone verde, erbaceo. Sentori complessi, speziati e di viola nell’invecchiamento. Ottimo il corpo, leggermente tannico ma armonico. Spesso è vinificato assieme al Cabernet Franc per ammorbidire i tratti selvatici di quest’ultimo, dando luogo al vino Cabernet.

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FLAVIO PONTONI Cabernet Sauvignon 2013 Alc. 13% - € 8 Intensa e profonda tonalità di rosso rubino. Il profumo incide con note concentrate di confettura di frutta rossa, sottobosco, spezie scure, humus e polvere di cacao. All’assaggio l’iniziale morbidezza è vivacizzata da un tannino ancora ruspante che rende il sorso deciso, penetrante e gradevolmente amarognolo. Fettuccine con battuta di lardo.

MUZIC Collio Cabernet Sauvignon 2013 Alc. 13,5% - € 15 Rosso rubino acceso con bordatura fiammeggiante. All’olfatto note croccanti di prugne e amarene sotto spirito si combinano con sentori di spezie dolci, erbe provenzali, viole appassite e cioccolato. Un tannino smussato e morbido ma ancora vivace esalta la freschezza e regala un sorso esuberante e balsamico. Costine di maiale alla brace.

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SAN SIMONE Friuli Grave Cabernet Sauvignon Nexus 2011 Alc. 13,5% - € 14 Rosso granato vivace e profondo. Corredo olfattivo esuberante con note erbacee e speziate cui fanno seguito sentori di tabacco, bacche di ginepro, inchiostro, carruba e grafite. L’assaggio è ricco, sapido, avvolgente, sostenuto da tannini vivaci e progressivi che contribuiscono all’equilibrio e alla piacevolezza della beva. Cosciotto di capriolo in crosta di pane.

MARCO FELLUGA Collio Cabernet Sauvignon 2012 Alc. 13,5% - € 12 Rubino fitto al centro e granato sul bordo. Intense folate di viola, rosmarino, fieno secco, mirto, liquirizia e confettura di frutta rossa seguite da sbuffi di caffè, polvere di cacao, rabarbaro e piretro. Tannini vellutati e sentori speziati completano l’eleganza del sorso che chiude con lievi accenni di tostatura. Faraona al forno con ristretto al balsamico.

SANT’ELENA Cabernet Sauvignon 2011 Alc. 13% - € 17 Rosso granato con bordo vivace e cuore cupo. Note speziate di pepe nero e chiodi di garofano introducono l’olfatto; subito seguite da sentori di tabacco, cioccolato fondente, visciole sotto spirito, muschio, grafite e legno arso. L’equilibrio gustativo è merito del perfetto connubio tra morbidezza e vellutata tannicità. Gulasch.


BLASON Cabernet Sauvignon 2013 Alc. 13,5% - € 18 La bella tonalità del rosso rubino fitto è un gradito invito all’assaggio. L’approccio al naso è articolato e coinvolgente. A una fragrante mineralità ferrosa e a note fruttate di more di rovo, fanno seguito cenni di china, rose appassite, rabarbaro e tabacco da pipa. Tannini giovani conferiscono vivacità e freschezza al sorso. Lumache in umido con polenta.

TORRE ROSAZZA Friuli Colli Orientali Cabernet Sauvignon 2013 Alc. 13,5% - € 13 Sfumature granate contornano un nucleo ancora rubino. Deciso ed esuberante al naso. Fruttato ed ematico, con note minerali e terrose di humus, sottobosco, funghi e folate di muschio. Note di cannella e polvere di caffè completano l’olfatto. Invitante all’assaggio, avvolgente, sostenuto, fresco, vellutato e balsamico. Ravioli al ragù di cortile.

LA TUNELLA Friuli Colli Orientali Cabernet Sauvignon 2013 Alc. 13% - € 13 Scintillante rosso rubino con riflessi purpurei. Al naso propone fresche note fruttate di lamponi e fragoline di bosco subito accompagnate da sentori di tabacco biondo e da una elegante spolverata di cannella e lievi tostature. Un vivace tannino esaltato dalla freschezza regala un sorso esuberante, asciutto e promettente. Spezzatino di pezzata rossa.

BORGO JUDRIO Cabernet Sauvignon 2014 Alc. 13% - € 14 La vivacità del rosso rubino intenso gli dona un aspetto invitante e prelude a sentori fragranti e fruttati che subito conquistano l’olfatto. Amarene e frutti di bosco aprono il percorso a note minerali di gesso e grafite sotto un velo di spezie dolci e sbuffi balsamici. La beva è franca, corrispondente, fresca e succosa. Fagioli con le cotiche.

CASTELVECCHIO Carso Cabernet Sauvignon Dileo 2011 Alc. 14% - € 28 Nota cromatica rosso granato dal cuore cupo e bordo cangiante. Il profumo è caratterizzato da un susseguirsi di intriganti note fruttate di amarene e prugne secche accompagnate da suggestioni di cioccolato fondente, tabacco, cuoio e legno di cedro. Una fitta mineralità ferrosa segna l’assaggio e gratifica la lenta chiusura. Agnello alla Villeroy.

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(Re)imagining Wine

www.levignedizamo.com


(RE)IMAGINING CREATI VIT Y


La Ricetta di

MangiaVino

L'ORZOT TO DI TRUSSIO MANTECATO CON LA SUPREMA D'ALZAVOLA Chef: Anna Tuti • Foto di Umberto Pellizon

Per 4 Persone 200 gr di orzo di Trussio - 2 petti senza pelle di alzavola - 20 gr di olio extravergine di oliva del Collio 1/2 bicchiere di vino bianco Friulano - 3 dl di brodo vegetale - 50 gr di burro d'alpeggio 50 gr di Parmigiano Reggiano di 30 mesi - 6 bacche di ginepro - 4 chiodi di garofano - sale e pepe q.b. 1 rametto di rosmarino - 1 ciuffo di salvia - 1 rametto di alloro

Mettere a bagno l’orzo per circa un’ora, poi farlo bollire per 20 minuti in acqua salata. Scolare e lasciare riposare. Tagliare i due petti dell’alzavola a pezzetti, scottarli in una padella con l’olio d’oliva, gli aromi e le spezie. Tostare bene e poi sfumare il tutto con il vino bianco. Al termine della cottura, aggiungere l’orzo e il brodo, a secondo del bisogno. Portare il tutto alla mantecatura con il burro e il parmigiano.

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VENICA & VENICA Collio Malvasia Pètris 2014 - Uve: malvasia istriana 100% - Alc. 12,5% - € 17 Luminoso giallo paglierino. Ventaglio odoroso, complesso e di rara eleganza. Erbe aromatiche, crema al limone, pesca bianca, mela annurca, frutta secca. La mineralità marina e leggermente fumé chiude il percorso. Ottima corposità. Avvolgente e ben proporzionato nella freschezza che rende perfetta la lenta beva. Il finale è aromatico, con netti ritorni floreali e fruttati. Rovere grande e acciaio per 7 mesi.

KANTE Sauvignon 2009 - Alc. 12,5% - € 32 Giallo paglierino vivo. Naso complesso e finissimo che richiama il territorio. Resine di pino, roccia spaccata, brezza marina. Si aggiungono macedonia di frutta a pasta bianca, biscotti agli agrumi, zenzero candito, coriandolo e foglie di tè. Raffinato, intrigante, sapido e succoso. Bilanciato alla perfezione. Si congeda con lentezza e continui rimandi. Fermenta in barrique, poi 4 anni nell’acciaio.

LIVON Collio Friulano Manditocai 2013 - Alc. 14,5% - € 22 Sfavillanti riflessi dorati. Profumi complessi e intensi. Legno di sandalo, frutta secca, cera d’api, miele millefiori, incenso, frutta tropicale, fieno di montagna, tabacco dolce, fiori d’arancio, leggero boisé e salsedine. La sostenuta freschezza agrumata bilancia il sorso avvolgente e glicerico. Beva interminabile con ricordi fruttati. Vinificato in legno e parte in acciaio, poi barrique per 8 mesi.

IL CARPINO Bianco Exordium 2011 - Uve: tocai friulano 100% - Alc. 14% - € 28 Giallo dorato luminoso. Naso di grande eleganza. Frutta esotica, albicocca sciroppata, agrumi canditi, scorza d’arancia essiccata. Miele d’eucalipto, frutta secca tostata, tabacco da pipa, incenso, alloro e cera d’api. La piena morbidezza, sorretta da vivace freschezza, rende il sorso equilibrato e quasi beverino. La sapidità iodata conduce il finale su temi mielati e speziati. Rovere di Slavonia.

LA SCELTA DEL PATRON GIORGIO TUTI JERMANN Bianco Capo Martino 2013 - Uve: malvasia istriana 25%, picolit 25%, ribolla gialla 25%, tocai friulano 25% - Alc. 13,5% - € 41 Paglierino molto luminoso. Olfatto fuso ed eccellente. Mela golden, kiwi, erbe aromatiche, fiori di lavanda, fioriture estive, cannella, vaniglia ed effluvi balsamici e minerali. Setoso e avvolgente, sorprende nella beva per il grande equilibrio dato da finissima sapidità e mineralità. Lentissima la chiusura: spezie dolci e sbuffi adriatici. Vino senza tempo. Matura nel rovere di Slavonia per 12 mesi. CASTELLO DI TRUSSIO DELL’AQUILA D’ORO Località Trussio 13 34070 Ruttars (GO) T 0481.61255 aquiladoro@tin.it 29


MANGIAVINO

LA STORIA DEL VINO FRIULANO IN UNA VECCHIA R E N A N A

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L

’I-phone, tecnologico quanto tenace e inesorabile compagno, emette un breve trillo. Inconfondibile segnale che qualcuno, forse un amico, ha lasciato un messaggio. È Roberto Pighin. La voce è squillante, come sempre. Il tono è emozionato. Parla veloce e salta i preamboli. “Ciao. Ho bisogno di parlarti, anzi di vederti. Devo mostrarti una cosa bellissima, l’ho trovata con mio padre quasi per caso, era nascosta tra le vecchie bottiglie della cantina storica dell’azienda ma non ci eravamo resi conto subito del suo valore. Chiamami appena puoi!”. L’imperativo messaggio non mi lascia altra possibilità; la verità è che sono davvero incuriosito e, conoscendo Roberto, sono certo che dietro c’è qualcosa di speciale e d’intimo.

I

l giorno successivo sono da lui. “Ciao, – Roberto mi accoglie con la gentilezza che lo contraddistingue - scusa se ti ho lasciato un frettoloso messaggio ma volevo condividere questa bella scoperta”. Ci accomodiamo nel suo ufficio: uno spazio vissuto appieno, zeppo di libri, riviste, foto storiche e un planisfero alle pareti, appunti qua e là. Stranamente il tavolo delle riunioni è sgombro. Al centro una bottiglia, una renana. Apparentemente antica. “Eccola! Pensa, cosa si realizzava già nella nostra regione ottant’anni fa!”. Roberto la solleva con cura e mi mostra l’etichetta in cui si legge chiaramente: Amministrazione Conti Agricola Risano di Pavia di Udine – Pinot Grigio 1935. Rileggo, si, 1935! “Quando io e mio padre Fernando l’abbiamo vista – prosegue Roberto – abbiamo provato una grande emozione. Ci siamo sentiti orgogliosamente parte integrante della continuità della storia friulana del vino. Prima di noi qui c’era una gestione pluricentenaria di una famiglia nobile friulana che dalla metà del ‘600 coltivava la vite nella piana di Risano, e negli anni trenta del secolo scorso, forse già prima, imbottigliava ed etichettava il vino che da sempre rappresenta una grande bandiera del Friuli: il Pinot Grigio! Questa bottiglia testimonia che il Friuli Venezia Giulia ha accolto questo vitigno facendolo diventare un tutt’uno con il territorio, tanto che oggi possiamo considerarlo un autoctono! E lui, ha immediatamente ricambiato quest’affetto regalandoci complessità, eleganza e longevità che sono impossibili da trovare altrove!”. Una breve pausa, guardo Roberto e rifletto sulla sua ultima frase. “Hai ragione, - ribatto - questa bottiglia ha un valore storico immenso! Il Friuli non è come certi luoghi, che sono un fenomeno mediatico recente, dove si è piantato la vite solo per business o per moda, ma è un’antica e autentica terra del vino!”. Pighin, con questa piccola grande sorpresa, ha trasmesso anche a me un po’ di emozione. La cordialità, vera, dell’interlocutore m’induce a trattenermi a lungo per un sincero e concreto scambio d’idee. Si parla della collina e della pianura, di come Risano sia sempre stata terra di vini, e poi ancora, dei vecchi contadini viticoltori che “sapevano dove piantare” perché lì, e solo lì, i risultati sarebbero stati certi, anzi ottimi; di come sia necessario valorizzare questi antichi e vocati territori. Capisco così, una volta in più, il desiderio che molti produttori regionali, e Roberto tra loro, manifestano nel voler tutelare il Pinot Grigio friulano! Percorro lentamente, nel ritorno, il zigzagante tratto di strada che incide i vigneti di proprietà che circondano l’azienda. I filari curati, ben allineati, riposano silenti nella lunga attesa che precede il risveglio primaverile. Fermo l’auto e scendo. Osservo e rifletto. La sensazione che ricavo è netta e mi riporta dritto all’immagine di quella vecchia renana di Pinot Grigio che ha sfidato i decenni. La consapevolezza di coltivare una terra vocata, la responsabilità di una storia importante, la volontà di proiettarsi nel futuro: tutto questo parla di una famiglia che vive nel territorio e di territorio. R. Z.

PIGHIN Viale Grado, 11/1 Frazione Risano 33050 Pavia di Udine (UD) T 0432.675.444 Fax 0432.675.999 info@pighin.com www.pighin.com


“È ARRIVATO MISTER !DOK” i tempi cambiano ma la qualità resta di Enrico Bertossi • Foto di Bepi D’Affara

Carlo Dall’Ava


MANGIAVINO I

l grande intellettuale francese del ‘700 Jean Anthelme Brillat-Savarin amava dire che “gli animali si nutrono, l’uomo mangia e solo l’uomo intelligente sa mangiare”. In questo concetto si racchiude la filosofia che ispira da sempre il lavoro di Carlo Dall'Ava, dinamico cinquantenne di San Daniele, poche chiacchiere e tanto lavoro, che ha saputo trasformare il prosciuttificio DOK DALL' AVA in una sofisticata macchina del gusto che si rivolge alle persone che sanno mangiare e che spazia dalle prosciutterie ai prodotti da forno di qualità, dai prodotti da affettare derivati dal maiale e dal manzo ai negozi ricchi di prodotti che fanno la gioia dei gourmet. Ricerca e scelte estreme in nome della qualità, una sensibilità creativa e un'idea personalissima di intendere il prosciutto locale hanno portato Carlo Dall'Ava ad arricchire la gamma dei crudi. Accanto al San Daniele Dop si sono aggiunti il Fumato (un San Daniele di 16 mesi smarchiato e sottoposto a un'affumicatura naturale leggera, con un bellissimo equilibro di dolce, sapido, fumo e spezie) e i prosciutti realizzati con cosce provenienti da maiali di antiche razze rustiche allevati a ghianda ma lavorate come un San Daniele: il Patadok (dal suino nero iberico), il Nebrodok (da nero dei Nebrodi), Hundok (da mangalica, razza rustica originaria dell'Ungheria e lì allevata) e, ultimo nell'assortimento dei crudi cru, il Basidok (da nero lucano). Sono prosciutti dal sapore e dagli aromi più intensi, profondi e persistenti, con una quantità di grasso superiore ma di una qualità diversa, più gustoso e solubile. In particolare l'Hundok, stagionato 16 mesi, scuro e con una splendida marezzatura, ha un profumo dolce e ricco di note tostate e vanigliate, richiami al bosco, alla crosta di pane, al pomodoro maturo; il palato è complesso e leggermente sapido, con un'avvolgente aromaticità, una consistenza pastosa e un grasso burroso. Taglia i prosciutti rigorosamente a mano e, per insegnarlo, ha aperto una scuola: il primo “PROSCIUTTO LEARNING CENTER” del mondo dove chi vuole può imparare tutte quelle cose che servono per fare, tagliare e mangiare un prosciutto. Carlo Dall’Ava – figlio di Natalino e Paola Dall’Ava che fondarono la Dok Dall’Ava nel 1982 – è un innovatore. Nel 1992 riduce il numero di prosciutti prodotti e ne allunga la stagionatura: punta sull’esasperazione della qualità. Si rifiuta di vendere alla grande distribuzione. I fatti gli daranno ragione. Quindi crea una catena di punti vendita la cui svolta

avviene nel 2010, con l’apertura della nuova prosciutteria a San Daniele collegata allo stabilimento, per intercettare e coinvolgere il consumatore nelle varie fasi di lavorazione. Oltre alla prosciutteria DOK Dall’Ava di San Daniele negli anni sono nati nuovi locali in diverse città, tutti caratterizzati dal rispetto della materia prima, esaltata senza elaborazioni ed aggiunte. Le prosciutterie vantano la caratteristica di poter produrre la maggior parte dell’offerta nelle proprie aziende e di reperire altri prodotti in aziende amiche che seguono gli stessi principi del gruppo DOK Dall’Ava. Pochi mesi fa è nata, sempre a San Daniele, la nuova proposta Jonny Luanie che apre allo street food: hamburger di fassona piemontese, salsicce senza spezie, pizze con farina macinata a pietra, pomodoro di Gragnano, burrata pugliese o mozzarella di bufala campana, acciughe siciliane, capperi di Pantelleria, olive taggiasche. «Jonny Luanie – spiega Carlo – nasce della ferma convinzione che molte pizzerie utilizzano ingredienti di bassa qualità. La guerra sul prezzo al ribasso comporta un livellamento del gusto e uno scarso potere nutritivo. Abbiamo cercato - precisa - partendo dalla lievitazione naturale di farine scelte, di fare un pane genuino e fragrante che regali delle emozioni senza creare problemi di digestione». Il pane..e non solo...Partono infatti dalla profonda provincia friulana e arrivano alle vetrine europee di Londra e Parigi. Questa è la strada che percorrono i panettoni e tutte le creazioni di Sergio Pontoni Junior: chef, pasticciere e guida di Dall’Ava Bakery, il ramo dedicato alla panificazione di Dok Dall’Ava. Un’avventura nata dopo un incontro con Carlo. Bastano poche parole e tante buone intenzioni. Subito la volontà reciproca di proporre dolci, lievitati, grissini e prodotti salati per i locali aziendali e per selezionate e prestigiose vetrine gastronomiche nazionali e internazionali. Tanta serietà e voglia di fare hanno lasciato il segno non solo sul successo aziendale ma anche nella considerazione e stima di cui gode in Italia e nel mondo. Carlo Andrea Dall’Ava (si chiama così per i sacri testi ufficiali) nel 2013 viene nominato console onorario della Federazione Russa a Udine, riconoscimento per pochi eletti e di grandissimo prestigio. Se la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda non risalissero a oltre cinque lustri fa Carlo potrebbe finire sui giornali di tutto il mondo come icona della riappacificazione: l’unico console russo nel mondo che gira in Harley Davidson, porta i Ray Ban scuri e veste in jeans.

PROSCIUTTIFICIO DOK DALL’ AVA Via Gemona, 29 33038 San Daniele del Friuli (UD) T 0432.957335 www.dokdallava.com 33


I FASANO

DI VIA GRAZZANO di Renato Paglia • Foto di Raffaele Guerra

Michael e Cristian affiancano ormai da tempo il padre Roberto nella quotidiana fatica, in stagione, di preparare fondi di carciofo -scavati e no-, cardi, cicoria cimata e puntarelle (come a Roma), minestrone e misto cotto, friarielli, etc.


I

n via Grazzano, una via che ancora ce la fa a mantenere “botteghe” e perlomeno un po’ d’atmosfera di una “popolare” Udine di altri tempi, al civico 42, il negozio di vendita di frutta e verdura al dettaglio esiste dal 1954. Maria Fumolo, zia di Guido, papà di Roberto, nonno di Michael e Cristian, l’aprì in quell’anno. Dopo di lei, dal ’70, il nipote Guido, appunto, e, successivamente, i simpatici fruttivendoli, padre e figli, che vi troviamo oggi. Tra le cassette impilate ad arte, sul marciapiede della via fuori dal negozio, di frutta e verdura nostrana, di produzione nazionale, mercati permettendo, in ogni caso dei migliori produttori e con doveroso riguardo alla stagionalità, spicca un cartello “SPECIALITÀ FUNGHI DI BOSCO”. Quando è stagione di funghi nei più rinomati luoghi di raccolta, qui è un trionfo di quelli di bosco, porcini splendidi e meravigliosi gialletti, soprattutto. Molti sono anche i “professionisti” della ristorazione che si rivolgono ai Fasano, sapendo di trovare qui, senza tante dispendiose ricerche altrove, il top dell’offerta dei mercati per quanto i funghi di bosco freschi. A prezzi “corretti”. I Fasano, come già fatto cenno, propongono anche frutta e verdura con un servizio, particolarmente oggi apprezzato, di loro preparazione sì da poterle cucinare o servire anche solo dopo un semplice risciacquo. Offrono, inoltre, delle “particolarità”, anche per dei regali. Ad esempio ora è il momento dei caschi di pomodorini piennolo dei Monti Lattari e delle casse regalo di aglio bianco. L’esposizione di frutta e verdura prosegue all’interno del “piccolo” negozio, in ogni angolo possibile dello stesso. C’è sempre “ressa”, ma “divertente” –il bello di far la spesa-, anche perché sono quattro le persone che sono a disposizione per servirvi al meglio.

FASANO ROBERTO Via Grazzano, 42 33100 UDINE T. 0432.295426

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MANGIAVINO

Doro Princic

L'EREDE DI DORO Di Federico Magni e Giorgio C. Riva

L’appuntamento questa volta è da Sandro, Alessandro Princic, per le 18.00, nella bella e accogliente casa accanto alla cantina, tra il verde e le vigne, in

Pradis di Cormons. 37


MANGIAVINO Nasce dal desiderio, di Renzo e

nostro, di incontrare, a casa sua, nella sua sfera familiare e amicale, un vero, orgoglioso, contadino “nobile” del Collio, com’era suo padre Doro (tutt’ora in etichetta) – un precursore, un faro e un mito per tutti, qui-, per degustare, informalmente, e parlare, insieme, di questi vini, semplici e ricchi, espressione del lavoro in vigna e di Pradis. Giungiamo sul posto e siamo accolti da Grazia, la moglie di Sandro, ospite meravigliosa. Mario, il loro cane, scodinzola. Sandro, ancora un po’“segnato” da investimento mentre lo portava a passeggio, compare e va direttamente in cantina. Renzo ci avverte che è bloccato a Trieste. Cercherà di liberarsi, ma sarà difficile. Fabrice sta suonando alla porta. Si può “partire”. Sandro si presenta con un numero imprecisato di bottiglie, già in temperatura, e di bicchieri tra le mani e avvia subito una Berkel. Cominciamo a stappare mentre ci accomodiamo al grande tavolo, vista “camino”, di fronte alla porta d’ingresso. Di bere vini “vecchi”, da Sandro, non se ne parla. Non perché non sopportino meravigliosamente l’invecchiamento, anzi, ma perché, semplicemente, finiscono subito. Gran parte venduti e buona parte bevuti da Sandro con i suoi amici più cari o anche solo con chi, innamorato dei suoi vini, viene a fargli visita da lontano. È una generosità tutta contadina quella di Sandro, che viene dalla sua terra di nascita e che conosce come pochi altri. Apparentemente burbera, ma ricchissima e sincera.

Partiamo con il 2014, annata difficile, ormai lo sanno anche i sassi. Sandro non lo nega, anzi, ma, pur essendo un finissimo vigneron, non si lancia in analisi dettagliate di climi e rese e vinificazioni semplicemente perché, qui, tutto è molto “naturale”, dai tempi di Doro, da sempre. Preferisce lasciar parlare il vino che è ormai nei grandi bicchieri sparpagliati sul tavolo.

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Sandro Princic

Foto di Fabrice Gallina


Malvasia 2014. Quasi indescrivibile per nobile “semplicità”. Plastica dimostrazione che la classe e il duro lavoro emergono anche in annate per nulla memorabili. C’è sale in tutte le sue forme, marino, in cristalli, aromatizzato alle erbe, e poi pera sciroppata e polpa di pesca bianca. Il caprifoglio chiude perfettamente il cerchio. Teso ma avvolgente, fresco e al contempo solare. Interminabile. Ci guardiamo con Fabrice, ben consapevoli di aver appena assaggiato qualcosa di grande. Sandro sorride sotto i baffoni grigi. Gli occhi, svegli e mobilissimi, si spostano sui nostri volti, e, con un’alzata di spalle, dice “beh, non è male, no?”, detto con l’umiltà di chi, pur consapevole delle proprie capacità, ascolta e fa tesoro del giudizio degli altri. È una bomba, gli diciamo in coro. E con tutti i salumi che Grazia ha appena portato in tavola sta che è una bellezza. Ci riempiamo i bicchieri con un secondo giro di Malvasia, d'altronde -lo abbiamo dichiaratola degustazione è informale, mentre Sandro chiede dell’andamento dell’Associazione, di Vitae, giunta alla seconda edizione, facendo la spola tra il tavolo, la Berkel, la cucina da cui provengono profumi decisamente invitanti e il “camino”, per accendere bene il fuoco. Renzo, con la “morte” nel cuore, ben consapevole di cosa si sta perdendo, ci avverte di non poterci raggiungere. Brindiamo allora al Presidente con un Friulano, sempre 2014, che ha una peculiare nota di uva spina che si accompagna a pesca bianca e alle sempre presenti brezze marine, subito seguito dal Pinot Bianco, stessa annata, tutto giocato su finezza e verticalità anche se già si intravede una capacità evolutiva senza limiti. La sapidità è filo conduttore importante nei vini bianchi di Sandro, che vedono tutti solo acciaio, a prescindere dall’annata. Dà loro energia e dinamismo, conferma Sandro, è la colonna vertebrale che tiene in piedi la struttura. E cosa dire dell’abbinamento proposto dai nostri ospiti. Canoce, appena appena scottate, portate a Sandro da un amico pescatore gradese. Difficilmente, concordiamo, sarà possibile mangiarne di migliori. Ci apprestiamo ad affrontare il Pinot Grigio quando arriva il figlio dello storico amico -Egidio, detto il Ribel- del padre di Sandro, Roberto Picech, che, passando per di qui, visto il “movimento”, ha deciso di entrare a salutare. La casa di Sandro e Grazia è un porto di mare e, nel corso della lunga serata, altri amici “busseranno”. Il Pinot Grigio 2014 colpisce per linearità, pulizia e per lunghezza, davvero notevole. Il fuoco nel camino ha preso vigore e cominciano a formarsi delle assai promettenti bronze. Fabrice scatta mentre continuano gli assaggi. Ribolla e Sauvignon, ancora 2014, mazzetti di erbe aromatiche fresche, appena colte. Una beva straordinaria. Sandro si assenta per qualche minuto, è andato a prendere il ’13, e facciamo quattro chiacchiere con Roberto, che ci racconta del rapporto tra i padri, suo e di Sandro, due uomini senza compromessi, grandissimi lavoratori capaci di grandi slanci di generosità e bontà. Il legame strettissimo tra padri e figli lo si vede dalle etichette. “Doro Princic” è scritto sui vini di Sandro; “Le Vigne del Ribel” su quelli di Roberto. Sandro torna con tutto il 2013 e con un assaggio, in anteprima, di 2015, puro succo d’uva, che si potrebbe già bere a litri. Prima di aggredire l’annata “vecchia”, una bottiglia di Champagne, per “sgrassare”. Non c’è nulla da dire, Sandro sa come prendersi cura di ospiti e amici. Il 2013, gioco forza, ha complessità superiore rispetto al 2014. A esaltarci è il Pinot Bianco, tripudio di nobili sentori floreali di ginestra, cui seguono agrumi e spezie accompagnati dalla immancabile sapidità marina. Un’eleganza unica. Chi si concede il bis di Pinot Bianco, chi torna col naso –e con la boccasui ’14 ormai “aperti”, mentre Grazia finalmente si siede con noi e Mario, il cane, che riceve da tutti un po’ di cibo, è al settimo cielo. Una sorta di caos controllato in cui tutti parlano e tutti vengono ascoltati. Le bronze sono sufficienti per scaldare bene la griglia e cuocere un branzino super. Bastano pochi minuti ed è in tavola, dove gli si fa spazio levando un po’ di vuoti e aprendo altre bottiglie del 2013: Malvasia che sa di sale affumicato e che non chiede altro che di essere bevuta su un pesce del genere. Poi il Friulano, resinoso e balsamico, il Sauvignon, complesso e armonioso, che vi invitiamo, se ne avrete la possibilità, a riassaggiare tra qualche anno, e la Ribolla, che ci pulisce il palato con la sua macedonia di agrumi. Nessuno ha il coraggio di guardare l’ora. Sandro è più sveglio di un ragazzino e Grazia porta il dolce, fatto da lei, ovviamente. Squisito. Il commiato è sincero come lo è stata tutta la serata. Tanto sappiamo tutti che ci rivedremo presto da Sandro e Grazia.

DORO PRINCIC Località Pradis, 5 34071 CORMONS (GO) T. 0481.60723 doroprincic@virgilio.it 39


QUATTRO CHIACCHERE CON I TITOLARI DELLA CANTINA incominciamo dall’inizio: come nascono le Favole?

EVIO - Credo che Le Favole siano, in qualche modo, un punto necessario della nostra storia familiare. Mio nonno aveva un po’ di terra. Ricordo un vigneto e 5 mucche ed una malga sull’altipiano. Poi mio padre, che negli anni sessanta riparava televisori a Sacile. Aveva abbandonato l’agricoltura perché a quei tempi era difficile mantenere una famiglia solo con il lavoro dei campi. In seguito andò a lavorare per l’Enel, ma mai aveva abbandonato la passione per la terra. Ricordo che passava i sabati e le domeniche a lavorare quel poco di terra che possedeva e noi bambini, io e mio fratello Angelo, lo aiutavamo. Era faticoso. Noi facevamo cose semplici, ma probabilmente quelle ore, quelle giornate trascorse a contatto con la natura mi, ci hanno segnato. Come se inconsapevolmente in quegli anni innocenti avessimo fatto una promessa a quella terra.

Quindi la vostra chiamiamola vocazione Per la terra è ProFonda, ma terminata la scuola non è stata la camPagna subitoil vostro Futuro.

EVIO -Vero.Terminata la scuola ho seguito le orme di mio padre. Mi sono dedicato all’elettronica. La faccio breve. Dopo un breve periodo da dipendente mi sono messo da solo. Riparavo TV, facevo impianti CB e qualche radioVHF per l’industria, … insomma mi davo da fare. C’è una cosa che però credo sia importante dire…

cosa?

EVIO - Fin da piccolo ho avuto una profonda curiosità per il funzionamento delle cose. Credo di aver smontato ogni oggetto che mi capitasse a tiro. E questa curiosità, questa necessità di comprendere in profondità le cose, sarà poi importante per la mia attività ne Le Favole. ANGELO – Certo, ed intanto che lui smontava io faticavo in campagna…

continuiamo con il nostro racconto.

EVIO - La svolta avvenne grossomodo nel 1988. In quegli anni, osservando gli ambiti in cui già operavo mi resi conto che vi erano diverse situazioni in cui, o per potenziali pericoli, o per necessità di migliore coordinamento, sarebbe stato un’innovazione di grande successo la disponibilità di un radiocomando. Già operavo nel campo della trasmissione radio, avevo, come dire, competenze specifiche, così incominciai a studiare il problema. Non voglio dilungarmi, dirò però che, provando e riprovando, venni a capo del problema. E con grande soddisfazione.

Quando viene il momento de le Favole?

ANGELO - Le cose della nostra azienda andavano bene. La nostra attività cresceva continuamente. Così, mio fratello ed io decidemmo, ad un certo punto, di differenziare gli investimenti, di dividere il rischio e pensammo che il mondo dell’agricoltura avesse le caratteristiche giuste per soddisfare questo nostro bisogno.

VIGNETI CASTELLO E CANTINA TERRA ROSSA Dietro Castello 7 | loc. Terra Rossa | 33070 Caneva P VIGNETI BOSCO BANDO Strada Bosco Bando 15 | loc. Le Favole | 33050 Carlino UD | www.lefavole-wines.com


Perché Parlate di agricoltura e non di cantina, o di vigna?

EVIO - In realtà ciò che cercavamo era un’azienda agricola. Che fosse a vigna, o a seminativo, o a mais, per noi non era rilevante. O così credevo. Avevamo chiaro in mente solamente l’estensione, e magari che fosse vicino a casa. Ora mi viene da pensare che queste certezze fossero solo una sorta di autoinganno, perché, nel profondo, era proprio la vigna che ci chiamava.

in che senso?

ANGELO - Cercammo girando tutta la pianura friulana, ed ogni volta c’era sempre qualche cosa che non andava. Ad un certo punto Evio visitò un’ azienda a Muzzana del Turgnano. Sarebbe stato un affare interessante, ma lo scartammo perché pensammo che fosse troppo, troppo lontano da Sacile, dove avevamo la nostra azienda. Poche settimane dopo lui vide Le Favole (a Carlino, ancora più distante di Muzzana) e ne rimase incantato. Mi chiamò al telefono come… illuminato. La vigna fino a quel momento non era al centro dei nostri pensieri, ma quando la incontrammo, capimmo che forse era proprio quello che stavamo cercando. Era là e ci stava aspettando. In una settimana concludemmo quello che non avevamo concluso in più di un anno. Era la chiusura di un cerchio.

Quale Progetto avete Per le Favole?

ANGELO - Come ho detto, per noi Le Favole sono nate come un investimento, non come un hobby. E’ importante sottolineare questo. E come ogni investimento anche questo ha alle spalle studio e programmazione. EVIO - Ci siamo chiesti subito che tipo di prodotto volessimo offrire al mercato e la risposta è venuta da sola. Già nella nostra azienda abbiamo una profonda cultura della qualità (i nostri telecomandi, ad esempio, sono certificati TUV) e quindi il primo punto è stato quello di produrre vini di qualità. Come ottenerla? Con quali vitigni? Con che tecnologie? La sfida è stata soprattutto questa. Individuare il nostro mix. Per fare questo ho, come da ragazzo, incominciato a “smontare “ il mondo del vino. Ho studiato, frequentato corsi, sentito consulenti, perché, di nuovo, per me era fondamentale capire.

Quali sono le risPoste che vi siete dati, allora, doPo tutto Questo studio?

EVIO - In prima battuta volevamo vini genuini, ma anche, in qualche modo, rappresentativi del territorio. Perciò abbiamo lasciato molto spazio alle varietà autoctone (penso al friulano, o al refosco ad esempio, o ancora alla malvasia che ci sta dando grandissime soddisfazioni). Ho capito subito quanto il lavoro in campagna sia fondamentale. Per questo lavoriamo con i vigneti inerbiti, non cerchiamo mai di spingere la produzione per ceppo e facciamo le vendemmie esclusivamente in modo manuale. ANGELO - La parte tecnologica della cantina è ovviamente molto curata e abbiamo una linea di imbottigliamento di proprietà, il che ci permette di poter gestire al meglio anche questa fase della produzione. Sembra incredibile ma anche il corretto momento di imbottigliamento può migliorare sensibilmente la qualità del prodotto finale.

torniamo un attimo indietro. Perché carlino?

EVIO - Al di là del colpo di fulmine, se così possiamo dire, fare vino a Carlino ha sicuramente un senso nell’ambito del nostro progetto. Quella zona ha tradizioni enologiche antichissime, anche se ora in parte dimenticate, e questo dal punto di vista dell’investimento ci ha dato da un lato la misura della potenzialità del territorio e dall’altro un rapporto costo/opportunità vantaggioso. In più, vendemmia dopo vendemmia ci stiamo rendendo conto che imparando dagli errori, migliorando la gestione del vigneto, sta emergendo una potenzialità qualitativa assoluta. Nella messa a dimora dei nuovi impianti abbiamo, per quanto potuto, recuperato vecchie marze per le varietà merlot, friulano e malvasia. Anche questa scelta fa parte del nostro percorso qualità. Proprio la malvasia, per prima, ha reso esplicito quello che per noi era maturo. I premi ottenuti, i riconoscimenti delle guide, i commenti entusiasti dei clienti sono la misura esatta della correttezza della nostra impostazione. Quello che mi piace di più è che, quando ci confrontiamo con questo vino, non sentiamo più parlare di vino di pianura o vino di collina. C’è solo lei, in assoluto, e emoziona. Emoziona la sua eleganza, la sua finezza, il suo portamento… ma non dovrei essere io a dire questo. Anche merlot e friulano stanno seguendo questa strada. E anche il sauvignon. Anche lui.

Perché caneva?

ANGELO – Rispondo io. Caneva è casa ed è vicina a casa. Come Carlino, ha un passato enologico importante, soprattutto nell’ambito dei vini mossi, ed un presente ancora poco valorizzato. Quindi, nel nostro piano, ha sia un’importanza strategica che affettiva. Qui abbiamo costruito la cantina. Un luogo incantevole. L’abbiamo realizzata in parte interrata per minimizzare l’impatto ambientale. Intorno ci sono circa sette ettari di vigna in cui abbiamo opportunamente scelto le varietà con l’obbiettivo di valorizzare al meglio la vocazione locale ovvero il vino spumante. Quindi, ovviamente, prosecco, ma solamente in alto e poi nella parte migliore del fondo abbiamo piantato in sequenza pinot bianco chardonnay e pinot nero: il progetto. Il clima fresco d’estate e mai troppo rigido d’inverno, le importanti escursioni termiche, l’esposizione, la terra rossa e la roccia carsica, tutto sembra fatto apposta per costruirci un grande vino spumante.

il giallo di roccia?

EVIO - Già. Il Giallo di Roccia. La nuova sfida. Entusiasmante. Credo di aver pensato almeno cento volte che mi ero messo da solo un’asticella molto alta, ma più riflettevo e più mi convincevo che quella sarebbe stata una sfida vincente. In effetti affrontare con una cantina giovane, che per altro proviene dal mondo dell’industria, affrontare dicevo l’impresa di uno spumante prodotto per di più con il metodo classico poteva sembrare a molti un azzardo, quando non un atto di arroganza. Ma davvero no. Non è così. In questo vino c’è molto studio, molta umiltà. Molta cura. Ovviamente nelle nostre scelte imprenditoriali c’è sempre un’estrema attenzione al mercato ed ai suoi sviluppi, ma nel prodotto, nel prodotto c’è cuore, c’è davvero tanto cuore.

Progetti Futuri?

ANGELO - Gli obiettivi sono ovviamente complessi. La promozione del nuovo vino, il Giallo di Roccia, è in questo momento quello che occupa la maggior parte delle risorse, ma ragionando a più ampio raggio, le mission sono quelle di sempre.

ovvero?

ANGELO - In primis sempre molta attenzione alla qualità. Credo che quella della qualità sia una sorta di mantra aziendale. Credo che noi abbiamo la mentalità, la struttura e le capacità per perseguire con costanza questo obiettivo stiamo poi approfondendo l’aspetto della ecosostenibilità del vino. Anche questo è un dettaglio non secondario del nostro fare. Infine c’è la promozione del territorio. EVIO - L’enoturista può darci molto, credo, e noi possiamo dare molto all’enoturista. A questo proposito abbiamo un agriturismo che lavora in sinergia con la cantina proprio per fare cultura di territorio: proporre degustazione dei nostri vini e delle eccellenze locali. Fare volano. R. F.

AGRITURISMO E PUNTO VENDITA Via Ronche 92 | 33077 - Sacile PN Italy | T. +39 0434 735604 | E-mail: info@lefavole.com www.lefavole.com


È

Il nostro ha voluto essere un ringraziamento alla Vita! Al rispetto della natura che è la prima fonte della vita stessa. Alla vita degli uomini che si dedicano alla crescita delle piccole piante come figlie della terra. A quegli uomini che ne curano il frutto e lo seguono nel suo percorso di trasformazione con amore, passione e pazienza attendendo i suoi tempi e adattandosi ai suoi cambiamenti. A quegli uomini che attendono con pazienza Maisha per rendere omaggio ad Annalisa, colei che è stata la fonte di ispirazione ed ha dato la spinta coraggiosa per intraprendere un altro viaggio di scoperta e di avventura. Il primo brindisi – rivolto alle stelle sarà per Annalisa. Ed ecco che un'altra magia si compie a Villa Russiz.

già disponibile la nuova etichetta della Fondazione Villa Russiz, un prodotto vinicolo vicino alle attenzioni delle nuove generazioni: un vino biologico, il Friulano! Biologico perché realizzato solo con concimi organici del terreno e ridotte quantità di rame e zolfo. Biologico laddove gli insetti utili sono in equilibrio con quelli non utili, rigenerando così la spontanea sfida della natura. La zona ora individuata per la coltivazione di uve biologiche si trova in un territorio privilegiato: la cura e l'attenzione dedicata con costanza negli anni regala oggi un vigneto ad equilibrio solido e tale da portare la maturazione delle uve ad un livello qualitativamente inimitabile. In questo vigneto crescono acini che offrono profumi ed aromi di particolare potenzialità in eccellenza. Ed il prezioso dono riceverà cure e attenzioni particolari, quelle che attende il percorso Biologico: la vendemmia esclusiva sarà effettuata la mattina presto, per preservare la filiera Biologica dal grappolo alla bottiglia, con l'accurato utilizzo di apparecchiature dedicate ed “incontaminate”. Ed ancora, il gesto di pressatura dei grappoli interi sarà molto soffice in un ambiente ad atmosfera controllata in modo tale da preservare il massimo potenziale delle uve. Al mosto ottenuto sarà concessa una notte di naturale decantazione e solo il mattino successivo un leggero innalzamento della temperatura accompagnerà l’avvio della fermentazione spontanea ad opera dei lieviti indigeni. Per i mesi seguenti, almeno nove, le attenzioni sono costanti ed attentamente seguite dagli uomini di Villa Russiz che vigileranno sulla maturazione del vino fino al giorno dell’imbottigliamento, giorno in cui il vino verrà filtrato per la prima ed unica volta. Il nome di questa etichetta è “Maisha”, “Vita” in lingua Swahili. Lo Swahili è una lingua Bantu, diffusa in gran parte dell’Africa; lingua nazionale in alcuni dei suoi paesi ed una delle lingue ufficiali dell’Unione Africana stessa. L’Africa, terra di natura ancora incontaminata, dove le parole sembrano avere un significato assoluto, puro, semplice e chiaro. Vita! Una parola così facile da pronunciare ed allo stesso tempo così difficile da descrivere. Comprende l’universo intero!


MANGIAVINO

I Ultins di Cjargne M M ario

ulinar

di Marco Calzavara • Foto di Marco Calzavara “I Ultins” sono gli “Ultimi” testimoni di un mondo che non c’è più. Un mondo di tradizioni, di piccole cose, di quotidianità; in cui lo scambio fra gli uomini, gli animali e la terra era costante e diretto, non mediato dalle macchine e dalla “rete”, come oggi. Solidarietà, rispetto, culto delle tradizioni e temperanza sono il leitmotiv degli Ultimi che abbiamo incontrato nel nostro viaggio in Carnia, terra di montagna e di frontiera. 43


Mulinar, in friulano, “mugnaio”. Come molte parole del friulano, che più di un dialetto è una lingua, mulinar è una onomatopea. Mulinar evoca il continuo e costante girare delle macine, che tramutano i chicchi di mais in farina. Ci sono però “chicchi e chicchi” e, soprattutto, ci sono “macine e macine”. Mario, come gli altri Ultins di Cjargne, ha scelto la strada più difficile. Oggi mantiene in uso uno degli ultimi mulini a pietra alimentato ad acqua. Il meccanismo appare semplice. L’acqua muove le pale che poi trasmettono, attraverso ingranaggi e alberi di trasmissione, il moto a una macina in pietra che ha al centro un foro, attraverso il quale scende, con ritmo sincrono alla velocità della macina, il mais. Mais che poi si raccoglie, trasformato in farina, alla base della macina. Tutto qui? Forse no. Bisogna assistere alla macinazione per capirne l’arte. Il ruscello è una cosa viva e Mario ha imparato negli anni a conoscerlo e poi a farselo amico. D’inverno il gelo diminuisce la portata fino a fermarla, in primavera aumenta anche troppo e, a volte, le piogge fanno esondare dal suo alveo, sempre lui, il ruscello. E poi, prima dell’arte del mugnaio, Mario ha imparato a fare il meccanico. Quando un giunto, un ingranaggio, una staffa si rompono, è Mario che provvede ad aggiustare il suo mulino perché solo lui ne conosce segreti e debolezze. Perché tanta fatica? Basta assaggiare una sola volta una polenta fatta con la sua farina macinata a pietra per capirne il motivo. Il gusto è “fragrante” e al tempo stesso “ruvido”: in altre parole, unico! “Fragrante” perché la macina non ha fretta e il girare più lentamente permette di rispettare tempi e temperature della macinatura. “Ruvido” perché la secolare usura della pietra, ancorché infinitesimale, lascia in ogni sacchetto di farina la sua gradevolissima impronta. Certo, tutto questo non basta se poi la blave e il sorc (diverse varietà di mais), non sono quelle dei campi della Carnia ma questa è un'altra storia ancora... Il mulino di Mario Gonano è a Sostasio n. 45, Comune di Prato Carnico, in Val Pesarina. Le sue farine macinate a pietra si trovano da Carniasapori di Edda Borta, a Ovaro.

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Mario Gonano

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DOLCI...LIBERTY di Bruno Cataletto

Foto di Fabrice Gallina

“La Bombonera”, l’Estadio Alberto José Armando di Buenos Aires, a un tifoso di calcio argentino, suscita ricordi intrisi di gioie e di sofferenze vissuti assistendo agli incontri del Boca Juniors. Ma al triestino goloso e al turista attento, “La Bomboniera”, egual “suono”, evoca un ambiente in cui tutti i cinque sensi si trovano immersi in un mare di…dolcezza. È questo infatti il nome dell’ultima pasticceria “liberty” di Trieste, rimasta intatta per oltre un secolo, e situata nel bel mezzo del Borgo Teresiano, accanto alla chiesa neoclassica di Sant’Antonio Taumaturgo (chiamata comunemente chiesa di Sant’Antonio Nuovo) che si specchia nel Canale Grande.


Appena oltrepassate le porte in vetro smerigliato di questo Locale Storico del Friuli Venezia Giulia, ci troviamo all’interno di un piccolo gioiello architettonico in legno scuro risalente alla metà del diciannovesimo secolo. Fin dal 1836, anno in cui il negozio fu fondato dalla famiglia ebrea di origine ungherese Eppinger, i prodotti tipici della pasticceria austro-ungarica fanno bella mostra di sé dietro le vetrinette del banco di servizio. Era il 1936 quando il pasticcere ungherese Giuseppe Poth fu chiamato dagli Eppinger a dirigere il loro laboratorio. Dopo aver cambiato proprietario, la Bomboniera passò, dal 1936 al 1945, agli Zanon, per essere, in seguito, gestita fino al 1963 dalle signore Ada Stern e Thea Lukesh, che con la loro raffinatezza ed eleganza contribuirono a conservare l’atmosfera mitteleuropea della pasticceria. La Bomboniera nel 1963 ritornò nelle mani della famiglia Poth, prima con Giuseppe e poi con Erwino fino al 2000. Dal settembre 2000 il timone di questo tempio della golosità è saldamente in pugno a Gaetano La Porta, che per due anni aveva lavorato come pasticcere con Erwino Poth, e a sua moglie Francesca. Siciliano di Sciacca, ma naturalizzato triestino, Gaetano ha avuto l’indubbio merito di continuare una tradizione affascinante e foriera di emozioni indimenticabili. Come quelle che derivano dall’assaggio di una torta al cioccolato e panna ricoperta da glassa al cioccolato, di origine ungherese, chiamata Rigojancsi, dal nome del violinista tzigano Rigò Jancsi che la creò per sedurre la sua amata principessa. E come non venire sedotti da un’altra torta tipicamente austro-ungarica, la Dobos, biscuit di crema al cioccolato e nocciole, ricoperta da biscotto caramellato. Queste torte, così come la Sacher e la Linzertorte (mandorle, burro, farina, uova e marmellata di mirtilli rossi) vengono cotte in un forno a legna che risale alla fondazione della Bomboniera e vengono confezionate immediatamente prima della consegna per mantenere intatta la loro fragranza. Immancabili sugli scaffali che ricoprono le pareti scopriamo dolci come la Putizza, una pasta lievitata con ripieno di noci, uvetta, cioccolato e rhum, e il Presnitz, una pasta sfoglia con ripieno di noci, uvetta, pinoli, cedro, arancio e rhum, che derivano dalle antiche tradizioni slovene. Non possiamo rifiutare l’assaggio di una fetta di morbida Pinza, tipico pan dolce che si usava preparare per il primo pasto pasquale accompagnandolo con il prosciutto cotto e le uova sode. A Pasqua, inoltre, le vetrine esterne si popolano di uova di cioccolato di varie dimensioni che possono essere personalizzate assecondando i gusti di ciascun cliente. Altri dolci ci riportano sempre a tradizioni e rituali, come le Fave dei morti, palline di mandorle, zucchero e vari aromi che venivano regalate ai bambini in occasione della festa di Ognissanti, e che erano mangiate solo al ritorno dalla visita al cimitero. I nostri sensi lavorano a pieno e, improvvisamente, veniamo attratti da una sorta di piccoli biscotti chiamati Pischinger, costituiti da una cialda di wafer, realizzata con un macchinario apposito risalente ai primi del ‘900, oggi non più in circolazione, e farciti al cioccolato. Lo scrigno di legno che ci circonda sembra dilatarsi nello spazio pronto ad accogliere sempre nuove leccornie: sontuosi cannoli alla panna, delicati fruttini di marzapane, imperdibili torroncini halvas fatti con zucchero, noci, chiare d’uovo e miele avvolti da una sottile cialda. L’ambiente è caldo, accogliente e ci induce alla meditazione mentre deliziamo il nostro palato con queste infinite dolcezze di cui abbiamo finito per innamorarci. E a questo punto non possiamo fare a meno di parlare delle famose “Lettere d’Amore”, una cialda di sfoglia tirata a mano nello zucchero e ripiena di crema al rum, e preparate solo la domenica mattina o espressamente su ordinazione. La forma è ovale e la loro croccantezza unita alla setosità della crema ne fa qualcosa di unico e irripetibile. Un Porto, un Ramandolo, un Marsala? Mentre torniamo al modo reale e camminiamo lungo il Canale Grande, ci divertiamo a pensare a quali potrebbero essere i vini più adatti per accompagnare questi capolavori di arte pasticcera lasciando che la nostra fantasia vaghi senza limiti alla ricerca dell’abbinamento perfetto!

LA BOMBONIERA Via Trenta Ottobre, 3 34122 Trieste T 040.632752 www.pasticcerialabomboniera.com


MANGIAVINO

Gianfranco Gallo

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MANGIAVINO

Gianfranco e il segreto del sauvignon di Daniele Cernilli • Foto di Luciano Di Bert www.doctorwine.it Quando lo conobbi nel 1981 io avevo ventisei anni e lui diciannove. Eravamo due ragazzi, insomma. Mi ci portò Silvio Jermann, che poi scoprii essere suo parente. Gianfranco Gallo muoveva davvero i suoi primi passi nell’azienda di famiglia, a Mariano del Friuli, un paese dell’Isontino molto noto per avere dato i natali a Dino Zoff, che non ha bisogno di presentazioni. La strada statale lo percorre tutto, e all’inizio dell’abitato (o alla fine, dipenda da dove si arriva) c’era la cantina di Stelio Gallo, padre di Gianfranco, che ancora poteva produrre i suoi vini con il cognome di famiglia. La causa internazionale che il gigante americano Gallo Winery, e che costrinse in seguito a mutare il nome aziendale in Vie di Romàns, non era ancora stata fatta. Così le bottiglie renane di Malvasia, di Tocai e di Sauvignon potevano portare un’etichetta bianca con un galletto nero su un lato. Gianfranco ci accolse con entusiasmo, mostrandoci la pressa nuova appena arrivata, e portandoci in vigna. Si vedeva fin da allora che in lui c’era il sacro fuoco del vignaiolo, quello che porta a lavorare con passione, senza mai guardare l’ora, cercando di migliorare la qualità dei vini con l’attenzione ai particolari apparentemente più insignificanti. La vigna sembrava un giardino, aveva una fittezza non comune per quell’epoca, soprattutto dove veniva coltivato il Sauvignon, fin d’allora molto amato da Gianfranco e che sarebbe in breve divenuto un punto di riferimento assoluto per quella varietà in Italia. Un terreno pianeggiante ma pieno di sassi. Di lì a poco, con l’esordio di Vie di Romàns e delle bottiglie borgognotte, proprio quella caratteristica determinò il suo nome. Piére in friulano significa pietre, e così quel vino prese quel nome, a cominciare dalla seconda metà degli anni Ottanta. Un Sauvignon mediterraneo, visto che il mare è a pochi chilometri, a Monfalcone. Soprattutto un Sauvignon avvolgente, con profumi esotici e varietali, ma senza esagerazioni, nel solco di una ricerca di eleganza e di equilibrio, oltre che di capacità d’invecchiamento, che sono sempre state le linee guida della filosofia produttiva di Gianfranco. La tecnica e la ricerca in funzione della puntuale realizzazione di vini quanto più territoriali possibili. Senza fughe in avanti e nel rispetto di ciò che le diverse vendemmie sono in grado di dare. Quando uscì la versione del 1988 una leggera “casse” proteica provocò una piccola velatura del vino. Oggi nessuno ci farebbe caso, allora, nonostante il vino fosse straordinario, ci furono critiche e punteggi severi sulla stampa specializzata. Gianfranco tentò di spiegare che la cosa era dovuta alla ricchezza dell’annata e ai sistemi di vinificazione molto “naturali”. Non fu sufficiente a giustificare il problema, e lui ne fu molto deluso. Da quel momento, però, i suoi vini, tutti, non solo il Sauvignon, non ebbero più il minimo limite. Nacquero altre etichette, grandi bianchi ottenuti da Friulano, da Pinot Bianco. Poi gli uvaggi, il Flors d’Uis, il Dut’Un. La versione maturata in legno del Sauvignon, che chiamò Vieris. Infine un delizioso Pinot Grigio vinificato delicatamente in rosa ramato, il Dessimis. Oggi Gianfranco è considerato un maestro, il più giovane dei maestri di vigna che iniziarono la rivoluzione friulana negli anni Ottanta, e il Pière Sauvignon è universalmente citato come esempio di Sauvignon friulano nel mondo. Non è un risultato da poco.

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MANGIAVINO

di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano Foto di Fabrice Gallina con la collaborazione di

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Alessandro Sara

ALESSANDRO E IL PICOLIT DI SAVORGNANO


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erritorio unico, quello di Savorgnano. Sbalzi termici, i monti Musi e il gruppo del Canin, i terreni marnosi, il fiume Torre e l’umidità, che favorisce la muffa nobile, come in poche altre aree in regione. Savorgnano è un piccolo borgo rurale dedito, un tempo, non troppo remoto, alle colture miste, alla piccola zootecnia e all’allevamento della vite, di una in particolare: il picolit! Arrampicato sulle sinuose colline alle spalle di Udine, questo paese contadino preserva ancora la volontà di stupire con un vino dimenticato dai più ma che esiste e resiste nel cuore di ogni appassionato della bellezza enologica. Qui vive, con la sua famiglia, Alessandro Sara. Affabile, longilineo, occhi chiari e sinceri. La sua giovane età può trarre in inganno ma possiede, e la dimostra nei fatti, esperienza da vendere. Racconta del suo Picolit e di come “lo si intende” qui, a Savorgnano, di come non sia solo un vino ma una passione e forse una filosofia di vita. I vecchi vigneti aziendali, divisi in piccoli appezzamenti arrampicati sulle colline di Savorgnano, non superno i 7 ettari totali, e sono curati, in regime biologico, dalla famiglia Sara. Viticoltura difficile, quasi eroica, che resiste grazie alla passione di alcuni giovani come Alessandro. Vogliamo proprio raccontare quest’anima vitivinicola storica e unica del Friuli, quella del Picolit di Savorgnano. “Le origini sono praticamente sconosciute, - ci dice Alessandro - di fatto non sappiamo se il picolit sia giunto a Savorgnano direttamente dai vigneti di Fagagna dell’Asquini, come avvenne per l’area di Rocca Bernarda, o se da altre coltivazioni. La produzione è sempre stata realizzata principalmente da piccoli contadini locali; inoltre la mancata presenza di documenti ha impedito una datazione certa della sua introduzione nell’area. Pare che sia stato portato dai conti Mangilli nella prima metà dell’Ottocento ma non c’è data, non c’è documento. Accade così là dove la vita è scandita dalle stagioni e non dai contratti di compravendita. Savorgnano però è sinonimo di Picolit ancora oggi!”. “È vero – aggiunge Gianluca – la produzione del Picolit è relegata ormai a poche aree e soprattutto a una manciata di piccole aziende che hanno mantenuto stile e qualità eccelsa”. Non si può che concordare con questo appena espresso da Gianluca. La produzione è scarsa, le difficoltà enormi. Si parla di produzioni che non superano a volte il mezzo chilo per pianta. Le complessità ambientali spesso limitano anche queste rese. Esprimo a voce alta un pensiero che mi viene, a quel punto, dal cuore. “A che serve produrre un Picolit mediocre dopo tanti sacrifici?”. Alessandro, intento a stappare con religiosa attenzione le piccole bottiglie disposte in ordinata fila per la degustazione, si ferma e con piglio deciso interviene. “Si, hai perfettamente ragione! Questo vino non può rappresentare il core business di un’azienda e quindi tanto vale farlo al meglio. È un simbolo dell’enologia friulana e dovrebbe essere il miglior prodotto dell’azienda che decide di produrlo. Proprio perché non c’è un reale interesse economico dovrebbe rappresentare il gusto di realizzare un prodotto di altissima qualità”. I discorsi proseguono mentre, via via, i tappi si allineano alla base delle bottiglie. Per ogn’una c’è un racconto, una storia. Il clima, le attese, le conferme, le fatiche, le soddisfazioni. Ora i calici si riempiono. Colore, calore, vita, luce, ventagli affascinanti di profumi dolci e femminili. Le chiacchiere si spengono, non servono più. Al loro posto trova spazio un silenzio rispettoso, quasi religioso. Mi torna alla mente una frase bellissima di Isi Benini, il più grande giornalista enogastronomico figlio di questa terra che scrisse, nel dicembre 1971, nel primo numero della storica rivista Il Vino. Egli iniziò così l’articolo: “Signori, giù il cappello! Vi parliamo di Picolit…”.

Denominazione: Docg Colli Orientali del Friuli Picolit. Zona di produzione: terreni collinari dell’area di Savorgnano al Torre di marne arenarie (ponka). Piccoli appezzamenti disposti tra i 180 e 350 m s.l.m. La presenza di boschi e corsi d’acqua, l’elevato sbalzo termico e l’attività microbiologica naturale concorrono a formare un microclima che permette la formazione della muffa nobile. Vigneti: a spalliera. Resa per ceppo: 0,3 – 1 kg per ceppo. La resa varia molto di anno in anno per la difficoltà di impollinazione del vitigno.Uve: 100% picolit, uva autoctona del Friuli Venezia Giulia. Epoca raccolta delle uve: fine ottobre – dicembre. Vendemmia manuale in cassetta, con più passaggi. Selezione dei soli grappoli colpiti da botrytis. Vinificazione: una parte delle uve viene raccolta prima della maturazione ideale e messa in fruttaio per l’appassimento (30/60 giorni circa). Questa pratica assicura acidità alta che garantisce al vino longevità di 10/15 anni. L’altra parte delle uve è lasciata sulla pianta e vendemmiata nel mese di dicembre con vendemmie scalari. Sono raccolti solo gli acini botritizzati. Questa pratica consente di arricchire il patrimonio olfattivo del vino. Dopo una pressatura soffice delle uve intere e una successiva separazione del deposito, il mosto inizia la fermentazione a temperatura controllata con lieviti selezionati. Affinamento: 18 mesi in barriques di rovere. Il vino, con frequenti travasi è portato a limpidezza per poi essere messo, senza nessuna filtrazione o chiarifica, in bottiglia, dove continua l’affinamento per altri 6 mesi prima della vendita. Bottiglie prodotte: circa 1.200 anno da litri 0, 375. Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 30.

SARA & SARA Via dei Monti, 5 Frazione Savorgnano al Torre 33040 Povoletto (UD) T. 0432 666365 www.saraesara.com 55


COF PICOLIT 2012 Alc. 13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata regolare. Giallo pastello vivace. Sale al naso con l’esuberante freschezza floreale della gioventù. Libera sentori di erbe zuccherate, menta piperita, fiori d’arancio e pesca tabacchiera. Sinuosi ricordi di spezie in sottofondo affiancati da delicate tostature di mandorle e nocciole. Al gusto dimostra andamento progressivo, che sprigiona, all’iniziale dolcezza, una decisa e appagante spinta fresca. Grintoso e allo stesso tempo elegante, chiude su toni sapidi e mielati. Pere, caffè e cardamomo. COF PICOLIT 2011 Alc.13% - Punteggio 91/100 Andamento climatico: annata tendenzialmente calda. Veste d’oro liquido. Fitto il ventaglio olfattivo. Spiccano i sentori fruttati di pesca sciroppata, albicocca e ananas disidratati. La ricchezza del miele alle erbe abbraccia l’inconfondibile aroma dello zafferano. Delicate sensazioni eteree e lievemente affumicate imprimono grande personalità. Sorso profondo e sottile, la ricchezza della materia è tenuta in tensione da una vibrante freschezza. Lunghissimo il finale che danza tra sapidità e agrumi. Fichi al caramello di miele e zafferano.

COF PICOLIT 2010 Alc. 13% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata abbastanza regolare. Oro ambrato luminoso. Impatto odoroso ipnotico per eleganza e personalità. Si alternano, senza sosta, fiori di zagara e rosa gialla, tè alle spezie, resina, timo serpillo, biscotto all’amaretto e marzapane: splendidamente soggiogati alla botrytis. Il palato è avvolto da seta glicerica trovando, nel contrappeso fresco, il perfetto equilibrio. Affondo gustativo da vero fuoriclasse dove, alla interminabile persistenza, affianca una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva. Bignè caldo al Castelmagno. COF PICOLIT 2009 Alc.13% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata regolare. Affascinante tonalità oro rosso. Sinfonia aromatica superba. Abbrivio di profumi di nespole e mele caramellate, affiancate da impronte di tabacco mentolato, pece e miele d’erica. Tambureggiante il passo olfattivo; propone richiami di lavanda, arance affumicate e polvere pirica. Assetto gustativo magistrale che evidenzia struttura fine e succosa. Estratti e freschezze garantiscono equilibrio ottimale. Leggerezza zuccherina indica il lungo sentiero gustativo, dall’incessante finale salino. Tortello di gorgonzola, fico moro e brodo di pitina. 56


COF PICOLIT 2008 Alc.13% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata regolare e fresca. Topazio dai riflessi accesi. Profilo che contrappone un’anima fruttata di agrumi canditi, frutta sciroppata e spezie dolci. Profilo evolutivo articolato tra intriganti effusioni di calvados, fiori di corbezzolo, miele grezzo, zafferano in polvere, medicina e ceralacca. Il palcoscenico gustativo mostra un girotondo di sensazioni cremose, fresche e saline. Nessuna sbavatura a disturbare l’equilibrio. Splendido effetto “rallentante” del tannino a trattenere il sorso, che rende la beva lenta e riflessiva. Fonduta di formaggi erborinati.

COF PICOLIT 2007 Alc.13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Colore liquido d’ambra. Olfatto che mette inizialmente da parte la dolcezza del frutto e privilegia sensazioni più scure di tabacco in foglia, legno arso, castagne, pane integrale e cannella in polvere. Denso e glicerico il movimento al palato. Mostra dolce persistenza che richiama la caramella d’orzo con decisi spunti fresco-sapidi che tolgono peso, riequilibrando la beva. Di gran classe la lunga chiusura dal sottile aroma di sciroppo d’acero. Bavarese di ricotta e arance.

COF PICOLIT 2005 Alc. 13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata piovosa. Affascinante tonalità ambra chiara e luminosa. L’olfatto propone un ventaglio aromatico di frutta sciroppata e sotto spirito. Fanno seguito timbri di melassa, note eteree, incenso e un leggero quanto emozionante sentore di torba. La presenza di una sottile azione ossidativa offre rara eleganza e completa il naso. Al gusto la nota fruttata sottile e delicata evidenzia una decisa integrità gustativa che permette un appagante epilogo sapido e tostato che ben equilibra il sorso. Torchon de foie gras.

COF PICOLIT 1999 Alc. 13% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata regolare. Lampi oro sciolto. Splendida impronta aromatica. Effluvi di amaretto, resine, funghi porcini, incenso, roccia bagnata e miele di zagara. Chiude su tonalità agrumate e salmastre. Si appropria del palato con grande lentezza, mostrando una tessitura gustativa d’immensa eleganza. Zuccheri e acidi si fondono nel corpo teso e sottile, lasciando il ruolo da protagonista alla sapidità di stampo marino che, decisa, veicola l’ interminabile e coerente finale. Sablée al pepe nero, paté e piccole acidità.

COF PICOLIT 1996 Alc. 12% - Punteggio:97/100 Andamento climatico: annata fresca, sostanzialmente equilibrata. Magnifico timbro d’oro ambrato. Il naso è un susseguirsi di meravigliose note. Mela cotogna, marmellata di pere e zenzero, frutta secca, fiori dolci, miele scuro e cioccolato bianco. Nitidi sentori idrocarburici e di iodio marino. Il gusto è pura magia. La componente zuccherina è tutt’uno con la suadente acidità. La profonda vena sapida puntella la sottile struttura di brividi minerali e scandisce l’interminabile dissolvenza. Netti richiami ai migliori Riesling Halbtrocken Neusiedlersee. Seta di cioccolato bianco all’olio extravergine e agrumi. 57


Francesco Dilena

ALLE VECCHIE PROVINCE Via Zorutti, 18 34070 Mossa (GO) T. 0481.808693

SODDISFAZIONE LOW COST di Giorgio C. Riva Foto di Umberto Pellizon


U

“… ne seule cuisine, la bonne” . Rispondo così, come Paul Bocuse, a chi mi chiede qual è, infine, la mia cucina preferita. E da noi si trova ancora buona “piccola” cucina legata al territorio, alla tradizione. In osterie e trattorie di una volta. Di una volta in tutto, anche nei prezzi, accessibili anche durante la crisi. In ambienti semplici magari e “datati”, ma vivi e attraenti perché sempre variamente frequentati. Luoghi di socializzazione dove posson sempre essere felicemente degustati da tutti piatti e vini da tutti conosciuti da sempre, realizzati come una volta, in famiglia. E in tutte le famiglie di una volta –che avevano almeno un orto- c’era sempre almeno una brava cuoca, oltre a cacciatori, pescatori, etc. A pochi minuti da Pradamano e da Udine, ad esempio, passato il Torre, a Cerneglons, là delle bocce, da trent’anni, quotidianamente, salvo giorno di riposo (lunedì) e ferie (ad agosto), Marcello Zanon prepara, per la propria vasta e affezionata clientela, il “suo” frico di solo latteria. Quello bello “gonfio”, dorato fuori e dal cuore morbido e filante. Una delizia con la polenta brustulàde e il radicchio dell’orto condito con uno spettacolare aceto di casa. C’è già la figlia, Vanessa, fortunatamente, a rassicurarci che si andrà avanti così. Zanon padre è ancora cacciatore e tutte le “sue” donne san trattare e preparare la selvaggina che Marcello stesso cucina magistralmente per gli amici cacciatori e per chi gliene fa richiesta. L’insegna Ai Cacciatori è quindi ampiamente “giustificata” e lo sarà ancora con Vanessa. Da Marcello, da oltre sessant’anni, è il luogo di aggregazione della zona e la clientela locale amplifica la “friulanità” dell’osteria-trattoria. La friulanità è comunque soprattutto nei piatti. Buon prosciutto crudo e buon salame, sempre. Ovviamente latteria. Ovviamente, polenta. E poi, in stagione, brovada e musetto. A seguire, orzo e fagioli e minestrone, che ricordo immutati da quando frequento il locale, e son quasi quarant’anni. Anche la spessa frittata con le erbe è immutata. Tutto semplicemente splendido. E che dire delle ossa di maiale, lessate, con il sale grosso, se si capita al momento giusto. Spesso, la costa, spesso lo spezzatino di guancette di maiale con le patate. E fagioli, salsicce, etc. E via così. Il vino è solo sfuso. Friulano, Refosco, Merlot, Cabernet. Nulla di più e nulla di meno del classico taglio della vecchia osteria friulana. Ma come si sta bene! E nei festivi ricordatevi di prenotare. A Mossa, a pochi chilometri da Gorizia, si parla il furlano goriziano. Una riconosciuta variante della lingua friulana. Dal “Mic” –il soprannome di Francesco, l’elegante fondatore, negli anni ’80, della originaria privada- ancora presente ad aiutare il figlio Cristiano, chef, e la figlia Martina, alle Vecchie Province, in centro a Mossa, si mangia friulano, goriziano -“la cucina dell’Impero”-. In ambiente rustico, ma curato. In una “vecchia” osteria, con i decori alle pareti bianche e le tendine ricamate, un vecchio, essenziale, banco, una bella credenza, e un gran bel fogolar, acceso d’inverno, cui sedersi intorno. Con un gradevole e assai apprezzato giardino ombreggiato all’esterno, dove sedersi ai rustici tavoli in legno, anche solo per una merenda fuori orario, con un bicchiere di vino nella bella stagione. D’inverno, il colore dell’albero di cachi. Anche qui poche bottiglie. Farebbero lievitare i prezzi dell’offerta. Solo quelle “lasciate” dagli amici produttori. Il Mic ama ricercare e proporre vini sfusi locali, scelti personalmente nelle cantine della zona che ancora non imbottigliano tutto, o da lui fatti vinificare con uve acquistate sempre in loco. Fra poco alle Vecchie Province si berrà proprio il vino prodotto dal Mic, che si dedicherà ancor più alla sua vera passione, coltivando un paio di vigne poco oltre il confine e vinificando proprio come vuole lui. Del resto, un po’ di buona “scuola” l’ha avuta: ha imparato da Gaspare Buscemi, e “collaborato”, poi, con Nicola Manferrari. Per la verità l’osteria di Francesco ha un difetto. È quasi sempre affollata. Anche da quando c’è la crisi. Scordatevi di potervi trovare un posto nei festivi e nei prefestivi se non avete prenotato. Ma, a ben guardare, qui c’è “popolo”, non “folla”. Ed è un buon segno. Non amo gli “assaggini” e diffido dei locali ove vengono proposti. Sarà che sono un “partigiano”, sempre, ma alle Vecchie Province qualche volta li mangio volentieri. Di primi o di secondi. Una carrellata “necessaria”, attese le proposte e la voglia che nasce di degustarle tutte. Il mio primo preferito son, comunque, i zikrofi, i ravioli di Idrija ripieni di patate e cipolla. Con uno dei sughi di arrosto del giorno. Di recente, ai primi freddi, ho assaggiato gnocchi di zucca, struccolo di patate ripieno di pasta di salame e spinaci, gnocchi ripieni di finocchio. Conditi al burro, salvia e ricotta; al burro e salvia; con un leggerissimo “sugo” di cinghialetto, rispettivamente. In “lista”, salame ai ferri, cotto col kren, gnocchi e gulash, jota e “passul” (zuppa di fagioli con paprika e carne di maiale affumicata, alla “serba”), orzotti alle verdure di stagione, e poi lubianske, pollo impanato, čeva, pljeskavica, costine di maiale, curate grigliate, baccalà alla vicentina. Spinaci, patate in tecia e chifeletti come contorno. Per finire, gnocchi dolci ripieni di susine o di cachi e paste creme. Anche uno strudel strepitoso. Bevuto una ribolla, “naturalmente” un poco frizzante, un classico “uvaggio” Collio e un “rosso” refosco e merlot. D’estate, anche fritto di calamari e sardelle. Il tutto semplice, ma curato, come l’ambiente. Via Zorutti è la via principale di Mossa, cui si arriva da Cormons, andando verso Gorizia, lungo la strada statale 56, dopo l’abitato di San Lorenzo Isontino. Chiuso domenica sera, lunedì, martedì e mercoledì sera. Ferie a settembre, quando Mic vendemmia.


I Vini in abbinamento alla cucina di MARCELLO

I FEUDI DI ROMANS Friuli Isonzo Refosco dal Peduncolo Rosso 2013 Alc. 12,5% - € 11 Rosso rubino acceso. Olfatto caratterizzato da intense note di violetta, gerani e fiori a petalo scuro, felce e succo di mirtillo. Nel finale sentori di muschio e terra umida. Beva equilibrata da buon corpo e vivace tannino. Chiude con spinta prevalentemente sapida e di buona freschezza. Rovere grande per 8 mesi.

VALENTINO BUTUSSI Friuli Colli Orientali Pinot Grigio 2014 Alc. 13% - € 15 Giallo paglierino dai riflessi color rame. Note di felce, ortica, lievi sbuffi fumé. Pesca bianca, mela golden e toni di menta a completare il varietale ventaglio odoroso. Ingresso fresco e minerale. Si allarga su gusti morbidi per un finale equilibrato che riporta a richiami agrumati e lievemente terrosi. Nell’acciaio per 6 mesi.

CANTINA PRODUT TORI CORMONS Collio Pinot Bianco 2014 Alc. 12,5% - € 8 Giallo paglierino lucente. Note complesse di biancospino, muschio bianco, polpa di cedro, litchi e banana. Il tutto è avvolto da eleganti toni di mineralità marina. Sorso avvolgente e ben equilibrato, piacevole e rispettoso della cultivar. Si spegne lentamente su profili floreali e fruttati. Matura in botte grande per 5 mesi.

MAT TEO BRAIDOT Sauvignon Blanc 2014 Alc. 12% - € 8 Giallo paglierino luminoso. Intrigante corredo olfattivo con richiami di litchi, kiwi, pompelmo rosa, erbe officinali fresche, fiori di lavanda e mineralità iodata. In bocca è inizialmente fresco e sapido, poi si stende su toni glicerici. Il finale è saporito e dai ritorni agrumati. Solo acciaio per 6 mesi.

FLAIBANI Friuli Colli Orientali Schioppettino 2011 Alc. 13% - € 20 Veste rubino acceso. Sequenza olfattiva varietale di pepe nero, chiodi di garofano, prugne e ciliegie mature. L’allungo odoroso regala piccole note tostate, erbe officinali essiccate ed effluvi balsamici e resinosi. Freschezza immediata alla beva. Proseguo sapido e lievemente tannico a sostegno di delicata morbidezza. Barrique.

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Marcello Zanon AI CACCIATORI Via Pradamano, 22 33047 Remanzacco (UD) T. 0432.670132


MANGIAVINO

Bruno Lenardon

GLI EXTRAVERGINI NOSTRANI L'EVO DI BRUNO LENARDON Puro e sapido. Parla di mare e di roccia, l’olio extravergine di Bruno Lenardon, prodotto a Muggia.

Immaginate un luogo lontano da tutto e da tutti, contaminato dai passaggi dei diversi popoli che lo hanno attraversato e continuamente sospeso tra il nostro paese e la vicina Slovenia. Bruno può testimoniare come nel 1954 le linee di demarcazione avessero inizialmente portato via e poi fatto tornare in Italia la casa paterna. Un olio che sussurra ricordi e rapporti di confine quello di Bruno, timido e schivo all’inizio, ma dalla personalità e progressione incisiva. Pochi infatti sanno che esiste una parte di Istria anche in territorio italiano, e non solo, come si crede, divisa tra Slovenia e Croazia. Storicamente queste terre sono state coltivate a vite e ad ulivo, non solo quelle vicino al mare, ma anche nelle zone interne protette dai venti freddi. Testimonianze che risalgono al VI secolo descrivono come queste aree fossero più ricche di ulivi che di vigneti. Bruno è orgoglioso di questa terra e della storia che ha rappresentato nei secoli e rappresenta tuttora con una delle più belle espressioni di olio evo della provincia di Trieste. Nonostante l’annata sfavorevole molti produttori non si sono arresi, hanno lottato, curato le proprie piante e i frutti e, alla fine, ce l’hanno fatta, generando un prodotto di eccellente qualità, complesso, articolato e vigoroso. L’azienda Lenardon rappresenta una di queste realtà, con 150 piante della varietà Bianchera Istriana, Leccino, Pendolino e Frantoio poste ad un altitudine compresa tra i 70 e i 90 metri, su terreni a terrazze esposti a sud, in località Pisciolon. Utilizza un metodo di coltivazione integrato e la raccolta rigorosamente a mano si svolge nel momento dell’invaiatura, per mantenere integre le note fruttate, vegetali e erbacee ed esaltare la struttura del frutto. L’annata 2014 è stata difficile a causa di un inverno mite e l’accumulo di acqua dovuto alle numerose piogge. Si sono salvati, come anticipato, alcuni microclimi, e Muggia è uno di questi, dove la scelta di anticipare la raccolta ha influito sulla quantità ma ha preservato la qualità del frutto. L’azienda, oltre all’olio Tergeste DOP presentato in degustazione, produce anche vini autoctoni espressione del territorio, come la Malvasia, vibrante, diretta e piacevolmente minerale, e un Terrano austero, croccante e dolcemente fruttato.

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(VII TAPPA)

di Alessandro Pareschi • Foto di Umberto Pellizon

DOP TERGESTE CULTIVAR: Bianchera 80%, Carbona 6%, Frantoio 5%, Leccino 5%, Pendolino 4% Dal colore verde smeraldo e dalla suadente viscosità, regala sentori di frutta fresca croccante arricchiti da vive percezioni di carciofo e mandorla verde. In bocca offre un’apertura elettrica a cui fa seguito un andamento giocato sulle continue contrapposizioni tra amaro e piccante. Piacevole e interminabile il finale, con continui richiami di frutta matura. Pulitissima la chiusura. Sopraffino, su un carrè d’agnello, allevato allo stato brado, lasciato rosato, con “panatura”alla menta, crema di pecorino e granita al profumo di gin.

BRUNO LENARDON Località Pisciolon, 37 34015 Muggia (TS) T. 3486110712

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MANGIAVINO

mangiavino

MANGIAVINO

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ISSN 2283-7973

8 10/11/12 duemila15

COME L'ARIA DEL LARZAC A FAGIOLI IN VAL RESIA L'EREDE DI DORO IL CABERNET SAUVIGNON ALESSANDRO E IL PICOLIT DI SAVORGNANO 43 JERBIS

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tRimestRale di cUltURa del vino e del cibo

MANGIAVINO Rivista Unica dell'associazione italiana sommelieR FRiUli venezia GiUlia

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MANGIAVINO

Foto di Francesco Galifi

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Foto storiche di Elio Cio

l

UNA STORIA VINCENTE CON LA FORZA DELLA COOPERAZIONE DA 85 ANNI La cooperazione, nel settore vitivinicolo in Friuli Venezia Giulia, ha lunga tradizione e rappresenta una parte consistente e primaria in quest’aerea economica e non solo; essa ha contribuito alla crescita di tutto il comparto che pone questa “piccola” Regione ai primi posti tra le grandi aree mondiali che si distinguono nella produzione dei vini di qualità. Quella dei Viticoltori Friulani La Delizia è una storia fatta di passione, impegno, tradizione e lungimiranza. La Cooperativa nasce il 7 maggio 1931 dall’opera dei primi 70 soci fondatori, che diedero vita alla grande cooperativa, sottoscrivendo l’atto costitutivo dell’allora Cantina Sociale Cooperativa Destra Tagliamento. Una storia che inizia all’epoca dei masari, così erano chiamati i proprietari dei terreni in lingua friulana, in un periodo in cui il vino era ancora considerato un corrispettivo della moneta. Con tenacia la Cantina cooperativa friulana superò il difficile periodo della seconda guerra mondiale, quando nel 1945 i soci furono costretti a ricostruirla interamente. Decisero di ampliarla, poi, alla fine degli anni ’50 e nei decenni successivi, fino ai giorni nostri. Dagli anni ’70, la crescita costante dell’export verso i mercati dell’Europa, Canada e Stati Uniti, porta a investimenti in nuovi vigneti, a tecnologie moderne in cantina e consente l’ingresso di nuovi soci.

Viticoltori Friulani La Desizia s.c.a. | Via Udine, 24 | 33072 Casarsa della Delizia (PN) Italy | T. +39 0434 869564 Vini La Delizia www.ladelizia.com


Foto di Francesco Galifi

La Cantina Viticoltori Friulani La Delizia, cooperativa di primo grado, rappresenta oggi la maggiore realtà vitivinicola della Regione Friuli Venezia Giulia, associando oltre 500 viticoltori con all’attivo 2000 ettari di vigneti che si estendono attraverso tutta la pianura friulana, da Casarsa ad Aquileia all’interno delle rinomate aree Doc “Friuli Grave” e “Prosecco”, zone ricche di storia e con una forte vocazione vitivinicola. Vini La Delizia persegue costantemente nella produzione della qualità e contribuisce a diffondere il “Made in Friuli” nel mondo, attuando la filiera corta e controllata che assicura al consumatore vini certificati e garantiti. Sostenitrice dell’idea che l’unione fa la forza, la Cantina friulana s’impegna a “fare sistema” esaltando le sinergie, promuovendo lo spirito cooperativistico che ne è il motore propulsivo. L’unicità che deriva dal territorio è garantita dai soci conferitori, nei valori e nello spirito che li contraddistinguono; valori fatti di esperienze, storie e grandi capacità, che assieme hanno contribuito a rendere la Cantina Vini La Delizia una solida realtà per la produzione di vino autentico, punto di riferimento per l’innovazione e la ricerca costante della qualità.


L'ORO ROSSO DELL'ALTO LIVENZA

LO ZAFFERANO di Silvia Martinuzzi

Foto di Diego Zambon

Forse non tutti sanno che anche da noi si coltiva lo zafferano. Grazie all’intuizione di due giovani Pedemontana, dal 2012 è possibile acquistare questa affascinante quanto delicata spezia a chilometri zero. In riconoscimento all’ottimo lavoro svolto, nel 2014 è stata assegnata allo zafferano dell’Alto Livenza, in Friuli, certificazione di qualità, collocandolo tra i migliori d’Italia.

imprenditori della

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Tutto è nato negli anni ‘80 quando Sergio Zanolin, leggendo “Vita di Campagna”, trova l’annuncio

della vendita a Civitaretenga, sull’altopiano di Navelli, di bulbi di zafferano. Incuriosito, compra una manciata di bulbi, a 1.000 lire l’uno, per uso familiare. E poi diventa un’attività. Fin dall’inizio l’obiettivo è stato quello di coltivare personalmente, al meglio, con passione, con metodi naturali, con la speranza di invogliare altri sul territorio. Lo zafferano, crocus sativus, è un fiore violaceo, molto prezioso. I suoi stimmi, una volta esiccati, diventano quello che pure è chiamato zafferano. Come molte spezie, furono esploratori e mercanti a portarlo dall’India in Europa. Alcuni documenti testimoniano che la coltura di questo fiore era nota in Sicilia e in Sardegna già dal Medioevo. Il principale componente dell’aroma di questa pianta colorante, amaricante e odorosa, è il safranale -che si sviluppa maggiormente dopo l’essicazione nei forni-, mentre le crocine sono responsabili del colore ed è la picrocrocina che gli conferisce il suo caratteristico e particolare sapore. A essere utilizzati non sono i fiori della pianta, bensì gli stimmi, filamenti rossi che vengono separati manualmente con grande cura, per diventare elemento indispensabile di molte ricette tradizionali come il classico risotto alla milanese o la bouillabaisse di Marsiglia. Ambiente secco, terreno drenante, meglio se con un terriccio leggero e sabbioso: queste le caratteristiche per una resa ottimale della pianta. Non a caso i maggiori produttori italiani sono in Sardegna e in Centro Italia. Nessuno poteva immaginare che la favorevole altitudine della zona dell’Alto Livenza, l’apporto del micro clima collinare e le caratteristiche dei terreni potessero fornire le condizioni ideali per la coltivazione di questo fiore. Per la produzione dello zafferano, si comincia a lavorare già nel mese di marzo quando, nei piccoli appezzamenti, viene preparato il terreno per accogliere i bulbi. Ogni venti giorni viene effettuata la fresatura per tenere i campi il più possibile puliti. In agosto si effettuano i trapianti, mettendo a dimora i bulbi nelle rase, costituite ognuna da quattro file. Il bulbo dev’essere impiantato a giuste profondità e distanza dagli altri, con i ciuffi verso l’alto. Nei primi giorni di ottobre crescono delle foglioline lunghe e strette di colore verde scuro e, da metà ottobre fino alla prima settimana di novembre, spuntano i fiori che vengono raccolti tutte le mattine all’alba, quando le temperature si aggirano attorno ai 10°, per evitare che sboccino rischiando una perdita di qualità del prodotto finale. Selezionati manualmente con un taglio alla base, premendo l’unghia del pollice sull’indice, vengono disposti in ceste di vimini avendo cura di non comprimerli per non danneggiarli. Riempite le ceste, i fiori vengono portati in azienda, dove avviene la separazione degli stimmi, tre filamenti per fiore, di un bel rosso cardinale. Gli stimmi sono poi disposti su una griglia, rivestita di carta forno, per la tostatura e la seccatura che avviene per 10-20 minuti a 50° C. La tostatura può avvenire anche con forno a legna, meglio se con braci di legno di faggio. Tutto il processo, dalla raccolta alla tostatura, dev’essere effettuato in giornata, per preservare le caratteristiche qualitative dello zafferano. Il momento della raccolta, come raccontano Lucio e Diego, è sì lungo e impegnativo, ma è un momento di ritrovo, dove tutti, proprio tutti, sono coinvolti: dalle zie ai nonni, tutta la parentela, poi gli amici, ognuno col proprio apporto, ma anche solo i curiosi di provare questa diversa esperienza. Inutile dire che Lucio e Diego invitano tutti a partecipare.

ALCUNI NUMERI - 1 chilo di zafferano si ottiene con la raccolta di circa 200 mila fiori e 500 ore di lavoro - i bulbi grandi danno dai 5 ai 7 fiori, quelli medi ne danno 2,3 - l’80% dello zafferano mondiale è purtroppo tagliato con altre spezie rosse per aumentarne la resa o è contraffatto

- 1500 mq di coltivazioni tra San Giovanni di Polcenigo e Range di Polcenigo (PN) - 2000 mq di coltivazioni a Dardago di Budoia (PN)

ZAFFERANO DI DARDAGO - IL FRIULANO Via Masarlada, 2 33070 Dardago (PN) www.zafferanodardago.com ZAFFERANOFRIULI Via Sottocolle, 64 33070 San Giovanni di Polcenigo (PN) T. 3335717696 www.zafferanofriuli.it

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LA TROTA DI STERPO DALLE ACQUE DI RISORGIVA ALLA NOSTRA TAVOLA di Raffaella Nardini

Foto di Fabrice Gallina

Una giornata dall'aria frizzante, finalmente limpida con quel profumo di freddo che caratterizza il periodo, ideale per fare una passeggiata in una zona particolare della Bassa friulana che si trova sulla “linea delle Risorgive”, tratto che inizia dalle foci del fiume Isonzo e risale lungo la pianura friulana all'altezza di Codroipo, per poi continuare nel pordenonese fino a sfiorare la piana del Cansiglio e proseguire in Veneto lungo il Sile. Pulite, fredde e ricche di ossigeno sono le acque di risorgiva, sorgenti generate dalle precipitazioni nevose e piovose della zona montana e pedemontana che si inabissano nel terreno ghiaioso per poi tornare in superficie dopo un cammino lungo chilometri grazie all'impermeabilità degli strati profondi del terreno.


MANGIAVINO Ci troviamo nel borgo medievale di Sterpo di Bertiolo, a un passo dalle

sorgenti del fiume Stella, prossimo a un'area di risorgiva che raccoglie le acque provenienti dalle Alpi Carniche. L'ambiente, intatto, conservato nelle sue caratteristiche morfologiche e non inquinato, le acque limpide, trasparenti e fredde, ricche di correnti e abbondanti di ossigeno, sono l'habitat ideale per l'allevamento della trota. Ed è delle trote della Società Agricola Sterpo che qui parliamo, sempre nell'ottica della valorizzazione dei prodotti regionali, a chilometri zero. Dopo oltre 40 anni di attività, questa azienda alleva e trasforma oggi più di 15.000 quintali di trote all'anno, divise tra Salmerino, trota Fario e trota Iridea. Il 95% della produzione è rappresentato dalla trota Iridea, indigena delle acque occidentali del Nord America che ben si adatta ai torrenti e ai fiumi della nostra regione, preferendo le acque tranquille e più ampie del medio corso del fiume. La trota Fario, invece, è autoctona dei corsi d'acqua locali, e preferisce l'alto corso fluviale dove si nutre di insetti, crostacei di fiume ma anche di pesci. Infine il Salmerino, un salmonide presente in tutti i bacini naturali dell'arco alpino, anche lui goloso di crostacei e di pesciolini. Il prodotto viene acquistato sotto forma di uova e allevato nelle acque fredde e pure dell'allevamento per almeno 15 mesi, fino ad arrivare a una prima taglia commerciale di 250/300 grammi. Le trote vengono nutrite con mangimi non Ogm e privi di farine animali terrestri. Nel 2003 quest'azienda ottiene la certificazione ISO 9001 e nel 2006 il marchio “Friends of the Sea”, grazie alla politica ambientale rispettosa delle biodiversità. Molto attenta alla qualità della materia prima, trasforma solo l'eccellenza della produzione, traendo il meglio dalla natura rispettandone però gli equilibri. Oltre che davvero buona, la carne della trota è genuina e nutriente, adatta all'alimentazione di piccoli e grandi, grazie alla ricchezza dei suoi componenti nutritivi e alla sua grande digeribilità. Al pari di altri alimenti proteici, come le carni e i formaggi, contiene pochi grassi e una bassa percentuale di colesterolo. Ricca di Omega 3, i “famosi” grassi polinsaturi capaci di proteggere l'attività cardiaca e di contribuire alla prevenzione dei problemi cardiovascolari, contiene anche complessi polivitaminici, fluoro, iodio e zinco che migliorano l'assorbimento del ferro e stimolano il metabolismo. L'attività aziendale non prevede solo l'allevamento della trota, ma anche il marchio “Sorgente del gusto” che propone il prodotto lavorato e trasformato in una sfiziosa linea di preparati per la nostra tavola che si chiama Trota di Sorgente. Ampia la proposta di prodotti freschi, surgelati, affumicati e spalmabili che si possono reperire nello spaccio aziendale di Sivigliano di Rivignano, aperto ogni mattina dal lunedì al venerdì e anche il giovedì pomeriggio. E, allora, assaggiamo il carpaccio, i filetti di trota bianca e salmonata, pronti da mettere sul fuoco, così come gli spiedini e gli hamburger, poi il “prosciutto di trota”, delicatamente affumicato a freddo, con erbe aromatiche e legni pregiati, e la “rosa di trota”, affumicata invece a caldo. La proposta dei surgelati si apre con la trota intrecciata, i trancetti e le polpettine, finendo con le croccanti mezzelune. Non manca di certo la “mousse di trota”, da spalmare sui crostini caldi, e la “trota prelibata”, per condire paste e risotti. Un'occasione per una cucina semplice e gustosa, ideale per chi di tempo ne ha poco ma vuole mangiare bene, nel rispetto della natura, della salute e con un occhio di riguardo ai prodotti del territorio.

SORGENTE DEL GUSTO Via Piave, 2 33032 Sterpo di Bertiolo (UD) T. 0432.917093 www.sorgentedelgusto.it 71


IL TARABUSINO LE VARVUOLE '... Le ha i dinti spuntìi e lunghi de rame, i cavili de fil de fero e vogi lustri e faliscusi de piera-bati-fogo, gambe de legno gropolose: 'le ze vistie de soto dute de stuora, co un capoto de reäto e co per butuni cortegae; brute che le fà spasemah 'nche i demuni. Cô 'le vien qua in päese co la so barca de vero longa longa (comò che me v'he dito) 'le riva zite dadrio 'l Reparo; e guai! Dio çe vardi e Gesù Maria! per duto Gravo, a fahj garghe insolensia, e che mamuli e mamole 'vessa de catahse fora de casa a stà ora despuo la 'Vemaria!...’ Così le descrive Menego Picolo in un suo scritto degli inizi del secolo scorso. Le Varvuole, sono, nelle antiche leggende, le streghe del mare che, nella sera che precede l’Epifania, vengono sulle loro barche di cristallo, si spargono in tutte le calli di Grado e rapiscono i bambini cattivi. La storia fa risalire questo fatto agli assalti degli Uscocchi, pirati balcanici che, ai tempi della dominazione veneta, arrivavano nelle lagune dell’Alto Adriatico per compiere le loro razzie. Come un esorcismo, ogni anno, il 5 gennaio, all’imbrunire, nel Porto Mandracchio di Grado, si assiste alla rievocazione storica, con l’arrivo delle ‘batele’ e delle streghe del mare. Il ‘giovanissimo’ Ristorante TARABUSINO, ha voluto dedicare alle ‘vecchie’ Varvuole l’ultima cena servita, prima della chiusura per un breve periodo di riposo. Il menù, rigorosamente a base del pesce che la laguna ci fornisce in questo ultimo periodo dell’anno, ed i vini in abbinamento, tutti del nostro territorio, hanno riscosso notevole interesse da parte dei numerosi amici austriaci e tedeschi, appassionati frequentatori di Grado, ospiti del BOUTIQUE HOTEL OCHE SELVATICHE, anche in una stagione che pochi nostri corregionari apprezzano. La ‘Cena delle Varvuole’, oltre alla degustazione di cibo e vini, è stata caratterizzata dalla lettura del testo di Menego Picolo (con libera traduzione in tedesco per una migliore comprensione da parte dell’uditorio). Tutti gli ospiti, pur estranei fra loro, sono stati rapidamente coinvolti nella vivace discussione che è seguita. È stato questo il primo di numerosi eventi che il TARABUSINO si propone di realizzare in futuro, dove la convivialità si sposi ad un momento di trasmissione della cultura, delle tradizioni e dell’anima (troppo schiva e riservata) di questo nostro territorio.

Oche Selvatiche BOUTIQUE HOTEL

T +39 (0)431 878918 | F +39 (0)431 81309 | Via Luseo, 1, Grado (GO) | info@ocheselvatiche.it | Seguici su: Facebook


43 JERBIS

di Federico Magni • Foto di Maurizio Polese

Mi fido molto dell’opinione di Gianluca –Castellano, miglior

Master of Friulano 2014- e quando mi dice di aver assaggiato qualcosa di notevole, che si tratti di vino, birra o altro, cerco sempre di saperne di più. Quest’estate, durante le degustazioni per Vitae, mi ha parlato di un nuovo gin fatto da un giovane barman delle parti di Pordenone. Il passaggio dei contatti è stato immediato, così come la mia telefonata a Federico Cremasco. Ci siamo incontrati la prima volta al San Michele di Fagagna, per un aperitivo. Federico è arrivato alla guida del suo furgone, reduce da consegne, e mi sono sentito da subito solidale con lui e con il suo modo di lavorare che è quello di chi, giovane e senza grandi mezzi, cerca, con molto lavoro fatto in prima persona e, soprattutto, con la qualità dei suoi prodotti, di farsi conoscere e di emergere. sommelier

FRED JERBIS Federico Cremasco 33090 Travesio (PN) T. 3407581743

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Messi subito a nostro agio dalla calda atmosfera del luogo e da un buon Americano

preparato dal padrone di casa, tempesto Federico di domande sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle scelte che lo hanno portato a essere produttore di gin e, scoprirò poi, non solo di gin. Fred mi ascolta, calmo e, credo, divertito da tanta curiosità, fino a quando, senza dire una parola, si alza, esce dal locale per rientrarvi, pochi minuti dopo, con in mano una bella bottiglia trasparente da 0,50 cl, di forma trapezoidale alla base e arrotondata nel collo, con un’etichetta sui toni delicati dell’azzurro, del bianco e del verde. Un’etichetta, solo apparentemente semplice, che racconta moltissimo sia del contenuto sia di chi quel contenuto produce. Federico inizia a parlarmi, con la stessa calma con cui mi ha ascoltato, partendo proprio dall’etichetta, sul cui fronte si legge, nella parte alta, in nero, FRED JERBIS. Appena sotto, più in piccolo, ORIGINAL ITALIAN SPIRITS. Poi, in grande, GIN e, al centro, in un cerchio verde acqua, il numero 43. Nella parte bassa, circondata dalla stilizzazione di un’erba aromatica che potrebbe essere, ma mi vergogno di chiederlo per non fare brutta figura, del timo, una piccola etichetta con i numeri progressivi di bottiglia e lotto, scritti a mano.“Qui c’è tutto - mi dice Federico -, Fred, sono io, Jerbis, in friulano, sono le erbe, le botaniche, mia grande passione, che studio da sempre e anche coltivo da quando, dopo aver girato l’Italia come barman nei migliori locali di Milano, di Roma, della Sardegna, sono rientrato a casa per creare i migliori prodotti possibili per la miscelazione, ispirandomi alle ricette di un aromatiere scovate in un libro sulle piante del lontano 1946. Il 43? Semplice. Sono i gradi di alcool del mio gin e sono le botaniche in esso contenute. Le “erbe” non sono solo le mie. Sono una miscela di oli essenziali e di piante secche di distillatori friulani che ho avuto la fortuna di incontrare, quasi per caso, durante le mie ricerche. Il ginepro, ad esempio, viene dall’Umbria, il migliore che abbia mai “assaggiato”. Ovviamente, le botaniche, che vengono lasciate in infusione da poche ore fino a venti giorni, da sole non bastano. Mi sono affidato alla LF Opificium per distillazione e miscelazione. Come vedi, un bell’esempio di collaborazione tra “artigiani” in cui ognuno mette a disposizione le proprie conoscenze e abilità. Il risultato? Dimmelo tu”. Il colore lievemente ambrato è dovuto, oltre alla massiccia presenza di botaniche, alla non filtrazione. Ne assaggiamo un sorso puro, a temperatura ambiente. Le erbe esplodono in bocca. Si distinguono subito il timo, il rosmarino, la melissa –mi fermo perché arrivare a 43 sarebbe lunga-, e si percepisce nitidamente una sottile nota agrumata davvero rinfrescante. Bevuto così, ha quasi il sapore, e anche la funzione, di un grande digestivo. Mi fa venire in mente, con le debite differenze di dolcezza, innanzitutto, la Chartreause. Ora, io non sono quello che si può definire un amante del gin, ma rimango davvero esterrefatto dalla nettezza degli “aromi” e dalla pulizia di bocca. Nessuna aggressività, nessun bruciore. Buono. Lo assaggiamo con ghiaccio, tonica Goldberg e un rametto di timo fresco portati dal Beppe. Fresco, dissetante, finito. “La scelta delle toniche così come degli “accompagnamenti”, ovviamente, non è casuale. Ho passato molto tempo a studiare i diversi effetti delle toniche sul mio gin. Ormai sul mercato ce ne sono moltissimi tipi e tutte hanno caratteristiche peculiari, che vanno esaltate. Con la Goldberg, il timo; con la Ledger’s, il lampone; con la Indi, una scorza di arancia e una fetta di mela verde, e così via. Ho preparato una scheda con i migliori abbinamenti, così come una serie di cocktails, a base di gin Fred Jerbis, che servo ai vari eventi cui partecipo. L’ultimo, il Gin Day di Milano. Una gran fatica, ma è andata molto bene”. Ancora un gin tonic, poi bisogna scappare. L’avventura, iniziata appena a giugno 2015, va a gonfie vele. Federico si è concentrato, durante la calda estate, sulla parte costiera della regione e adesso, con l’aiuto di un valido collaboratore, la bottiglia “43” inizia a vedersi nei migliori locali delle 4 province, e anche fuori regione e, presto, all’estero. Del gin di Fred si inizia a parlare anche sulle migliori riviste e siti specializzati. Due begli articoli, per citare i migliori, sono recentemente apparsi su ginitaly.it e BarTales.it. “Teniamoci in contatto, prossimamente ti farò assaggiare il vermouth e, a inizio del prossimo anno, il bitter”. Ora si che ragioniamo, penso io. Se venite dalla provincia lombarda, con studi fatti a Milano, come me, sapete che di taglio all’aperitivo non se ne è mai parlato, se non negli ultimissimi anni. Si bevono bitter e americani. Bene, il vermouth l’ho assaggiato in un successivo incontro, questa volta Alle Nazioni, a San Quirino, da Pier. Una base verduzzo, ricchissimo, manco a dirlo, di erbe, con un grado che si addice ai grandi, veri, vecchi vermouth. Non vedo l’ora di assaggiare il bitter.




A FAGIOLI IN VAL RESIA di Donatella Pezzaioli • Foto di Donatella Pezzaioli

I fagioli Phaseolus Coccineus, chiamati dei Turchi, del Papa o anche Klostär, sono una specie tradizionalmente coltivata anche in Val Resia. Dopo aver scelto di iniziare, sei anni fa, la coltivazione di Coccineus per rotazione colturale all’aglio, ho scoperto un paio d’anni dopo che anche i miei avi li coltivavano. L’antica semenza di famiglia però era andata perduta poiché nessuno della mia famiglia aveva proseguito l’attività contadina. Non è stato facile reperire la semenza. In Valle se ne trovava poca. Altre qualità più comuni sono normalmente coltivate. La mia bisnonna Anna Siega (del 1889) lo coltivava nella frazione Oseacco. Lo chiamava “Klostär”, che in resiano significa serratura/chiusura/chiave, poiché forma e dimensioni di questo grande fagiolo ricorda l’impugnatura delle chiavi di quei tempi. “Taze mi punj klostär”/ “taze mi punj strumačave”, vai a prendermi i fagioli chiave/vai a prendermi i fagioli materasso (piccoli fagioli bicolore a strisce beige-nocciola) diceva Anna alla nipote Elsa Pielich (mia zia). La produzione è molto variabile, dipende dalle condizioni meteo che influiscono notevolmente sulla produzione: precipitazioni, temperature troppo alte o basse ne limitano la quantità. Per annaffiare, ci dobbiamo affidare solo alla buona sorte, che piova quando serve, non sarebbero sostenibili, infatti, impianti di irrigazione. Le coltivazioni sono assolutamente naturali, concimate solo con letame, semina manuale, così come il raccolto. Anche l’eliminazione delle erbe infestanti che, soprattutto nella fase iniziale, potrebbe sopraffare le piantine, è fatta a mano. Ci aiutiamo con una pacciamatura in biotelo. Unico trattamento antiparassitario, solo quando necessario e non tutti gli anni, è con verde rame o neem (consentiti anche dal biologico). Si possono riscontrare problemi di impollinazione se non ci sono api e problemi di formazione dei baccelli se le alte temperature fanno cadere i fiori senza che poi si formino i frutti. È un rampicante che necessita di impianto (pali tutori e rete) per raggiungere un’altezza anche oltre i due metri. Di grande effetto decorativo i filari in fiore. Hanno un lungo periodo di raccolta, dai primi di settembre a novembre, generalmente sono molto produttivi. Si seminano a metà maggio. I fiori possono essere rossi o bianchi o bicolori, i baccelli sono verdi e i semi multicolori: violacei, marroni e bianchi. Coltivati anche nella vicina Platischis, così come in altre aree montane. Li ho trovati anche in Austria, a St. Margareten, nella Rosental, dove in settembre fanno la festa del fagiolo. In Bulgaria è “Presidio fagiolo Smilyan” (son forse detti i Turchi perché riconducibili a quell’area geografica?). Vengono lasciati essiccare direttamente sulla pianta per la produzione del secco, ma vengono raccolti anche freschi per essere velocemente consumati. In questo caso non necessitano di ammollo. Molto saporiti, dal gusto di castagna, si possono mangiare semplicemente lessati, con l’aggiunta di cipolla tagliata sottile, conditi con olio, aceto, sale, pepe oppure in minestroni (che saranno di colore particolarmente scuro).

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MANGIAVINO

Ricette con i fagioli di Resia Chef Andrea Canton - Ristorante La Primula di San Quirino IOTA

per 6 persone

150 gr di fagioli “Klostär” secchi ammollati per una notte in acqua tiepida; 60 gr di carne di maiale a cubetti; 60 gr di cotenna di maiale cotta in acqua salata per 40 minuti, a dadini; 40 gr di pancetta affumicata; 2 cipolle; 1 gamba di sedano; prezzemolo tritato; ½ cucchiaio di farina; 1 rapa da brovada tagliata a julienne; sale e pepe; una noce di burro; olio evo. In una pentola capiente, mettere i fagioli, i cubetti di carne e le cotenne, una cipolla e la gamba di sedano; coprire il tutto con acqua fredda e cuocere a fuoco lento, facendo attenzione a schiumare di tanto in tanto. A fine cottura, aggiustare di sale. A parte, in una padellina, soffriggete con una noce di burro la pancetta tagliata a julienne, l’altra cipolla tritata finemente, aggiungete il prezzemolo e la farina. Togliete dalla pentola la cipolla e il sedano e versatevi il soffritto. Cuocete per ulteriori 10 minuti. Prendere ora la rapa, tagliarla a julienne, aggiungervi sale e mezzo cucchiaio di zucchero; cuocere a vapore per 20/25 minuti. Servite la zuppa in un piatto fondo, con un mucchietto di brovada al centro, un filo d’olio extra vergine d’oliva e una spolverata di pepe nero.

ZIDARICH Terrano Vecchie Vigne 2012 - Alc. 12% - € 24

Rosso rubino dai bordi purpurei. Profumi di mirtilli, fragole, ciliegie mature e succo d’arancia. Seguono varietali note ferrose e salmastre. Il tannino iniziale lascia spazio a morbidezze inaspettate e vincenti. Chiude con richiami aromatici fruttati e terrosi. Rovere di varie dimensioni per 24 mesi.

ZUPPA DI FAGIOLI per 8 persone

200 gr di fagioli “dei turchi”; ½ piedino e una cotica di maiale; 1 gamba di sedano; 1 cipolla; 1 spicchio d’aglio; 1 patata; 2 rametti di rosmarino; 60 gr olio extravergine di oliva; sale e pepe. La sera prima, mettere a bagno in abbondante acqua tiepida i fagioli. Cuocere il piedino in acqua salata per 40/50 minuti. In una pentola capiente mettere a cucinare, coprendo d’acqua, per circa 90 minuti, i fagioli ammollati, il piedino già cotto, cipolla, sedano e patata. Alla fine, un po’ di sale grosso. Togliere dalla pentola il piedino e qualche cucchiaio di fagioli, da aggiungere, alla fine, nella zuppa. Passare i fagioli e le verdure e, con la loro acqua di cottura, portare la zuppa alla densità preferita. Rimetterla sul fuoco. In un pentolino a parte scaldate l’olio con l’aglio e il rosmarino. Filtrate, quindi, quest’olio nella zuppa. Aggiustate di pepe nero e sale. Cuocete ancora per 10 minuti. Quando la zuppa è pronta, aggiungere i fagioli messi da parte e la polpa del piedino tagliata a cubetti. Si può aggiungere anche dell’orzo, che bisogna prima cuocere, a parte, e sciacquare.

SUBIDA DI MONTE Collio Malvasia 2014 - Alc. 13% - € 18

Luminoso giallo paglierino. Temi varietali nell’olfatto. Kiwi, lime, mentuccia, biancospino, mela golden, alloro, maggiorana e decisi effluvi di salsedine. Buon corpo che rende il sorso equilibrato e piacevole. Si allontana lentamente su binari fruttati e sapidi. Acciaio e tonneau per totali 11 mesi.

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CIALSONS DI VERDURE INVERNALI CON RICOT TA AFFUMICATA per 6 persone

500 gr di semola; 200 gr di acqua; 1 cucchiaio d’aceto – per pasta bianca. 100 gr di polpa di zucca cotta al forno; 250 gr di farina Manitoba; 2 tuorli d’uovo – per pasta arancione.150 gr di ricotta affumicata; 130 gr di burro; 50 gr di pancetta affumicata a julienne; 1 piccola verza; 1 piccolo porro; 1 carota; 1 cucchiaio di fagioli secchi messi a bagno in acqua fredda; 3 cucchiai di parmigiano; 1 cucchiaio di dadolini di Montasio fresco; 1 spicchio d’aglio; 1 rametto di rosmarino; olio e.v.o. per le paste: impastare separatamente gli ingredienti per ottenere due paste, una di colore bianco e una arancione. Lasciar riposare per 20 minuti. Stendere un piccolo foglio di pasta bianca, e uno di pasta arancione alla zucca, dello stesso spessore. Tagliare dei tagliolini di pasta arancione e poggiarne 3, paralleli tra loro, lungo il foglio di pasta bianca. Premere in modo che aderiscano alla pasta bianca e tirate poi un foglio molto sottile. E così via. Sbianchire in acqua bollente la verza di cui avrete eliminato le coste grosse. Tagliare a dadini carota e porro. In una casseruola, far imbiondire la pancetta a julienne con una noce di burro; aggiungere carota e porro, far scaltrire per qualche minuto e poi metterci la verza sbianchita. Salare, pepare e cuocere per 15 minuti circa a fuoco lento. A parte, cucinate i fagioli in una padella con un cucchiaio d’olio evo, lo spicchio d’aglio e il rametto di rosmarino, coprendo d’acqua. A cottura terminata, far raffreddare il tutto e aggiungere il formaggio a cubetti, il parmigiano grattugiato, metà dei fagioli e aggiustare di sapore. Formare dei dischi (3 o 4 per commensale) con uno stampino, in modo che risultino tre righe esterne arancio per ogni raviolo. Riempire con l’impasto preparato in precedenza, richiudere in modo che le righe combacino e cuocere in abbondante acqua salata per un paio di minuti. Servire cosparsi di parmigiano grattugiato, burro fuso, ricotta affumicata e alcuni fagioli.

IL RONCAL

Friuli Colli Orientali Bianco Ploe di Stelis 2013 Uve: Chardonnay 34%, Riesling 33%, Sauvignon 33% Alc. 13,5% - € 21 Paglierino dai preziosi riflessi dorati. Complesso. Erbe aromatiche e officinali, camomilla, felce. Sbuffi balsamici di pino mugo, mentolo, resina e coriandolo. Ottimo corpo ed equilibrio. Beva gradevole grazie a sostenuta freschezza che accompagna il finale. Per 7 mesi in barrique, poi acciaio.

TESTINA DI VITELLO CON CREMA DI FAGIOLI E RADICCHIO DI TREVISO ALL'ACETO per 6 persone

500 gr di testina di vitello bollita e tagliata a cubetti; 100 gr di fagioli di Resia secchi ammollati per una notte; 4 mazzi di radicchio di Treviso; 1 radice di rafano; 150 gr di aceto di vino bianco; 30 gr di germogli di porro; 1 gambo di sedano; 1 cipolla; 1 testa d’aglio; rosmarino; fior di sale; aceto balsamico; olio extravergine di oliva. Mettere a bollire i fagioli in acqua con una gamba di sedano e una piccola cipolla. Una volta cotti e salati, frullateli, così da ottenere una salsa, utilizzando parte della loro acqua di cottura e 3 cucchiai d’olio extravergine di oliva profumato con il rosmarino e l’aglio. Ponete sul fuoco una casseruola con un litro d’acqua salata e l’aceto bianco. Quando bolle, sbianchite le foglie più belle del radicchio (6 foglie per ogni commensale). A parte, in una padella antiaderente, fate rosolare i cubetti di testina con un goccio di olio extravergine di oliva. Montate il piatto, disponendo sul fondo la salsa di fagioli, sopra, a raggiera, le foglie di radicchio, al centro, due cucchiai di testina. Spolverate con il rafano e guarnite con i germogli di porro e un filo di olio extravergine di oliva.

FRANCO TERPIN Chardonnay 2009 - Alc. 13% - € 30

Oro antico ambrato. Naso imponente che evidenzia composta d’agrumi, succo d’arancia, fiori di ginestra, fioriture estive, tè verde, spezie dolci e miele d’acacia. Subito avvolgente. Poi sapido a raggiungere l’equilibrio che mantiene anche nel finale delicatamente tannico. Macerazione e botte grande.


LA RUBRICA DEI LIBRI

ALL’ORIGINE DEL GUSTO di Gordon M. Shepherd

CASEUS, Il GRANDE LIBRO DEI FORMAGGI ITALIANI

Perché alcuni cibi ci attraggono più di altri? Perché prediligiamo ciò che ci piace a discapito di quello che non ci aggrada? Gordon M. Shepherd, professore di neurobiologia alla Yale School of Medicine, riassume in questo libro le basi di quella che lui definisce “neurogastronomia”. Mentre altre discipline partono dal cibo, domandandosi come questo stimoli i sensi, la neurogastronomia parte dal cervello, analizzando il modo in cui questo crea le sensazioni del cibo. Il gusto del titolo non si riferisce specificamente al senso del gusto, bensì alla percezione combinata di gusto e odore, che definiamo sapore. Il testo rappresenta il tentativo di aprire un dialogo appassionato tra le neuroscienze e l’arte culinaria per capire non solo il percorso che trasforma un piatto in un’esperienza indimenticabile, ma anche per scoprire le cause di alcuni disturbi alimentari e cosa fare per coniugare i nostri gusti con la nostra salute.

Renato Brancaleoni, è titolare della Fossa dell’Abbondanza, un antico locale di stagionatura dei formaggi. È inoltre Direttore di Alma Caseus. L’Italia presenta varietà di paesaggi e culture, è culla di un inimitabile scrigno di sapori, forme, aromi e profumi anche nei formaggi. Caseus descrive il formaggio in tutte le sue dimensioni, accompagnando il lettore lungo i vari momenti nei quali è scandita la vita del “prodotto”. Storia, legislazione, informazioni tecniche, classificazioni, descrizione approfondita di tutti i formaggi italiani DOP e IGT, ma anche temi quali la gestione di banchi e carrelli nell’abito di negozi e locali, le tecniche e gli strumenti per la conservazione e il taglio, le modalità di servizio e i criteri per la scelta, le quantità e gli abbinamenti costituiscono gli elementi caratterizzanti del testo. Una serie di ricette della tradizione che trovano nel formaggio l’ingrediente principale completa il volume.

€ 25 - 300 PAGINE - CODICE EDIZIONI

€ 27 - 265 PAGINE - EDIZIONI PLAN

I MONDI DEL VINO

a cura di Renato Brancaleoni e Davide Mondin

IL CIBARIO

di Gianmarco Navarini

di Cesare Corradini, Nadia Innocente

Il labirinto linguistico, sempre più tecnico ed esoterico, attraverso cui cercano di muoversi gli enofili più appassionati, può sembrare talvolta un ostacolo insormontabile. Gianmarco Navarini, docente di Sociologia della cultura ed Etnografia presso l’Università di Milano-Bicocca, ci accompagna alla scoperta de “I mondi del vino” servendosi, come filo conduttore, del piacere della conoscenza, della costante ricerca della qualità di quella che nel testo definisce “arte liquida”. Come si può creare un vino di culto? In che modo possiamo costruire una nostra personale libreria olfattiva? Viaggiando attraverso concorsi e degustazioni, terroir e crus, vini quotidiani ed etichette di culto, scopriamo cosa si cela dietro alla nuova cultura del bere vino, comprendente anche mode e snobismi. Infatti, un appassionato di vino conosce tutte le caratteristiche di una grande annata, ma un wine snob conosce il nome del capo cantiniere!

Brillante terza edizione del “Cibario” del Friuli Venezia Giulia. L’opera, oltre che l’inserimento di nuovi prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), presenta una veste grafica rivisitata, zeppa d’informazioni e belle illustrazioni. È l’Ersa “custode” di questo prezioso elenco che offre una vetrina privilegiata dei tanti prodotti. Un inventario che si arricchisce di anno in anno, tanto che offre al pubblico una ricca serie d’immagini e notizie anche storiche. Un’opera che ha un sottotitolo che ben evidenzia il suo scopo: “Atlante di Prodotti della Tradizione”, dove l’uso del termine “atlante” è pertinente poiché scoprire questi prodotti significa scoprire anche i territori, le culture e i popoli di questa Regione. L’opera è divisa in capitoli riferiti alla cultura dei formaggi, delle carni suine, delle carni di cortile e dell’oca, dei pesci, dei vegetali, delle conserve, della frutta, dell’olio e dell’aceto, dei dolci dei piatti delle feste, dei mieli.

€ 16 - 261 PAGINE - IL MULINO

€ 10 - 288 PAGINE - ERSA FVG


I may not be perfect

But it scares me how close to it I am

W W W. D I L E N A R D O. I T


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“ Dove nascono i nostri Vini”

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Intenso e delicato insieme

IL CABERNET SAUVIGNON

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