Mangiavino n°12

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bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore ISSN 2283-7973

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MANGIAVINO

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MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

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Editoriale Saper comunicare in un mondo globale rappresenta una priorità e dunque nessuno può esimersi dall’essere, oggi, “in linea” con tutti. Siamo sempre “più connessi” al pianeta; gli strumenti che abbiamo a disposizione per farlo sono vari e quelli tecnologici sono in verità i più semplici e scontati, a volte utilizzati banalmente. Sicuramente non bastano. Comunicare significa soprattutto essere efficaci, distinguibili. Fare sinergia fra coloro che possono essere dei “comunicatori potenziali” è vincente. Noi crediamo che il Friuli Venezia Giulia possa essere “comunicato” con efficacia solo se gli attori principali sono in grado di “fare sistema”. Per scelta, per convinzione e per dovere. La nuova legge unica sul vino che coinvolge i vignaioli in attività promozionali più dirette e le strade del vino, che hanno trovato una regia unica, possono essere un’occasione imperdibile per comunicare la nostra terra. Ma ci sono anche le istituzioni preposte al turismo regionale e locale, le scuole di formazione di qualsivoglia indirizzo, i comuni con le loro attività museali e culturali, le pro loco, nonché i ristoratori, i negozianti, gli artigiani e tutti coloro che in qualche modo entrano in contatto con chi visita il Friuli Venezia Giulia. Ognuno di noi quindi può diventare il “comunicatore” della nostra terra, delle nostre eccellenze culturali e di quelle enogastronomiche, del nostro modo di vivere e della nostra storia. Si può fare! MangiaVino e l’Associazione Italiana Sommelier del Friuli Venezia Giulia sono già connessi, pronti a “fare sistema”.

Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

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Un ambiente unico un vino indimenticabile Da sempre coltivato nella zona di Prepotto, Lo Schioppettino non ha paragoni tra gli altri rossi prodotti in regione. Per le sue caratteristiche aromatiche speziate, il vino presenta una marcata tipicità, che deriva dalla particolare interazione tra clima e suolo (“terroir”) che si crea nella vallata dello Judrio. Grazie alle basse rese per ettaro, alla vendemmia manuale durante la quale le uve vengono raccolte soltanto al miglior grado di maturazione, l’aroma inconfondibile di frutti di bosco, mora, mirtillo e marasca, si mescola armoniosamente con una nota speziata che ricorda il profumo del pepe verde. Affinato in legno, è di buona struttura e con impronta aromatica estremamente complessa. È ideale anche per i momenti dedicati alla “meditazione”.

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Gentile di Renzo Zorzi /p. 12

Cjargne di Marco Calzavara /p. 18

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Merletti di Federico Magni /p. 22

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Veneto XI Tappa di Alessandro Pareschi /p. 40

Banco di Giorgio C. Riva /p. 42 della

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More Nere di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p.32

Terra e gli

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Terra di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 44

Altri Ortaggi Invernali di Raffaella Nardini /p. 52

Walter Filiputti di Daniele Cernilli /p. 58


t i In Copertina “Cromatismi� Foto di: Massimo Crivellari

A Proposito

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Alcol di Renato Paglia /p. 64

La Ricetta di MangiaVino/p. 66 Piacere di Federico Magni /p. 68 Una Caldaia Piena

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Profumi di Bruno Cataletto /p. 72

Augusto Spiedo di Giorgio C. Riva /p. 76 I Farmaggi Essenza

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Massimo di Simone Geremia /p. 80

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“ET PERÒ CREDO CHE MOLTA FELICITÀ SIA AGLI UOMINI CHE NASCONO DOVE SI TROVANO VINI BUONI”

ph. Franco Zanussi

LEONARDO DA VINCI

VIGNAIOLI DAL 1963


SCHIOPPET TINO ROSSO E GENTILE di Renzo Zorzi

Foto di Stefano Zanini

Il curioso nome genera simpatia ma un tempo induceva a confusione poiché veniva scambiato per un vino mosso, frizzante o addirittura dolce. Tale situazione, in verità, si era creata a causa dalle molteplici tecniche di vinificazione che, in passato, hanno purtroppo interessato questo vitigno. Soprattutto negli ultimi decenni, esso ha trovato un’identità precisa e gli sforzi dei produttori hanno dato i risultati sperati. Lo Schioppettino è oggi solo sinonimo di un ottimo rosso dalle caratteristiche ben definite e dalle ottime qualità.

Schioppettino era il nome che un tempo si dava al vino prodotto con l’uva ribolla nera che nella confinante Slovenia, era, ed è, chiamata pokalza. Varie le teorie sull’origine del nome. Si dice dovuto allo scrocchio dell’acino maturo e dalla buccia sottile sotto i denti o, più semplicemente, alla sua vivacità causata dall’alta acidità presente nel vino e che fa ritardare la fermentazione malolattica lasciando quindi una lieve anidride carbonica in bottiglia. Da molto tempo, uva e vino, si identificano con lo stesso nome. I primi dati certi della produzione di questo vino risalgono al 1282 e richiamano il suo uso nella cerimonia nuziale Rieppi- Caucig. Il fatto evidenzia come, già al tempo, questa zona collinare a Nord Est di Udine, e l’area di Prepotto in particolare, sia in gran parte coltivata a vite, rebula nera soprattutto. L’uva è diffusa prevalentemente nelle Doc Colli Orientali del Friuli e Friuli Isonzo. Viene utilizzata nella sottozona Schioppettino di Prepotto. I risultati sono eccellenti e ben 130 sono gli ettari vitati. La pianta piuttosto vigorosa, di media e costante produttività anche se sensibile alla peronospora. Foglia grande, trilobata o pentalobata, con nervature. Il grappolo è grande, lungo, cilindrico o cilindrico-conico e a volte si presenta alato, di media compattezza. L’acino è medio, ellissoide, buccia molto spessa e pruinosa ma non particolarmente tannica. Il colore è scuro, blù-nero. La polpa semi-carnosa. La maturazione è tardiva. Il vino che se ne ricava è rosso rubino dalle evidenti intense nuances violacee, al naso offre note speziate decise, soprattutto di pepe nero, unite al profumo di piccola frutta rossa e nera. In bocca è secco, dal buon corpo e buona morbidezza, equilibrato, leggermente tannico. Il finale è arricchito da aromi erbacei e di pepe verde. La sua produzione rimase per secoli confinata nel territorio di Prepotto e Albana e quindi con scarsa rilevanza numerica nonostante la particolare vigoria della pianta, poiché al di fuori di questo territorio, di fatto, dava vini di scarso pregio. Impietose e, fortunatamente errate, le previsioni di Guido Poggi nel suo Atlante ampelografico (1939) su questo vino. In particolare scrive della sua imminente scomparsa dovuta essenzialmente alla sua scarsa qualità al di fuori della vocata area di Prepotto. La ribolla nera fu trascurata e visse davvero per molto tempo nell’oblio, tanto che non fu nemmeno presa in considerazione nell’inserimento nell’elenco dei vitigni ufficiali. Dopo l’avvento della filossera i contadini erano decisamente più interessati a piantare cultivar francesi più redditizie, come merlot e cabernet. Spesso si preferiva vinificare la ribolla

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nera lasciandole un discreto residuo zuccherino, tale da rendere il vino amabile, se non addirittura dolce e adatto così ai gusti del mercato del Nord, austriaco in particolare. Certamente il vino derivante da queste “espressioni dolci” ne stravolgeva, di fatto, l’origine e impoveriva le sue potenzialità. Subì la sorte del pignolo e del tazzelenghe, e fu tolto dall’elenco dei vitigni autorizzati. Il Premio Risit d’aur dei Nonino creò un certo interesse attorno all’antico vitigno e diede la forza ai produttori di tentare la via della sua riabilitazione. La sua totale reintegrazione che avvenne nel marzo del 1978. Ma i vignaioli di Prepotto non si fermarono e intrapresero nel 2003 un percorso di formazione per meglio significare il vitigno e le sue grandi potenzialità. Tutto questo al fine di “impostare” un vino che fosse espressione della massima tipicità varietale e territoriale, di complessità, equilibrio e bevibilità. Un lavoro lungo e faticoso che ha condotto nel 2008 il Ministero delle Politiche Agricole a istituire la sottozona dei Colli Orientali del Friuli denominata “Schioppettino di Prepotto”. Il rigido disciplinare permette a una ventina di produttori associati solo la ricerca estrema della qualità. Basse rese, selezioni severe e grande lavoro in vigna, raccolta manuale delle uve, grande attenzione in cantina ove deve rimanere in botti di legno per almeno un anno.

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GIOVANNI DRI – IL RONCAT Friuli Colli Orientali Schioppettino Monte dei Carpini 2012 Alc. 13% - € 22 Riverberi di rosso granato contornano il rubino fitto del centro calice. Raffinate note speziate di pepe e cannella aprono l’olfatto con intriganti sentori di cioccolato e confettura di ciliegie in sottofondo. L’assaggio è morbido e gustoso, con buona freschezza e tannino composto. Prima acciaio e poi tonneau di rovere francese per 12 mesi. Risotto con radicchio tardivo e speck.

ANTICO BROILO Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013 Alc. 13,5% - € 20 Bella tonalità di rosso granato. Delicati sentori di spezie dolci introducono l’olfatto accompagnate da intense folate di sottobosco, humus, funghi e tartufo nero. Emergono poi note fruttate che anticipano la croccantezza del sorso. I tannini sono ancora vivaci ma ben contrapposti a un’impeccabile morbidezza. Vinificato in acciaio, poi 24 mesi in barrique. Beccaccia allo spiedo.

VIGNA PETRUSSA Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2012 Alc. 14% - € 20 Colore ricco di un bel rosso granato intenso ed invitante. Si offre con un bel connubio di note floreali, speziate, minerali e balsamiche. Ricorda viole appassite, anice stellato, roccia spaccata e resina di pino. L’assaggio è gustoso, appagante, sostenuto ed equilibrato. Chiude sontuoso e lento. Sosta per 18 mesi in barrique e 6 mesi in cemento. Spezzatino di cinghiale in umido.

MARINIG Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2012 Alc. 13,5% - € 20 Rosso rubino compatto di bella tonalità e vibrante vivacità. Al naso regala note speziate di chiodi di garofano e pepe nero intrecciate a sentori di china, caffè in grani e confettura di amarene. Il sorso è ricco, equilibrato, di notevole struttura e avvolgenza. Lungo finale sapido. Acciaio e poi carati di rovere francese di varie dimensioni per 24 mesi. Rotolo di coniglio all’aroma di rosmarino.

RONCO DEI PINI Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2012 Alc. 13,5% - € 25 Avvolto in un bel mantello rosso granato effonde sentori ancora floreali e fruttati di rosa rossa appassita, viola, mora di rovo e ribes nero. Poi liquirizia e tabacco mentre la componente speziata ricorda pepe nero e cannella. All’assaggio la perfetta corrispondenza ne esalta le caratteristiche e accompagna il finale. In barrique di rovere francese per 22 mesi. Germano reale allo spiedo. 16


ANGORIS Friuli Colli Orientali Schioppettino 2014 Alc. 13,5% - € 15 Un leggero riflesso ancora violaceo contorna il bel rosso rubino. Le delicate note fruttate in apertura lasciano subito spazio al tipico sentore di pepe nero cui si aggiungono intriganti sfumature di erbe officinali, tabacco biondo, humus e sottobosco. Il sorso è morbido, il tannino è composto e il finale è speziato. Per 6 mesi in tonneau e poi altri 6 in acciaio. Filetto di Angus al pepe rosa.

LA TUNELLA Friuli Colli Orientali Schioppettino 2012 Alc. 14,5% - € 20 Intensa espressione cromatica di rosso granato fitto e scuro. Il ventaglio olfattivo è ricco e variegato. Inizia con note di mirtilli, more selvatiche e alloro subito seguite da cioccolato fondente, amarene sciroppate, fichi secchi e gherigli di noci. Il sorso è avvolgente e allo stesso tempo compatto. Sosta in tonneau di rovere francese da 5 hl per oltre due anni. Brasato di manzo alle erbe fini.

LA BUSE DAL LOF Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2012 Alc. 13,5% - € 20 Invitante colore rosso rubino acceso. Delizia il naso con note fruttate di more e mirtilli seguite da sbuffi di spezie scure, soprattutto pepe nero e chiodi di garofano, e da un rinfrescante sottofondo mentolato. Poi caffè in grani, cioccolato fondente, cuoio e tabacco. La morbidezza del sorso esalta la qualità della matrice tannica. Barrique e tonneau per 12 mesi. Costolette di agnello. LA VIARTE Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2010 Alc. 12,5% - € 28 Rosso rubino impenetrabile, leggermente granato sul bordo. Il ricco bagaglio olfattivo regala intriganti intrecci tra ancor fresche note di frutti di bosco a bacca nera con più evoluti sentori di china, cioccolato fondente, tartufo nero e tostatura di caffè. Sorso gustoso, avvolgente e vivace. Riposa 12 mesi in barrique e poi oltre 2 anni in bottiglia. Sella di agnello con olive nere. CADIBON Friuli Colli Orientali Schioppettino 2014 Alc. 12,5% - € 18 Rosso rubino con riflesso violaceo. Freschi e intensi profumi invadono le narici. Ricordano la mora di rovo, la rosa canina, la ciliegia sotto spirito, il cioccolato fondente, la cannella e il pepe nero. Note balsamiche e mentolate chiudono l’olfatto per poi ripercuotersi all’assaggio, soprattutto nel finale, a conclusione di un sorso gustoso e lineare. Solo acciaio. Maialino al ginepro. 17


PETRUSSA Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013 Alc. 13% - € 18 Rosso rubino compatto al centro e granato sul bordo. Profumo intenso e complesso con chiare note speziate ed ematiche ravvivate da sentori balsamici di resina di pino. Un sottofondo di rosa canina e tabacco biondo completa l’olfatto mentre in bocca si espande denso e avvolgente. Ottimo equilibrio e lenta chiusura. Matura in barrique per 18 mesi e per altri 12 in bottiglia. Arrosto di selvaggina. VIGNA TRAVERSO Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2012 Alc. 14% - € 20

STANIG Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013 Alc. 13% - € 22

Colore ricco di un bel rosso granato intenso ed invitante. Si offre con un bel connubio di note floreali, speziate, minerali e balsamiche. Ricorda viole appassite, anice stellato, roccia spaccata e resina di pino. L’assaggio è gustoso, appagante, sostenuto ed equilibrato. Chiude sontuoso e lento. Sosta per 18 mesi in barrique e 6 mesi in cemento. Spezzatino di cinghiale in umido.

Veste color rosso granato. All’olfatto regala deliziose sensazioni fruttate di prugne, more di rovo, mirtilli e confettura di ciliegie. Sfodera poi un’elegante speziatura con chiodi di garofano in evidenza e anice stellato in sottofondo. Il sorso è largo ed asciutto, il tannino composto e gradevole. Chiude sapido. In barrique per 18 mesi, poi 2 anni in bottiglia. Filetto di maiale lardellato. SIRCH Friuli Colli Orientali Schioppettino 2014 Alc. 12,5% - € 11 Vivace rosso rubino intenso con sfumature violacee. Manifesta all’olfatto la freschezza dei piccoli frutti neri di sottobosco, more e mirtilli in primis. Poi si apre ed effonde sentori di spezie dolci, erbe aromatiche essiccate, radice di liquirizia e cacao. Anche il sorso parte fresco per chiudere decisamente più armonico. Finale speziato. Acciaio, poi 12 mesi in barrique. Lepre in salmì.

COLLI DI POIANIS Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013 Alc. 13,5% - € 18 Cuore rosso rubino che sfuma sul bordo con riflessi granati. Intensi sbuffi fruttati di confettura di more e marasche seguiti da suggestioni di polvere di cacao, tabacco biondo, radice di liquirizia e caffè in grani. Ottimo l’equilibrio gustativo che governa la beva. Buona corrispondenza. Legno grande per la fermentazione e poi tonneau di rovere francese per 15 mesi. Stinco di maiale con patate novelle. 18


I may not be perfect

But it scares me how close to it I am

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I ULTINS DI C JARGNE "I ULTINS" SONO "GLI ULTIMI" TESTIMONI DI UN MONDO CHE NON C'È PIÙ Testi e foto di Marco Calzavara

Non ha avuto vita facile Lidia, segnata com’è stata dalla durezza degli eventi. Ma le avversità non sono riuscite a scalfire quel carattere allegro e gioioso, grazie al quale ha superato con coraggio ogni difficoltà. La passione è vita. Quella per il canto le ha permesso di vedere il mondo, mentre il ricamo l’ha riportata a una dimensione più intima, legata al calore della sua casa e del suo Paese. Oggi Lidia ricama tende, tovaglie, vestiti ma soprattutto scarpets, le tradizionali calzature di velluto, famose anche oltre i confini di questa Piccola Patria. 20



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NEI PAESI DEI MERLET TI di Federico Magni

Foto di Umberto Pellizon

La vista è di quelle che non si dimenticano. Il mont Ventoux –già asceso e mirabilmente definito dal Petrarca, il monte “chiamato giustamente ventoso”, mitica “arrampicata” per tutti gli appassionati di ciclismo- si staglia imperioso con i suoi quasi duemila metri e la caratteristica assenza di vegetazione sulla sommità che gli è valsa anche il soprannome di “monte calvo”. Siamo nel nord della regione PACA, che sta per Provence-AlpesCôte d’Azur e, per la classificazione delle zone vitivinicole -che suddividono il territorio francese senza badare troppo ai confini regionali-, queste sono le terre della Valle del Rodano meridionale, che si estende da Montelimar a Avignone, lungo i due lati del fiume Rodano. Il clima è mediterraneo con estati calde e secche e inverni piuttosto miti e la denominazione più nota al grande pubblico è quella di Châteauneuf-du-Pape, coi suoi vigneti immersi in altipiani disseminati di galets roulés. Spostandosi da Châteauneuf di soli venti chilometri, in direzione nord-est, lungo strade sinuose costellate di minuscoli e sonnolenti villaggi che caratterizzano questo sud della Francia, tenendo il mont Ventoux sulla destra, si raggiunge il massiccio dei Dentelles de Montmirail, splendida conformazione calcarea dalla caratteristica forma a merletto (dentelle, in francese, vuol dire proprio merletto), che, oltre a disegnare il paesaggio rendendolo unico e imperdibile per gli amanti della natura, protegge le zone sottostanti dall’impeto del Mistral che spazza costantemente tutta la parte sud orientale della Francia, creando un microclima ideale per la coltivazione della vite. Sono tre le Aoc che, più di altre, sfruttando questo microclima particolarmente favorevole, stanno dando negli ultimi anni risultati sorprendenti e sono seguite con sempre maggior attenzione dagli addetti ai lavori. Partendo da quella più a nord Gigondas, poi Vacqueyras e Beaumes-de-Venise. L’Aoc Gigondas risale al 1971. I vigneti sono concentrati intorno all’omonimo comune, nel dipartimento Vaucluse. I vigneti si trovano su ampi terrazzamenti d’origine alluvionale di argilla rossa e si estendono fino ai piedi dei Dentelles de Montmirail. I vitigni sono quelli tipici della valle del Rodano meridionale: Syrah, Mourvèdre e Grenache noir -maggioritari- oltre a Bourboulenc, Cinsault, Clairette, Viogner, Grenache blanc, per citare i principali. I vini che se ne ricavano sono solitamente influenzati dal posizionamento dei terrazzamenti da cui provengono le uve, con una finezza che cresce col crescere dell’altitudine. Risale al 1967 l’autorizzazione alla menzione del nome Vacqueyras sulle etichette dei vini prodotti sulla riva sinistra del fiume Ouvèze, affluente del Rodano, nei comuni di Vacqueyras e Sarrians. L’influenza del Mistral preserva le vigne da parassiti e malattie. I terreni, di origine alluvionale, sono ricchi di sabbia e argilla e, in alcuni punti, si ritrovano piccole distese di galets roulés. Il disciplinare è piuttosto rigido e prevede una resa per ettaro di 36 ettolitri e l’età minima delle vigne deve essere di tre anni. La grande maggioranza dei vitigni è a bacca rossa, con Grenache noir, Syrah e Mourvèdre a farla da padroni (per potersi fregiare dell’aoc la percentuale di Grenache noir deve essere almeno pari al 50% e l’insieme dei tre vitigni non può essere inferiore alla soglia del 90%). È forse questa l’appellazione che ha dimostrato i progressi maggiori negli ultimi anni a tutto vantaggio dell’eleganza e facilità di beva. Beaumes-de-Venise deve la sua reputazione al moscato dolce di cui costituisce una delle massime espressioni d’oltralpe, ma l’appellazione Beaume-de-Venise regala anche ottimi rossi, solitamente meno imponenti di quelli delle zone limitrofe. Siamo nel versante a sud del Massif des Dentelles de Montmirail, tra i 200 e i 500 metri di altitudine.

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DOMAINE D’OURÉA

DOMAINE DES BERNARDINS

La conformazione del suolo è un mix particolarissimo di marna, calcare, gesso e componenti saline. Oltre alla conformazione del terreno, è l’altitudine a giocare un ruolo essenziale per determinare la personalità dei vini con differenze anche molto marcate tra le parti più basse e quelle più alte dell’Aoc. Grenache noir e Syrah non possono essere presenti in misura inferiore all’80% nei rossi dell’appellazione. Domaine des Bernardins a Beaumes-de-Venise e Domaine d’Ouréa a Vacqueyras sono due fulgidi esempi di come dai vigneti nati alle pendici dei Dentelles possano ricavarsi vini assolutamente sorprendenti se sono loro dedicate le attenzioni e cure proprie dei grandi vignerons. La visione di insieme tratta dalle bottiglie degustate è quella di zona e denominazione che meriterebbero maggiore attenzione anche da noi.

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domaine des bernardins

2015 Muscat de Beaumes de Venise

Uve: muscat à petits grains blancs 75%, muscat à petits grains noirs 25% - Alc. 15% - € 25 Il Domaine des Bernardins è una questione di famiglia fin dal XIX secolo. Il vino di punta, non potrebbe essere altrimenti, è il moscato “a grani piccoli” (traduzione letterale di petits grains). La presenza di muscat noir influisce sulla colorazione che è di un giallo estremamente intenso con sfumature aranciate. Tutte giocate sulla finezza, le note di frutta matura di pesca gialla e albicocca, intervallate da spezie orientali, una punta di rosmarino e scorza di arancia confit. La componente zuccherina non appesantisce, anzi accompagna il sorso donandogli intensità e lunghezza. La sorpresa arriva in fondo bocca, che è fresco, secco e piacevolmente salino. Crostino di roquefort.

domaine des bernardins

2015 Beaumes de Venise

Uve: grenache 60%, syrah 35%, mourvèdre 5% - Alc. 13,5% - € 20

Non solo muscat, ma anche il classico uvaggio grenache, syrah, mourvèdre, declinato sulla piacevolezza del frutto maturo. Bel rosso intenso con bordi rubino. Profumi vegetali di vendange entière appena accennati che lasciano spazio a un frutto rosso ben delineato, puro, netto e limpido, che col trascorrere dei minuti vira sull’arancia sanguinella. È un vino pieno di energia, vivo, in cui il frutto si mescola alla spezie mediterranee. Ancora leggermente scorbutico, ma dall’impatto immediato e per nulla solare. Un vero Beaumes. Risotto di beccacce.

domaine des bernardins

2010 Beaumes de Venise

Uve: grenache 60%, syrah 35%, mourvèdre 5% - Alc. 13,5% - € 30 Il Domaine des Bernardins è una questione di famiglia fin dal XIX secolo. Il vino di punta, non potrebbe essere altrimenti, è il moscato “a grani piccoli” (traduzione letterale di petits grains). La presenza di muscat noir influisce sulla colorazione che è di un giallo estremamente intenso con sfumature aranciate. Tutte giocate sulla finezza, le note di frutta matura di pesca gialla e albicocca, intervallate da spezie orientali, una punta di rosmarino e scorza di arancia confit. La componente zuccherina non appesantisce, anzi accompagna il sorso donandogli intensità e lunghezza. La sorpresa arriva in fondo bocca, che è fresco, secco e piacevolmente salino. Crostino di roquefort.

domaine d’ourèa

2014 Gigondas

Uve: grenache 65%, syrah 30%, mourvèdre 5% - Alc. 14,5% - € 20 Decisamente più recente la storia di Adrien Roustan e del Domain d’Ouréa. È il 2010 quando Adrian entra in possesso delle vigne di famiglia, una dozzina di ettari, a Gigondas e Vacqueyras. Oggi gli ettari di proprietà sono quasi venti e i vini tra le migliori espressioni delle rispettive appellazioni. Purezza e definizione pur con profumi intensi e forti sensazioni di speziatura che non si accontenta del pepe nero ma esplora anche quello verde per poi passare alla foglia di tè e al chicco di caffè. Il frutto è un concentrato di mirtillo. Una tale ricchezza necessita, per essere domata, di una struttura fine e potente al tempo stesso, e il 2014 non delude regalando una trama fitta e setosa. Terrina di lepre e foie gras.

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domaine d’ourèa

2013 Gigondas

Uve: grenache 65%, syrah 30%, mourvèdre 5% - Alc. 14% - € 20 Vitigno che, scomparso da diversi secoli, è stato “riportato in vita” dai Plageoles che lo definiscono come un vitigno misterioso, difficilmente classificabile. Manto paglierino delicato che ben si intona con le note di mela granny e di buccia di mandarino che per prime si fanno strada tra fitti sentori di sapidità iodata. La vinificazione il meno invasiva possibile conserva inalterate le caratteristiche di grande acidità proprie del verdanel. Acidità che va di pari passo con una sapidità raramente riscontrabile in altri vini della zona. Per pulizia e precisione lo si potrebbe quasi paragonare al Mauzac nature. Salade du Sud-Ouest

domaine d’ourèa

2014 Vacqueyras

Uve: grenache 85%, syrah 10%, mourvèdre 5% - Alc. 13,5% - € 20 Vinificato come i vins jaunes dello Jura, imbottigliato sette anni dopo la vendemmia, è forse il vino che più rappresenta l’opera di Robert e Bernard Plageoles. L’elevage avviene in legno grande e vecchio. Il colore è quello caratteristico della tipologia. Le note ossidative, ben presenti, non sono mai sfacciate, ma perfettamente integrate in un insieme di sensazioni che spaziano dal legno di cedro allo yogurt al malto, agli agrumi canditi. Appena assaggiato sembra quasi sottile e minuto. Bastano però pochi attimi perché si manifesti in tutta la sua potenza che ne esalta le doti di grande, lunghissimo equilibrio. Pecorino dei Pirenei di almeno 36 mesi.

domaine d’ourèa

2012 Vacqueyras

Uve: grenache 85%, syrah 10%, mourvèdre 5% - Alc. 13,5% - € 20 In una parola, equilibrio. Tra i frutti rossi e neri, la spezia dolce e scura, il floreale essiccato e la sferzata fresco sapida. Lo si intuisce dal colore che è pieno, scuro, ma non manca di riverberi di vivacità. Si torna a scomodare la garrigue e quella macchia mediterranea intrisa di sale che si evolve e muta ogni volta che si agita il bicchiere passando dalla lavanda fresca al mirto. Bevuta appagante, sfacciata voglia di ripetere il gesto che è difficilmente controllabile. Lento, lentissimo, con arresto salato. Daube di polpo agli agrumi.

domaine d’ourèa

2014 Vacqueyras

Uve: clairette 80%, bourboulenc 20% - Alc. 13% - € 20 Come tutti i vini del Domaine, anche il Vacqueyras bianco è in certificazione biologica. Merita, più degli altri, una menzione perché è decisamente un vino che non ti aspetti. In tutti i sensi. Nessuna concezione alla facilità e all’ampiezza. Nessun derapage. Il frutto è dato dagli agrumi, dalla scorza di mandarino alla polpa di arancia rossa. I fiori sono l’acacia e la ginestra, ma più di tutto, colpisce la freschezza sapida che traspare fin dai guizzanti riflessi verdolini in oro bianco. Non me ne voglia il produttore, ma questo è un vino del nord per puro caso fatto a sud, molto a sud, di Lione. Il sorso non lascia scampo. Scivola via untuoso e fresco con una sottile linea di idrocarburo che lascerebbe sconcertati se non fosse irresistibile. Tutta la cucina adriatica.

DOMAINE D’OURÉA 470, Chemin de Fonbonne 84190 Vacqueyras T +33 (0)676713244 info@domainedourea.fr

DOMAINE DES BERNARDINS 138, Avenue Gambetta 84190 Beaume-De-Venise T +33 (0)490629413 contact@domaine-des-bernardins.com

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DISTILLATORI IN CARNIA di Flavia Virilli

Foto di Fabrice Gallina

Si narra che sia stato un capitano dell’esercito della Serenissima a portare a Cabia, piccola frazione di Arta Terme (Udine), l’antica arte della distillazione, dopo averne appreso i segreti mentre era di stanza in una località slava. Che si tratti di leggenda o di storica verità, sta di fatto che Cabia è famosa proprio per il suo sliwovitz, un distillato di prugne tipico dei Balcani e diffuso in molte aree dell’Europa orientale. In questo luogo suggestivo, dal quale si gode di un panorama mozzafiato sulla valle del But, c’è una famiglia che da secoli produce distillati: i Gortani del “Casato dei Capitani”. Matteo Gortani, che insieme alla compagna Jessica Fior gestisce oggi l’azienda, è l’ultimo distillatore di Cabia -e della Carnia intera-, erede di una tradizione fiorente che all’inizio del secolo scorso vantava in loco la presenza di ben 12 distillerie. Con lo sguardo fiero e autentico tipico di chi abita questi luoghi, avvezzo più al “fare” che al “dire”, Matteo ricorda che la prima dichiarazione di lavoro della sua famiglia di distillatori risale al 1889, anche se precisa che ad Aquileia è custodito un documento con il quale già in epoca Patriarcale si concedeva a Pietro Gortani di distillare la propria frutta. Ed è proprio dalla frutta che tutto ha inizio. L’ottima qualità delle materie prime che la zona ha sempre saputo esprimere -e che Matteo seleziona in base agli aromi che è in grado di sviluppare e non alla quantità di distillato che se ne potrà ricavare-, unita alla necessità di utilizzarne la grande quantità disponibile prima che deperisse, ha naturalmente portato gli abitanti di questa frazione a distillare prugne, pere e altri frutti così da poter fruire del prezioso spirito non solo a tavola ma anche con finalità terapeutiche. Infatti, nei lunghi e rigidi inverni carnici, lo sliwovitz aggiunto al latte con miele e salvia era considerato una vera panacea, un rimedio ancora oggi per nulla démodé. Ma se il simbolo del Casato dei Capitani è uno sliwovitz intenso, fine ed equilibrato, ottimo sui dolci -d’obbligo sulla gubana- ma anche da solo, con Matteo la gamma dei distillati si è arricchita di prodotti già diventati un must tra gli appassionati. Si spazia dal distillato di pere -di varietà autoctone incredibilmente aromatiche come le “Martin”- a quello d’uva nera e d’uva bianca rigorosamente friulane.Il distillato d’uva bianca,

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da uve di Verduzzo e Sauvignon, costituisce anche la base di una collezione di elisir -more, mirtillo, cumino, lampone, fragoline e frutti di bosco- ottenuti portando il distillato a 30º e lasciandovi in infusione la frutta o i semi (nel caso del cumino) per un mese, terminando con l’aggiunta di una piccola quantità di zucchero e la successiva filtrazione. Tutte le creazioni di Gortani sono votate alla massima qualità e al rispetto della tradizione di famiglia, quindi non contemplano l’aggiunta di coloranti e aromi artificiali. Il nuovo impianto discontinuo semiautomatico a bagnomaria ha permesso alla distilleria di mantenere vivo il portato storico che essa è in grado di vantare, avvalendosi delle più moderne tecnologie a garanzia dell’eccellenza del prodotto finale. La frutta -generalmente di provenienza locale- viene raccolta e trasportata in sede, dove è separata in base ai diversi distillati ai quali è destinata. Quella con nocciolo viene privata dello stesso, le pere e le mele macinate molto finemente, l’uva è diraspata. Così preparata, la frutta viene poi stoccata nei fermentini (cisterne in inox), dove ha luogo la fermentazione naturale (per un periodo che va dai 20 ai 60 giorni), senza l’aggiunta di lieviti o batteri esogeni. Solo a questo punto può avere inizio la distillazione vera e propria: si tenga presente che per ottenere un litro di distillato sono necessari dai 10 ai 12 chilogrammi di frutta. Il prodotto che ne deriva, perfettamente brillante e con una gradazione di circa 60º/65°, viene trasferito al magazzino fiduciario e qui vi rimane fino al completamento delle analisi che ne certifichino l’idoneità al consumo. Da ultimo, passa all’ufficio di trasformazione, dove viene diluito con acqua deionizzata -lo sliwovitz e il distillato di pere sono portati a 46º, il distillato d’uva a 42° e i liquori a 30°- e finalmente imbottigliato. Ma al Casato dei Capitani non sono mai stanchi di sperimentare. Sono nati così due liquori diventati dei best seller: il Cuor di Pera e il Cuor di Mela, morbidi ed eleganti, differiscono dal distillato per dolcezza e inferiore gradazione alcolica. Non mancano poi le edizioni limitate, come la loro prima grappa -chiamata “Grappa del Capitanio” in omaggio alla propria famiglia-, il Cuor di Albicocca e il distillato di birra. Di certo la creatività di Matteo saprà riservarci altre sorprese e già sono in studio nuovi strepitosi prodotti.

DISTILLERIA CASATO DEI CAPITANI Via Cabia, 169 Cabia di Arta Terme (UD) T. 333 5365690 – 338 7282062 casatodeicapitani@libero.it


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LA COLLINA DI CANUS La strada scorre tra i paesi di stampo antico. Le case, i muri di sassi e le strettoie parlano di storie contadine e di fatiche ataviche. La svolta, a destra, sale sinuosa e decisa. Sopra, in cima, la vista e l’anima entrano nello spazio della leggerezza, della poesia del paesaggio. Lo sguardo va lontano e toglie il fiato per la bellezza che dispensa. Colline dolci, illuminate dal sole e dal cielo terso si susseguono ariose, unite da un’ininterrotta teoria di vigneti disposti con una semplicità quasi disarmante, logica e necessaria, perfettamente inserita nell’ambiente come fosse li da sempre, dalla Creazione. Tutto è perfettamente al proprio posto. Nessuna forzatura, è la natura che detta le regole e i tempi. La collina di Gramogliano, protetta dalle Giulie dai venti freddi del Nord, è accarezzata dalle brezze dell’Adriatico che determinano il clima ideale per la coltivazione dell’uva. Le marne garantiscono l’apporto minerale fondamentale per fare dell’ottimo vino. In cima a questa collina si trova Canus, una piccola e antica realtà vitivinicola, a misura d’uomo, che persegue l’idea del rispetto del territorio e della tradizione friulana, senza compromessi. Le radici antiche sono evidenziate da un recente e sapiente restauro della dimora settecentesca di campagna, ora come allora, sede della cantina e delle attività aziendali. La nuova vita di Canus la si deve a Otto Casonato, veneto d’origine, ma innamorato della terra. “Ho lasciato la campagna da ragazzo per inseguire i miei sogni. Ora che sono diventato canuto, ho chiuso il cerchio e sono tornato alle mie origini, alla terra”. Questa frase, che il titolare dell’azienda ama ripetere, è la sintesi della filosofia aziendale che attinge dalle origini per presentarsi con competenza al mercato odierno e futuro. Poche etichette, rivolte ai grandi vini autoctoni tradizionali del territorio, ottenute da rese basse e dalla cura maniacale dei vigneti, sono le scelte produttive di Canus. La consapevolezza di lavorare su un terroir di altissimo livello ha convinto la proprietà a perseguire la scelta della qualità prima di tutto. Non ci sono limiti alle possibilità di successo di questo piccolo paradiso terrestre, fatto di terreni e climi unici, di storia, di uomini capaci e illuminati che rendono ogni giorno possibili i sogni.

Canus Srl Società Agricola Via Gramogliano 21, 33040 Corno di Rosazzo, Udine, Italia www.canus.it


DI RIGORE L'ETICHET TA di Enrico Bertossi

Foto di Enrico Bertossi

Chissà cosa avrebbe pensato Paul Valéry, scrittore, poeta e aforista francese del secolo scorso, se avesse conosciuto Manlio Tonutti prima di scrivere il suo aforismo “Con le etichette delle bottiglie non ci si ubriaca né ci si disseta”.

Dopo aver incontrato questo grande personaggio dell’industria friulana del dopoguerra ne esci con la convinzione che l’etichetta per una bottiglia è come l’abito per una persona: la prima impressione è quella che conta. Ma dopo bisogna approfondire... e alle Tonutti Tecniche Grafiche di Fagagna, una delle prime tre aziende europee nella produzione di etichette per vino, birra e liquori, hanno approfondito molto e con sapienza nei loro oltre settant’anni di storia vincente. Nel racconto asciutto del signor Manlio ci sono tutti i fondamentali più moderni del fare impresa, dal tema della successione familiare a quello della ricerca e dell’innovazione, dalle strategie commerciali e di marketing raffinate agli investimenti coraggiosi al limite della temerarietà come si confà a un imprenditore coraggioso e lungimirante. In poco più di un’ ora riesce a farti riassaporare sensazioni mai sopite e intrise di friulanità nel senso più nobile e pratico del termine. 32


L’ azienda nasce nel 1945 e Manlio entra nell’orbita lavorativa del padre nel 1960 con un approccio simile a quello dei tedeschi quando buttano i bambini in acqua e o impari a nuotare oppure bevi e affoghi: automobile e valigetta e via a vendere, magari in posti lontani come la ex Jugoslavia. Lui impara a nuotare rapidamente e il successo commerciale gli consente quella successione familiare che fa la fortuna sua e dell’azienda. Negli anni ottanta Tonutti non assiste inattivo al grande boom del vino, anzi. Con studi e ricerche innovative adotta carte speciali, prodotte dalle cartiere appositamente in modo di resistere all’umido e alla muffa, sviluppa un sistema di colle per impedire il distacco dalla bottiglia, è tra i primi al mondo ad adottare le etichette autoadesive e, soprattutto, comprende subito che il design di una etichetta ha una grandissima importanza sia per identificare il vino che per catturare l’attenzione del consumatore. Oggi sembrano concetti banali ma non lo erano alla fine degli anni settanta così come molto lontana da quella attuale era la qualità del vino imbottigliato. Si resta affascinati nel sentire la storia dei grandi produttori friulani che hanno accompagnato l’attività di Manlio Tonutti. Qualche nome insistendo viene fuori: Mario Schiopetto e Vittorio Puiatti su tutti, ma anche Marco e Livio Felluga, Manlio Collavini, Piero Pittaro, Tullio Zamò, Josko Gravner, Silvio Jermann e molti altri. Grandi vini, grandi patriarchi, un grande Friuli Venezia Giulia. Da uomo di marketing ci tiene a dire che ha nel cuore indistintamente tutti i produttori che ha conosciuto e probabilmente dice la verità perché è evidente che la storia del suo successo è legata a filo doppio con quello dei grandi protagonisti del vino friulano, italiano ed europeo. Al di là dei ricordi emergono nitide alcune considerazioni nella speranza di non svelare alcun segreto industriale. Innanzitutto quella che “non esiste nel mondo del vino un produttore che non sia un grande personaggio” ed è praticamente impossibile trovarne uno che per qualche verso non lo sia. In secondo luogo “l’etichetta così come il vino esprime l’animo del produttore che la deve sentire come sua” e pertanto il confronto con lui su come vestire la bottiglia è fondamentale. In ultimo se qualcuno vuol sapere quali sono i trend mondiali delle varie tipologie e qualità di vino non servono tante statistiche, basta chiedere a lui quante etichette ne stampa di un tipo piuttosto di un altro. Non si fa stuzzicare facilmente il signor Manlio e quando gli si chiede qual è l’etichetta più brutta che abbia mai visto sorride e chiude la saracinesca. Riproviamo con le più belle e qui si sbottona leggermente di più con un deciso: “sicuramente le tre etichette del Sassicaia, Tignanello e Solaia dell’architetto Silvio Coppola, lo stesso che ha disegnato quella di Russiz Superiore”. Scavando ancora un pò vengono fuori anche il Vintage Tunina e le altre etichette di Jermann e la Ribolla Gialla di Collavini con la genialità di abbinare la capsula gialla all’etichetta. “L’etichetta che resta più a lungo sul mercato e che non stanca il consumatore - ci dice - è quella di buon gusto con dei concetti grafici ben espressi. In questo senso le più belle le fanno gli americani della Napa Valley, in California, che hanno fama di essere le più apprezzate”. Saranno anche le più belle del mondo ma Gallo, che negli Stati Uniti è il più forte produttore con un miliardo (avete capito bene) di bottiglie, tutto il vino italiano che importa lo fa etichettare con i prodotti della Tonutti made in Fagagna, Friuli Venezia Giulia, Italia. L’ uomo Tonutti è un personaggio a tutto tondo, parla bene il francese e il tedesco, abbastanza bene l’inglese, ha già definito la successione in impresa dei due figli Maria Teresa e Marco, appassionato di auto e motori, si diverte ad andare a caccia e a collezionare bottiglie di Porto Vintage. Chissà cosa gli passa per la testa quando in solitudine pensa a quando cinquant’anni fa la tipografia di famiglia faceva le etichette per la grappa e i manici di scopa e i vecchi dicevano in friulano “a un bon vin no i covente la etichete”.

TONUTTI TECNICHE GRAFICHE S.p.A Corso G. L. Pecile, 80-82 33034 Fagagna (UD) T. 0432.800341 www.grafiche-tonutti.it

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MORUS NIGRA GELSO DI MORE NERE di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano

Foto di Fabrice Gallina

VIGNAI DA DULINE Via IV Novembre, 136 - Villanova 33048 San Giovanni al Natisone (UD) T. 0432 758115 www.vignaidaduline.com

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La loro casa è in aperta campagna, immersa tra i vigneti e i prati stabili. È realizzata in gran parte in legno, è a misura d’uomo, semplice e confortevole. Il suo impatto ambientale è minimo, calcolato. L’ampia vetrata rivolta a Sud offre uno scorcio bellissimo e un po’ selvaggio della pianura friulana che da Villanova si estende fino all’Ara Pacis di Medea. L’orizzonte è acceso dal tramonto invernale e richiama un’immagine ancestrale. Sensazione per nulla fuori luogo poiché è proprio qui, sulle pianure antiche friulane, mai interessate dall’opera dell’uomo o dall’apporto di materiali fluviali che sono piantate le viti di Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini, ovvero Vignai da Duline. Il nome dell’azienda deriva dal toponimo di quattro ettari vitati, sito a Villanova del Judrio nel comune di San Giovanni al Natisone. L’azienda fin dal 1997, anno della nascita, ha cercato una sintonia con il territorio e la sua storia più profonda. La scelta di seguire la scuola di Rudolf Steiner non fu per moda ma solo la coerente irrinunciabile conseguenza del progetto vitienologico dell’azienda familiare. L conduzione è infatti a regime biologico certificato e biodinamico. “I Vignai da Duline -amano dire Lorenzo e Federica- sono anzitutto un progetto creativo e agro culturale “. Solo 10 ettari ma con grandi ambizioni poiché il recupero e la conservazione delle vecchie vigne presenti in azienda sono l’obiettivo principale per la salvaguardia della tradizione. “Il punto di forza -ci confida Lorenzo- è la gestione delle vigne a «chioma integrale» che, insieme all’inerbimento sinergico, rappresenta il nostro modo di portare innovazione senza dimenticare la tradizione di chi ha lavorato la vite prima di noi. Il fatto di non cimare è fondamentale per avere la maturità polifenolica anche nelle annate fredde. Questo aspetto lo abbiamo studiato a lungo e la sua constante applicazione nei vigneti ci ha sempre garantito un’ottima qualità dell’uva”. Due sono i vigneti storici entrambi nell’area Orientale del Friuli. Il primo è la Duline, con i suoi 4 ettari, è il vigneto con viti di oltre 80 anni ed è caratterizzata da terre rosse calcaree ciottolose situate su un antico dosso fluviale del fiume Judrio. Il secondo vigneto è Ronco Pitotti, di 6 ettari, è strutturato sugli originali terrazzamenti realizzati a mano ed è composto da strati alternati di rocce marnose e arenarie. “Da questi vigneti –continua Lorenzo- realizziamo solo 25.ooo bottiglie suddivise in diverse tipologie di vini che rappresentano le migliori espressioni dei nostri terreni. Il rigore e l’empatia nella gestione organica delle nostre vigne ci permettono di ottenere un’uva che necessita solo di semplici tecniche tradizionali di vinificazione”. La scelta per il vino di punta aziendale è caduta sul Refosco del peduncolo rosso. Le vigne, di oltre trent’anni, sono una garanzia di costanza e valorizzano il loro modo di lavorare. I vigneti sono quelli de la Duline e di Ronco Pitotti. “A noi piace il Refosco -interviene Federica- con il suo frutto delicato, carnoso e la nota floreale che compare anche dopo anni di affinamento. È una cultivar adatta alla pianura che alla collina. È il primo a germogliare e l’ultimo a essere raccolto e quindi riesce bene anche nelle annate infelici. A volte non riusciamo a produrre il Merlot o il Pinot Nero ma il Refosco lo abbiamo sempre fatto. Crediamo che possa essere veramente considerato il nebbiolo del Friuli ma richiede attenzione”. La vinificazione avviene per parcelle e poi si decide come comporre il blend. In alcune annate le parcelle rimangono distinte e le imbottigliamo così”. Morus Nigra, dal nome botanico del gelso delle more nere, è prodotto dal 1999 e i vigneti sono quelli de la Duline e di Ronco Pitotti e fin dalla prima uscita ha suscitato interesse per le sue qualità che hanno contribuito a far conoscere le grandi potenzialità della cultivar. I calici con il loro prezioso contenuto scuro sono allineati sul tavolo. È la prima volta che si mettono in fila così tante annate. L’attenzione è massima e lentamente, ogni piccolo particolare, ogni sfumatura che esce, racconta di pianure e colline antiche.

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2014

Denominazione: Indicazione Geografica Tipica (dalla produzione 2002, prima Vdt rosso). Zona di produzione: colline di flysh marnoso-arenaceo (marne grigio-giallastre e arenarie quarzose) a Ronco Pitotti a Corno di Rosazzo (UD) – terre rosse argillo-calcaree/ciottolose alla Duline a Villanova del Judrio San Giovanni al Natisone (UD). Altitudine: metri 80 – 160 slm. Esposizione: Sud - Ovest a Ronco Pitotti, Nord – Sud nella Duline. Età media delle vigne: 20 anni. Resa per ettaro: 3,5 t di uva con densità di 5.000 ceppi /ettaro. Uve: Refosco dal peduncolo rosso 100%. Epoca raccolta delle uve: fine settembre. Vendemmia manuale, in cassette. Vinificazione: Fermentazione in botti di rovere francese da 250 lt. Vinificazione in assenza di anidride solforosa. Dopo circa 28 giorni di macerazione con follatura manuale quotidiana completa la fermentazione malolattica in barrique. Maturazione in barrique per 11 mesi sui lieviti. Imbottigliamento e affinamento in bottiglia per 12 mesi, senza filtrazione. Prima annata prodotta: 1999. Bottiglie prodotte: circa 45.000 anno/media. Temperatura ottimale di servizio: 18°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Cabernet). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 35.

Morus Nigra Alc. 13% - Punteggio 88/100 Andamento climatico: annata piovosa. Rubino violaceo. Il bouquet racconta la storia di un’annata in cui la magistrale gestione del vigneto e stata pratica fondamentale per il raggiungimento della giusta maturità. Suggestioni di more acidule e ciliege, fiori d’ibisco e lavanda. Le erbe aromatiche si mescolano a un sottile aroma di spezie macinate, non lasciando spazio alcuno a spiacevoli interferenze immature. Sorso vivo e affilato per dotazione fresca. I tannini succosi e la struttura gustativa dinamica lo rendono spontaneo e sincero, tutte doti da considerarsi assai preziose. Gramigna al ragù di fagiano.

2011

Tono cromatico simile al 2014 ma più carico. Dinamica olfattiva esaltante per pulizia e coesione. Un connubio di cassis, chiodi di garofano, rosa da siepe, ciliegia, balsamicità mentolata e un non-so-che di cuoio, a rendere il tutto decisamente complesso. Al gusto non mancano vigore ed energia grazie alla calibrata disposizione fresca. Gran ritmo al palato che diffonde non solo una struttura di tutto rispetto ma anche un’abbondante sapidità che rilancia la persistenza, ribadendo con forza il suo carattere. Costolette di cervo in salsa di mirtilli.

2013

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata calda ed equilibrata

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata molto calda. Rubino intenso dalle sfumature sangue di piccione. È un naso dal tratto scuro e austero che lentamente racconta di sé. Comparto fruttato declinato su mirtilli e more nere, pot-pourri di viole e rose, chiodi di garofano e cuoio. Proseguono incessanti note ematiche prima e d’incenso poi, per un defilè olfattivo che scorre lento e severo. Sorso ricco di materia. È una deriva fruttata si spinge fin sulle guance. Centro bocca segnato da un artiglio tannico lievemente asciugante. Il binomio acido-sapido apporta equilibrio nel lungo finale. Cosciotto di capriolo in salsa al refosco.

Rubino denso e impenetrabile. Affascinante per eleganza e nitidezza dei profumi. Libera note di ribes e ciliege nere, sciroppo di cassis, tabacco Kentucky, bacche di ginepro e un’attraente aroma di cioccolato e menta che fa rivivere il ricordo dell’after eight. Al gusto mostra una splendida agilità sostenuta da calibrata dotazione acida e succosa presenza tannica. La struttura salda permette alla rigogliosa sapidità di smarcarsi e allungarsi nella bella chiusura. Filetto di vitella in crosta di amaretti con salsa al cioccolato e menta.

2009

Morus Nigra Alc. 13% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata calda ed equilibrata.

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2008

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata piovosa e poco luminosa. Rubino profondo dai temi granato. Il vino, nonostante l’annata, ha avuto un percorso evolutivo esaltante. Variegata complessità nello sfoderare note di inchiostro, ginepro, liquirizia liquida, rabarbaro e radice, corteccia ed evidenti spunti eterei, con un’idea di mandarino ad amplificare ulteriormente l’esaltante bouquet. La bocca è tesa ma sorprendentemente avvolgente e materica. Tannini dal carattere lievemente austero, fitti e maturi. Uscita ferrosa e minerale che sottolinea la grande personalità. Ancora assai lontano da qualsiasi cedimento. Piccione arrosto alla liquirizia.

2004

Prodotto in sole 300 magnum dalla sola parcella storica Duline per celebrare la nascita della primogenita Sofia. Rosso rubino impenetrabile. Il ventaglio olfattivo comunica energia, giovinezza e purezza. More e melograno, arancia sanguinella e lavanda. La distesa di fiori si mescola a un turbinio di pepe e ginepro in grani. Anche l’assaggio rivela una notevole vitalità, mostrandosi succoso, aggraziato e mostra cos’è l’equilibrio. La persistenza fruttata richiama incessantemente l’amarena. La decisa sapidità è la chiave di lettura per un lunghissimo futuro. Tagliatelle di grano arso con salmì di cinghiale.

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata equilbrata. Manto granato profondo. Naso molto fitto e lentissimo. Camaleontico fin dalle prime battute. Sprigiona aromi di tabacco da sigaro, terra e radici, inchiostro e note torbate, fiori macerati e amarene nere. Chiude con cenni intriganti di pesca gialla. Al gusto sorprende per la sua agilità. L’intensa freschezza accompagna gli aromi fruttati e speziati fino in profondità regalando al sorso grande finezza. Struttura e tannino fanno sentire con forza il loro apporto, molto coinvolgente fino al finale corrispondente e interminabile. Stinco di vitello arrosto con ratatouille e purè di sedano.

1999

Granato dal bordo sfumato. Il naso è splendido nella sua impeccabile modulazione. In ordine sparso emergono sentori di cassis, amarene di montagna, more di gelso e chiodi di garofano. A suggellare il raffinato bouquet intervengono i sentori balsamici di menta, eucalipto e resina di pino. Alla profondità olfattiva dell’annata fa da contrappeso il sorso succoso e ancora giovanile grazie al ruolo dinamico dell’acidità. Tannini non solo dolci ma perfettamente disciolti nella lunga ed elegante trama gustativa. Emozionante. Pernice rossa in crosta di Gianni Cosetti.

2001

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata equilibrata e luminosa.

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2005

Rosso di Sofia Alc. 13,5% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata fresca.

Morus Nigra Alc. 13,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata calda, con sbalzi termici. Il colore granato inizia a concedere un po’ di spazio ai toni aranciati. Intorno ad un nucleo intenso di prugne disidratate ruotano una miriade di profumi terziari di rara bellezza. Sottobosco autunnale di humus, corteccia e radici. Fanno seguito dettagliate note di incenso, inchiostro e anice stellato. Richiami eterei sul finale. Bocca assolutamente integra, ma c’è di più, mostra ancora un sorprendente dinamismo e succosità nella beva. Il finale è uno sfoggio di classe dove il protagonista è il tannino dolce e dalle misure perfette. Fagianella tartufata.


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BIANCHERA LA REGINA DEL VENTO di Alessandro Pareschi

Foto di Alessandro Pareschi

La famiglia Zeriul produce olio da olive, a San Dorligo, dal 1823 e queste sono le radici. La storia più recente invece appartiene ad Adriana e Gioacchino, anzi riparte da loro e con loro. Nel 1975 Gioacchino dall’assolata Sicilia si trasferisce a Trieste per lavoro; qui conosce Adriana, da lì a poco diventerà sua moglie, che da sempre è residente assieme alla famiglia a Prebenico. L’idea di dare continuità alla vecchia tradizione della famiglia triestina nasce dalla passione di entrambi per la natura e dal fatto che, a Bagnoli della Rosandra, l’apertura del frantoio indirizza molti piccoli produttori a riprendere con decisione la strada della olivocoltura. Partono con l’attività nel 1979 con il recupero delle 10 piante superstiti e frutto del lavoro del bisnonno. Mettono a dimora ulteriori 50 piante di Bianchera ma la terribile gelate del 1985 compromette gran parte del loro lavoro ma non spegne la volontà di continuare nel progetto. La scelta, quasi ostinata, di affidarsi alla Bianchera è voluta di Gioacchino che la considera una cultivar eccezionale, insostituibile per l’area triestina. Ciò è confermato anche da un incontro, determinante per il proseguo dell’attività, con due docenti universitari, entrambi appassionati di questa cultivar, che condividono le scelte di Adriana e Gioacchino. Loro considerano la Bianchera la regina del mediterraneo poiché con questa cultivar si può produrre un olio extravergine di gran pregio, unico, intenso, vibrante, all’altezza dei migliori oli italiani. In famiglia si decide quindi di estendere la proprietà con l’acquisto di ulteriori terreni, ampliando l’obiettivo primario che era rivolto al soddisfacimento del fabbisogno familiare di olio o poco più. Trovano in località Montedoro, nel comune di San Dorligo della Valle, un vasto appezzamento ottimale perché posizionato interamente in collina. Partendo dalle 10 piante secolari, i vivaisti di Pescia, si occupano di moltiplicarle grazie agli innesti e nel 2002 finalmente vengono messe a dimora le nuove piante. Nel 2007 Gioacchino e Adriana portano a termine i lavori coronando il loro sogno. Attualmente nei quasi 10 ettari coltivati a ulivo si trovano 2300 piante così divise: 2000 di Bianchera, 100 di Leccino, 100 di Maurino, 100 di Santa Caterina. L’area è ideale per un’olivicoltura di qualità; i terreni sono principalmente composti da flysh e terre rosse tipiche del Carso e ciò garantisce un ottimo drenaggio. Il vento di bora soffia deciso e tempra le piante. Non va sottovalutato il fattore climatico che ospita l’azione del clima continentale e quello mediterraneo. Quest’azienda, grazie alla posizione dell’uliveto di Montedoro, rappresenta una realtà di singolare pregio quasi interamente dedicata all’olio extravergine ottenuto da olive Bianchera-Belica. La conferma delle suddette eccellenti qualità è l’assegnazione del Premio Medusa durante Expo Milano 2015, un importante riconoscimento che proviene del mondo scientifico ed è destinato ai prodotti agroalimentari dell’eccellenza italiana. Un olio straordinario non si improvvisa e determinanti, per ottenerlo, sono la cura dell’uliveto, la raccolta manuale con selezione delle olive nel periodo ideale e immediata molitura al fine di ottenere un olio ricco di acido oleico, bassa acidità e alto contenuto di polifenoli, sinonimo di qualità, digeribilità e ricchezza del corredo organolettico. Tutto questo viene seguito con grande cura dalla Fior Rosso. Tre sono le principali produzioni dell’azienda che si riassumo nei due monovarietali “Etichetta Bianca” ed “Etichetta Nera”. Il blend è invece “Etichetta Verde”. Oltre a queste tre versioni Fior Rosso produce anche il Tergeste DOP ottenuto da Bianchera in purezza. 42


FIOR ROSSO Loc. Prebenico, 61 34018 San Dorligo della Valle (TS) T. 338 9186872 www. Fiorerosso.it

(XI TAPPA)

Olio monovarietale ottenuto da cultivar Bianchera con olive appena invaiate. Questa sorta di raccolta “anticipata” imprime all’olio una decisa nota amara piccante e un fruttato medio. Limpido, giallo con brillanti riflessi verdi; l’olfatto mette in evidenza la fragranza del frutto e richiama rucola, carciofo crudo e mandorla verde molto persistenti. Il gusto è pieno, avvolgente, di buona struttura, amaro importante e decisa nota piccante di chiusura. Lunga scia vegetale a sigillo. Su crema di fagioli di Resia, polpo grigliato e sale di guanciale, carni grigliate, primi piatti con selvaggina. Intrigante sul gelato fiordilatte. Etichetta bianca Olio Extra Vergine d’oliva Bottiglia in vetro lt. 0,5 prezzo in azienda € 13 Olio monovarietale ottenuto da cultivar Bianchera con olive invaiate completamente; tale “maturità” genera un olio intenso, equilibrato e fruttato. Veste giallo carico dai riverberi smeraldo. Eleganti e decise note di tarassaco, pomodoro giallo, cardo gobbo e buccia di mela. All’assaggio è deciso, la freschezza erbacea anticipa il graduale sviluppo dell’amaro. Netta e persistente la sensazione piccante che dona freschezza e pulizia. Completa il baccalà gratinato con zafferano e pomodorini del Piennolo vesuviano. Perfetto con pesci mediamente grassi, rosa di Gorizia, vellutate di verdure. Etichetta nera Olio Extra Vergine d’oliva Bottiglia in vetro lt. 0,5 prezzo in azienda € 12 Olio ottenuto dalle cultivar Leccino e Maurino. Ottimo con molluschi e crostacei, risotti, carni bianche oppure, come sottolinea il titolare, nell’ambito dell’alta pasticceria. Oro verde sfavillante. L’intensità all’olfatto è parigrado alla complessità del fruttato verde, ricco e variegato di erbe officinali, timo, limone grattugiato, fiori gialli e mandorla. In bocca esprime eleganza e armonia; buona struttura della pasta e decisi caratteri vegetali. Chiusura lunghissima, coerente e appagante. Gradito compagno di una sella di coniglio alle erbe fini, bacon e polvere di agrumi. Ottimo anche con molluschi e crostacei, risotti, nell’ambito dell’alta pasticceria. Etichetta verde Olio Extra Vergine d’oliva Bottiglia in vetro lt. 0,5 prezzo in azienda € 13 43


CAFFETTERIA TORINESE Piazza Grande, 9 33057 Palmanova (UD) T. 0432.920732 www.caffetteriatorinese.com

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LA CULTURA DEL BANCO di Giorgio C. Riva

Foto di Marco Covi

Diffido istintivamente dai bar del terzo millennio e l’aver, la Caffetteria Torinese di Palmanova, ottenuto, per la seconda volta in tre anni, il riconoscimento di Miglior Bar proprio perché miglior interprete del “concetto del bar del terzo millennio”, era per me motivo di mancanza di curiosità al riguardo, di non volerne sapere di più. Per tanti anni, in passato, mi ero limitato, quando ancora andavo per Preture e Tribunali, a bere alla Caffetteria qualche frettoloso caffè, molto buono peraltro, tra un’udienza e l’altra della Pretura, poi Tribunale, lì vicino, in Borgo Udine. Percepivo, a dire il vero, ogni volta, qualcosa di più, di nuovo, di inatteso, ma la mia concentrazione era altrove. Poi ho smesso di andar per Tribunali e non ho avuto molte occasioni di passare per la piazza di Palmanova. Poi concerto, proprio nella piazza, del “Collega” Paolo Conte m’ha fatto fare notte, non avendo cenato. E allora, omisso medio, ho scoperto la cucina di Nereo. Dico omisso medio perché son passato direttamente dal distratto caffè, solo caffè ristretto senza zucchero, del tempo delle udienze, a una “vera” cena. Appagante. Ben innaffiata. Seduto all’interno, ma con le vetrate spalancate sull’elegante dehors e sulla Piazza. Una serata in grazia di Dio, e non solo per il concerto. Così ho scoperto il locale di Marina e Nereo, gestori, provenienti dal settore alberghiero, dal ‘95, dove si può trovare di tutto, per qualsiasi momento del giorno, al top. E mi sono interessato, fattivamente anche, alle proposte per l’intero arco della giornata. E poi ho voluto conoscere, e ho conosciuto, Nereo. Di San Giorgio, barman Aibes, Nereo, da subito attento alla qualità anche nei dettagli, fin dall’inizio, “preso” il locale che voleva, vicino a casa, lo pensava con tutti i servizi, anche di ristorazione, di un bar di un grande albergo. E così, infine, è riuscito a realizzarlo. Grazie anche alla moglie Marina, quotidianamente al banco, dal primo giorno. La composizione di un semplice toast può forse rendere facilmente evidente la maniacale ricerca della qualità perseguita alla Torinese: il pane impiegato è preparato da quel gran “lievitista” che è Ezio Marinato di Cinto Caomaggiore, il formaggio è il Latteria di Gortani da Mereto di Capitolo e si usa vero prosciutto cotto fornito da Jolanda De Colò. Nereo tiene ai suoi fornitori, li ostenta, li elenca nel sito della Caffetteria, “La storia, l’esperienza, la passione, l’affidabilità, la serietà, per questo sono i nostri fornitori”, li loda. La vicinanza ha facilitato il rapporto, saldissimo più che mai, con Jolanda De Colò, che gli fornisce, spesso, i prodotti in anteprima. Si compiace della frequentazione e dell’apprezzamento per la sua cucina (si, perché è Nereo che fa la cucina, con due aiuti) del conte Marzotto, che ama, come lui, come me, il Grici Merlot di Renato Keber. A proposito di Renato, che stima moltissimo, Nereo ci tiene a dire che è stato il primo produttore da cui ha comperato bottiglie. Merlot e Chardonnay, si ricorda, le prime bottiglie della Caffetteria, nella cui cantina, oggi, si possono trovare delle gran belle etichette, friulane, italiane, francesi, etc. L’impegno di cucina non tiene Nereo lontano dalla sala. Anzi. Gli piace vedere la gente che frequenta il suo locale, comprenderne i desideri, proporre. Non riesce però più a far la pasticceria ma ci tiene a precisare che la pasticcera è stata da lui formata. La Caffetteria Torinese, malgrado l’attuale trasporto per il cibo e per il vino di Nereo, continua a perseguire la completezza dell’offerta per tutte le ore del giorno, di ogni “reparto”. Sotto la vigilanza, quotidiana, come detto, di Marina, che si occupa anche della gestione delle prenotazioni dei pranzi, spesso informali, e delle cene, in cui il bar si trasforma, per i circa 25 coperti quotidianamente riservati, in vero e proprio ristorante con menù originale, vario e variato, secondo i prodotti a disposizione e l’inventiva di Nereo. Egli è un divoratore di libri di cibo, di cucina e di pasticceria, dei migliori chef e pasticceri, di vino, del bere bene, anche in lingue che non conosce o conosce poco “aprono comunque la mente”, dice. Non si sente né barman né chef né pasticcere né uomo di sala. Non una sola identità. Ha imparato a fare tutto ciò, ritiene decorosamente, tendendo a migliorare. L’importante è avere quella che lui chiama la cultura del banco.

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L'UOMO E I VINI DELLA TERRA SENZA TERRA di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano 46

Foto di Fabrice Gallina


Per parlare di Edi Kante e dei suoi vini è necessario conoscere il Carso, possibilmente viverlo. Approcciarsi a questo territorio con rispetto e curiosità vera, significa quindi capire il vignaiolo, il cantiniere, l’artigiano, l’inventore, lo sperimentatore, l’artista e l’uomo Edi Kante. Mi piace riportare qui, una breve, quanto aderente, descrizione di Edi e del Carso che fa Walter Filiputti, uno che di uomini del vino se ne intende e che si trova nel suo ultimo libro (Storia moderna del vino italiano, Skira Editore): “Sono tre le parole che definiscono il suo impegno di vignaiolo: pietra, lavoro, vino”. Filiputti racconta poi come lo stesso Kante parla la sua terra: “Il Carso è un ambiente di una bellezza lancinante, una terra senza terra, in cui le viti lottano per la sopravvivenza con la pietra, tanta pietra. Le rocce calcaree sono plasmate dall’atmosfera, dal mare, dal vento e dai minerali. Il Carso è un mondo sospeso fra mare Adriatico, i Balcani, le Alpi, la Pianura Padana”.

Se il “fenomeno vino del Carso” è una realtà consolidata, lo si deve a Edi Kante poiché per primo, con lungimiranza profetica, indicò la via della vitienologia nel Carso. Egli, già da studente di enologia, capì le potenzialità di questo territorio. Diede inizio a un percorso, non senza difficoltà comunicative con le vecchie generazioni di vignaioli, che lo portò a fare molte esperienze e a capire quale era la strada migliore per fare dell’ottimo vino qui. Erano gli anni ’80 e i vini del Friuli Venezia Giulia erano gli artefici del “rinascimento” del vino italiano. Edi, giovanissimo, fu tra i protagonisti del movimento vitienologico nato a Oslavia con Josko Gravner, i fratelli Bensa, Stanko Radikon, e pochi altri. “Anni incredibili, da veri pionieri -accenna Edi- si discuteva su come far durare nel tempo i vini bianchi. La soluzione fu trovata facendo macerare a lungo la buccia nella vinificazione. Fui il primo ad adottare questa tecnica, seguirono Radikon, Gravner e Maule. Era il 1990”. Pur apprezzando le cultivar di casa, quali terrano, vitovksa e malvasia, egli dedicò anima e cuore allo chardonnay. “Notai subito che questa varietà -continua Edi con la sua consueta verve discorsiva mentre si stappano le prime annate di «Bora»– aveva la capacità di saper «leggere» bene questo territorio difficile, che chiede il massimo e non fa sconti. Capii anche che, qui, lo chardonnay poteva dare quello che serve a una grande terra del vino e cioè dimostrare la longevità dei suoi vini. Era una cultivar ideale anche per confrontarsi con il resto del mondo”. Kante realizzò i suoi primi vigneti di chardonnay agli inizi degli anni ’80 e comincio a «studiarne» i vini ottenuti e la possibilità di usare la barrique, all’epoca quasi sconosciuta nei vini bianchi. L’uso di vecchi cloni francesi e le peculiarità ricavate dai vigneti piantati a Prepotto tra il 1988 e il 1992, alcuni in zone calde, altre in zone più fresche, gli permise di progettare il suo Chardonnay frutto di severe selezioni delle uve dei vigneti. Le prime annate di Chardonnay Selezione messe in commercio catturarono subito l’attenzione. Vini sottili, elegantissimi, possenti come acciaio forgiato e morbidi come il velluto. L’uso del legno era magistrale. “Mi piace la barrique ma non il legno” - ripete spesso Edi – e i vini del Carso devono comunicare il territorio”. Quei vini non avevano nulla da invidiare ai grandi bianchi d’oltralpe. Ben presto questa regione dimostrò che non solo le rinomate aree viticole del Friuli producevano buon vino ma anche il Carso, con le sue produzioni minime, quasi numericamente irrilevanti all’epoca, non era da meno. Kante dedicò in quel periodo anima e corpo alla costruzione della cantina, unica nel suo genere, scavata in profondità nel calcare carsico. E venne l’anno della «Bora». Era il 2001. Edi chiamò così le sue selezioni di Chardonnay. Non esiste nome più appropriato per questo vino che è realizzato solo nelle annate migliori che non necessariamente corrispondono all’andamento climatico ma a quelle ritenute tali dal produttore. L’etichetta è la perfetta sintesi della sua anima ed è ricavata da una foto di Marino Sterle del molo Audace di Trieste sferzato da una violenta raffica di bora. Un vino straordinario che portò Kante, con l’annata 2006, ad aggiudicarsi il “tastevin” della prima edizione, la 2015, della Guida dei vini AIS Vitae. Nel cappello introduttivo alla pagina dedicata a Kante così scrivemmo a proposito della «Bora 2006»: “Sorprende e incanta, ma non più di tanto perché ce l’aspettavamo proprio così. Un vino tanto territoriale quanto universale. Dentro ci trovi l’anima errante del marinaio e la solida concretezza del contadino, la salinità del mare e l’odore della terra rossa”.

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2011

Denominazione: Indicazione Geografica Tipica Venezia Giulia. Zona di produzione: terreni carsici di terra rossa e calcare situati in esposizione Sud a 250 metri slm, nelle colline di Prepotto di Duino Aurisina (TS). Vigneti: allevati a sistema guyot con viti di età media di 30 anni. Resa per ettaro: 5 t di uva con densità di 8.000 ceppi /ettaro. Uve: chardonnay. Epoca raccolta delle uve: settembre. Vendemmia manuale, in cassetta. Vinificazione: uve intere in pressatura soffice. Fermenta in barrique di rovere francese di vari passaggi e qui vi rimane per 12 mesi. Segue ulteriore permanenza di 10 mesi in inox. Messo in bottiglia non filtrato e vi rimane dai 60 ai 72 mesi in funzione dell’annata. Prima annata prodotta: 2001. Per Chardonnay Selezione: 1980. Bottiglie prodotte: circa 2.000 anno/media. Temperatura ottimale di servizio: 12°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Chardonnay). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 35.

Bora Alc.13% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata tendenzialmente calda. Manto paglierino intenso. Subito la netta fragranza della pesca bianca, prosegue con profilo d’erbe aromatiche che richiamano menta e aneto. Aromi costieri di agrumi, dal limone al cedro, emergono dalla sottile speziatura di coriandolo in grani e alghe marine. Bocca succosa che sprigiona la tensione salina. La struttura salda ma dalla beva leggera conduce in una dinamica gustativa che mostra già la sua immensa classe. Il tempo farà il resto. Spaghetti con colatura di alici, pomodoro confit e scorza di limone caramellata.

2008

Riverberi dorati impreziosiscono il giallo paglierino. Trama olfattiva che mostra un grande respiro; si percepiscono già in ottima fusione note di mirabella matura, frutta secca, mazzetto d’erbe aromatiche lievemente essiccate, seguite da nitide e intese sensazioni balsamiche che fanno quasi da collante tra le varie sfumature. Il sorso mostra classe, peso e sostanza, avanza sul palato a ritmo cadenzato. Sul finale si smarca una decisa mineralità calcarea, affiancata da delicata sensazione ruvida. Brodo di radici invernali, lime e ganache di foie gras.

Bora Alc.13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata mediamente fresca. Paglierino dorato. Esordio intrigante di menta e camomilla essiccata. Elegante tropicalità agrumata. Leggero ma incisivo emerge un aroma di trementina di larice, che insieme alla rete finemente speziata, rendono l’approccio olfattivo esaltante per qualità e nitidezza dei profumi. L’assaggio non si discosta da questo sentiero già tratteggiato al naso, con agrumi e sbuffi balsamici in evidenza. Sublima il palato fino alla lentissima chiusura con la salsedine e il salmastro marini di eccezionale intensità. Astice blu in salsa chaud-froid e mango.

Sgargiante paglierino dorato. Era l’ottobre 2014 quando uscì sul mercato, distinguendosi subito tra i più grandi assaggi dell’anno. Oggi si conferma e amplifica la sua straordinaria classe. Emerge un profondo respiro marino di salicornia e foglia d’ostrica, sale affumicato, resina e macchia mediterranea; il tutto perfettamente avvolto da frutta fresca e agrumi. Il sorso è guidato da una freschezza soprattutto balsamica di menta ed eucalipto. La struttura minerale racchiude un’energia gustativa profonda, che contiene tutto il Carso, la bora, il mare e Kante. Gnocchi alla crema di scampi e tartufo bianco istriano.

2006

Bora Alc.13,5% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata perfetta in tutte le sue fasi.

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2009

Bora Alc.13% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata piuttosto calda.


2005

Bora Alc.13% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata fredda e piovosa. Veste oro e verde di pregiata luminosità. Comparto olfattivo estroverso, incentrato inizialmente su sottili ed eleganti note di resina, aghi di pino e menta. Dall’elegante bouquet si percepisce un piccolo patrimonio fatto di bucce d’agrumi essiccate, fragranze silvestri e spunti iodati. Personalità ben marcata anche al palato dove lo splendido connubio di acidi e sali lo sostiene con vivacità e sorprendente lunghezza. Fino all’ultimo non smette di riproporre il profilo olfattivo con sequenze emotive che inebriano i sensi. Asparagi di mare, funghi porcini e nepitella.

2000

Oro netto con sfumature verdi. Colpisce fin da subito, con impianto odoroso importante e complesso. All’iniziale profilo austero di torba, cacao, fiori secchi e tè Oolong, sopraggiungono note più docili di miele e confettura extra di albicocca. L’assaggio, confrontato con gli altri millesimi fin qui degustati, si muove su un profilo diverso, fatto di maggiore volume, cremosità e struttura. Si sviluppa al palato con una lieve rugosità tannica e fresca. Chiusura corrispondente, infinita e di pura impronta salina. Ravioli al vapore di pollo e verza in salsa agrodolce.

Chardonnay Selezione Alc.13% - Punteggio 97/100 Andamento climatico: annata discreta ma molto luminosa. Oro verde che richiama gioventù. Il perché sia l’annata preferita di Kante è presto spiegato. Un turbinio di preziosi riconoscimenti invadono le narici. Resina, foglie di tè bianco, erba ostrica e iodio. Emerge poi un’incredibile freschezza di agrumi e fiori appena colti. L’assaggio è piramidale. Partendo dalla vitalizzante base fresca inizia la sua scalata arricchendosi di sempre nuovi elementi gustativi ma anche tattili. Il finale sapido indica la sinergia vitale tra vitigno, territorio e l’uomo. Sgombro, foie gras, pata negra e zabaione di Andrea Giuseppucci.

Tessitura oro liquido, ricca di lucentezza. Vino figlio di un singolo vigneto. Emergono stratificate note di frutta secca, creme noisette, marmellata di pesche, sciroppo d’acero e gelatina d’agrumi. Seguono profumi torrefatti di polvere di caffè. La bocca potrebbe sembrare muscolare, impressione fuorviante data da una materia ricca e di prim’ordine. Allungo intenso, rotondo e profondo ma soprattutto indiscutibilmente elegante. Chiude riproponendo la frutta secca e con un’incredibile progressione salina. Tagliolini di nocciole al ragù bianco di coniglio.

1999

Chardonnay Selezione Alc.13,5% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata perfetta.

1997

2001

Bora Alc.13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata discreta.

Chardonnay Selezione Alc.13,5% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: Annata calda. Oro zecchino di lieve opalescenza. La sua scheda tecnica recita: 3 anni in barrique nuove, zero solforosa aggiunta e nessun travaso. Spiccano, come in un fantastico déjà-vu, fragranze di agrumi canditi, miele, frutta sciroppata, miele, zafferano e cera d’api. Il sorso morbido, decisamente cremoso, svela la sua fisiologica adesione ai canoni degli anni ‘90. Finale lento e sapido, bilanciato dai netti richiami fruttati e sciroppati. La sua virtù è dimostrata dall’integrità che, a distanza di vent’anni, lo elegge a vero fuoriclasse. Quenelles de brochet. 49


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KANTE Loc. Prepotto 1/A, Â 34011 Duino Aurisina (TS) T.040 200 255 www.kante.it

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IL NOSTRO BROCCOLO E GLI ALTRI ORTAGGI INVERNALI di Raffaella Nardini

Pur non essendo la sua origine ancora completamente chiara, dato che alcuni studiosi la attribuiscono ad alcune regioni dell’Italia meridionale ed altri alla Galizia Spagnola, certo è che il cavolo broccolo friulano si è diffuso nella nostra regione a partire dal 1800 e ha eletto come areale produttivo la Val Cosa nel pordenonese, Orzano di Remanzacco e il Comune di Reana del Rojale in provincia di Udine. Il Professor Gianni Colledani, storico del Friuli, narra che questo ortaggio è stato coltivato nella nostra regione per tutto l’800 e il ‘900. Si ricorda che è stato fondamentale per superare gli ormai lontani “anni della fame”, intorno al 1817. In un’epoca come la nostra in cui il concetto di indigenza alimentare è sconosciuto o perlomeno molto diverso da quanto inteso dai nostri nonni e bisnonni, ci consola il fatto che questo particolare ortaggio, oltre ad essere buono, ha ottime proprietà medicamentose e rinfrescanti per l’apparato digerente. È una Brassicacea a ciclo biennale, Brassica oleracea var. italica Plenck, che si è selezionata e si è ben adattata nella nostra regione grazie alla resistenza alle basse temperature e alle avversità parassitarie. A differenza di quanto avviene per il broccolo classico, la parte importante della pianta per cui viene coltivata non è l’infiorescenza, che risulta essere piccola e di poco pregio, ma bensì le foglie ed il germoglio apicale. Le foglie, molto numerose, hanno una colorazione che varia tra il verde chiaro e il verde più intenso a seconda della varietà, una forma da ovale ad ellittica allungata, con margine dentato. Questo particolare tipo di Broccolo è seminato in giugno-luglio e la raccolta si effettua tra la fine di novembre, dopo i primi geli che rendono le foglie più tenere, per protrarsi poi fino al mese di febbraio dell’anno successivo, prima della differenziazione dell’infiorescenza. Al momento della raccolta la pianta è alta tra i 70 e gli 80 cm, se ne prelevano manualmente le foglie più tenere ed il germoglio apicale con un coltellino o con delle forbici. Il prodotto si consuma dopo la lessatura e viene utilizzato spesso in zuppe, minestre, frittate e polpette. Avaro di fiori e profumi, il freddo inverno è prodigo di ortaggi importantissimi per la tradizione gastronomica friulana, tra cui, oltre al succitato cavolo broccolo friulano, non possiamo dimenticare i radicchi di campo. Una profusione di radicchio variegato, radicchio rosso tardivo, radicchio rosso tondo, e poi una prelibatezza caratterizzata da uno splendido cespo che ricorda una rosa e che per questo prende il nome di Rosa di Belgrado. È infatti a Belgrado di Varmo che ci trovaiamo, in prossimità del fiume Tagliamento, lungo il corso del fiume Varmo, punto di incontro tra alta e bassa pianura friulana. Qui si trova la Tenuta Dibelgrado, sorta dal proposito della giovane Serena Governo di portare avanti quanto iniziato dal bisnonno verso la fine del 1800 e continuato dal padre Ermes e dalla madre Francesca poi. L’azienda nasce come produttrice di cereali atti a soddisfare il fabbisogno della stalla di bovini di loro proprietà che continua fino alla fine degli anni ‘70. Un nuovo inizio tra il 1995 e il 1997, con la messa a dimora delle asparagine, che entrano in produzione dopo due anni, e l’avvio della coltivazione dei radicchi di campo. Circa 10 anni dopo entra in azienda Serena, che dopo un’esperienza di lavoro di tutt’altro genere, decide di continuare e di valorizzare ancora di più il lavoro della sua famiglia.


Serena porta aria fresca e nuove idee, atte ad ampliare l’azienda che oggi conta 30 ettari, a promuovere l’immagine del suo lavoro sul territorio e a proporre i suoi prodotti nei mercati agricoli regionali. Oltre a mamma Francesca e all’instancabile papà Ermes, in azienda c’è anche il fratello Enrico a dare man forte; non mancano chiaramente dei collaboratori stagionali e le consulenze tecniche agronomiche necessarie in un settore così delicato. Obiettivo fondamentale è sicuramente quello di proporre prodotti di qualità al giusto prezzo, con un occhio di riguardo all’ambiente; un’agricoltura convenzionale, ma con concimazioni biologiche e con l’utilizzo prevalente di rame e zolfo per tenere a bada le malattie fungine che in un ambiente umido di risorgive certo non mancano. Ma torniamo ai nostri radicchi, anzi, ai radicchi di Serena che richiedono cura e dedizione per essere portati con orgoglio sul mercato. Il trapianto è meccanico, ma i lavori in campo, la raccolta e la pulizia finale prima della commercializzazione sono tutte operazioni manuali. Sia per quanto riguarda il tardivo, sia per la “rosa di Belgrado”, al trapianto seguono concimazione, sarchiatura e raccolta dopo il primo gelo. Una volta incassettato, avviene lo sbiancamento in acqua, che consiste nel mettere per 15 giorni, 10 per la rosa, i radicchi con le radici a contatto con l’acqua corrente. Una volta eliminate le foglie esterne, l’interno si presenta del caratteristico colore, e dopo la pulizia e il lavaggio il prodotto è pronto per essere gustato. Un lavoro duro, che inizia alla fine del mese di novembre per continuare fino a febbraio. Nella stagione invernale si producono anche cavolfiori, verze, verzottini, finocchi, puntarelle e indivie di vario tipo. La Tenuta Dibelgrado continua poi in primavera con la produzione degli asparagi per proseguire con le orticole estive quali pomodori, cetrioli, peperoni, zucchine, melanzane, tegoline e molte altre specialità della terra.

TENUTA DIBELGRADO Via dei Castelli, 22 33030 Varmo (UD) T. 0432 778358 serenza.governo85@libero.it


LA RICET TA CON I NOSTRI BROCCOLI Chef Antonia Klugmann

Ristorante L’Argine a Vencò Dolegna del Collio

BROCCOLI, MIDOLLO E BERGAMOTTO INGREDIENTI: 6 broccoli freschissimi, 1 broccolo friulano, 4 midolli grandi (bollire le ossa 3 min, raffreddarle e estrarre il midollo con un coltellino; raffreddare i midolli e tagliarli a fettine), 10 bergamotti olio extra vergine d’oliva, germogli di silene, spinacio. PREPARAZIONE: lasciare in infusione sottovuoto la buccia della metà dei bergamotti privata del bianco in olio extra vergine per un giorno a 55°. PUREA DI BERGAMOTTO cucinare con del burro e acqua la buccia dei bergamotti usata per fare l’olio fino a che non sarà tenera. Frullarla con un po’ di burro crudo. Passarla al setaccio. POLVERE DI BERGAMOTTO seccare il resto delle bucce dei bergamotti rimasti, polverizzarle e passarle al setaccio fine. CENTRIFUGA DI BROCCOLO usare i ritagli dei broccoli e le loro foglie e le parti più grandi del broccolo friulano. Centrifugare e legare con la gomma xantana. A SERVIZIO Cucinare i fiori dei broccoli a ciuffi regolari in acqua in ebollizione salata 2 minuti. Condirli con un po’ di sale e burro e ripassarli in forno a 180° per 4 minuti. Cucinare 1 minuto circa i midolli tagliati alla stessa temperatura. Cucinare pochi istanti le foglie di broccolo friulano e ripassarle in padella con olio e aglio. Servire i broccoli conditi con un po’ di olio al bergamotto, la polvere qualche goccia di centrifuga, la purea di bergamotto e le foglie di spinacino crude e di silene.


LA SCLUSA Friuli colli Orientali Pinot Grigio 2015 Alc. 13% - € 10 Giallo paglierino delicatamente ramato. Naso soave di fiori primaverili quali biancospino, fiori di pesco e camelia. Crosta di pane, pesca bianca e mela stark. Mallo di noce e mandorle tostate. Effluvi di salsedine e sottobosco. Ben proporzionato al gusto. L’allungo è fresco e sapido con la morbidezza che chiosa la beva succosa dai rimandi fruttati. Sulle fecce nobili per 4 mesi, nell’acciaio.

LIVON Collio Bianco Solarco 2015 Uve: ribolla gialla 50%, friulano 50% Alc. 13% - € 15 Giallo dorato splendente. Profumi solari e intensi di lievito e vaniglia, di fiori d’acacia e di zagara, di mela gialla e di frutta tropicale. L’apporto piacevolmente marino aumenta la complessità del naso. Vellutato e intenso, bilanciato dall’ottima freschezza che regola sapientemente il sorso si allunga sui richiami tostati e fruttati. Una piccola parte matura in barrique, il resto in acciaio.

ROCCA BERNARDA Friuli Colli Orientali Chardonnay 2015 Alc. 13% - € 12 Giallo paglierino lucente. Ventaglio olfattivo orientato alle fioriture estive e alla frutta a pasta gialla matura. Miele delicato. Le note minerali e il leggero fumé di ponca esaltano la qualità odorosa. Il buon equilibrio esprime la facilità di beva che mostra una freschezza decisa e la morbidezza glicerica. Corrispondente nelle note fruttate, chiude fresco e sapido. Solo acciaio.

L’ARGINE DI VENCÒ Località Vencò 34070 Dolegna del Collio (GO) T. 0481 1999882 www.larginevenco.it


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concept: MumbleDesign.it


Elegance is an attitude. SINCE 1910

Nell’italiano arcaico, “stocco” significava spada. L’emblema di una famiglia e dei suoi valori: forza, tenacia, rispetto e difesa del territorio. È solo così che sono riuscito ad interpretare i profumi di queste terre, le Grave, e fare sì che in ogni mio vino possiate ritrovare i sentori e l’eleganza del mio Friuli. www.vinistocco.it

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VITA E OPERE DI WALTER FILIPUT TI di Daniele Cernilli

Foto di Fabrice Gallina

www.doctorwine.it Quando iniziai ad appassionarmi di vino le mie prime frequentazioni, e parliamo del 1978/79 furono legate all’Associazione Italiana Sommelier. Conservo ancora la mia prima tessera da “Sommelier Aspirante” numero 531. Oggi l’Ais è arrivata a 40mila ed oltre, credo, quindi il ruolo di giovane pioniere non me lo toglie nessuno. Gli “enfant prodige” dell’associazione all’epoca si chiamavano Giuseppe Vaccarini, Fabrizio Pedrolli, e Walter Filiputti, un intraprendente e brillante ragazzo, figlio del proprietario del ristorante “da Germano” a Percoto, che si trovava proprio di fronte alla distilleria dei Nonino. Walter, allievo di Gino Veronelli e di Isi Benini, mitico direttore della Rai di Udine e della rivista “Il Vino”, allora organo dell’Ais, fu anche il principale organizzatore del congresso dell’associazione nel 1980, che si tenne in Friuli, tra Udine e Lignano Sabbiadoro, e che rappresentò una vera svolta e un lancio in grande stile per i vini e i produttori della regione. La “nouvelle vague” formata da Silvio Jermann, Josko Gravner, il compianto Stanko Radikon, Giovanni Dri, mosse i primi passi proprio in quel periodo, e la fama di Mario Schiopetto e dei Felluga si consolidò in modo stabile, inaugurando un periodo d’oro per la vitienologia friulana. Nello stesso periodo Walter iniziò a dare la sua consulenza ai Rapuzzi, proprietari di Ronchi di Cialla, facendo realizzare i primi vini “barricati” sui Colli Orientali, Refosco, Schioppettino, ma anche Verduzzo e Picolit. Poi si occupò di aziende quali Vigne dal Leon, Ronco del Gnemiz, e, infine, si trasferì all’Abbazia di Rosazzo dove con sua moglie Patrizia divennero cantinieri e castellani, inventando vini quali il Ronco dei Roseti, il Ronco dell’Abbazia e il Ronco di Corte. Un’ascesa veloce, che portò Filipputti ad avere un ruolo di primo piano nel mondo vitivinicolo nazionale, anche per la grande vicinanza con alcuni personaggi chiave dell’epoca. Veronelli in primis, ma poi anche Antonio Piccinardi e Giuseppe Meregalli. Ricordo che vedevo in lui ciò che di positivo e di moderno nasceva nel mondo del vino italiano, che aveva bisogno di personaggi brillanti e colti (Walter è laureato in Economia), capaci di scrivere e di comunicare bene e con una competenza anche tecnica di ottimo livello. Dopo la fine degli anni Ottanta la stella di Filipputti ha cambiato la sua luminosità. Che è divenuta differente, non necessariamente meno efficace. Dal mondo delle consulenze si è spostato su quello della comunicazione e dell’insegnamento universitario. Della scrittura. E pur mantenendo produzioni di vino che portavano il suo nome o che lo coinvolgevano direttamente, ha decisamente cambiato il suo modo di operare nell’enomondo. Da poco è uscito un suo libro “Storia moderna del vino italiano”, nel quale traccia quello che a suo modo di vedere è stato il percorso e sono stati i personaggi chiave degli ultimi decenni. Un punto di vista che ripercorre un periodo che ha visto anche lui fra i protagonisti e che fa comprendere bene quali siano stati gli eventi più emblematici di quello che in modo un po’ enfatico qualcuno ha voluto chiamare il Rinascimento del vino italiano. Certo, alcuni passi forse importanti sono rimasti fuori dalla sua ricostruzione. Ma i ricordi sono il frutto di esperienze personali e gli avvenimenti non possono che essere ricostruiti seguendo quelli e non altro.

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cantina produt tori

C ORMÒNS Oltre centocinquanta viticoltori Vi danno il benvenuto nel cuore d’Europa, all’estremo lembo nord orientale d’Italia,in quel Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo. Vi invitano a conoscere la Cantina Produttori Cormòns, nata alla fine degli anni Sessanta per la lungimiranza di alcuni viticoltori cormonesi, che hanno voluto fare tesoro di tradizioni secolari. Ezio Dalla Pozza, Aldo Moretti, Adriano Drius, Stefano Gregorat: Presidenti appassionati che, sostennero da principio che il futuro della vite e del vino non era legato a effimere mode, ma alla tenace valorizzazione del proprio territorio. Nacque così una Cantina unica al mondo, per la qualità dei vini e per le sue molteplici iniziative.

Il buon vino nasce in campagna: la Cantina Produttori Cormòns ha fatto proprio il vecchio detto contadino ed ha puntato gran parte del suo progetto produttivo sulla cura della vigna, redigendo uno Statuto, supportato da un Quaderno di campagna, un minuzioso codice di comportamento al quale tutti i Soci devono ottemperare. Vi vengono annotati tutti i particolari e le date della potatura invernale, delle pratiche agronomiche e delle operazioni colturali, specificando prodotti e dosi. Ogni Socio riporta le date di inizio e fine delle fasi fenologiche delle varietà coltivate, in modo da ottenere un omogeneo ed elevato standard qualitativo delle uve. Il Quaderno di campagna è mirato a ottenere un prodotto affidabile dal punto di vista organolettico e di altissimo pregio; così, la lotta contro i parassiti prevede un impiego minimo di anticrittogamici, puntando sul monitoraggio costante degli oltre 400 ettari di vigneti. Otto attrezzate centraline meteorologiche, disseminate in vari punti microclimatici del territorio, registrano qualsiasi mutamento climatico, della temperatura, dell’umidità, dell’irraggiamento solare, della quantità di pioggia caduta. I dati raccolti arrivano in tempo reale nella centrale computerizzata della Cantina Produttori Cormòns, dove sono attentamente vagliati per prevenire ogni minima anomalia. Tecnologia nel vero rispetto delle antiche usanze, un perfetto mix di tradizione e di alta tecnologia che permette alla Cantina Produttori Cormòns di tenere sotto controllo la zona, ottenendo uve di qualità eccezionale e quindi ottimi vini.


Lungo il corso del fiume Isonzo, non lungi da Gorizia, protetta a Nord dalle Alpi Giulie e riscaldata dal benefico influsso del mare Adriatico, pochi chilometri più a Sud, si estende una terra fertile e rigogliosa. Ospitò l’uomo e la coltura della vite sin dai tempi delle prime civiltà mediterranee. Produsse e produce vini superbi, nel segno migliore delle culture da cui ebbe origine e di cui visse e vive. Dal loro retaggio, nel 1983 cominciò a mettere le prime tenere radici un simbolo di fratellanza umana: la Vigna del Mondo. Nato nel cuore di tutti i soci della Cantina Produttori Cormòns, giorno dopo giorno e con la collaborazione di uomini altrettanto generosi di tutta la Terra, ha visto mettere a dimora alcune centinaia di vitigni provenienti da ogni Paese ove la vite alligna e rallegra l’uomo con il suo generoso liquore. Altri continuano ad aggiungersi, al punto che già oggi può essere considerato una delle più belle collezioni varietali del mondo intero. Dai loro grappoli non poteva che scaturire un vino altrettanto unico sia per le caratteristiche naturali sia per il messaggio che gli si volle affidare, quello di essere il Vino della Pace. Un vino simbolicamente capace di affratellare gli uomini, proprio come le viti venute da ogni continente si affratellano nella vendemmia, nella spremitura dei loro grappoli, nella fermentazione, nell’unico vino che, appunto, ne nasce. Il 1985 vide la prima vendemmia. Più di 500 donne, uomini e fanciulli, colsero, in grande festa, i grappoli tanto attesi. Il Vino della Pace era così nato. Ornato con il tratto di grandi artisti – Baj, Music e Pomodoro -, il 9 aprile del 1986 prese il suo primo volo per recare a ogni Capo di Stato civile e religioso il suo messaggio di Pace, vettore ufficiale Alitalia. Così cominciò la storia della Vigna del Mondo e del Vino della Pace: un messaggio di fraternità e di pace che, puntualmente, ogni anno si sta rinnovando

Via Vino della Pace, 31 | 34071 Cormòns (GO) Italia | T. + 39 (0) 481 62471 | F. + 39 (0) 481 630031


foto di: Umberto Pelizzon

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IL FORNO di riccardo flaborea

il pane ha il compito di accompagnare nella volarizzazione del cibo e dei vini.

“il pane deve avere un’anima”

Concordia Sagittaria (VE) Piazza Matteotti, 31 T. 0421 270262


A PROPOSITO DI ALCOL di Renato Paglia 66

Foto di Fabrice Gallina


A volte mi lascio coinvolgere, mio malgrado e in virtù del mestiere da ristoratore, nella (spesso inconcludente) questione sul tenore alcolico dei vini che recentemente pare sia oggetto di grande attenzione da parte dei consumatori. Sempre più spesso mi sento dire: “mi raccomando che non abbia più di dodici gradi e mezzo!”. Capisco. Capisco che è sempre più difficile consumare vino, specialmente a pranzo, perché la vita è sedentaria ma sempre più complicata e non permette di rilassarci un attimo. Il cellulare ci perseguita ovunque e si è costretti a essere “produttivi” anche quando ce ne staremmo volentieri seduti a tavola per il nostro meritato boccone quotidiano. Questa tendenza ha convinto, un po’ tutti negli anni, consumatori e produttori in primis, che lo slogan “meno alcol nei vini è meglio”. È certo che una bella fetta di responsabilità nella diffusione di questa convinzione va assegnata alle norme restrittive, per altro sacrosante, predisposte negli anni recenti per i guidatori di veicoli. La paura di vedere “sparire” la propria patente con le pesanti sanzioni conseguenti, ci hanno indotto a una circolazione stradale, per così dire, più sobria. D’altra parte esagerare con un vino da 12 gradi di alcol o con uno da 14 è sempre esagerare e quindi condizionare la conservazione della patente di guida al grado alcolico di un vino è pia illusione. Chi guida non deve bere e basta! Un’altra causa va attribuita alla presenza sul mercato, fino a pochissimi anni fa, dei cosiddetti “vini marmellata”. Pesanti, grassi, dolciastri, alcolici, a volte con esagerati e ingiustificati sentori di legno. C’era un periodo in cui se i vini non erano realizzati con lungo appassimento delle uve e se la loro consistenza nel calice non rasentava quella di un budino, non erano buoni, specialmente i vini rossi. Molte responsabilità le hanno avute in tal senso anche le guide dei vini che prediligevano i vini maschi, alcolici, che, a dire il vero, erano sì buoni ma non si riusciva a berne più di un bicchiere a causa del senso di sazietà che procuravano. Insomma, di questi vini ne abbiamo fatto una gran sbornia tanto che oggi sono totalmente spariti dal mercato. Io penso che l’alcol non sia altro che una delle componenti del vino. Giudicare un vino solo fermandosi al suo tenore alcolico indicato in etichetta è un grande limite. Il mio, ormai pluridecennale, mestiere mi ha insegnato che non può essere così. Ho assaggiato vini eccezionali che segnavano 11 gradi di alcol e altri che ne segnavano 15 o 16. Dunque quello che conta è l’equilibrio del vino e la sua qualità organolettica. Mai solamente l’alcol! I vini del Friuli Venezia Giulia, quelli della collina soprattutto, hanno sempre avuto un tenore alcolico di tutto rispetto. Nelle annate calde si raggiungono con facilità i 14 o 14,5 gradi naturali, anche e soprattutto nei vini bianchi. La responsabilità è solo di madre natura! Nessun concentratore, nessun appassimento forzato. Questi vini, non dimentichiamolo, sono, da almeno 40 anni, considerati i migliori vini d’Italia e tra quelli di riferimento al mondo. Rinunciare, magari con artefici, a queste caratteristiche abbassando forzatamente l’alcol significherebbe minarne le caratteristiche. Il rischio quindi è che si vada a impoverire la grande qualità dei vini del Friuli Venezia Giulia. Correre dietro alle mode per vendere qualche bottiglia in più potrebbe snaturare l’identità dei nostri vini regionali. Equilibrio, eleganza gusto-olfattiva, predisposizione all’invecchiamento non possono essere barattati con una tendenza di consumo, forse transitoria, che accomunerebbe i nostri grandi vini con quelli di realtà produttive più scadenti e dozzinali. Tra le altre cose, a parità di (scarsa) qualità, gli altri risulterebbero vincenti visto i loro costi minori in virtù delle produzioni industriali che vantano. Anche i cugini francesi, primi assoluti in fatto di vino, mai si sono fatti scrupolo dell’alcol. Tanto è vero che nelle loro straordinarie, inarrivabili produzioni di eccellenza, si trovano vini dal tenore alcolico modesto quanto quelli con volumi percentuali più sostenuti. I punti che li accomunano invece sono: equilibrio, eleganza, bevibilità. Già di quest’ultimo aspetto, la facilità di beva, è presente anche nei vini che hanno 14 o 15 gradi di alcol. Conta solo il loro valore organolettico e la capacità di sfidare il tempo. È in queste cose che ritrovo i grandi vini del Friuli Venezia Giulia!

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La ricetta di MangiaVino UOVO IN RAVIOLO CON BOT TARGA Chef: Marco Talamini

per

10 persone

500 g pasta all’uovo, 1 kg asparagi verdi, 10 uova, 500 g ricotta di bufala, 100 g parmigiano reggiano, 150 bottarga di muggine, 100 g burro, olio extravergine di frantoio.

Preparare il ripieno facendo stufare velocemente gli asparagi tagliati a pezzetti, nel burro fino a quando diventano teneri; dopo averli lasciati raffreddare, passarli al tritacarne insieme alla ricotta. Aggiustare di sale e aggiungere un pò di parmiggiano grattugiato. Stendere a pasta a strisce lunghe e larghe formando dei cerchi di circa 12 cm di diametro. Al centro realizzare un nido di ripieno nel quale adagiare con cura un rosso d’uovo per poi chiudere il raviolo con un alro cerchio di pasta avendo cura di espellere tutta l’aria dall’interno dello stesso e facendo attenzione a non rompere il rosso d’uovo. Cucinare i ravioli per 3 minuti in acqua bollente salata e servire cosparsi di parmigiano grattugiato e bottarga di muggine condite con burro fuso insieme all’olio.

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RISTORANTE LA TORRE Piazza Castello, 8 33097 Spilimbergo (PN) T. 0427 5055


I VINI IN ABBINAMENTO KITZMÜLLER

Collio Friulano 2015 Alc. 13,5% - € 14 Giallo paglierino luminoso. Fienagioni, mela stark, pera abate, agrumi, mentuccia, erbe aromatiche, leggere note vanigliate e mandorle fresche. Effluvi marini si alternano a note minerali più scure che richiamano la ponca. L’ingresso è succoso, di buona avvolgenza ed equilibrio; poi la componente fresco-sapida accompagna la agile beva fino alla rinfrescante chiusura finale. Acciaio e una parte in vari legni. BORGO MAGREDO Friuli Grave Chardonnay 2015

Alc. 12,5% - € 10

Paglierino netto e lucente. Ventaglio olfattivo delicato e ben composto. Giaggioli maturi, fiori essiccati e fienagioni estive. Leggeri sentori di banana e ananas, mela gialla e pesca bianca. Il naso chiude con accattivanti note saline. Snello, piacevole e bilanciato al palato. L’attacco è vellutato e l’allungo si concede sui temi fresco-sapidi che accompagnano il finale floreale e agrumato. Solo acciaio.

TENUTA LUISA

Bianco Desiderium I Ferretti 2013 Uve: chardonnay 50%, tocai friulano 30%, sauvignon 20% Alc. 13,5% - € 20 Giallo paglierino carico e luminoso. Intenso e variegato susseguirsi di profumi raffinati. Fiori gialli e fienagioni estive. Pesca sciroppata, miele millefiori, arancia candita, succo di mela e biscotti al forno. Vellutato e morbido, ben proporzionato al palato. Sostenuto da adeguata freschezza iodata si congeda con estrema lentezza che richiama la frutta e le spezie dolci. Parte in acciaio e parte in tonneau. ZUANI

Collio Bianco Zuani Riserva 2013 Uve: chardonnay 25%, pinot grigio 25%, sauvignon 25%, tocai friulano 25% Alc. 13% - € 25 Paglierino carico con lievi note dorate. Sentori odorosi complessi. Vaniglia, noce moscata, frutta secca e tostata. Frutta sciroppata, pot-pourry tropicale, frollino al limone, burro, miele e agrumi canditi. Sorso avvolgente, reso morbido dalla struttura glicerica. Nel proseguo la succosa freschezza rende la beve equilibrata. Spezie dolci e tostature chiudono lentamente. Nelle piccole botti per 8 mesi. RONCO DEL GELSO

Friuli Isonzo Bianco Latimis 2014 Uve: tocai friulano 50%, pinot bianco 20%, riesling 20%, traminer aromatico 10% Alc. 13,5% - € 16 Giallo paglierino intenso. Corredo odoroso elegante e complesso. Fioriture che suggeriscono gelsomino e fiori d’acacia. Fienagioni di montagna, bergamotto, frutto della passione, salmastro ed erbe officinali. Perfetto equilibrio in bocca a suggellare l’ottima fattura: sensazioni vellutate competono con decise freschezze sapide che accompagnano la lenta e corrispondente chiusura. In acciaio per 5 mesi. 69


PIACERE di Federico Magni

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Foto di Fabrice Gallina


Devo ammettere di avere un debole per la mia generazione. Come credo ciascuno l’abbia per la propria. Ciascuno convinto, com’è, che la propria sia quella che stia vivendo i tempi più difficili, più emozionanti, più drammatici, comunque, diversi, rispetto a quelle precedenti e successive. Il mio debole non è per in realtà per la mia generazione, ma per quei giovani uomini e donne che, almeno ai miei occhi, di questa mia generazione costituiscono il meglio. Ognuno nel proprio ambito di competenza, qualunque sia la provenienza o il mestiere. Manuel è nato una trentina di anni fa a Coseano. La scelta del CFP di Cividale non è fatta per perpetuare una tradizione familiare, ma è frutto di scelta dettata dalla passione per la pasticceria, ben radicata fin dai primi anni di vita. La prima esperienza lavorativa è a San Daniele da Simeoni, ma la voglia di partire, di vedere altro, di sfruttare le possibilità che alla nostra generazione sono concesse, lo spinge ben presto a abbandonare i luoghi familiari per partire alla volta di Londra, città che può essere sia inesauribile fonte di idee e opportunità sia metropoli asfissiante e sfruttatrice. Dipende da come ci si pone. Manuel, le idee le ha, chiarissime, e lo si vede. Ha appena 19 anni, ed è convinto che un solo anno trascorso all’estero, in ambienti stimolanti e “giusti” valga come quattro passati a casa. Fatto sta che, appena atterrato, è già alle dipendenze del bar privato della Regina Elisabetta, l’Harry’s Bar, a Mayfair. In quattro anni risale la scala gerarchica tutta fino a diventare primo pasticcere, ruolo che gli consente di collaborare con le migliori realtà della pasticceria londinese, ma anche parigina –collaborazione che prosegue tutt’ora, ad esempio col Baretto di Alberico Penati di Rue Balzac a Parigi-, e internazionale. Raggiunta la vetta, in Manuel si fa già strada una certa voglia di autonomia e indipendenza lavorativa, mista a strisciante nostalgia di casa, intesa come Regione “FVG”. L’idea di rientrare, per provare a gestire qualcosa di proprio, non è abdicare alla voglia di fare e di essere protagonista, anzi. Nulla è lasciato al caso, fin dalla scelta del posto in cui aprire, nel 2012, la propria pasticceria. Manuel non sceglie il centro storico di uno dei tanti, splendidi, paesi della provincia udinese, ma, visti gli spazi, allora completamente liberi, del mobilificio Troiani in comune di Martignacco, sulla statale che porta da Udine a Spilimbergo, fa un semplice calcolo, basandosi su dati provinciali: quante auto passano quotidianamente su questa “strada” e, quindi, davanti alla mia pasticceria? Risposta: ventunomila al giorno. L’investimento iniziale, è importante, soprattutto se fatto in anni in cui di luci in fondo al tunnel se ne vedono ben poche, ma, in poco tempo, concentrandosi fin da subito su un servizio “interno” fatto in primis di produzione propria e di vendita diretta concentrata sulle colazioni, l’attività prende piede e si fa via via sempre più articolata. I dipendenti, tutti di età vicina ai 25 anni, in solo quattro anni dall’apertura passano da zero a sette. Tutto è fatto in casa, nel laboratorio al primo piano, e venduto “sur place”, nello spazio al pian terreno, dotato di un bancone ampio e lungo e di tavoli ben distanziati. Le colazioni, si diceva. Ben 17 diverse brioches fatte con diverse farine (integrale, lino e girasole, soia e segale, grano arso, per citarne alcune), farcite in modo tradizionale o “gourmet” –con “ripieno”, fatto al momento, di mela e curcuma, panna e fragola, gianduia e ciliegia- e poi, i krapfen e gli altri grandi classici. Poi, le torte. La più venduta, dice Manuel –che, ridendo, ma neanche poi tanto, confessa di essersi ispirato alle patatine San Carlo- è quella al lime e pepe rosa. Tutte le torte possono essere assaggiate in formato mignon. Altra semplice, ma geniale, idea. L’impasto per la torta e per il “mignon” è identico e permette di ottenere due prodotti vendibili separatamente dando la possibilità al cliente di scegliere, degustandole tutte, tra varie opzioni. Le base dei succhi di frutta si possono toccare. Sono buste sottovuoto in cui la frutta fresca, pastorizzata nel roner, e quindi passata all’estrattore dopo che il cliente l’ha scelta. L’ultima “invenzione” di Manuel è lo zenzerino, bevanda analcolica ricavata dagli oli essenziali di zenzero uniti a infuso di rosmarino e acqua che viene resa frizzante direttamente in bottiglia. Un “gingerino” fatto in casa. Da ultimo, una serie di salati, dalla focaccia, alla pizza romana, alla frittata, ai toast, accompagnati da birra artigianale o da un bicchiere, non convenzionale, di vino. L’insegna? Plasè, a racchiudere il francese plaisir –il piacere di entrare in casa di amici, con un dolce tra le mani– e il friulano plasê, inteso come momento piacevole da trascorrere insieme.

PLASÈ Via Spilimbergo, 263 33035 Martignacco (UD) T. 331 4369416 www.plase.it

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Ăˆ tutta questione di equilibrio Dal 1499 www.tenutavillanova.com


Foto: Benetta Folena - www.bendettafolena.it

Atelier di design e decorazione: ANGELI & meraviglie con PASSIONE L’OCA BIANCA ED ALTRE STORIE S.a.s. - via Fagagna, 1 - 33038 | S. Daniele del Friuli (UD) T./Fax: 0432 943203 | Mail: info@ocabianca.com


UNA CALDAIA PIENA DI PROFUMI E SAPORI di Bruno Cataletto 74

foto di Fabrice Gallina


Simili a surfisti che solcano con le tavole le onde oceaniche, alcuni profumi intensi e inebrianti trasportati da improvvise e gelide folate di bora scivolano lungo i vicoli e le piazze di una Trieste intirizzita dal freddo invernale. Sono i profumi dei buffet triestini che, come le madeleine di Proust, ci riportano indietro nel tempo, quando i fast food non esistevano ancora. Locali anticonvenzionali e pittoreschi, rappresentano una delle numerose eredità culturali dell’impero austroungarico e sono frequentati da persone giovani e anziane appartenenti a tutte le classi sociali desiderose, in qualunque ora della giornata, di farsi un rebechin (lo spuntino triestino) al banco, in piedi o comodamente seduti. A pochi passi dalla centralissima Piazza della Borsa ci imbattiamo nel più famoso e antico buffet della città, il Buffet da Pepi. In realtà a tutti, triestini e non, il locale è noto come Pepi S’Ciavo, Pepi lo sloveno, dal nome del primo proprietario, Pepi Klajnsic, che lo inaugurò nel lontano 1897. Fin dalla sua apertura, l’atmosfera conviviale e informale che si respirava all’interno di quello che sarebbe diventato uno dei ritrovi più famosi della città, fu in grado di attirare e soddisfare una clientela eterogenea costituita da operai, studenti, letterati e persino aristocratici come il principe Torre e Tasso. Nel 1952 il locale assunse il nome attuale, Buffet da Pepi, ma il suo spirito originale non è mai mutato nel corso dei decenni giungendo inalterato fino ai giorni nostri. Un ultimo colpo di vento ci spinge all’interno del buffet, dove immediatamente veniamo avvolti da vapori caldi e profumati che si sprigionano da una grossa pentola incastonata nel bancone e da cui restiamo inesorabilmente ammaliati. Comprendiamo all’istante che l’attrice principale dell’affascinante spettacolo cui i nostri sensi sono in procinto di assistere è proprio lei, la pentola o per meglio dire la caldaia. Al suo interno, immerse in un brodo in perenne ebollizione, trovano posto tutte le leccornie che ci apprestiamo a degustare e che prendono appunto il nome di misto di caldaia, versione triestina del “Bauernschmaus” bavarese. La parte del leone la recita la porcina, meglio conosciuta come porzina (coppa o spalla del maiale), che viene messa a sobbollire lentamente in una sorta di pozione magica contenente cotechini, lingue salmistrate, costicine e carré affumicato (kaiserfleisch), pancetta, wurstel (in dialetto triestino “luganighe de Vienna”) e salsicce di Cragno (tipiche del Carso, leggermente affumicate e con una trama grossolana). Non resta che l’imbarazzo della scelta! Rimaniamo estasiati nell’osservare il modo in cui mani esperte, con l’aiuto di affilati coltelli preparano, una volta estratti dalla caldaia, i vari tagli di carne, che ci verranno serviti nei piatti o in semplici rosette di pane accompagnati da un’abbondante dose di senape cremosa e da una spolverata di cren, cioè la radice di rafano fresco grattugiata al momento. Anche nella gastronomia, come talvolta nella vita di tutti i giorni, ci sono delle coppie indissolubili e una delle più longeve è quella costituita dalla porzina e dai capuzi garbi (cauti nell’idioma locale) che non possiamo fare a meno di assaggiare restandone deliziati. Le nostre papille gustative vengono rapite da una miscellanea di sapori unica nel suo genere e distrattamente, addentando un pezzo di porcina ricoperto da una notevole quantità di cren, ci rendiamo conto dell’estrema e pericolosa piccantezza del rafano a crudo! Tradizionalmente questi piatti sono sempre stati accompagnati da una fresca birra alla spina, ma nulla ci vieta di stappare una delle numerose bottiglie di vino presenti sulle scaffalature sopra il banco per sperimentare abbinamenti classici o più innovativi. Nel 1997, al raggiungimento dei cent’anni di attività, fu organizzata una grande festa che coinvolse tutta la città e durante la quale, tutti i piatti tradizionali vennero serviti lungo le strade attigue ai numerosissimi cittadini che vollero festeggiare lo storico evento. La fama del Buffet da Pepi ha valicato i confini nazionali raggiungendo perfino gli Stati Uniti, quando, nel 2007, Mark Bittman, giornalista gastronomico del prestigioso quotidiano The New York Times, ha descritto in un famoso editoriale, con dovizia di particolari e toni entusiastici, la sua straordinaria esperienza vissuta nel locale triestino degustando il misto di caldaia. Dal 2010, con la gestione di Paolo Polla e dei suoi collaboratori e grazie alla pedonalizzazione di via Cassa di Risparmio, il Buffet da Pepi serve i suoi clienti anche all’aperto permettendo così ai profumi che si sprigionano dai piatti di mescolarsi con il sapore salmastro del mare creando un’atmosfera unica e imperdibile.

BUFFET DA BEPI Via Cassa di Risparmio, 3 34121, Trieste - T. 040 366858 www.buffetdabepi.it

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WWW.GOVERSRL.COM UDINE - TRIESTE - VERONA - BOLOGNA - CODROIPO - PORTOGRUARO


Fedeli interpreti del territorio isontino

Tradizione in evoluzione

Via Isonzo, 117 | 34071 Cormòns (GO) Italy | T. 0481 61310 www.roncodelgelso.com

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AUGUSTO SPIEDO di Giorgio C. Riva

Foto di Umberto Pellizon

Da quanto non mangiavo uno spiedo?! E recentemente ho potuto farlo a due passi da casa, senza dover programmare e ordinare in anticipo. Libidine, libidine coi fiocchi, per dirla come Jerry Calà. La cottura che preferisco. Capretto, maialino, germano reale, anguilla, su ordinazione, per otto persone minimo. Altrimenti, faraona, coniglio, coppa di maiale e costicine, la domenica, giornata dedicata, a pranzo. Una tradizione, quella del pranzo domenicale, negli ultimi anni purtroppo quasi persa, messa barbaramente fuori moda da week-end, attività sportiva e salutismo esasperati, e mantenuta solo da qualche famiglia nostalgica, cui non può non andare il mio plauso. Pranzo domenicale che spesso si “celebrava” al ristorante, coi locali piatti tradizionali, dai sapori antichi. Difficile immaginare qualcosa di più locale, tradizionale, più di sapore antico, “ dello spiedo”. Chapeau all’attuale gestore che ha fatto rivivere l’Ostarie di Santine. “Sulla destra del torrente Torre, in comune di Tarcento, “la Perla del Friuli”, “ad un tiro di schioppo da Nimis”. Grande. Augusto, di nome, e di fatto, a mio parere, per la riproposizione “dello spiedo”, normalmente, di domenica. Dal fogolar arrivano anche fiorentine, costate, costicine d’agnello, plumas, solomillo e chuletero “Real costata” di maiale spagnolo, Real Iberico, e anche tagliate di panzanese, d’anatra e di faraona, alla brace. Il tutto con i contorni di stagione. Fogolar, fuoco di legna, griglia, nel pieno solco della tradizione locale. Basterebbe. Ma va detto anche che il mini restauro attuato da Augusto Pividori, dopo il lungo periodo di chiusura dell’esercizio, è stato rispettoso del luogo apportando un plus di calore e una certa semplice eleganza delle sale da pranzo. Consigliati, ovviamente, da prenotare, i tavoli vicino al fuoco. Anche per godersi lo spettacolo delle cotture. “In cucina Augusto mette, assieme al suo staff, l’anima e il cuore per accogliervi”. È vero. Anche in sala. La pasta è fatta in casa, provare i gnocchetti al ragù di pezzata rossa. Molto buoni anche i ravioli del pastore e i carui di Santine, un cacio e pepe nostrano. Anche i gelati, per chiudere dolcemente, ma non pesantemente, sono fatti in casa. Per iniziare, invece, una tartarina di scottona o dei crostoni di lardo Patanegra. In cantina, Ramandolo, ovviamente, e i rossi da carne, anche in magnum, friulani e non, che piacciono ad Augusto. Anche per i bianchi, friulani, più di una bella etichetta. Per accompagnare un buon San Daniele, ad esempio, o il tradizionalissimo frico e polenta. Posto da famiglie, ma anche, la sera, magari nell’intima saletta con vista sull’enoteca, a lume di candela, per una cena romantica. In una “calda” atmosfera. D’estate, si mangia all’aperto avanti l’Ostarie. Buono, attesa l’offerta, il rapporto qualità prezzo. Un’occasione per una gita a Tarcento e dintorni, una volta meta fissa di molti e negli ultimi anni ingiustamente trascurata.

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OSTARIE DI SANTINE Via Pradandons 33017 Tarcento (UD) T. 0432 783701 www.ostariedisantine.com

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I vini in abbinamento alla cucina di Ostarie di Santine

RODARO Friuli Colli Orientali Cabernet Sauvignon Romain 2011 Alc. 16,5% - € 25 Granato scuro. Profumi complessi e di forte impatto. Prugna, spezie scure, cioccolato fondente, vaniglia, ciliegie sotto spirito, confettura di more di bosco, grafite e pelliccia. Tutto è avvolto da intense folate balsamiche. Avvolgente e caldo all’assaggio. Tannini fitti e vellutati. La struttura energica guida il lungo finale corrispondente e saporito. Acciaio e per 36 mesi nelle barrique di Francia.

ZORZON Collio Merlot 2014 Alc. 13% - € 12 Rosso rubino dalle sfumature granate. Ventaglio olfattivo intenso e articolato. Sottobosco, chiodi di garofano e pepe nero, ciliegie sotto spirito, effluvi balsamici e lievi note fumé. Subito avvolgente al palato e bilanciato dall’ottima freschezza. Il tannino è sferico e ben sostenuto dal corpo adeguato. Si congeda su eleganti note balsamiche e corrispondenze speziate. Botte grande di quercia per 18 mesi.

CASTELLO DI BUTTRIO Friuli Colli Orientali Refosco 2014 Alc. 13% - € 16 Rubino intenso dal bordo violaceo. Profumi varietali che riportano a ciliege e mora selvatica. Sottobosco, felce, corteccia resinosa e note terrose impreziosiscono l’olfatto. Snello e scorrevole. Il corpo è agile. I tannini vivaci imprimono carattere e danno vigore alla beva che risulta molto piacevole. Finale delicatamente erbaceo e fruttato. Per 12 mesi in acciaio sui lieviti.

COMELLI Soffumbergo Rosso 2013 Uve: merlot 50%, Refosco 40%, Cabernet Sauvignon 10% Alc. 13,5% - € 22 Veste rubino dai bordi granato. Temi fruttati di amarene e prugne. Poi sottobosco, resina, radice di liquirizia e intense folate balsamiche. Materico e morbido inizialmente. Si allunga su freschezze speziate ed eteree che apportano un ottimo equilibrio gustativo. Tannini ben levigati ed eleganti, richiami fruttati che si accompagnano a sensazioni sapide nel finale. Acciaio e poi barrique per 12 mesi.

MOSCHIONI Friuli Colli Orientali Rosso Bisest 2010 Uve: pignolo 35%, schioppettino 25%, altri ottenuti da Real e Celtico Alc. 15% - € 22 Rubino fitto, impenetrabile. Naso imponente, complesso. Sentori di china, spezie, rabarbaro, sottobosco, erbe officinali secche, confettura di marasche, cioccolato e note fumé. Sorso pieno e ben disposto negli equilibri tra tannini vibranti e morbidezze gliceriche. Allungo che si declina sui richiami speziati e freschezze balsamiche. Lenta chiusura. Matura a lungo tra barrique e botti grandi di rovere. 80


I giovani Michele e Cristian Specogna, oltre a lavorare nella azienda di famiglia (l’ azienda agricola Specogna Leonardo situata sulle colline di Rocca Bernarda a Corno di Rosazzo), dal 2000 si sono cimentati in un’iniziativa indipendente dando la luce all’ azienda vinicola Toblar srl lavorando uve per lo più acquistate da piccoli e selezionatissimi vignaioli delle zone a denominazione di origine controllata dei Colli Orientali del Friuli e del Collio.

Terre ad alta vocazione viticolo-enologica dove la pianta della vite trova condizioni ideali sin dai tempi Romani, in quanto in questo lembo orientale del Friuli il clima presenta delle peculiarità uniche ed eccezionali per la viticoltura di qualità. Nello spazio di alcune decine di chilometri si passa infatti dalla catena delle alpi carniche e giulie che proteggono dai freddi venti del Nord Europa, all’ Adriatico che mitiga notevolmente le temperatura e ciò costituisce un gran pregio per le colline di questo comprensorio che al contempo beneficiano anche di importanti escursioni termiche ( molto importanti per la valorizzazione delle caratteristiche organolettiche dei vini) ampliate inoltre dai venti della Bora che aiutano anche a spazzare le umidità che altrimenti (soprattutto nel periodo vendemmiale) potrebbero essere fonte di avversità crittogamiche. Tutto ciò unito ai particolari terreni costituite dalle cosiddette ponke , cioè flysch formatisi in era eocenica per sedimentazione e succesiva compattazione di depositi clastici, costituiti da un’ alternanza di strati di spessore variabili di marne (argille- calcaree) ed arenarie (sabbie-calcificate), che garantiscono condizioni di tessitura del terreno e ricchezza in minerali ed oligoelementi ottimali per le uve di alta qualità. Il vino bandiera è ovviamente il Ramandolo , ovvero un passito ottenuto da uve “Verduzzo friulano clone giallo” , raccolte tardivamente e poste su graticci in ventilazione . Un DOCG, il Ramandolo, che si esprime solo nella zona di produzione , per quel concetto di terroir che sta per terreno, microclima ed uomo. La proposta della cantina inoltre spazia su vini come Pinot grigio ramato, la Ribolla gialla ( ferma e charmat extra dry ), il Sauvignon, il Cabernet franc, e per la linea Wine Bar gli uvaggi Toblar blanc ( da Friulano e Sauvignon ) e Toblar ros (Merlot e Cabernet franc)

Via Ramandolo, 17 | 33045 Nimis (UD) | T. 0432- 755840 | F. 0432- 752235 | Mail. info@toblar.it

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I FORMAGGI DI MASSIMO Testo e foto di Simone Geremia

LATTERIA DI TAIEDO Via Villafranca, 2 33083 Chions (PN) T. 0434 635033

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SPACCIO GELATERIA Via S. Petronilla, 3 33078 San Vito al Tagliamento (PN) Latteria.savorgnano@gmail.com


Voce profonda e sguardo intenso, che trasmettono attenzione e cura per i particolari. A soli 19 anni Massimo De Giusti, oggi trentaduenne, diede il “La” alla sua carriera di casaro, dopo gli studi in Agraria a Cividale del Friuli. A Valvasone, nel 2003, iniziò affiancando un anziano casaro da cui imparò i primi rudimenti del mestiere. “Ricordo il primo giorno di lavoro -racconta mentre è intendo nel suo lavoro- ero terrorizzato e fui contento e stupito perché ero riuscito a far coagulare il latte con il caglio e realizzai così il mio primo formaggio”. Lì rimase per un anno producendo ricotta e formaggio Latteria. Poi uno stage con esperti professionisti in quel di Ponte di Piave: tre mesi impegnativi per migliorare l’arte casearia, apprendendo tecniche, tempistiche e piccoli segreti per gestire fermentazioni e temperature. Soprattutto imparò a fare lo stracchino! “il re dei formaggi! – prosegue sorridendo- Eh già, il re, perché una volta che lo capisci e impari a lavorarlo puoi fare tutti i formaggi”. Seguirono anni di esperienze casearie in diverse realtà, non tutte appaganti sotto il profilo professionale. L’impiego in produzioni indifferenziate, senza stimoli veri lo portò, in breve, a considerare seriamente la possibilità di cambiare mestiere. “Mi mancava l’inventiva e la necessità di vivere tutto il ciclo lavorativo del formaggio, affinché potessi migliorarmi, confrontarmi. Ero deluso e la passione per questo mestiere mi stava abbandonando”. “Arrivò il giorno –Massimo si ferma un attimo, quasi a sottolineare quel momento importante- in cui decisi di lasciarmi alle spalle l’esperienza casearia”. Ma a volte la vita ti riserva le sorprese che superano qualsiasi trama d’un film. “Solo poche ore prima del cambio radicale, mi arrivò una telefonata a cui seguì un’immediata visita alla latteria di Savorgnano”. La direzione della latteria cercava un giovane casaro per dare nuova linfa ed energia al caseificio. Scoccò la scintilla! Massimo s’innamorò di quella struttura e soprattutto dell’idea di «poter fare il suo formaggio». Nel 2006 iniziò la sua nuova avventura. Gli fu data carta bianca e lui da subito intraprese l’attività con tutta una serie di nuovi prodotti, sino ad allora visti o sperimentati solo di rado. Nacquero così mozzarelle, caciotte e altre tipologie di formaggi. Un anno da dipendente, durante il quale toccò con mano l’importanza dell’aspetto commerciale che non poteva essere disgiunto dalla qualità. “Noi friulani –dice sorridendo Massimo- siamo bravi a fare e meno bravi e vendere. In qual periodo mi resi conto che dovevo diventare anche abile a far conoscere i miei prodotti al mercato. Ci credevo, erano prodotti eccellenti realizzati con materie prime di gran qualità. Non fu difficile convincere la clientela”. Poi il salto definitivo. Nel febbraio 2007 prese in gestione la latteria. Oltre un anno e mezzo di duro e solitario lavoro, suddiviso fra preparazione dei formaggi, organizzazione dello spaccio interno e distribuzione diretta agli esercizi sul territorio. Finalmente potà, di li a poco, avvalersi di bravi collaboratori, tra cui la sua mamma. Nel 2010 aprì la gelateria. Una sfida che si rivelò subito un grande successo. “Le cose vengono da sole –ci dice- se lavori bene e ti sai accontentare. Certo questo significa che la tua giornata è lunga, che le ferie sono un ricordo lontano di quando ero dipendente. In cambio ho la soddisfazione di vedere che l’attività va bene. Lo spaccio e la gelateria sono meta di clienti affezionati e appassionati di formaggi artigianali. Mi sento orgoglioso quando vedo i clienti uscire dal negozio compiaciuto di quello che hanno comperato”. Di lì a poco venne proposta a Massimo la possibilità di gestire anche la latteria di Taiedo di Chions. Egli accettò subito. Finalmente poteva dedicarsi alla creazione e alla sperimentazione di nuovi prodotti o con il recupero di vecchie ricette tradizionali. Fu così che uscirono dalle sale della latteria per riempire il banco dello spaccio specialità quali il formaggio di fossa, lo stagionato nel fieno, quello nel sacco, il sot la trape (formaggio ubriaco), il formaggio con il sambuco, poi il formadi frant e molte altre prelibatezze. Oggi possiamo dire che il lavoro di Massimo de Giusti è un crogiuolo di visioni e di passione, che si esprimono con unicità, fantasia e ingredienti che identificano e valorizzano il territorio. E alla domanda: “Ma come ti vengono in mente tutte queste nuove idee da sperimentare?” Massimo risponde: “Quando non riesco a dormire la notte, penso a nuove cose da provare!”. Lungi dall’augurargli notti insonni, bensì un futuro ricco di soddisfazioni, noi, nel frattempo ci godiamo la già lunga lista di perle casearie.

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ESSENZA DEL CARSO di Giorgio C. Riva

Foto di Alan Gardelan

La scorsa estate i prodotti esposti, con una brochure, in una vetrinetta al ristorantino sul mare Cardamomo di Marina Aurisina, a fianco dello stabilimento balneare Le Ginestre, mi hanno molto incuriosito. Ho allora chiesto lumi al fratello del titolare del ristorante, il giovanissimo e preparato Andrea. E m’ha subito raccontato, malgrado fosse impegnato, brevemente ma esaustivamente, all’ evidenza non volendo perdere l’occasione di far conoscere anche a me una realtà da lui molto apprezzata, di questi ragazzi, giovani più o meno come lui, che se l’erano “inventata”, della loro idea di benessere globale della persona, della loro passione, del loro lavoro, dei progetti della loro cooperativa, invitandomi, convinto e convincente, a provare anch’io i prodotti realizzati con piante spontanee della zona o coltivate biodinamicamente sempre sul Carso. Non ne sarei stato deluso. Anzi. Detto e fatto. Andrea mi aveva coinvolto con poche entusiastiche, spontanee, parole. Ho preso subito tutte, quelle che c’erano, le tisane - di cui son fanatico, evidentemente nel tentativo, ovviamente destinato al fallimento, di arginare gli effetti delle mie abbondanti libagioni -. Ho poi appreso che Essenza del Carso, così si chiama la cooperativa di giovani, ne fa altre. Tutte profumate e saporose, mi viene da credere. Io ho testato menta (menta piperita e menta spicata), una delizia d’estate; venere (ortica, melissa, calendula, malva), suggestiva come il “ nome”, allevia i malesseri al femminile ed elimina i metaboliti dannosi dopo gli abusi alimentari; equilibrio (melissa e le due mente), una gioia dopo la sauna e relax (melissa, calendula, tiglio, acacia, biancospino), particolarmente rilassante, veramente, fin dal primo sorso. Tra i sottoli (con aceto di mele, evo di Parovel e sale integrale di Pirano!) di germogli ed erbe spontanee e primaverili - nel tempo li ho assaggiati tutti - colpiscono, per il loro sapore deciso, il pesto d’aglio orsino, soprattutto, una ghiottoneria (noci e pecorino del Carso, di Antonic), e il finocchio di mare (provatelo in un’insalata di sgombro alla pantesca con un calice di Malvasia). Ottimi i sali salutistici, sale integrale di Pirano, meno cloruro di sodio più saporite erbe dalle svariate proprietà, tra tutti, quelli di terra (per dare aroma alle patate) e di mare (santoreggia del Carso, l’ “erba dei legumi”, salvia, issopo, rosmarino), il mio preferito. Non ho ancora provato gli sciroppi, con zucchero di canna, senza coloranti né conservanti, genuini, di menta, melissa e, ovviamente, sambuco, ma è sicuro, attesa la cura di questi giovani, che anch’essi possano regalare sapori dimenticati. Deus ex machina della cooperativa, che ho voluto incontrare, è Alan Gardenal, di Polazzo, insegnante Yoga, appassionato di natura e erbe. Veramente factotum, sue anche le foto a corredo dell’articolo, è lui che vi risponderà al cellulare di Essenza del Carso. Contattatelo, oltre che per i prodotti (che potete acquistare anche su internet), anche per i corsi e i percorsi d’erbe attraverso i quali Alan stesso, o Alice, di Ronchi, o Giulio, di Fossalon, vi faranno scoprire meglio la zona tra Carso e Isonzo.

ESSENZA DEL CARSO Località Polazzo 34070 Fogliano-Redipuglia (GO) T. 3482437590 www.essenzadelcarso.weebly.com

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VIGNAIOLI SPECOGNA Era il lontano 1963 quando Leonardo Specogna, originario di MonteFosca nelle Valli del Natisone, dopo alcuni anni da emigrante in Svizzera ( sorte tipica per la povera gente Friulana di quegli anni), una volta tornato in Friuli acquistò un piccolo appezzamento di terra sulle colline della Rocca Bernarda a Corno di Rosazzo, nel cuore del vigneto Friuli. Terre ad alta vocazione viticolo-enologica dove la pianta della vite trova condizioni ideali sin dai tempi Romani, in quanto in questo lembo orientale del Friuli il clima presenta delle peculiarità uniche ed eccezionali per la viticoltura di qualità. Nello spazio di alcune decine di chilometri si passa infatti dalla catena delle alpi carniche e giulie che proteggono dai freddi venti del Nord Europa, all’Adriatico che mitiga notevolmente le temperatura e ciò costituisce un gran pregio per le colline del Comune di Corno di Rosazzo che al contempo beneficiano anche di importanti escursioni termiche ( molto importanti per la valorizzazione delle caratteristiche organolettiche dei vini) ampliate inoltre dai venti della Bora che aiutano anche a spazzare le umidità che altrimenti (soprattutto nel periodo vendemmiale) potrebbero essere fonte di avversità crittogamiche. Tutto ciò unito ai particolari terreni costituite dalle cosiddette ponke , cioè flysch formatisi in era eocenica per sedimentazione e succesiva compattazione di depositi clastici, costituiti da un’alternanza di strati di spessore variabili di marne (argille- calcaree) ed arenarie (sabbie-calcificate), che garantiscono condizioni di tessitura del terreno e ricchezza in minerali ed oligoelementi ottimali per le uve di alta qualità. Inizialmente un’azienda agricola a 360 ° che copriva una produzione casearia, cerealicola e viticola per autoconsumo, con gli anni si spostò sempre più verso una specializzazione nel mondo enologico. Oggi il lavoro in azienda è galvanizzato dalla presenza della terza generazione dei vignaioli Specogna, Cristian e Michele, che ormai da diversi ani hanno preso in mano le redini aziendali. Sono proprio loro che stanno dando all’azienda un importantissimo trand di sviluppo e di allargamento sui più importanti mercati internazionali, oltre ad aver creato nel 2000 un’altra importante realtà della famiglia Specogna, e cioè l’azienda vinicola Toblar ( sita in Ramandolo). Una famiglia, quindi, che punta molto alla sinergia generazionale garantendo così quel binomio di tradizione-innovazione che rappresenta il valore aggiunto in tutte le fasi di produzione.

GUIDA VINIBUONI D'ITALIA 2017 Massimo riconnoscimento della corona per il bianco "IDENTITÀ" Specogna 2013 doc Friuli colli orientali CONCORSO MONDIALE DI BRUXELLES 2016 Medaglia d'oro per il Sauvignon Specogna 2015 ed il Friulano Specogna 2015 DECANTER WORLD WINE AWARDS 2016 Medaglia d'argento (91 punti su 100) per il friulano Specogna 2015 e Medaglia di bronzo per il Pinot Grigio Ramato Specogna 2015

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Via Rocca Bernarda, 4 | 33040 Corno di Rosazzo (UD) | T: 0432 755840 | Mail: info@specogna.it


LA RUBRICA DEI LIBRI

SAPERE DI VINO

di Giacomo Tachis Giacomo Tachis, piemontese, diplomatosi in enologia ad Alba nel 1954, è stato per oltre trent’anni il direttore tecnico di Antinori. Membro dell’Accademia dei Georgofili e prolifico collaboratore di riviste del settore vitivinicolo, è universalmente noto per aver creato tre fra i vini toscani più famosi al mondo, il Sassicaia, il Tignanello e il Solaia. Questa sua opera, anche dopo la sua recente scomparsa, continua ad essere un vero best seller per ogni appassionato di vino. Egli racconta, con schiettezza, del suo viaggio tra vigneti, tradizioni, specificità geografiche e culture gastronomiche dello stivale. Svela alcuni segreti delle tecniche di viticoltura, vinificazione e affinamento dei vini. Le sue competenze tecniche, unite alla sua grande cultura, mostrano gli aspetti più interessanti della cultura plurimillenaria del vino. Tachis rivolge anche le sue attenzioni al futuro del vino. La scienza e la tecnica hanno migliorato il lavoro dell’agronomo e dell’enologo che comunque rimangono al centro della realizzazione del vino. € 18 – pagine 176 - EDIZIONI MONDADORI IL LIBRO DELLA BIRRA di Tim Hampson L’autore è un “Chairman of the British Guild of Beer Writer’s e vanta numerosissimi articoli e pubblicazioni riguardanti la birra ed è considerato uno dei maggiori esperti mondiali della bevanda a base di cereali e luppolo. Da tempo la birra non è più considerata solo una bevanda dissetante o alternativa al vino, la birra è diventata il “nuovo vino”. Oggi è una offerta diversificata, da degustare e assaporare, di cui parlare e per cui viaggiare. Siamo sempre più coinvolti in mille proposte riguardanti la birra e spesso non riusciamo a capire quelle che sono le ragioni storiche, le motivazioni, gli ingredienti che in ogni latitudine e ogni cultura hanno contribuito a produrre questa bevanda. Il libro della birra illustra le birre più importanti di tutti i paesi produttori e svela i segreti delle nuove birre artigianali e speciali, assieme agli stili classici. Con un catalogo visuale di oltre 800 birrifici, stili birrari illustrati e approfondimenti sulla produzione e la degustazione. Il libro della birra è la guida alla bevanda più apprezzata nel mondo. € 29,90 - 352 pagine - EDIZIONI LSWR IL LIBRO COMPLETO DEL VINO di Giuseppe Sicheri L’autore è stato docente di Chimica ed Enologia. È presidente della Commissione di Assaggio per i vini DOC e DOCG (provincia di Vercelli) e Sommelier onorario. Ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni sul vino. Giunto alla quindicesima edizione, questo successo di Giuseppe Sicheri, contiene tutto quanto c’è da sapere sul vino, dalle sue caratteristiche più importanti e note ai suoi aspetti meno conosciuti. Prende in esame le diverse cultivar e fornisce informazioni tecniche e scientifiche utilizzando un linguaggio facile, riuscendo a soddisfare tutte le curiosità dell’appassionato come le esigenze dell’esperto. L’estesa e completa selezione finale, composta da oltre 330 pagine, è dedicata a tutti i vini italiani DOC e DOCG, suddivisi per regione e raccolti in tabelle che ne riportano le caratteristiche e i dati. Un testo utile quindi per tutti i protagonisti del vasto mondo del vino: dagli appassionati, ai sommelier, agli studenti delle scuole professionali agrarie e alberghiere. € 29,90 - 552 pagine - EDIZIONI DE AGOSTINI VINABOLARIO di Adriano Bellini Durante un assaggio, a tutti sarà capitato di trovarsi incapaci di tradurre a parole, perfino a sé stessi, le sensazioni che un particolare vino ha trasmesso alle nostre papille. Ma è così difficile? Questo “Vinabolario” è un valido aiuto per capire la lingua degli addetti ai lavori, quello speciale lessico impiegato da sommelier, enotecnici e produttori che risulta di difficile comprensione per coloro che si avvicinano a questo meraviglioso mondo. Allo stesso tempo, spiegando in maniera semplice e diretta le parole e i termini del vino, l’opera può rappresentare un utile strumento di ripasso per sommelier e assaggiatori. Adriano Bellini, sommelier professionista, iscritto all’Associazione Italiana Sommelier da oltre quarant’anni nei quali ha contribuito alla crescita del sodalizio rivestendo per lungo tempo cariche dirigenziali nazionali, oggi è docente in varie scuole alberghiere del Friuli Venezia Giulia e consulente in vari enti e sodalizi del settore enogastronomico. € 20 - 160 pagine - HAMMERLE EDITORI IN TRIESTE 87


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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno III, Numero 12 Direttore Responsabile Renzo Zorzi zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale Renato Paglia paglia@mangiavino.com Vice Direttore Editoriale Giorgio C. Riva riva@mangiavino.com Editore e Concessionario per la Pubblicità

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DomusGaia srl Bioedilizia via IV Novembre n°47 33010 Feletto Umberto (Ud) Tel. 0432 855055 E–mail: info@domusgaia.it

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