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in primo piano

Diario di una prigionia e di una guarigione miracolosa nonostante le falle della sanità

IL MIO COVID. SIAMO USCITI VIVI DALLA TEMPESTA PERFETTA

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CG vi racconta una breve, intensa, storia. Ve la racconta Stefania. La storia del “suo” Covid. Una vicenda simile, nella sua drammaticità, a quelle di decine di migliaia di altre famiglie, molte concluse in tragedia. Paure, attese, ansie, incazzature, sollievi, si rincorrono in una Lombardia un tempo esempio di efficienza e organizzazione, e oggi precipitata in caos umiliante per i malati e per i loro cari. Non c’è niente da fare. Il Covid è uno spartiacque. Se lo hai fatto lo comprendi. Se non lo hai preso, pensi che tornare negativo voglia dire aver finito una brutta influenza, al massimo una polmonite. Non è così. Il Covid ti lascia un vuoto mentale, gioca ad un domino di più disagi e malattie. E ti lascia tanta rabbia perché, come nel nostro caso, te lo hanno buttato addosso. Ti resta lo choc per gli incontri ravvicinati con la sanità territoriale senza riferimenti, perché non esiste una banca dati comune a tutti gli operatori che ti seguono. Una volta è l’Usca, un’altra volta è l’Ats, l’altra volta è l’ospedale...

E ogni volta a tutti devi ripetere i fatti, a loro ignoti. Dai ricoveri ai tamponi. Mentre il fisco sa tutto di noi. Conto corrente, spese bancomart, spid... Ma se è la sanità, aspetta che chiedo. Passare il Covid, premessa fondamentale, è una questione di fortuna. Tu sei vivo, il vicino di casa no. Nella mia famiglia non sono mancati combattenti e reduci. Diari di guerra e prigionie in campo di concentramento, lettere dalla baracca. Una medaglia d’argento al valor militare, un cappellano francescano morto da eroe. Un tempestoso ‘900 ha attraversato e segnato la nostra storia, senza la retorica della memoria. Mai però avrei immaginato di essere trapassata da parte a parte con tutta la mia famiglia a tradimento dalla scheggia del coronavirus, intensa e invisibile, nella guerra biologica virale come fosse un gas mentale e fisico, un virus “nervino” che la guerra è capace di chiuderla in pochi giorni, se vuole. Sopravvivere non è una questione di forza e di bravura. E’ solo una riffa. O Fede, perché qualcuno ha guardato giù. Nelle ore critiche in cui il contagio avanza dove meglio crede, incendia e cancella ciò che incontra, non hai più la certezza che tuo padre, ricoverato, e tua madre, due piani di casa sopra di te, ancora senza ossigeno e cure, in attesa

di stefania Piazzo

(direttore responsabile del quotidiano La nuova padania)

Antonio 86 anni si contagia in ospedale e a casa passa il covid alla moglie Anna, di 81, e alla figlia Stefania.


in primo piano

Passare il Covid, premessa fondamentale, è una questione di fortuna. Tu sei vivo, il vicino di casa no. di visita, riescano a sopravvivere. Nello spazio di un niente, sei orfano o sopravvissuto, sfigato o miracolato. Scampato o condannato, graziato, condonato o patibolato. Sulle mie gambe, a letto, c’era sempre il Pc per aggiornare tutti i giorni il lavoro. A cose fatte, mi chiedo: ne è valsa la pena? Quella fatica mentre lavoravo con la polmonite mentre accudivo me stessa e la mamma e pregavo per mio padre, resta incancellabile. Ai lettori del quotidiano non ho mai detto nulla. Ora è il momento di raccontare L’amarezza che mi resta è profonda e incancellabile. Ogni respiro riconquistato era prezioso. Quando esci dal tunnel, inizi a eliminare l’apparentemente importante. La potatura non l’ho fatta prima, la sto facendo ora. Penso a quando il papà, piccolino, scriveva a suo padre, Augusto, prigioniero per cinque anni a Zonderwater, nel più grande campo di concentramento alleato della seconda guerra: “Dovevi tornare quando avevo sei anni, invece ne ò già 7... Vengo io a prenderti con l’apparecchio”. Ecco, io in questo deserto di lunga attesa, di bollettini dal fronte della terapia intensiva, che è nulla rispetto a 5 anni di Zonderwater, avrei desiderato fare lo stesso con mio padre. Andarlo a prendere in aereo, ovunque fosse. Comunque fosse. Papà doveva tornare a casa, dopo il secondo ravvicinato ricovero per altrettanti infarti. Il primo il giorno di Natale. Il secondo un mese e mezzo dopo. Senza una riabilitazione, catapultato a casa, barba di due settimane e unghie nere, piaghe da decubito, con l’omaggio del contagio. Invece è stato di nuovo altri mesi lontano, intoccabile e irraggiungibile, nel distacco che il Covid impone. Zero contatti, zero tocchi, zero abbracci, saluti ruba-

ti dal telefono dell’infermiera umana che spontaneamente chiama e regala una videochiamata. IL DIARIO DI UNA PRIGIONIA VIRALE. Mio padre, 86 anni, nel corso del ricovero per il suo secondo infarto consecutivo ravvicinato, veniva portato nell’ospedale più grande della zona ma messo in Covid, perché aveva avuto una febbriciattola la settimana prima (sovente soffre di infezioni urinarie). Nei giorni precedenti avevamo richiesto il tampone ad Ats e ci avevano chiesto di portarlo, intrasportabile, di persona, a effettuarlo. Fatta la richiesta per il tampone a domicilio, che non arrivava, nel frattempo è arrivato il secondo infarto. Il 118 lo inseriva così, in automatico, in zona Covid.... pur essendo negativo ai tamponi fatti subito in reparto. Veniva poi messo in reparto di transizione Covid, e infine in geriatria. Un purgatorio con gli interessi. La famiglia ringrazia. Dopo due settimane veniva dimesso, l’ultimo tampone negativo effettuato risaliva a 4 giorni prima della sua uscita dal reparto. Il giorno dopo il suo rientro a casa iniziava un progressivo e costante rapido peggioramento delle sue condizioni di salute, sia a livello fisico, perdendo ogni forza, sia respiratorie. Non aveva febbre, non aveva tosse. Al 5° giorno a casa chiamavamo il 118, non respirava bene. Non era più cosciente. Dai tamponi e dalle lastre risultava in conclamata polmonite Covid. Di certo non si era contagiato a casa. Però nel frattempo aveva contagiato la famiglia. Questa volta veniva trasportato in un ospedale più piccolo e più vicino. Vi risparmio la chiamata di rito, che ti spiega l’iter che hai già sentito da un anno a questa parte in tv. “Sai che se peggiora con i polmoni compromessi,

Da sx Stefania Piazzo con papà e mamma

La solitudine con cui ho affrontato con la mia famiglia questa tremenda strettoia non so se sia segno di vittoria o di sconfitta

Augusto, il nonno di Stefania e la lettera inviata da suo padre

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non se ne parla di intubare nessuno, vero?”. Ecco, lo dicono anche a te. Inizi la conta dei giorni, la telefonata che ti salva la vita o che te la rende spacciata, dalle 13 alle 15 l’appuntamento sul trapezio senza rete. O la va o la spacca. Due settimane così. Veniamo nel frattempo chiamati dal centro Ats per la tracciatura e la raccolta delle informazioni. Scrivono, prendono nota della trafila del contagio. Sono incazzata nera. Ma facciamo un passo indietro. Scatta intanto la quarantena per me e la mamma, di 81 anni. A una settimana circa dal ricovero del papà iniziano anche per noi i primi sintomi Covid. La mamma tosse, affaticamente, vomito, io febbre alta, spossatezza. Non sento più le gambe. Veniamo sottoposte io a terapia di tachipirina e brufen, passando poi a cortisone e azitromicina visto che la febbre non scende. La mamma ad azitromicina. Ma le sue condizioni peggiorano e mi trovo costretta e chiedere una visita urgente al medico sostituto del nostro curante, purtroppo in malattia. Il sostituto esce, premettendo: “le faccio un favore”.

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Contatti protetti in casa di cura

Dopo la visita a domicilio veniva con urgenza somministrato ossigino h24, essendo la mamma in polmonite conclamata. Trovavamo per la notte una bombola di soli 5 litri provvisoria grazie al farmacista di famiglia. Ho fatto la guardia tutta la notte al livello dell’ossigeno per scongiurare che la mamma non ne restasse senza. Ero pronta a chiamare il 118. Ma voleva dire ricovero, nessuna terapia a domicilio, un altro purgatorio con gli interessi. Per fortuna la mattina arrivava la bombola attivata dal farmacista in attesa delle ricette corrette poiché quelle consegnate erano sbagliate. Un dettaglio che diventa un macigno in momenti come questi. Dopo un anno, per attivare l’ossigeno, diventi matto. Intanto effettuavo il mio primo tampone molecolare, al quale avrebbe dovuto esserci anche la mamma. Avevo subito segnalato la sua intrasportabilità, ma mi rispondevano dal centro Ats che la richiesta avrebbe avuto un tempo di evasione della pratica piuttosto lungo. Come non immaginarlo. Dopo una decina di giorni dalla prima telefonata di controllo, arrivava intanto la seconda chiamata dal centro Ats che suggeriva innanzitutto di attivare per la mamma le unità Usca, poiché in due settimane nessuno l’aveva più vista, e infine Ats procedeva d’ufficio alla richiesta del primo tampone ancora non effettuato a 20 giorni dall’inizio della quarantena. Dopo l’intervento dell’Ats, il servizio territoriale chiamava per avvisare della prenotazione andata a buon fine. 20 giorni.... per un tampone a domicilio. Giusto per l’insistenza. E per la visita ad una ottantunenne in ossigeno pure. Il deserto dei Tartari. Attivato dal medico di base il servizio Usca come suggerito da Ats, usciva un dottore in visita che con-

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fermava le terapie della mamma. Le Usca vengono chiamate dieci giorni dopo per una seconda visita di controllo, la mamma era in autoterapia, come poteva sapere come stava o cosa prendere? Le Usca comunicano la visita in arrivo, ma non arriva nessuno. Il giorno dopo alzo il telefono. La risposta: dalle evidenze della prima visita non si rende necessario un secondo sopralluogo. Eh beh, come non immaginarlo. Nel frattempo segnalando al medico di famiglia una strana sensazione di costipazione, effettuavo una tac al torace, dalla quale emerge la polmonite bilaterale da Covid. Si cambiava così terapia, anche perché la febbre non scendeva: vai con un altro antibiotico mentre si scalava con le dosi di cortisone. Due settimane dopo, finalmente torno negativa ma la febbre resta. E così riparto da capo, questa volta con le terapie più forti, quelle prescritte alla mamma a inizio del suo Covid. Antibiotico per iniezione, cortisone più massiccio ed eparina. Altri 20 giorni di farmaci, e nel mezzo una emorragia. Altri esami, privati, perché le visite tramite mutua fanno attendere anche mesi. E il papà? Lui è un miracolo. Dopo 15 giorni fortunati in reparto Covid nel piccolo ma efficiente ospedale, viene spostato in reparto subacuti in un ospedale fuori provincia, passa altri 15 giorni di terapie e cure. Lo rimettono in piedi, gli fanno fisioterapia. In due settimane di ricovero riceviamo solo due chiamate dall’ospedale. Ma almeno torna come Dio comanda. Negativo prima di noi, per lui si pone il problema delle dimissioni. Cucinate come eravamo dal Covid, incerte nel camminare, spossate, in fame d’aria, e ancora positive, con la polmonite attaccata come una cozza, non potevamo far altro che mettere il

papà in riabilitazione in una casa di cura privata, a pagamento. Un mese di tempo per riprenderci e avere la forza per aiutarci a vicenda. Il Covid ci ha trasformati. C’è un prima e un dopo nella mia vita. C’è una convalescenza che il sistema sanitario ignora, c’è un tempo di compensazione che non sai quanto duri. Penso ancora al nonno paterno, che sognai la notte prima dell’esito positivo del tampone di mio padre. Era davanti ad una porta, vestito elegante, con in mano un lungo bastone ben piantato a terra. Che profezia di bene... Penso alle sue lettere: “Mia carissima moglie, ti sia di conforto pensarmi in ottima salute”, Augusto Piazzo prigioniero di guerra, n. 262577, 16 agosto 1941. “Mia carissima moglie, sono sempre in ottima salute”, 6 marzo 1942. “Godo ottima salute, come spero di voi tutti... Una infinità di affetti sono sempre nei miei pensieri”, è il 22 agosto del 1942. Ogni scritto è una rassicurazione, sapendo di mentire. Il 26 aprile 1943, dalla baracca del blocco 9: “Sto bene e sono sempre allegro, perciò vivete tranquilli”, vostro Augusto, italian prisioner of war n. 253371. Il 4 settembre 1942: “Cara Nori cerca di scrivermi molto spesso, vivete sempre tranquilli e con fiducia pregate sempre”. Un anno fa, con le terapie che andavano per tentativi, sarei rimasta orfana. La solitudine con cui ho affrontato con la mia famiglia questa tremenda strettoia non so se sia segno di vittoria o di sconfitta. Di certo siamo sopravvissuti, abbiamo vinto, uscire dalla tempesta perfetta insieme è raro e miracoloso.

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Da 30 anni nel mondo dell’editoria, classe 1962, da 7 anni dirige MCG dopo esserne stato per 8 il coordinatore editoriale. È anche titolare della Morelli Media Partner, Agenzia di Comunicazione, e co-fondatore di Advance Group.

un nuovo inizio

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a storia dell’uomo è piena di “nuovi inizi”. E’ avvenuto, e avviene, ogni qualvolta un cataclisma sociale, dalle origini più svariate, si è abbattuto e si abbatte sul genere umano, violentandone la pace. Storicamente, nella maggior parte dei casi, è stato ed è l’uomo a volersi far male con le proprie mani, inseguendo follie materialistiche, o ribellandosi alle medesime perpetrate da pochi. Tante altre volte però, come nel caso dell’attuale pandemia da Covid, è stato ed è il corso spontaneo della Natura a generare situazioni di dolore e di presupposti di speranzosa rinascita. Se il nuovo millennio pare abbia portato ad una maggiore coscienza mondiale sul valore della vita dell’uomo, riducendo di molto le tragedie dei conflitti, di questo freno non è dotata invece la Natura, sempre indomita e spesso drammaticamente violenta, talvolta sollecitata nelle sue manifestazioni luttuose proprio dalle manipolazioni invasive che

le riserva l’uomo. Comunque sia, che un “nuovo inizio” prenda vita al termine di un conflitto bellico, o da una imprevedibile povertà causata dai terremoti finanziari che caratterizzano le cronache quotidiane, o da una pandemia di non comprovata origine, poco importa. Importante è che ciò avvenga nel rispetto delle categorie più fragili, e non si privilegino gli interessi politico-economici che sorreggono i giochi di potere. Certamente una mezza utopia, ma la storia insegna che ogni ripartenza ha avuto successo quando basata sull’unione e sulla solidarietà, ed è invece fallita creando i presupposti per nuove traversie quando i valori umani non sono stati anteposti alla cecità delle ambizioni. Sta tornando la luce dopo momenti bui, speriamo non sia un’atroce illusione.

Marco Morelli

direttore@mantovachiamagarda.it


MantovachiamaGarda Periodico bimestrale Registrazione del Tribunale di Mantova N° 01/2011 del 15/02/2011 Direttore Responsabile Marco Morelli Capo redattore Giacomo Gabriele Morelli Art Director e Progetto Grafico Matteo Zapparoli Pubblicità: MORELLI MEDIA PARTNER, Via Dante Alighieri 4, 46040 Gazoldo degli Ippoliti (Mn) Stampa: GRAFFIETTI STAMPATI S.n.c. - S.S. Umbro Casentinese Km 4,500 - S.S. 71 - 01027 Montefiascone (Viterbo) Editore: MARCO MORELLI, Via Dante Alighieri 4, 46040 Gazoldo degli Ippoliti (Mn)

Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Capato, Alessandra Fusè, Anna Maria Catano, Antonio Scolari, Barbara Ghisi, Elena Andreani, Elena Benaglia, Elena Mantesso, Elena Kraube, Elide Bergamaschi, Enrico Maria Corno, Federico Martinelli, Flora Lisetta Artioli, Gastone Savio, Giacomo Cecchin, Gianmarco Daolio, Michela Toninel, Maria Theresa San Juan, Paolo Carli, Rita Bertazzoni, Serena Maioli, Veronica Ghidesi, Vittoria Bisutti, Valentina Corini. Puoi ABBONARTI scrivendo a: abbonamenti@mantovachiamagarda.it oppure telefonando al numero: 333.6272824 Sarai ricontattato da un nostro incaricato. Puoi pagare con Bonifico bancario a: MONTE PASCHI DI SIENA Filiale di Gazoldo degli Ippoliti c.c. n° 100464.78 intestato a Morelli Media Partner IBAN: IT 39 R 01030 57640 000010046478 Causale: Abbonamento a MCG Mantovachiamgarda inserendo l’indirizzo esatto per la spedizione L’editore non si assume alcuna responsabilità in ordine Al successivo cambiamento di date o programmi riportati in questa pubblicazione Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente magazine, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.

Mantovano ma residente sul Lago di Garda, da 25 anni lavora nel campo della comunicazione e del marketing. Classe 1974, Art Director di MCG, è anche presidente di Grinder, Agenzia di Comunicazione, e co-fondatore di Advance Group.

SOMMARIO SIAMO USCITI VIVI DALLA TEMPESTA PERFETTA

Diario di una prigionia e di una guarigione miracolosa nonostante le falle della sanità

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QUANDO emigravamo noi IN MAROCCO

Sono circa 4.500.000 gli italiani residenti all’estero e oltre 80 milioni nel mondo gli oriundi, i discendenti da nostri emigrati

amore sei bella da morire...

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La violenza domestica è la forma più pervasiva di violenza, che, con un tasso del 78,21%, colpisce donne in tutto il paese

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i protagonisti della montagna

LE PERLE NASCOSTE DELLE METROPOLI EUROPEE

adalberto scemma e cesare beltrami

Atleti, scalatori, artisti, scrittori, appassionati: uno speciale dedicato a chi ha amato, ama e rispetta la montagna

Uno studio sui luoghi poco conosciuti ma tanto apprezzati dai locali e dai turisti che ci capitano per caso

Interviste speciali a due sportivi che hanno fatto rispettivamente la storia del giornalismo sportivo e del canottaggio nazionale

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LA REDAZIONE MCG 15 anni di Successi sotto gli occhi di tutti.

CAPO REDATTORE

Gabriele Morelli

Elena Andreani

Elide Bergamaschi

Elena Mantesso

Lara Ferrari

Alessandra Capato

Barbara Ghisi

Paolo Carli

Rita Bertazzoni

Antonio Scolari

Federico Martinelli

M.T. San Juan

Anna Maria Catano

Lisetta Artioli

Michela Toninel

Vittoria Bisutti

Silvano Tommasoli

Elena Kraube

Enrico Corno

Gianluigi Negri

Gastone Savio

Elena Benaglia

Alessandra Fuse

A PARER MIO

di GASTONE SAVIO

PARITA’ PER LA POLITICA ESTERA CON LA POLITICA INTERNA Non so, perché si parla della Turchia solo in circostanze in cui l’Italia ha incontri – scontri sulla Libia, se il nostro Stato ha chiaro ciò che, io ritengo, si sta appalesando nella strategia della politica estera turca, che ha nel mirino l’unione di tutti i popoli turchi. Potrebbe essere l’idea della formazione di un nuovo impero in Oriente che va dal Bosforo alla Cina. L’attuale fase storica ha stravolto il vecchio adagio “piccolo è bello” passando al “piccolo è insignificante”, per cui si sta affermando una nuova visione dei rapporti politici, economici e sociali nella geopolitica globale, proponendo ai relativamente piccoli Stati di associarsi, se non addirittura di federarsi per creare delle concentrazioni che siano in grado di avere forza contrattuale nei confronti delle grandi potenze: Cina, Stati Uniti, Unione europea, e altri. Per la prima volta nei 100 anni di storia della Repubblica turca, la restaurazione della grandezza passata è diventata la politica del governo

turco. Il quasi totale fallimento dell’integrazione con l’Europa ha avuto come conseguenza che l’idea di un nuovo “impero” risultasse molto attraente. Accanto a un’idea neo – ottomana, che si concentra sui Paesi arabi del Mediterraneo e sui Balcani, è diventata una possibilità concreta una unione dei popoli turchi, fondata sui legami etnici, che si estenda dal Bosforo alla Cina. In politica se lasci degli spazi vuoti trovi chi li riempie, l’unione dei popoli arabi del Mediterraneo da parte della Turchia “scipperebbe” all’Italia la possibilità di passare dall’attuale posizione semplicemente geografica a leader geopolitica dei Paesi del Mediterraneo. Il sogno di un “mondo turco” che si estenda dai Balcani a Xinjiamg, con la vittoria in Turchia del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) sotto la guida di Recep Tayyip Erdogan si avvicina sempre più alla concretezza. La collaborazione dei Paesi intermedi è diventata più stretta, oggi ci troviamo, pertanto, di fronte

ad una nuova Federazione, o addirittura ad un “super – Stato”, che va dal Bosforo alla Cina, e che dovrebbe prendere il posto della vecchia Unione Sovietica. La politica estera di uno Stato in conseguenza di una visione globale dell’economia è tanto importante quanto la politica interna. Allora quale è la direzione in cui si muove la nostra politica estera? Non è dato sapere, poco o niente trapela dalla Farnesina e poco si racconta. O, forse, non ci sono idee chiare dentro le mura del Palazzo? Pensare di promuovere e capeggiare una federazione di Stati significa investire anche sulla cultura per agevolare la formazione di èlite che aiutino il proprio Stato a raggiungere quell’obiettivo. La Turchia presso i Paesi di cui è interessata sta fondando e finanziando centri di formazione, come scuole e università, appunto con l’obiettivo di educare un’èlite orientata alla Turchia.



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L’approfondimento

di ElEna BEnaglia

amore sei bella da morire... Il dato è agghiacciante. Ogni anno in Italia vengono assassinate centinaia di donne per mano di un uomo, una ogni tre giorni. E l’80% di questi omicidi non è opera di sconosciuti, ma è compiuto da qualcuno che aveva o aveva avuto una relazione sentimentale con la vittima. Il rapporto dell’Onu sulla violenza alle donne nel nostro Paese, presentato a Ginevra nel giugno 2012, visti i preoccupanti dati raccolti, ha sollecitato il governo italiano a intraprendere azioni politiche volte a migliorare la condizione femminile all’interno della società. La violenza domestica è la forma più pervasiva di violenza, che, con un tasso del 78,21%, colpisce donne in tutto il Paese. Eppure solo il 18,2% delle vittime la considera un crimine, per il 36% è un evento normale. Allo stesso modo solo il 26,5% delle donne considera lo stupro o il tentato stupro un crimine. Ma soprattutto la quasi totalità delle donne non ha il coraggio di denunciare gli atti di violenza o lo stalking subiti. Perché? I motivi sono molteplici ma tutti, in fondo, portano agli stessi concetti chiave: il senso di colpa, presente in ogni aspetto della vita femminile, quasi un accessorio dell’essere donna; il senso di isolamento, avvertito soprattutto dalle donne immigrate

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LA VIOLENZA DOMESTICA È LA FORMA PIÙ PERVASIVA DI VIOLENZA, CHE, CON UN TASSO DEL 78,21%, COLPISCE DONNE IN TUTTO IL PAESE.

che non hanno l’appoggio della famiglia di origine e spesso non conoscono la nostra lingua e le nostre leggi. Ma anche il fatto che le vittime, nella maggior parte dei casi, dipendono economicamente da chi è responsabile della violenza. Permane, inoltre, la percezione che la risposta dello Stato non sia appropriata o utile. Un dato ricorrente e preoccupante è, infatti, costituito dai numerosi casi di promiscuità tra la vittima e il suo aggressore, consentita anche a colpevolezza dimostrata, incredibilmente non percepita da chi emette sentenza come un fattore grave, disturbante, psicologicamente nocivo e spesso nefasto (quanti i casi di donne uccise dallo stesso aggressore una volta scontata la pena per molestie? quante le donne costrette a vivere segregate in casa per paura di incontrare nuovamente il proprio molestatore?). Nonostante l’Italia abbia sottoscritto una serie di trattati internazionali, siano nati organismi governativi responsabili della promozione dei diritti delle donne e il quadro giuridico sulla carta fornisca sufficiente protezione alle vittime, si deve constatare che non ci sono stati miglioramenti reali e il numero dei femminicidi non è calato. Data l’inefficacia delle politiche di prevenzione, protezione e tutela della vita delle donne che hanno subito violenza, si può provocatoriamente arrivare a parlare di “violenza istituzionale”, costituita da atti o omissioni dello Stato, che includono la tolleranza, la difficoltà di accesso alla giustizia e la colpevolizzazione delle vittime. I femminicidi non arrivano quasi mai all’improvviso, molto raramente sono forme di “raptus”, incidenti isolati, solitamente si tratta della conseguenza estrema di altre forme di violenza, l’ultimo efferato atto che pone fine a una serie di soprusi continuativi nel tempo, di carattere economico, psicologico o fisico. Troppo spesso sono collegati a una determinata concezione culturale del ruolo della donna nella relazione e nella società. Le motivazioni degli omicidi hanno a che fare con l’immagine e il ruolo dell’uomo che si sente offeso nella sua mascolinità, che reagisce con violenza al desiderio di indipendenza della donna. Nella grande maggioranza dei casi le donne uccise sono donne abbandonanti. Gli omicidi, uomini abbandonati. Poiché si tratta di un problema che riguarda a 360 gradi la nostra società, deve essere affrontato come responsabilità collettiva, con una reazione comune a questa cultura assassina che ripropone pregiudizi e stereotipi legati alla virilità, all’onore, ai sorpassati ruoli di genere nelle relazioni sociali.

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Come ha osservato il Ministro della Giustizia, Paola Severino: “Il problema sociologico della violenza sulle donne riguarda la cultura degli uomini, una cultura che si radica nel senso del possesso. Mariti, padri, fratelli, amanti che ritengono di dover possedere la loro donna, le creano attorno una specie di cerchio di fuoco, la allontanano dal resto della famiglia, la isolano, la amano in modo folle, malato, la picchiano. E la donna non reagisce, perché non è supportata, è isolata, si vergogna e ritiene che l’amore possa vincere tutto e questo è un grande errore. Invece bisogna creare una cultura dell’antiviolenza”. Non è aggravando la pena prevista che si cancellano i femminicidi. Occorre anche altro. La Convenzione di Istanbul del 2011 rileva che la causa della violenza contro le donne è diretta conseguenza delle ineguaglianze di genere ed è perpetuata dalla cultura del silenzio e della negazione. L’ordinamento italiano ha introdotto il reato di stalking tre anni fa, ma la sua “efficacia” non è eccellente. Il trend di donne uccise per mano di un familiare o un partner è in costante ascesa, nonostante l’aumento di denunce e di richieste di misure cautelari. Da anni l’Osservatorio Nazionale Stalking insiste sulla necessità di “lavorare con i presunti autori dello stalking”. Secondo i loro dati, infatti, uno stalker su tre, dopo la denuncia e anche dopo la condanna, continua imperterrito a perseguitare la vittima. La coercizione è, pertanto, inefficace o quanto meno non basta. Dal 2007 l’Osservatorio ha istituito un Centro Presunti Autori che fino ad oggi ha seguito, gratuitamente, 130 stalker, con un percorso di risocializzazione: nel 40% dei casi si è raggiunto un contenimento completo degli atti persecutori mentre nel 25% l’attività vessatoria è almeno diminuita. Per quanto riguarda la prevenzione, poi, il Consiglio d’Europa chiede ai governi di incoraggiare i media ad autoregolarsi per promuovere il rispetto delle donne. L’immagine che essi forniscono della donna è spesso contraddittoria e fuorviante della funzione che la stessa occupa nella nostra società, opera per stereotipi ed è, quindi, diseducativa. La donna appare sempre incastrata nei suoi due tradizionali ruoli fissi, nelle sue due attività di seduzione e di cura, è sempre subalterna all’uomo per intelligenza e capacità. È una “velina” che parla poco e mostra tanto, oppure è ospite in trasmissioni televisive in cui è relegata a portatrice di sapere comune piuttosto che esperta di settori specifici e incaricata di ruoli autorevoli (come accade invece per gli uomini). Ma quel modello visto sul piccolo schermo condiziona e plasma profondamente l’immaginario collettivo. Ci si dovrebbe chiedere se questa deriva culturale, se la nostra anestesia sensoriale (ormai quelle immagini sono quotidianamente sotto i nostri occhi e noi non ce ne accorgiamo più), non stia producendo effetti devianti per la costruzione di modelli di riferimento cui si ispirano milioni di cittadini e

soprattutto adolescenti; se la continua esposizione di dettagli fisici, decontestualizzati dalla personalità della donna, non finisca per alimentare la percezione del corpo femminile solo come oggetto asservito alla fantasia maschile e da “punire” nel caso in cui la donna dimostri capacità di indipendenza. Nel nostro Paese la parità tra i sessi è giuridicamente sancita, manca, però, il substrato culturale, l’educazione di genere, una “consuetudine alla parità”. Vi è la necessità urgente di una vera e propria rivoluzione nella mentalità e nelle pratiche sociali, a cominciare dalla scuola. La cultura della parità dei sessi deve essere veicolata fin dalla prima infanzia, in famiglia e nell’insegnamento scolastico, solo così sarà possibile creare i presupposti per una vera inclusione sociale delle donne e per il vero e pieno rispetto della loro dignità. Le raccomandazioni rivolte dall’Onu al governo italiano, per l’attuazione del diritto costituzionalmente garantito a una vita libera dalla violenza, riguardano la garanzia di finanziamenti stabili e sicuri per evitare la chiusura dei centri antiviolenza e per aumentare il numero di case rifugio (nel nostro Paese dovrebbe esserci 1 posto di emergenza per le donne ogni 10.000 abitanti, per un totale di 5700 posti letto, mentre ce ne sono solo 500), per la formazione degli operatori del set-

DA ANNI L’OSSERVATORIO NAZIONALE STALKING INSISTE SULLA NECESSITÀ DI “LAVORARE CON I PRESUNTI AUTORI DELLO STALKING”. SECONDO I LORO DATI, INFATTI, UNO STALKER SU TRE, DOPO LA DENUNCIA E ANCHE DOPO LA CONDANNA, CONTINUA IMPERTERRITO A PERSEGUITARE LA VITTIMA.

tore, per un attento monitoraggio dell’efficacia delle politiche esistenti e per la diffusione di campagne di sensibilizzazione. Infine occorre essere consapevoli che la lotta contro la violenza è da considerarsi una battaglia che va assunta da tutti, uomini e donne, per uno stesso paritario diritto di cittadinanza e che va condotta su una molteplicità di piani, dai processi di costruzione delle identità sessuali a quelli culturali, dalle leggi di tutela all’organizzazione del lavoro e della quotidianità familiare.

«LA VIOLENZA NON E UN FATTO PRIVATO: APRI QUELLA PORTA!» Dal 2006 esiste una Fondazione chiamata Doppia Difesa Onlus, creata da Michelle Hunziker e dall’Avv. Giulia Bongiorno, che fornisce sostegno psicologico e assistenza legale alle vittime di violenze, abusi e discriminazioni. Doppia Difesa nasce dalla presa di coscienza dell’importanza di accendere i riflettori su quelle migliaia di casi che, nel silenzio e nell’indifferenza generali, crescono sino a diventare una vera e propria emergenza sociale, per sensibilizzare l’opinione pubblica e portare alla ribalta le problematiche che spesso le donne-vittime si trovano ad affrontare da sole, in un clima di isolamento ideologico e sociale. Per uscire da questa “prigione” di silenzio, con la consapevolezza che la soluzione di un problema passa attraverso la sua conoscenza e che il primo passo per vincere la battaglia contro abusi e violenza è parlarne, Doppia Difesa organizza incontri con esperti nel campo del diritto e della psicologia al fine di aiutare

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le vittime a riconoscere la violenza, assume iniziative dirette a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su discriminazioni, violenze e abusi, sollecita proposte di legge dirette a colmare le lacune del panorama normativo. Secondo l’Avv. Giulia Bongiorno, relatrice della legge sullo stalking nel 2009, «la figura di reato di “atti persecutori” è stata strutturata per perseguire qualsiasi forma di molestia, ovunque si realizzi. Ma non basta creare i reati e punirli, è importante anche cercare di prevenirli. Dato che molte forme di aggressione e persecuzione derivano da discriminazione, si dovrebbe cominciare affrontando nelle scuole i temi della parità e dell’uguaglianza. Io credo che la violenza abbia precise radici, fonti, responsabilità nella cultura maschilista che esiste tuttora. Serve un’azione combinata, culturale, legislativa, e di battaglia interna alle mura di casa, nel quotidiano» www.doppiadifesa.it, Tel. 06 - 68806468

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territorio

Le emozioni da vivere in provincia di Brescia a cura di m.t. san juan

Dalle pedalate nel verde alle passeggiate nella storia fra incisioni rupestri Patrimonio Umanità dell’Unesco e Case museo con parchi secolari, dal cammino lento alle terme, dalle limonaie del Garda alle spettacolari Piramidi di Zone: Brescia e la sua provincia offrono in primavera emozioni uniche. En plein air, fra arte, storia, natura. Eccone alcune, imperdibili. E molte altre si scoprono su www.visitbrescia.it. Brescia, il Castello, la Vittoria Alata Fra le fortezze più imponenti e meglio conservate d’Italia, il Castello che domina Brescia dall’alto del Colle Cidneo si è aggiudicato il 3°posto fra i Luoghi del Cuore del Fai 2020. Lo raggiunge facilmente anche a piedi con una bella passeggiata dal centro storico. Dall’alto il panorama è incantevole e innumerevoli gli scorci dove scattare suggestivi selfie. Superato il monumentale portale d’ingresso, si passeggia fra giardini, bastioni, ponti levatoi, possenti edifici, alcuni dei quali ospitano interessanti collezioni (come il Museo delle Armi Luigi Marzoli). Salutato il Castello, bastano pochi passi per trovarsi nel centro storico, un museo diffuso da scoprire vagabondando senza fretta in un itinerario, sicuramente sorprendente, inframezzato da shopping e soste gourmet. Si inizia con il tour delle tre piazze, Piazza Loggia, Piazza Vittoria, Piazza Paolo VI. Da lì si percorre Via Musei, una vera passeggiata a ritroso nel tempo, con l’area archeologica di BRIXIA. Parco archeologico di Brescia Romana (la più vasta di rovine romane del nord Italia) e il Museo di Santa Giulia (straordinario complesso con resti di domus romane, chiese, chiostri) entrambi siti Unesco. Nel Tempio Capitolino si ammira la Vittoria Alata, simbolo di Brescia, ra-

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rissimo bronzo romano di grandi dimensioni risalente alla prima metà del I sec. d.C., esposta da poco al pubblico dopo due anni di restauro. Case museo, castelli, parchi storici La storia e l’arte si intrecciano alla natura in ville e castelli del bresciano, circondati da stupendi parchi, lussureggianti di fioriture primaverili. l Vittoriale degli Italiani, innanzitutto, straordinario complesso di edifici, piazze, giardini e corsi d’acqua eretto nel 1921 a Gardone Riviera da Gabriele d’Annunzio, che qui trascorse i suoi ultimi 17 anni di vita. Simbolo e memoria della “vita inimitabile” del poeta, è un connubio di musei, archivi, biblioteche immerso in uno scenario naturale che spazia tra eleganti giardini, la limonaia con il Belvedere e il meraviglioso anfiteatro vista lago. Quest’anno se ne festeggia il centenario. Sempre sul lago di Garda, a Lonato tappa d’obbligo è la Casa del Podestà, inserita nel Complesso monumentale della Fondazione Ugo Da Como, che comprende anche la Rocca Visconteo Veneta (una delle più imponenti fortificazioni della Lombardia, Monumento nazionale dal 1942, dove è bello passeggiare e da cui si gode una vista incomparabile sul basso lago). Si visitano oltre venti ambienti ricchi di migliaia di oggetti antichi, fra dipinti, arredi lignei, sculture, maioliche e, nel giardino, la Biblioteca (una fra quelle private più importanti d’Italia) con oltre 52.000 libri dal XII al XIX secolo. Sono oltre 800 le ope-

re (tra cui dipinti di Canaletto, Tiepolo, Guardi, Longhi) e preziosi gli arredi e gli oggetti d’arte applicata che si ammirano alla Fondazione Zani di Cellatica. Nel suo giardino – ricco di essenze esotiche, quali Cedri del Libano, Sophora del Giappone, Ginepro cinese, con una scenografica serie di macro Bonsai - si snoda un percorso tra sculture, fontane, elementi architettonici in dialogo con la natura. Circondati dal verde e ricchi di storia, con antichi arredi, sono anche il Castello di Montichiari e il Castello di Padernello. Bicicletta, che passione! Pedalare a picco sulle acque in totale sicurezza? Facile ed emozionante in provincia di Brescia! Veramente uniche nel loro genere sono infatti la Ciclopedonale dei sogni di Limone sul Garda (considerata la passerella più spettacolare d’Europa, a sbalzo sul lago, è un tragitto slow con uno strepitoso panorama, adatto anche a famiglie con bambini, che si può fare anche di sera grazie a un’efficiente illuminazione a led) e la Vello-Toline, antica litoranea del lago d’Iseo oggi riqualificata, con circa 5 km di percorso mozzafiato a strapiombo. Immersa nella natura è la Ciclovia dell’Oglio, eletta ciclabile più bella d’Italia agli Italian Green Road Awards 2019, che si snoda dalla Valle Camonica al lago d’Iseo, per poi seguire lo scorrere lento del fiume in pianura. In Franciacorta si snodano 5 itinerari eno-ciclo-turistici fra vigne, antichi borghi e cantine, alla portata di tutti e dedicati ciascuno ad una tipologia di Franciacorta. Ai più sportivi, agli appassionati di MTB, slow bike e road bike la Greenway delle Valli Resilienti offre - fra Brescia,

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la Valle Trompia e la Valle Sabbia - 3500 km di puro divertimento tra ciclabili, percorsi su strada e itinerari per mountain bike, suddivisi per vari gradi di difficoltà. Camminare lento sulle tracce della storia Dalle rive del lago d’Iseo ai boschi della Valle Camonica si snodano - senza mai sovrapporsi- la Via Valeriana e il Cammino di Carlo Magno, due straordinari percorsi paesaggistici, storici e culturali da percorrere a tratti, oppure in un trekking di più giorni. Imperdibili per chi predilige la camminata lenta. La Via Valeriana è un antico tracciato che va da Pilzone sul lago d’Iseo a Edolo, dove si biforca per proseguire, da una parte fino all’Aprica, dall’altra fino al passo del Tonale, collegando così la Valle Camonica con la provincia di Sondrio. Lungo 140 km e diviso in 9 tappe, ripercorre l’antica strada che - si narra- fu realizzata dal generale romano Gaio Publio Licinio Valeriano per poter spostare il più velocemente possibile le truppe dall’Italia fino ai bacini del Reno e del Danubio. Il Cammino di Carlo Magno parte da Lovere e arriva a Ponte di Legno. L’itinerario segue antichi sentieri seguendo le orme di Carlo Magno, che la leggenda vuole sia passato in Valle Camonica. Si sviluppa per circa 100 km ed è diviso in 5 tappe. Offre paesaggi altamente suggestivi e tocca importanti chiese, borghi e siti storici. Tra i punti imperdibili, il Lago Moro, piccolo gioiello incastonato tra le montagne sopra Darfo Boario Terme, il parco delle incisioni rupestri di Foppe di Nadro e quello di Naquane a Capo di Ponte, primo sito UNESCO della Valle Camonica. Benessere e salute alle terme Mai come ora la vacanza significa benessere. Per chi vuole approfittare di qualche giorno di break o della vacanza per rimettersi in forma e migliorare lo stato della propria salute, ideali e all’avanguardia sono i noti centri termali di Sirmione e Boario Terme. Più piccole, ma ben strut-

turate, anche le Terme di Vallio, e interessante la Speleoterapia nella miniera Sant’Aloisio a Collio, in Valle Trompia. L’apertura di tutte queste strutture è regolata dalle normative dettate dall’emergenza Covid. I benefici salutari delle acque sulfuree salsobromoiodica di Sirmione erano conosciuti fin dal tempo dei Romani ed oggi sono alla base delle cure e dei trattamenti delle Terme di Sirmione, la prima realtà termale italiana, centro d’eccellenza nel trattamento delle affezioni dermatologiche, reumatiche, vascolari e nella riabilitazione motoria con una lunga esperienza nella prevenzione e nella cura delle patologie dell’apparato respiratorio. Il complesso si articola in un centro termale (le Terme Virgilio), 4 alberghi con SPA, di cui 3 con reparto termale, e l’Aquaria Thermal SPA, regno del benessere, con oltre 14.000 mq fronte lago con piscine termali, idromassaggi, docce emozionali, percorso vascolare, cabine benessere, saune, bagni di vapore, area per trattamenti benessere e aree relax polisensoriali. Le Terme di Boario si trovano nel cuore di grande Parco termale che consente di immergersi nel verde e nella natura, e sfruttano i benefici effetti delle acque bicarbonato-solfato-calciche di 4 fonti, provenienti dal monte Altissimo dopo aver fatto ben 10 anni di viaggio nella montagna. Con caratteristiche diverse, agiscono nell’organismo su specifici apparati (ad iniziare da fegato, vie biliari ed intestino) e sono utilizzate per la cura idropinica, terapia che qui ha ben 150 anni di storia. Le acque e la natura sono il miglior modo per detossinare mente e corpo. Il parco termale consente infatti agli ospiti di fare lunghe passeggiate nel verde dei viali costeggiati da piante che caricano l’aria di ossigeno, sorseggiando le acque depurative delle quattro fonti. Qui si trovano anche SPA e Centro benessere, luoghi di grande relax con piscine di acqua termale. Le Terme di Vallio sono immerse in un parco di 50 ettari che invita al silenzio e alla meditazione. Passeggiando fra alberi secolari, sentieri ombrosi e laghetti artificiali, si raggiungono il torrente di fondovalle e l’Orto giardino botanico. Le limonaie, i giardini d’agrumi dell’Alto Garda Storiche strutture a terrazzamento un tempo utilizzate per la produzione di arance e limoni, le limonaie sono straordinarie architetture che

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svettano verso il cielo con i loro alti pilastri e caratterizzano il paesaggio dell’Alto Garda. Giardini d’agrumi, le chiamavano per la loro bellezza. Uniche al mondo nel loro genere, testimoniano un’attività che, nel passato, aveva rivestito un ruolo molto importante per l’economia del lago, che nel 1700 esportava i suoi limoni in tutt’Europa. Tipica la loro struttura, con pilastri di candide pietre sovrapposte (che un tempo, d’inverno, sostenevano la copertura fatta di vetri e assi), circondati su tre lati da alte mura pure di pietra e aperti sul quarto verso il lago: in queste serre venivano coltivati non solo i limoni, ma anche aranci (per uso familiare) e cedri, destinati quasi esclusivamente alla fabbricazione dell’”acqua di cedro”, profumatissimo liquore distillato dalla buccia. Alcune sono state restaurate e, fra di esse, sono state riaperte al pubblico la limonaia Pra de la Fam a Tignale, La Malora a Gargnano e la Limonaia del Castel a Limone sul Garda. Oltre alle visite guidate, vi vengono organizzate degustazioni ed è possibile acquistarvi prodotti tipici. Alla limonaia La Malora si può preparare (e portarsi a casa) un profumato sciroppo concentrato di limoni: è una delle molte e inconsuete esperienze che si possono fare nel bresciano proposte da Make in Brescia, prenotabili dal sito www.visitbrescia.it. La Valle delle Cartiere e il Museo della carta Sempre sul lago di Garda, una passeggiata inconsueta è quella che porta a scoprire la Valle delle Cartiere e il Museo della Carta di Toscolano Maderno. Un luogo sospeso nel tempo e magnifico esempio di archeologia industriale: colpiscono l’occhio del visitatore i ruderi di decine di piccoli edifici affacciati lungo il fiume, un tempo destinati alla produzione della carta (che abbraccia un arco di tempo dal XIV sec. al XX sec.) ed ora sono in disuso. Il percorso ad anello prevede una bellissima passeggiata nella natura e nel silenzio tra prati, forre e la vecchia centrale idroelettrica in località Gatto. Il percorso è adatto a grandi e piccini. Meritano una tappa il Museo della carta, di cui Toscolano era un centro d’eccellenza, e il vicino laboratorio artigianale Toscolano Paper in cui può imparare a fare a mano un foglio di carta, un’altra delle esperienze di Make in Brescia. Per informazioni: www.visitbrescia.it

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Maggio-Luglio GUSSAGO (Bs)

L’Evento

Le visite, tutte gratuite e con prenotazione obbligatoria, saranno condotte dal prof. Agostino Dellafiore

A CURA di M.T. SAN JUAN

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l via il nuovo appuntamento con “Storie di Pietre e Santi” un ciclo di visite guidate gratuite tra le principali attrazioni culturali di Gussago, comune del bresciano incorniciato nel suggestivo paesaggio della Franciacorta. Una serie di passeggiate della durata di 1h30 in programma ogni domenica dal 9 maggio all’11 luglio 2021 (ritrovo alle 9:15 e partenza alle 9:30) attraverso le quali sarà possibile soffermarsi nei luoghi simbolo del Comune come La Santissima, ex convento domenicano che domina il territorio, visitare palazzi e dimore solitamente chiusi al pubblico, restare affascinati dai tesori nascosti delle chiese e meravigliarsi con la bellezza della natura. Un ottimo spunto per organizzare una gita fuori porta per un viaggio di scoperta tra arte e cultura al quale unire un’esperienza enogastronomica in uno dei tanti ristoranti di Gussago dove gustare i prodotti della Franciacorta e del territorio. Le visite, tutte gratuite e con prenotazione obbligatoria, saranno condotte dalla guida turistica il prof. Agostino Dellafiore in collaborazione con l’Associazione Guida Artistica, e si svolgeranno nel pieno rispetto del distanziamento e delle regole anticovid. Il ritrovo presso il luogo di partenza dell’itinerario sarà alle ore 9:15 con inizio alle 9:30. Ecco nel dettaglio alcuni degli appuntamenti: 9 maggio 2021 - La Santissima Nata come chiesa civica voluta dai gussaghesi, La Santissima Trinità appartiene ad un convento domenicano che venne costruito a partire dal 1479 ampliando un precedente edificio. La visita sarà l’occasione per raccontare le vicende che si svolsero tra le mura de La Santissima, dalle abitudini dei Domenicani durante l’Inquisizione, per arrivare agli intrecci che ebbero come protagonisti il pittore Angelo Inganni e la seconda moglie Amanzia Guérillot. Ritrovo: Monumento Carabinieri 16 maggio 2021 – Il Borgo di Sale e Palazzo Caprioli Questa passeggiata parte dalla chiesa di Santo Stefano per raggiungere la sommità del colle e prevede alcune soste intermedie nel Borgo di Sale con la medievale torre De Salis, il Castello e il vicino palazzetto più volte ristrutturato, ma con notevoli testimonianze rinascimentali. Tappa finale ai piedi della collina per ammirare le severe forme esterne di Palazzo Caprioli con visita al salone delle feste con soffitto affrescato e alla piccola chiesa annessa di Sant’Adriano. Ritrovo: Chiesa di Santo Stefano 23 maggio 2021 - Parrocchiale di Santa Maria Assunta e Chiesa di San Lorenzo Il percorso parte da Piazza Vittorio Veneto dove, costruita a partire dal XVIII secolo, sorge come quinta scenografica della piazza stessa la nuova Parrocchiale, arricchita nel secolo successivo dai due leoni che ancora oggi “ruggiscono” nella pietra. La visita prosegue poi in Piazza San Lorenzo, da sempre a vocazione commerciale, valorizzata dalla bella fontana neoclassica. Ritrovo: scalinata di Piazza Vittorio Veneto

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LE STORIE DI PIETRE E SANTI tornano a gussago OGNI DOMENICA D’ESTATE GLI ITINERARI A PIEDI E GRATUITI ALLA SCOPERTA DEI LUOGHI ICONICI DEL COMUNE DELLA FRANCIACORTA PER UNA GITA FUORI PORTA TRA ARTE E CULTURA

30 maggio 2021 – Casaglio e San Rocco L’itinerario si snoda lungo il borgo di Casaglio da est a ovest, dal Castello, sorto in età medievale, alla chiesa di San Giuseppe e oltre, visitando anche alcuni cortili che hanno mantenuto le tracce dei tempi antichi. Si prosegue poi con la salita sulla collina di San Rocco e la visita della chiesetta. Ritrovo: Parcheggio Centro Marcolini 6 giugno 2021 – Chiesa Parrocchiale di Ronco e antico borgo, Museo e Galleria Ronco Arte La visita della frazione di Ronco parte dalla Chiesa Parrocchiale di San Zenone, che ospita opere di notevole interesse come due dipinti della scuola di Vincenzo Foppa e la Via Crucis della pittrice ottocentesca Amanzia Guérillot. Tra le strette vie e i vicoli della parte più antica, si può ammirare la piccola chiesa dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano, con affreschi devozionali, e una pala di notevoli dimensioni riadattata per l’altare maggiore, raffigurante i santi protettori dalla peste. Ritrovo: Chiesa di San Zenone 13 giugno 2021 - Il Giardino e i saloni di Palazzo Richiedei Un salto nelle atmosfere dell’Ottocento visitando Palazzo Richiedei, ora complesso ospedaliero, con il suo giardino e gli affreschi ottocenteschi. Tra le decorazioni si possono ammirare quelle in stile

pompeiano, allora molto in voga, una sala con delle vedute e un’altra con evidenti simboli massonici. È prevista una sosta nell’attuale aula magna, un tempo cantina, progettata da Rodolfo Vantini. Ritrovo: Parcheggio Ospedale Richiedei 20 giugno 2021 - Frazione Villa, Antica Dimora Villa Pace e Giardino Storico Terrazzo Di Villa, Chiesa Del Santolino e Palazzo Nava Una panoramica passeggiata tra ville e vigneti sotto il colle de La Santissima, nel borgo della frazione di Villa con sosta nel parco “Terrazzo” chiamato così per la straordinaria visuale su tutta l’area circostante. A pochi passi da questo luogo panoramico si trovano la seicentesca Villa Pace e Palazzo Nava con la vicina chiesetta della fine del ‘600 dedicata a Sant’Antonio, nella quale ci sono ancora gli stucchi della decorazione originaria. Non lontano si trova la chiesa del Santolino (o di Sant’Antonino) di origini cinquecentesche. Ritrovo: Parcheggio Ospedale Richiedei

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18 Maggio Sirmione (Pr)

L’Evento

porterà opinioni su tematiche quali ambiente ed ecologia, sport e tempo libero, politiche sociali e giovanili, sicurezza, pubblica istruzione, cultura e pari opportunità

A CURA di M.T. SAN JUAN

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irmione avrà presto il Sindaco delle Ragazzi e delle Ragazze, affiancato da un Consiglio Comunale al completo, composto da 13 giovani coinvolti in prima persona sulle problematiche che riguardano il territorio sirmionese. Dal 18 maggio Sirmione potrà vantare un nuovo “primo cittadino” che, con tanto di fascia tricolore sul petto, “affiancherà” il Sindaco in carica Luisa Lavelli discutendo con lei e con il Consiglio Comunale tradizionale su tematiche quali ambiente ed ecologia, sport e tempo libero, politiche sociali e giovanili, sicurezza, pubblica istruzione, cultura e pari opportunità. “Sarà emozionante avere accanto un giovane sindaco nei momenti più significativi della vita comunale – afferma Luisa Lavelli – ed ascoltare il diverso punto di vista del nuovo consiglio. Attendiamo con entusiasmo le loro proposte ed i loro suggerimenti”.

SIRMIONE ISTITUISCE IL CONSIGLIO COMUNALE DELLE RAGAZZE E DEI RAGAZZI DAL 18 MAGGIO SIRMIONE POTRÀ VANTARE UN NUOVO “PRIMO CITTADINO” CHE, CON TANTO DI FASCIA TRICOLORE SUL PETTO, “AFFIANCHERÀ” IL SINDACO IN CARICA LUISA LAVELLI

LA PROMESSA Nella seduta di insediamento il Sindaco delle Ragazze e dei Ragazzi promette davanti al Consiglio e al Sindaco di Sirmione di onorare la carica ricoperta con impegno e partecipazione attiva e di rispettare e di far rispettare le regole democratiche della libertà d’espressione, della partecipazione di tutti alle decisioni, del dialogo e del confronto nel rispetto reciproco. GLI OBIETTIVI Un progetto ambizioso e innovativo – in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Trebeschi – che coinvolgerà gli alunni delle classi quinte della scuola primaria e le classi prima e seconda della scuola secondaria di primo grado e darà loro modo di provare un’importante esperienza di rappresentanza attiva e di responsabilizzazione. Sirmione desidera promuovere anche cosi la cultura della partecipazione, dell’inclusione e della legalità, contribuendo in modo concreto all’educazione civile e democratica dei più piccoli. Il Sindaco e il Consiglio Comunale dei ragazzi saranno coinvolti in prima persona delle dinamiche istituzionali del Comune di Sirmione. “Il 18 maggio 2021 i nostri studenti eleggeranno il Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze di Sirmione grazie al quale i giovani potranno avere un ruolo attivo nella vita della nostra comunità” racconta Miria Bocchio, consigliere delegato del Comune di Sirmione alla Pubblica Istruzione “Si tratta di un progetto scolastico fortemente sostenuto dall’Amministrazione Comunale che sintetizza gli obiettivi cardine dell’educazione alla cittadinanza promuovendo la cultura della partecipazione, della solidarietà, dell’inclusione e della legalità attraverso un’esperienza concreta e diretta” conclude Bocchio.

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La sala consigliare di Sirmione e, nel riquadro,il sindaco Luisa Lavelli

I DETTAGLI DEL PROGETTO Il progetto intende sviluppare il senso di appartenenza dei ragazzi alla comunità, attraverso la partecipazione attiva alla vita del territorio e un’interlocuzione attenta con gli amministratori attualmente in carica, che si impegneranno ad ascoltare i loro punti di vista e le loro proposte. Le attività del Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze si ispirano alla Convenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo, ai principi della Costituzione Italiana, alla Carta della Terra e allo Statuto Comunale. Il Consiglio e il Sindaco eletto resteranno in carica per due anni. Sia il Sindaco e che i componenti del Consiglio Comunale potranno essere rieletti. Le riunioni saranno pubbliche e avranno luogo, di norma, nella Sala Consigliare Virgilio della Residenza Municipale. INDIVIDUAZIONE DEI CANDIDATI Fremono i plessi scolastici, coinvolti in questi giorni nella ricerca dei candidati, impegnati a loro volta nella raccolta e nell’individuazione degli argomenti che si impegneranno a diffondere in caso di

elezione. La Scuola Primaria presenterà una lista di n. 10 candidati, la Scuola Secondaria di primo grado presenterà una lista di n. 20 candidati, in equilibrio tra femmine e maschi. Inoltre è importante ricordare che, come per ogni elezione, - in ogni plesso scolastico interessato dalle elezioni vengono convocate una o più assemblee, nelle quali tutti gli studenti vengono coinvolti e possono avanzare la loro candidatura - la Commissione Elettorale esamina gli elenchi dei candidati, ne verifica i requisiti, li pubblica immediatamente mediante affissione all’albo dei due plessi scolastici e del Comune di Sirmione dandone contestuale informazione agli interessati. I 13 consiglieri eletti saranno quelli che hanno ottenuto il maggior numero di voti nell’ambito di ciascun plesso e saranno così ripartiti: - n. 5 Consiglieri tra i candidati della Scuola Primaria - n.8 Consiglieri tra i candidati della Scuola Secondaria di primo grado.

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Maggio-Ottobre 2021 Mantova

L’Evento

IL PARCO DEL MINCIO HA UTILIZZATO QUESTI MESI PER COMPIERE INTERVENTI VARI DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA E DI MESSA IN SICUREZZA DEL PATRIMONIO ARBOREO

parco delle bertone riaperto al pubblico di Vittoria Bisutti

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utto pronto alle Bertone per accogliere i primi ospiti dopo il periodo di pausa invernale, prolungato dalle regole della pandemia.Il Parco del Mincio ha utilizzato questi mesi per compiere interventi di manutenzione straordinaria dei percorsi all’aperto e delle radure e di messa in sicurezza del patrimonio arboreo. E anche le Cicogne bianche, specie reintrodotta grazie a un progetto che qui ha il suo motore – il Centro reintroduzione cicogna bianca – sono indaffarate a offrire uno dei più bei spettacoli della natura: proprio in questi giorni in alcuni nidi presenti nel bosco-giardino stanno nascendo i primi piccoli. Ben in vista, ad esempio, è quello del nido sul terrazzo della villa, ben visibile ai visitatori, dove sono appena nati tre piccoli e dove ci sono ancora due uova che potrebbero schiudere a breve. “I dati forniti dal biologo Cesare Martignoni, che coordina il progetto – spiega Il presidente del Parco del Mincio Maurizio Pellizzer – confermano il successo della reintroduzione: nell’area delle Bertone quest’anno ci sono finora almeno 14 coppie, ma numero in possibile evoluzione e nel

vato in diverse parti d’Italia e d’Europa, fra cui Svizzera e Spagna e che è tornato nel 2009, nel 2010 e nel 2012 a nidificare nella sua zona di origine, forse con la stessa femmina. Dal 2016 è poi tornato tutti gli anni a riprodursi sullo stesso albero e così anche quest’anno. Alle Bertone l’ente ha rimosso alberi caduti, potato e messo in sicurezza altri, tolto ramaglie dai vialetti e dal sottobosco, ripulito aiuole e ha rifatto alcune bacheche e cartelli informativi, oltre al rifacimento delle targhette botaniche che presentano le specie arboree secolari presenti e provenienti da quattro Continenti, elemento caratteristico dei giardini di impronta romantica come fu pensato dal conte Luigi D’Arco, naturalista e conte della casata proprietaria. Ora le Bertone sono della fondazione D’Arco che lo ha affidato al Parco.

Ph. Paolo Bignoni

Il Parco del Mincio ha affidato alle Guardie Ecologiche Volontarie dell’ente il compito di accogliere i visitatori territorio del Parco del Mincio, esternamente al Bosco Bertone, vi sono finora almeno 8 coppie, numero anch’esso in possibile evoluzione”. Nel compito di monitoraggio eseguito dal coordinatore del centro rientra anche quello di studiare le rotte e le provenienze di queste cicogne. Emerge che ci sono sia cicogne sedentarie, sia arrivate con la migrazione, alcune coppie sono costituite da individui completamente selvatici, alcune da individui rilasciati dal Parco in passato e altre coppie sono miste. Fra le cicogne nidificanti ci sono un individuo nato in Svizzera, un altro nato in Germania e uno rilasciato in passato nella zona del Parco Adda Sud, tutti arrivati qui autonomamente. Particolare è la storia di una cicogna che anche quest’anno sta nidificando su un Libocedro a fianco della villa. Si tratta di un maschio, nato su un albero del bosco Bertone nel 2006, che è stato poi osser-

il parco sarà aperto nelle sole giornate festive Il biglietto d’ingresso ammonta a 2,00 euro per gli adulti, gratuito fino ai 12 anni e per gli over 70. A metà mattina e metà pomeriggio (ore 11.00 e ore 16.00) le Guardie Ecologiche volontarie effettuano una visita guidata gratuita con gruppi di massimo 15 persone e da svolgersi nel rispetto del distanziamento interpersonale. E’ obbligatorio l’uso della mascheri-

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na, l’igienizzazione delle mani all’ingresso e la prova della temperatura che sarà effettuata a ciascuno dalle Guardie Ecologiche volontarie del Parco del Mincio. Tutte le ulteriori informazioni su orari, biglietti e regole di fruizione sono reperibili nel sito web del Parco regionale del Mincio.

riapertura nel rispetto delle norme anti-covid Il Parco giardino delle Bertone è aperto al pubblico dalle ore 10 e fino a un’ora prima del tramonto. Il Parco del Mincio anche quest’anno ha affidato alle Guardie Ecologiche Volontarie dell’ente il compito di accogliere i visitatori nel centro visita dell’ente e il parco sarà come sempre aperto nelle sole giornate festive, fino alla fine di ottobre. “L’attività stagionale – ricorda il presidente del Parco Maurizio Pellizzer - si svolgerà nel rispetto delle misure di contenimento Covid adottate da Regione Lombardia e dal Governo. Per il momento sarà consentito solo l’ingresso e la visita delle aree esterne e sarà autorizzata la presenza contemporanea di non più di 100 persone. Ogni anno l’ente investe risorse per la manutenzione di questo luogo che è caratterizzato dalla presenza delle cicogne bianche e di alberi secolari provenienti da tutto il mondo. Quest’anno gli interventi di manutenzione sono stati particolarmente rilevanti grazie ai contributi ottenuti da Regione Lombardia e domenica il giardino che fu dimora estiva dei Conti D’Arco si potrà presentare in una splendida forma. Tra le novità il cancello storico in ferro battuto dell’ingresso che finalmente dopo un lungo lavoro di restauro è stato ricollocato”. Tra gli altri lavori eseguiti la rimozione di alberi caduti e tra questi un grande pioppo che era stato colpito da un fulmine ma anche riqualificazione dei percorsi e rifacimenti delle bacheche informative.

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Fino al 31 dicembre 2021

L’Evento

la serie che sostiene il giornalismo indipendente e i reporter in difficoltà

A CURA di marco morelli

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al 2011 la rivista Frontiere News (frontierenews.it), premio Amnesty per i diritti umani nel 2013, ha pubblicato le storie di oltre 300 giornalisti provenienti da più di 120 Paesi del mondo. Alcuni mesi fa la redazione, coordinata dai giornalisti Joshua Evangelista, Luca La Gamma e Valerio Evangelista, ha chiesto ai lettori della rivista cosa valga la pena raccontare oggi, in un mondo stordito dalla pandemia e dalle sue conseguenze sociali ed economiche. Ne è emerso un quadro chiaro: non si può non parlare di giustizia e ingiustizia sociale e raccontare storie di diritti umani violati, dando voce a coloro che la crisi da Covid-19 ha messo ancora più ai margini della società. Così è nata “Hidden”, un esperimento di giornalismo partecipato che prevede la pubblicazione, in italiano e in inglese, di dieci reportage finanziati dai lettori di Frontiere News. Hidden vuol dire in inglese “nascosto”, così come sono nascoste le storie che faticano a trovare spazio nei media mainstream e la cui pubblicazione potrebbe portare un cambiamento tangibile nella società. L’obiettivo è duplice: da una parte far emergere situazioni di disuguaglianze, violenza o corruzione che creano pericolo e/o vulnerabilità per singoli individui o intere comunità; dall’altra parte, sostenere il giornalismo indipendente locale, fondamentale eppure costantemente messo in discussione e messo in ginocchio dal Covid-19. Si accettano proposte da giornalisti indipendenti

che cos’è hidden Frontiere News è un settimanale online, nato nel 2011 e oggi coordinato dai giornalisti Joshua Evangelista, Luca La Gamma e Valerio Evangelista. Raccontiamo il mondo dal punto di vista delle comunità, con particolare attenzione alle dinamiche migratorie e al rapporto tra persone e territori. Negli anni abbiamo ospitato gli articoli di oltre 300 autori provenienti da tutto il mondo

Hidden diamo voce alle comunità dimenticate DURANTE TUTTO IL 2021, FRONTIERE PUBBLICHERÀ DIECI REPORTAGE CO-FINANZIATI DAI SUOI LETTORI. LE DONAZIONI RACCOLTE AIUTERANNO A FINANZIARE LO SVILUPPO E LA PROMOZIONE DI DIECI INCHIESTE DA TUTTO IL MONDO

guente link: frontierenews.it/hidden-la-serie-callto-action Il progetto non è solo un modo per incoraggiare il giornalismo di qualità: è il simbolo di un nuovo modo di concepire il rapporto tra giornalisti e lettori, con questi ultimi chiamati a ragionare sulle storie e a sostenere le inchieste in cambio di ricompense. Chi vuole infatti, può sostenere Hidden a questo link: sostieni.link/26952 o scrivendo a redazione@frontierenews.it. Tra le ricompense per i lettori-mecenati, tazze personalizzate, taccuini, penne e persino gioielli e quadri messi a disposizione da artisti emergenti. E non solo: per ogni donazione una percentuale viene destinata alla piantumazione di alberi in Africa, Asia e Sud America. Perché il senso di tutta l’operazione è che, in fin dei conti, da questa situazione se ne esce solo attraverso la solidarietà.

così come da gruppi di giornalisti, collettivi, blog. L’importante è proporre inchieste inedite che abbiano a che fare con migrazioni, diritti umani, disuguaglianze sociali ed economiche. Storie locali che abbiano una rilevanza globale e pensate per un pubblico internazionale. Per candidarsi è necessario compilare un modulo consultabile al se-

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Giugno 2021 Valeggio s/Mincio

L’Evento

un evento digitale interamente organizzato dagli studenti dell’Istituto Tecnico Superiore per il Turismo della Regione Veneto, in attesa della XXVI Festa del Nodo d’Amore.

Nodo d’Amore 4.0 vi auguriamo buona visione! di M.T.San Juan

cinque giovani studenti ideatori e protagonisti

Foto @Bichel

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d un anno dalla rifondazione, che tra i nuovi propositi ha la valorizzazione e la formazione delle nuove generazioni, l’Associazione Ristoratori di Valeggio si impegna ad aiutare nella realizzazione di un progetto digitale alcuni studenti dell’Istituto Tecnico Superiore per il Turismo della Regione Veneto. L’obiettivo principale del progetto è mantenere viva la Festa del Nodo d’Amore che, ogni anno dal 1993, vede seduti ad un tavolo lungo più di un chilometro 3.000 commensali. Si celebra il Nodo d’Amore, il vero Tortellino di Valeggio. Da tre anni, purtroppo, la

Foto @Bichel

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In attesa di poter tornare a vivere l’emozione di una cena unica al mondo nasce da un gruppo di studenti una splendida iniziativa manifestazione non viene attuata, per un progetto di rinnovamento prima e a causa del coronavirus poi. Gli studenti, al tal proposito, hanno portato a termine il progetto di un video-documentario che ripercorra i momenti salienti della preparazione del piatto principe locale, in attesa di poter celebrare la tanto attesa XXVI edizione, probabilmente nel 2022. Il video, dopo adeguato lavoro di registrazione e ovviamente un lungo ed estenuante periodo di montaggio, sarà pubblicato sui canali social (Youtube, Facebook e Instagram) dell’Associazione Ristoratori Valeggio proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta svolgere la magnifica Festa del Nodo d’Amore 2021, martedì 15 Giugno 2021. L’ambientazione del video sarà il Castello Scaligero, tra le cui mura le mani esperte delle nostre “sfogline” mostreranno tutti i segreti del Nodo d’Amore, il vero Tortellino di Valeggio. Molti ospiti speciali sono stati invitati a far parte delle riprese tra i quali Alberto Zucchetta, l’ideatore della leggenda del Nodo d’Amore; Edoardo Raspelli, celebre critico enogastronomico; Renato Bosco, il maestro italiano della pizza che svelerà il suo segreto della Torta delle Rose; Bernardo Pasquali in qualità di giornalista esperto in food&wine e Monika Kellerman, la giornalista di Monaco di Baviera che con Valeggio e il lago di Garda ha un legame speciale. A sostenere le giovani leve e l’Associazione Ristoratori Valeggio saranno presenti il Sindaco, insieme all’Amministrazione Comunale di Valeggio sul Mincio, da sempre fieri ambasciatori del Nodo d’Amore.

Protagonisti principali e portavoce di questa iniziativa sono cinque giovani studenti, futuri Restaurant Manager. Sono loro che hanno ideato e realizzato il progetto: Enrico Fiorini, Samuele Franchini, Leonardo Benedetti, Mattia Bonizzi e Alberto Angeri. ARV confida che un giorno diventeranno ambasciatori nel mondo del nostro territorio e del nostro nobile mestiere. I ragazzi sono stati coordinati dall’Istituto Tecnico Superiore per il turismo del Veneto nella figura del preside Massimiliano Schiavon, della direttrice Enrica Scopel e del professore Alberto Scudier con i quali la nostra Associazione ha da sempre un proficuo rapporto collaborativo.

LA FONDAZIONE ITS TURISMO DEL VENETO La Fondazione ITS Turismo del Veneto si è costituita nel 2011 in risposta all’esigenza delle imprese del settore turistico di formare figure professionali specializzate. Persegue la finalità di promuovere la diffusione della cultura tecnica e scientifica applicata alle attività di pianificazione e sviluppo dell’offerta culturale e turistica e di sostenere le misure per lo sviluppo dell’economia e delle politiche attive del lavoro. Tra gli obiettivi: permettere l’acquisizione di un’alta specializzazione tecnologica indispensabile per un inserimento qualificato nel mondo del lavoro; privilegiare una didattica esperienziale dove l’apprendimento si realizza attraverso l’azione e la sperimentazione di situazioni, compiti, ruoli affrontati in situazioni di incertezza e complessità, simili alla realtà lavorativa di tutti i giorni.

Per informazioni: info@ristorantivaleggio.it

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i protagonisti della montagna

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Copyright Orler images

Undici personaggi speciali. Undici profili di uomini che hanno avuto un rapporto unico e particolare con la montagna.


PROTAGONISTI DELLA MONTAGNA

Coraggio e passione trasudano dalle sue pagine, come un’accusa a chi spreca la vita, a chi si fa trascinare dal flusso forse troppo violento del consumismo

mauro corona

Cercando la via del sole

di giorgia favero (Pubblicato in La Chiave di Sophia)

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auro Corona, basterebbe il suo nome per presentarlo, per ricordarci chi siamo, che posizione abbiamo preso tra gli estremi della società: da una parte i soldi, la gloria a tutti i costi e l’omologazione, e dall’altra lui, con il suo sprezzante e ruvido isolamento sulle montagne bellunesi. Corona rappresenta quella persona che ha avuto e che ha tuttora il coraggio di fare tutto quello che noi ci promettiamo di fare ogni giorno – nei momenti di difficoltà – ma che non abbiamo mai il tempo, la voglia, la forza di mettere in atto: prendere tutto e mandarlo a quel paese, farlo rotolare giù per la scarpata più ripida e lasciarlo finire a valle, schiantato. Non c’è più tempo per i fardelli, per i pesi che non meritiamo di portare. Lui ha scelto montagna e scrittura, ha scelto di non piegarsi alla moda degli altri, alle usanze, al perbenismo con cui riempiamo ogni giornata. Senza rinunciare alla società a cui rimane aggrappato come alla roccia più aspra e tagliente, Corona ispira un cambiamento, una diversità raggiungibile anche attraverso i suoi libri, attraverso le sue parole che fanno da eco ad ogni camminata e ad ogni esperienza delle montagne, di chi ha il coraggio di dire effettivamente che direzione sta prendendo la nostra vita, da lontano. Coraggio e passione trasudano dalle sue pagine, come un’accusa a chi spreca la vita, a chi si fa trascinare dal flusso forse troppo violento del consumismo. La risposta ai mali della società e della frenesia del mondo del web arriva quindi dalla montagna e dallo sforzo, dalla riflessione e dalla consapevolezza che si può anche vivere diversamente, che un’alternativa c’è ed è piacevole, affettuosa, una cura naturale. Oggi ci ha presentato un titolo di una gran bella collezione di romanzi che ha scritto. C’è un messaggio per i lettori ne La via del sole? “In ogni parola c’è un messaggio, in ogni libro, in ogni scultura… persino nel passo, perché anche solo camminando qualcuno ti lancia un messaggio, per esempio che ha fretta o che è triste. Questo librino qui è una parabola che punta il dito sulle persone (quasi tutte) che perdono tempo mentre invece hanno una sola occasione nella vita: continuano a per-

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dere tempo convinti di poterlo recuperare, di averne altro a disposizione. Come scriveva Ernesto Sabato, «purtroppo la vita la facciamo solo in brutta copia. Se uno scrittore fa una pagina imperfetta può buttarla nel cestino. La vita, no»: è verissimo, non abbiamo il tempo di correggerla e di ricopiarla in bella. A me sembra di vedere attorno a me, nel pianeta intero, miriadi di persone che perdono tempo, che potrebbero vivere bene lo stesso facendo il necessario, investendo tutto il resto in tempo libero, nelle loro passioni, nei loro hobby… E’ una scioccheria quella del non avere tempo”. Il paesaggio montuoso, soprattutto quello delle nostre zone, è appassionatamente descritto nei suoi romanzi e ne è in qualche modo padrone. Anche nel nostro gruppo ci sono grandi appassionati del panorama montano, delle ferrate e dell’arrampicata, dunque vorremmo chiederle: secondo lei, qual è la più grande lezione della montagna all’uomo? “A me più che insegnamenti ha dato carezze, anche a volte piuttosto brusche, però per me è stata una medicina: mi rifugio lì, oggi come allora, quando avevo dei problemi che non riuscivo a risolvere perché non volevo risolverli, perché il mio carattere non mi

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permetteva di risolvere in maniera pacifica il conflitto con i miei genitori, con la famiglia, con gli amici, col paese, con l’umanità intera. Quindi anche oggi vado lì e mi sento abbracciare. Mi sento protetto, mi sento nascosto. Dopodiché m’ha anche insegnato che per arrivare da qualche parte devi faticare: intanto la montagna è in salita, ma è quasi più faticoso scendere che salire. Per arrivare ad un punto, ad un successo, ad un vertice, è quindi necessario faticare, ma mi ha insegnato anche che dal vertice devi solo scendere, e mentre scendi adocchi un altro vertice ancora: è un saliscendi continuo. Comunque per me è stata una protettrice più che una conquista”. Quindi in un certo senso la solitudine e il contatto con la grandezza della natura che offrono il paesaggio montuoso possono più facilmente farci accedere ad una dimensione spirituale? “La spiritualità nasce solo dallo sforzo. E’ vero che un filosofo può speculare su tante cose anche stando a letto, ma lo sforzo crea idee, lo sforzo crea soluzioni, la fatica è la base di ogni arte. Lo sosteneva anche Robert Walser, che non riusciva a scrivere una riga se non faticava”. Sicuramente la montagna è uno di quei luoghi che mette a nudo l’uomo da tutti i costrutti e le sovrastrutture della modernità e gli fa riscoprire il suo lato più semplice, in un certo senso ancestrale; quando si torna a valle però purtroppo molte cose vengono perse, e si torna ad uno stile di vita più artificiale e noncurante della dimensione naturale:

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percepiamo la natura attorno a noi ma non ci tocca veramente. Quale pensa che sia il legame che ai nostri giorni intercorre tra l’uomo e la natura? “Non tutti possono andare in montagna ogni giorno, ma sapere che c’è dovrebbe essere abbastanza. Perché se noi abbiamo bisogno della montagna o del mare per trovare noi stessi siamo eroi anomali di qualcosa, e dunque già falliti. Io non ho mai visto la Pietà di Michelangelo, ma sapere che c’è mi rallegra, e mai c’andrò a vederla! Quindi bisogna secondo me ragionare sul fatto che le cose ci sono e un giorno se mi gira vado anche a cercarmele.

Ovviamente camminare in un bosco d’autunno, come diceva Cioran, è una cosa bella e quindi c’è bisogno anche del vedere, del contatto, ma nel frattempo che non l’abbiamo sotto mano elaboriamo la montagna che c’è in noi in previsione di andarla a vedere un giorno. Del resto non è possibile che sette miliardi di persone si riversino in un bosco, però quando si può farlo perché non farlo, perché non fare delle scuole dove portano i bambini nel bosco, per esempio il Friuli è pieno di boschi, ha mai visto una scolaresca che vada nei boschi? È importante sapere che c’è la natura e che va praticata un poco, ma se lei ha bisogno di rifugiarsi in un bosco per ritrovarsi vuol dire che c’è qualcosa che non va. Dev’essere piuttosto un premio, un regalo, come un colpo di sole, non una necessità da dipendenza, altrimenti è peggio di prima”. L’ambiente naturale adesso è particolarmente minacciato: questa tematica ricorre spesso all’interno dei suoi libri e dunque sembra esserle particolarmente cara. Che cosa sta succedendo e cosa dovremmo fare per provare a risolvere il problema? “L’ambiente naturale è da sempre minacciato dall’uomo, in questo periodo ciò succede in modo più evidente perché abbiamo educato una società di colpevoli. Oggi l’uomo di successo, interessante ed intelligente, non è quello che legge un libro o che investe in tempo libero ma quello che fa soldi; la colpa non è della società, perché la società siamo io e lei e altri sette miliardi: la colpa è di questa idea che per essere veramente di valore bisogna fare soldi. Questo è il principio che ha danneggiato tutto. Questa è anche la parabola del protagonista del mio libro, poiché sta distruggendo tutto quello che ha per avere un po’ di sole, senza rendersi conto di averlo già. Bisogna accontentarsi, ed insegnarlo anche ai nostri figli, altrimenti continueranno la nostra eredità di stupidità perpetua che attualmente paga la natura, perché per diventare più ricchi bisogna sfruttarla sempre di più. E’ una questione di educazione al togliere, togliere per vedere, come scolpire, togliere legno per vedere oltre, dentro”. Dove troviamo questi modelli di vita “giusti”? “Non ne trovi più. Vanno creati da capo, ma subito, domani mattina! Vanno insegnati ai figli, per esempio spiegando che non bisogna sempre apparire, avere le cose appariscenti e di marca, griffate… è un caos da dove non se ne esce”. Qual è la sua idea di filosofia e quale ruolo ritiene essa abbia nella vita di tutti i giorni? “Wittgenstein diceva che un filosofo non deve mai avere maggior prestigio di un idraulico. Filosofia è un modo di pensare, anche un modo di pensare soluzioni, però quando questa filosofia si impone come scienza che tutti gli altri sono imbecilli tranne il filosofo allora comincia a diventare vanità personale. Quindi mi va bene la filosofia se accompagnata poi alla praticità della vita, perché un filosofo oggi se non avesse da mangiare e un posto di lavoro sarebbe difficile che speculasse e facesse contorcimenti filosofici. E’ necessaria ma non tanto quanto la si vanta. Per esempio io ora sto leggendo i Quaderni neri di Heidegger e non ci capisco una mazza! A me però piace un filosofo, Carlo Michelstaedter, che si sparò a 23 anni: non era neanche filosofo, fu filosofo suo malgrado; lui sosteneva che un peso è un peso, perciò un peso deve cadere e se lo sospendi non è più un peso. Questo è ciò che facciamo noi: noi siamo dei pesi che vogliono essere sospesi, mentre invece è inutile lottare contro quel peso che deve cadere. Quindi la filosofia è un nobile, giusto e necessario passatempo, ma prima di lei vengono le cose pratiche perché a stomaco vuoto non filosofeggi. La società va quindi rifondata, ricalibrata e ripensata; i modelli di riferimento non esistono più, ma non ci perderemo in alcuna forma di nichilismo, anzi, ci sporcheremo le mani, ci graffieremo le dita e avremo terra incastrata sotto le unghie per lo sforzo continuo. Raschieremo da oggi le superfici delle montagne per spremerle e costruire un nuovo mondo. La filosofia ci aiuterà in questo solo a scapito della sua sofisticatezza, per lasciare spazio a una nuova forma di praticità filosofica.

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CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI BOZZOLO di Giambattista mantovani (Presidente CAI Bozzolo)

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asce tutto nell’ottobre del 1972 quando alcuni locali appassionati della montagna chiedono alla Sezione di Mantova del Club Alpino Italiano l’autorizzazione per costituire una sottosezione in Bozzolo. Il 26 novembre 1972, la Sede Centrale Cai darà l’autorizzazione necessaria per dar vita a Cai Bozzolo come Sottosezione di Cai Mantova. La Sottosezione partirà raccogliendo quasi 50 soci. Il promotore più determinato nella creazione dell’associazione bozzolese, Giovanni Compagnoni, fu anche il primo reggente. Iniziano le prime attività, dapprima con gite sociali in pullman nella stagione invernale verso le località sciistiche, seguite da alcune escursioni estive in gruppo. A corollario alle attività montane si affianca l’organizzazione di eventi in Bozzolo, per dare il proprio contribuito a sostegno del paese, con anche l’intento di farsi conoscere in un territorio sempre più ampio. Nel 1978 l’elezione a reggente di Eugenio Beluffi, “il Dottore” e l’entusiastico apporto dei nuovi soci, porta alla creazione dei primi Corsi di Roccia e di Scialpinismo in collaborazione con la materna Sezione di Mantova. In anticipo sui tempi, nel 1979 un gruppo di innovativi soci di Isola Dovarese costruisce nel loro comune una palestra artificiale di roccia: molto probabilmente il primo esempio all’aperto di una struttura del genere. Grande intuito ebbero i consiglieri quando decisero di iniziare a perseguire i passi necessari per fondare una riconosciuta scuola di alpinismo. “II Dottore” fu il primo istruttore di Scialpinismo nel 1980, seguito da Sesto

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Cultura e studio della montagna, cura dell’ambiente, socializzazione, condivisione delle emozioni, fiducia nei compagni di cordata, soddisfazione dopo tanta fatica, sono e saranno alcuni dei valori che alimentano la contagiosa passione per la montagna dei soci Cai

carini muore prematuramente dopo una lunga malattia. La sua semplicità ed allegria aveva trascinato tanti giovani verso la montagna. Aumentano i soci, attratti dai corsi, dalla gite sociali e da attività fortemente partecipate, come la “Mostra fotografica itinerante della Montagna” che fu visitata dallo stesso Presidente Nazionale del Cai, Roberto De Martin, o la suggestiva ed indimenticabile serata alpinistica con uno dei personaggi che hanno fatto la storia dell’alpinismo, riconosciuto ben oltre i confini nazionali, detto “il custode del Brenta”, il carismatico Bruno Detassis, accompagnato da un degno rappresentante dell’alpinismo

Gnaccarini, Francesco De Antoni (poi Istruttore Nazionale) e da altri sette del Club. Nel 1983 il celebre alpinista Fausto De Stefani, nativo di Asola, conquista il K2 con una spedizione tutta italiana. Nel festeggiare la grande impresa, si instaura un forte legame di collaborazione con Fausto, che diventa direttore di alcuni corsi di roccia ed anche del primo corso di ghiaccio. Quale onore e quale lustro per la Sottosezione! Nel 1986, con l’apertura di una vera e propria sede, si organizzano i primi corsi d’avvicinamento alla montagna per ragazzi, grazie soprattutto all’impegno di Roberta Rasi e del Dottore Eugenio Beluffi che nel 1991 ottengono il titolo di Accompagnatori di Alpinismo Giovanile. Nel 1988, mentre la sottosezione supera la soglia dei 200 iscritti, un grave lutto sconvolge la vita sociale. L’allora reggente Sesto Gnac-

moderno, Ermanno Salvaterra, col suo docufilm “Blu Patagonia”. Aumentano gli istruttori che ottengono il titolo, finché il 19 marzo 1994 la sottosezione ottiene l’autorizzazione a fondare una Scuola di Alpinismo e di Scialpinismo che prenderà il nome di Sesto Gnaccarini. Si rende necessario avere un Istruttore Nazionale di Alpinismo che diriga la scuola; l’alpinista Accademico Italo Bazzani accetta l’incarico. Grazie alla sua esperienza, coltivata salendo montagne di tutto il mondo, darà forte spinta alle attività della scuola, addestrando, quasi accudendo, discepoli che ai giorni nostri sono coloro che dirigono e portano modernità nella scuola. Siamo nel nuovo secolo, si affinano e si moltiplicano i corsi e le attività, aumenta il numero dei soci e quella che ormai è “Sezione” di Bozzolo è sempre più riconosciuta e

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apprezzata anche da altre sezioni storicamente più blasonate. Purtroppo si verificano altri momenti dolorosi, in cui consiglieri e istruttori “passano a miglior vita”: Antonio, Vittorino, il Sergente Gianni, Giovanni, lo stesso Italo ed ora il Dottore, persone instancabili ed indimenticabili. Ma veniamo ai nostri giorni: ormai si superano i 500 soci. L’Alpinismo Giovanile con 8 accompagnatori, raccoglie sempre una trentina di ragazzi iscritti alla divertente settimana estiva in Dolomiti. Le tante giornate con gli allievi delle scuole primarie e secondarie permettono ogni anno di far avvicinare alla montagna più di 500 studenti e sono sempre di più le scuole che richiedono il nostro intervento. E’ un impegno importante, di forte responsabilità, perché non si tratta solo di muoversi all’aria aperta in un ambiente affascinante, ma vengono trasmessi forti e immortali valori educativi. Una tra le più grandi soddisfazioni è incontra-

Abbiamo un programma fitto di date, con gite per tutti i gusti, anche di più giorni, dalle gite culturali, organizzate dai nostri operatori culturali e naturalistici, a quelle escursionistiche, a quelle alpinistiche

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re in sede uno dei tanti giovani che passa per iscriversi e ti racconta che la sua passione per la montagna non è mai venuta meno... e ti conferma che il tutto è iniziato ai tempi delle elementari e dell’alpinismo giovanile. La Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata Libera “Sesto Gnaccarini” diretta da Marco Gnaccarini conta 53 istruttori, di cui 4 istruttori nazionali, 14 istruttori regionali, 30 istruttori sezionali, 5 aspiranti istruttori, che si allenano, si aggiornano costantemente e si impegnano per trasmettere agli allievi dei vari corsi i principi della sicurezza in montagna e le tecniche delle discipline alpinistiche su neve, roccia e ghiaccio. A seconda del numero di corsi organizzati, ogni anno partecipano dai 60 ai 100 allievi. Chi esce dai corsi, spesso inizia ad organizzare le gite sociali. Abbiamo un programma fitto di date, con gite per tutti i gusti, anche di più giorni: dalle gite culturali, organizzate dai nostri operatori culturali e naturalistici, che fanno scoprire straordinari angoli alpini fuori dai tradizionali giri turistici, a quelle escursionistiche, a quelle alpinistiche. Denominatore comune è lo spirito di compagnia e di socializzazione che si genera tra gli eterogenei partecipanti, fautore di quella strana, ma virtuosa spirale che porta gli allievi dei corsi a frequentare e coordinare l’escursionismo e gli escursionisti e, a loro volta, ad iscriversi ai corsi di vario livello e differenti discipline. Cultura e studio della montagna, cura dell’ambiente, socializzazione, condivisione delle emozioni, fiducia nei compagni di cordata, soddisfazione dopo tanta fatica, sono e saranno alcuni dei valori che alimentano la contagiosa passione per la montagna dei soci Cai. La Sezione di Bozzolo non è esclusa e ne è concreto esempio.

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i protagonisti della montagna

Il “re degli ottomila” HA SEMPRE ridonaTO speranza all’alpinismo, che qualche tempo fa aveva definito senza mezzi termini “fallito”

Reinhold Messner

L’alpinismo non è morto.

a cura di Manuela Reni e marco morelli

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i sono giovani che non pensano solo all’arrampicata o alla salita ma capiscono che l’alpinismo è più che altro cultura. Giovani come Hervè Barmasse”. Così dichiarò una sera nell’ambito del Trento Film Festival. Reinhold Messner durante la serata “150-100-50-0. Storie di alpinisti fra il Cervino e la Guerra”. Il “re degli ottomila” ridonò speranza all’alpinismo, che qualche tempo prima aveva definito senza mezzi termini “fallito”. Lo fece dopo la proiezione di un filmato inedito di Herve Barmasse (venne anche editato un suo libro, “La montagna dentro”, edito da Laterza ove parte del ricavato venne devoluto alla ricostruzione in Nepal) che regalò al Filmfestival un girato del concatenamento in solitaria della 4 creste del Cervino compiuto durante quell’inverno del 2014. “Hervè vede la storia dei 150 anni nelle sue salite – affermò Messner -. E’ capace di trovare l’avventura sulle Alpi e non solo in Himalaya o in Patagonia. Come Walter Bonatti che con la sua ultima grande salita, la solitaria alla Nord del Cervino, ci ha lasciato i veri valori dell’alpinismo. Giovani come lui difendono i valori veri dell’alpinismo tradizionale. Io ho detto che ci sarebbero mancati giovani che fanno cultura dell’alpinismo, ma oggi dico no, ci sono ancora”. M, come Messner. M, come Montagna. M, come Museo. Questo è il triplice logo che caratterizza il percorso museale della montagna creato da Reinhold Messner, quale eredità ricavata dalle sue innumerevoli e leggendarie spedizioni ad alta quota! Il nucleo centrale e gestionale di questo progetto è Castel Firmian, a Bolzano, grande presidio medioevale che ora riluce di nuova foggia himalayana grazie ai cimeli e alle sculture tibetane, mentre i quattro musei satellite si snodano tra: Solda, a 1900 m sulle pendici dell’Ortles, dedicato al racconto del ghiaccio e del buio per chi si avventura tra i suoi seracchi, con una notevole raccolta di opere artistiche; Castel Juval, che è anche la residenza estiva della famiglia Messner e che custodisce cimeli tibetani e raccolte d’arte e di maschere, dedicato alle montagne sacre e al loro significato spirituale nella storia universale dell’uomo; il Castello di Brunico (Ripa) che raccon-

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ta la vita e la cultura dei popoli di montagna, nel loro passaggio tra vita nomade e vita sedentaria, e come sono collegati tra loro antropologicamente, anche se disseminati nei diversi continenti ; ed infine il museo ‘tra le nuvole’, nel vecchio forte della Prima Guerra Mondiale, situato sul Monte Rite, nel Cadore, a 2181m, che documenta attraverso una galleria di quadri sulle Dolomiti e una raccolta di oggetti e documenti appartenuti a grandi scalatori del passato, la storia dell’alpinismo e l’evoluzione della scalata su roccia; infine il MMM di Plan de Corones che sorge sulla cima del Plan de Corones, a 2.275 metri, poco distante dalla Campana della Pace inaugurata nel 2002, e racconta nella sesta e ultima sede del Messner Mountain Museum la disciplina e la storia dell’alpinismo e dell’arrampicata delle grandi pareti. La struttura museale è stata inaugurata il 23 luglio 2015 ed è raggiungibile con la funivia Riscone. Il museo, progettato dall’architetta anglo-irachena Zaha Hadid, su una superficie di circa 1000 metri quadri, comprende un’area d’ingresso, una piccola libreria, tre livelli di spazi espositivi per mostre permanenti e temporanee ed un piccolo auditorium. Questo progetto museale è il legittimo orgoglio di Reinhold Messner che, divenuto una leggenda vivente dell’alpinismo, dopo aver scalato 3500 montagne in diverse parti del mondo ed aver raggiunto per primo il record dei 14 ottomila, ha voluto rendere omaggio a tutti i grandi scalatori del passato e rac-

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cogliere, documentare e raccontare in un contesto idoneo, il suo Sud Tirolo, la complessità vertiginosa dell’ascensione nelle sue svariate accezioni, incluso il rischio irreversibile di precipitare! Montagna come Maestosa, come Magnifica e come Metafisica, che a partire dall’esperienza sensibile ci ricollega all’Assoluto e alla struttura fondamentale dell’Essere nella sua interezza : “Volevo salire in alto per arrivare con lo sguardo in fondo alla mia anima” dice Messner, convinto del fatto che scalare non sia una performance psico-fisica finalizzata ad un primato, ma al contrario un’avventura globale in cui lo scalatore è coinvolto con tutto il suo essere e sfidato ad attivare tutte le sue risorse alla scoperta di se stesso. La montagna nella sua selvaggia maestosità non è dunque un fine, ma un medium per la conoscenza. “Nella solitudine e nella massima esposizione senza aiuti esterni – il famoso alpinista rifiuta ogni artefatto umano e in scalata sceglie un’attrezzatura leggera – dove è in gioco la propria vita, inizia l’avventura, che è emozione, attivazione degli istinti primordiali di sopravvivenza e scoperta di se stessi e dei propri limiti. Senza questa esperienza del contatto con i propri limiti non ci può nemmeno essere crescita”, afferma Messner. Dunque, avventura ed eventuale fallimento sono un binomio inscindibile in qualunque grande impresa di montagna, affinché l’uomo possa fare esperienza di se stesso, restituendo al contempo alla mon-

tagna il rispetto dovutole.Gli appare altresì vanesio capriccio, l’accanirsi oggi sulla strada battuta verso la cima dell’Everest, grazie all’acquisto di un ‘pacchetto turistico tutto-compreso’, con gli sherpa che ti ‘spingono’, con i punti di ristoro e quelli in cui rifornirsi di bombole d’ossigeno e magari senza un’adeguata preparazione psicologica , ma solo per poter dire di ‘esserci stati’. Il potere della montagna di schiacciare i più deboli o quelli meno preparati, rimane comunque presente e per gli altri non c’è però autentica avventura, né piena consapevolezza. “L’alpinismo non è una necessità, ma un puro piacere, anche se ad ogni passo o presa, si rischia la propria vita. S’innesca una specie di schizofrenia tra la vita e la morte : si va dove si può morire, ma si lotta per restare in vita, utilizzando tutte le cautele possibili, nei limiti dei propri mezzi”, sottolinea Messner, che vuole che capisca bene il concetto che non si va a scalare ‘perché si deve’ o è ‘cosa giusta’, ma perché piace ed appassiona. Non sono mancate le fatiche fino allo sfinimento, l’amputazione di sette dita dei piedi e nemmeno le tragedie personali, come la morte del fratello Gunther sul Nanga Parbat, durante la spedizione del 1970. L’amato fratello, che fin dalla prima giovinezza era stato compagno di cordata di Reinhold, (nascono entrambi come rocciatori) e che con lui aveva compiuto un’impresa di grande rilievo nel 1968, aprendo una nuova via sull’inviolato Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc, non ce la fece, e perse la vita, travolto da una slavina nella valle Diamir, durante la fase di discesa sul Nanga Parbat, dopo un mancato tentativo d’ attaccare la mitica parete Rupal. Dice Messner nel suo libro-intervista ‘La Mia Vita al Limite’: “Ho Intrapreso molti viaggi, guidato anche dei gruppi per potermi finanziare, raccontato le mie esperienze in libri e conferenze, in breve mi soono ritrovato ad essere il portavoce di una generazione avventurosa di alpinisti e viaggiatori, dotati di mezzi troppo scarsi o conoscenze troppo ristrette per arrivare loro stessi a quelle altezze accessibili solo ad una minoranza. Io intendevo fare esperienza e trasmetterla agli altri. Quello che mi premeva sottolineare erano l’incertezza, quella condizione ondeggiante tra la vita e la morte, e l’abbandono, la mancanza di appigli che l’uomo prova a quelle altezze.” E adesso? “Quando mi sentirò “libero” mi siederò sulla seggiola da regista. Voglio fare cinema, documentari sulla montagna. Non so farlo come operatore ma come regista credo di sì. È il modo che scelgo per raccontare ancora la montagna. L’ho fatto arrampicando, scrivendo libri, ideando musei, adesso mi dedico al racconto per immagini filmate. So che qualcuno è scettico in proposito, io certo no. Riparto così per le montagne, non programmo salite agli Ottomila, né traversate nei deserti. Sarei un pazzo e finirei come un turista sulle vie ferrate”.

I sei musei del circuito Messner Mountain Museum sono luoghi in cui incontrare la montagna, la gente di montagna e anche noi stessi

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PROTAGONISTI DELLA MONTAGNA

L’alpinista mantovano ha concretizzato il sogno di realizzare una scuola in Nepal e svolge, nelle scuole italiane e non solo in quelle, la sua opera di sensibilizzazione verso la natura

fausto de stefani

La mia montagna più alta

DI marco morelli

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astiglione delle Stiviere, colline moreniche: spaziando con lo sguardo verso il lago di Garda, qualche collinetta alta poco più di 200 metri, rompe la monotonia della pianura. Su una di queste “cime” vive, o meglio, qualche volta si ferma “per un po’”, uno dei più apprezzati alpinisti del mondo: Fausto De Stefani. Fausto è un’icona dell’alpinismo mondiale: 14 scalate che lo hanno portato sulle cime delle 14 montagne più alte del mondo, 14 volte sopra gli 8000 metri senza mai usare bombole d’ossigeno ma unicamente con le proprie forze fisiche e mentali. Ci accoglie con grande simpatia e la solita pacatezza che tanto mi colpì la prima volta che lo conobbi. E’ sempre uguale Fausto, più in forma che mai: lo colgo dalle sue considerazioni espresse in merito alla polemica “che non fa bene all’immagine dell’alpinismo” tra Lacedelli, Compagnoni e Bonatti sulla conquista nel 1954 del K2. “Noi alpinisti, invecchiando, siamo destinati per natura ad inacidire caratterialmente, oppure a credere e a portare avanti quei valori che i nostri genitori ci hanno insegnato e che la vita ci ha fatto conoscere strada facendo. Anche perché senza valori autentici si è destinati a crollare. E io agli insegnamenti che mi hanno trasmesso i miei genitori penso spesso, e mai come oggi a quelli di mio padre che purtroppo non c’è più : alla sua onestà, al senso di rispetto verso le istituzioni, al fatto che per capire le cose bisogna sempre mettersi nei panni di chi ti sta di fronte ”. Fausto è un fuoriclasse dello sport e a differenza di tanti sussiegosi “personaggi” si propone con umiltà cosa che gli fa onore. Come gli fa onore tutto quello che sta portando avanti “poco lontano” da qui, in Nepal. Si illuminano gli occhi a Fausto De Stefani quando parla della “sua” scuola a Kirtipur e dei progetti legati ad essa : “la mia montagna più alta” la definisce orgoglioso e ne ha ragione. Ci inerpichiamo tra i più svariati argomenti, voglio sapere di più riguardo le sue “imprese”. Fausto mi corregge .”Chiamale esperienze non imprese. Non c’è niente da conquistare né da sfidare in montagna. Non condivido chi troppo spesso presenta la montagna come il mostro da domare; è un modo scorretto di rapportarsi con la montagna che

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deriva da un approccio troppo spesso sbagliato che si ha con la natura e con gli elementi. Sai cosa mi appassiona e mi gratifica maggiormente oggi? Andare nelle scuole, non tanto nelle medie quanto in quelle materne. A raccontare favole, accompagnate con immagini della natura, a queste piccole creature perché è a quell’età che si comincia ad avere un buon rapporto con gli elementi, fatto di confidenza e di piacere, e non di paure. E la loro attenzione e la loro voglia di conoscere nuove favole mi conferma la validità di quel che sto affermando”. Già, la paura degli elementi. Unita alla pigrizia, al non voler “tribolare”, cercando di avere tutto comodo. Fausto mi racconta un aneddoto: “Che vai a fare in montagna?” mi chiedeva spesso un amico, pigro, il classico tipo che non vuole far fatica. Gli chiesi di venire in montagna con me una volta, così avrebbe capito. Salimmo in uno scenario meraviglioso tra le sue imprecazioni per la fatica che lo accompagnava. Sull’Adamello, a 150 m dalla vetta, gli chiesi se voleva fermarsi o tornare. “Non ci penso nemmeno” rispose. Continuò a salire e una volta arrivati in vetta l’uomo cambiò. Si emozionò, si agitò, si mise a piangere.

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Ognuno di noi, se non è arido dentro, è in grado di emozionarsi profondamente; e questa è la magia della montagna, che ti lascia solo le emozioni facendoti dimenticare la fatica”. Che messaggio ti senti di dare a chi si vuole accostare per le prime volte alla montagna? “Di iniziare ad apprezzare prima di tutto la pianura,in tutte le meravigliose sfaccettature che la natura ci presenta. A conoscere gli elementi, ad imparare a rispettarli e a non averne paura. Solo così, forti di tale esperienze si può cogliere appieno il valore, la forza della montagna e viverla soprattutto come avventura interiore, come Silenzio. Io sono orgoglioso di essere nato in pianura ed ancor oggi mi diletto a camminare nelle campagne e a cogliere ogni piccola sfumatura che la natura mi presenta.Un giorno, ormai molti anni fa, diradate le nebbie mi si presentò quel panettone innevato che si chiama Monte Baldo e fu il primo richiamo.Ed io che sono un sognatore iniziai a sognare” Non gli chiedo di record, di numero di vette, di racconti di spedizioni ma gli domando se così in alto ha mai sentito la presenza di un Dio, creatore di tanta perfezione. Fausto non mi risponde esplicitamente ma mi racconta, nel suo definirsi agnostico, le sensazioni che ha provato in Sierra Leone, nel Congo, in Afghanistan etc. chiedendosi spesso, come fosse possibile tanta povertà. Mi racconta di quando, caduto in un crepaccio, dopo aver perso pure un rampone e la picozza, circondato

da pareti di ghiaccio verde che non volevano lasciarsi in nessun modo scalare crollò stremato, iniziò a pensare che era finita la sua corsa, come quella di tanti alpinisti purtroppo scomparsi tra i ghiacciai. Dopo ore costellate di innumerevoli pensieri, in un momento di incredibile self-control e di assoluta voglia di vivere, rovistando nello zaino trovò un piccolo coltellino regalatogli da un caro amico. La sua salvezza. Gli permise di incidere tacche nel ghiaccio, di arrampicarsi e, dopo 6 ore interminabili, di risalire. “Ho sempre tenuto un diario, di solito mezza paginetta per non dimenticare i fatti di una giornata; per quell’episodio scrissi 16 pagine”. Fausto torna a parlarmi dei bambini di Kirtipur che ora possono godere della scuola inaugurata nel lontano Maggio 2003, da lui voluta e realizzata. Ero venuto per una pagina sul De Stefani alpinista ma come non ricordare anche qui come sostenere i suoi progetti realizzati e da realizzare (info e sostegno su www.senzafrontiere.com). Saluto Fausto. Al ritorno verso Mantova mi riappaiono alcune diapositive da lui proiettate nelle serate dedicate a raccogliere fondi per i suoi progetti e mi sovviene l’espressione soddisfatta del suo volto quando parlandomi della scuola mi ha detto “ad un certo punto ho smesso di parlare e ho voluto realizzare qualcosa da toccare con mano”. Soprattutto però penso al famoso alpinista in un asilo che racconta favole a dei bambini che, ”immobili nelle loro piccole sedie affascinati dal racconto” possono,come un giorno fece lui, imparare a sognare con la natura. LA SCHEDA Alpinista, naturalista, fotografo, Fausto De Stefani è nato nel 1952 in provincia di Mantova. Negli anni ‘70 matura esperienze sulle montagne extra-europee, con importanti salite in Africa, nelle Americhe, in Asia. Oltre che dal punto di vista tecnico, le sue spedizioni si mettono in evidenza soprattutto per l’essenzialità dell’attrezzatura e per l’attenzione che rivolgono ai temi ambientali. Nel 1983 scala il K2, la sua prima vetta sopra gli 8000 metri. In seguito si reca assiduamente in Himalaya e nel Karakorum, dove, tra i pochi al mondo, scala senza bombole di ossigeno le 14 montagne più alte della terra. Alpinista di chiara fama, è conosciuto soprattutto per il costante impegno in campo naturalistico. Sempre in prima linea, anche nelle manifestazioni di denuncia del degrado ambientale, è tra i fondatori dell’associazione internazionale “Mountain Wilderness”, di cui è Garante. Da anni svolge attività divulgative a favore delle tematiche naturalistiche e dei problemi ad esse connessi, con conferenze e mostre didattiche in scuole ed università. progetto umanitario «Rarahil Memorial School» in Nepal, a Kirtipur, una cittadina non lontana da Kathmandu. De Stefani è fondatore di Mountain Wilderness e ora si dedica ad attività divulgative sulle problematiche legate all’ambiente e da oltre vent’anni è costantemente e intensamente impegnato a sostenere e sviluppare la Rarahil Memorial School, un’istituzione scolastica e di formazione che dalla sua fondazione nel 1992 è in continua crescita e sviluppo. Al nucleo originario di aule, refettorio e convitto si sono aggiunti nel corso del tempo auditorium, centro sportivo, laboratori di biologia, fisica, chimica e un centro sanitario.

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Ph. Gianmarco Dodesini Valsecchi


protagonisti della montagna

simone moro in cima in invernale al nanga parbat

A

rrivare in cima al Nanga Parbat e vedere, in una giornata bellissima, il K2, il Broad Peak, il Gasherbrum 1, il Gasherbrum 2, e le montagne dell’Hindu Kush è stata una visione pazzesca. Il Nanga Parbat è una montagna così isolata e gigantesca che mi ha permesso di osservare un a porzione di mondo bellissima. Così l’alpinista Simone Moro, commentò all’epoca dell’impresa la conquista del Nanga Parbat, quarta vetta oltre gli Ottomila. “E’ un sogno di lunga data che si realizza – disse Moro - Al Nanga Parbat ho passato un anno della mia vita, sotto o lungo le sue pareti: il primo tentativo è stato nel 2003, poi nel 2011, nel 2014. Per i grandi sogni bisogna avere pazienza e io sono uno che non si demotiva facilmente. Questa volta è stata premiata la capacità di tutto il gruppo e la voglia di non ascoltare i distruttori di sogni che dicono che è impossibile e non ce la farai”. Moro ha raccontato che “sulla cima del Nanga Parbat c’erano venti di 45 Km\h e la temperatura era di circa 40 gradi sotto zero. Le condizioni hanno messo a dura prova le nostre ambizioni: nell’ultimo tratto, la velocità con cui ci spostavamo era inferiore ai 100 metri di dislivello all’ora. Questo successo è una scuola di vita: noi siamo abituati a volere tutto e subito, spariamo i nostri obiettivi senza capirne la portata. Io sapevo benissimo che il Nanga Parbat d’inverno, come gli altri 8mila invernali, richiedeva la responsabilità di saper perdere e dover imparare dalle sconfitte i trucchi per mantenere alta l’asticella, per riuscire un giorno a passarla”.

“Un grazie speciale al il mio partner sportivo, Alessandro. Senza un compagno eccezionale come lui non ce l’avrei mai fatta”

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di Vittoria Bisutti

ho coronato UNA VITA CONTRO I tanti DISTRUTTORI DI SOGNI È il primo e unico alpinista nella storia ad aver salito in prima invernale quattro ottomila: lo Shisha Pangma nel 2005, il Makalu nel 2009, il Gasherbrum II nel 2011 e il Nanga Parbat nel 2016. È salito sulla vetta di otto dei quattordici ottomila, arrivando quattro volte in cima all’Everest. Dopo i tentativi falliti degli anni precedenti, è tornato al Nanga Parbat, inizialmente dichiarando di voler fare una salita in stile alpino, senza comunicare per recuperare il senso di esplorazione; poi, cedendo ai timori che la via Messner fosse troppo pericolosa, cambia idea, e riesce stavolta a realizzare la prima salita invernale il 26 febbraio insieme allo spagnolo Alex Txicon, e al pakistano Ali Sadpara. Ha affermato che non scalerà mai il K2 in inverno perché sua moglie, al riguardo, ha avuto un brutto presentimento.

Ph @DavidGoettler

Moro ebbe problemi a un piede: “Il piede sinistro è ancora un po’ rosso ma non è niente di pericoloso, ho preso solo un gelone, ma non ho nessun principio di congelamento. Io non ho voluto usare nessun sistema di riscaldamento meccanico delle suolette, perché nel mio mondo ci sono i puristi che ti dicono ‘hai usato le suolette e allora sei una pippa, non sei uno vero’. Allora io li ho fregati tutti : non ho usato suolette, non ho usato elicotteri , non ho fatto comunicazioni. Ho fatto tutto solo con le mie forze”. Alla domanda se il ‘campo 4’ non fosse stato posizionato troppo in basso, Moro rispose: “E’ vero, il campo 4 era particolarmente basso, a circa 7150 metri, perché il meteo non ci aveva mai permesso di andare in alto e acclimatarci. Quando è arrivata la finestra di bel tempo, noi avevamo capito di aver voglia di andare in cima, ma non eravamo acclimatati. Così, abbiamo cercato di mettere l’ultimo campo più in basso, per evitare di avere nausea e riuscire a dormire. Il problema poi è stato il salto di mille metri secco nell’ascesa finale, ma ce l’abbiamo fatta”. Moro poi ha parlato della compagna di avventura, Tamara Lunger, che si è dovuta fermare a poche decine di metri dalla vetta: “Facciamo fatica a non considerare Tamara una delle persone arrivate in vetta: lei ci vedeva e noi la vedevamo, ma ha deciso di fermarsi e di tornare indietro. Tamara la mattina era stata male e aveva vomitato, l’ultima volta che

tamara SI È FERMATA A 70 METRI DALLA VETTA, MA PER ME È COME SE FOSSE SALITA IN CIMA ci ho parlato mi aveva detto che se fosse arrivata in cima poi avrebbe avuto bisogno di una mano per scendere. Ma sul Nanga Parbat non è facile dare una mano a qualcuno, si è tutti al limite. Così, per non mettere nelle grane noi, Tamara ha rinunciato a 70 metri dalla cima, nonostante sarebbe stata la prima donna nella storia a fare un 8mila in invernale. Ce l’avrebbe fatta benissimo a salire”.

Ph @DavidGoettler

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protagonisti della montagna

è stata l’alpinista donna più giovane a conquistare a soli 23 anni il mitico Lhotse

tamara lunger

“Questa è la vita, è quello che voglio. E nient’altro”

di MARCO MORELLI

E

ra partita un fine giugno di tanti anni fa con l’obiettivo di salire ben due cime: prima il Muztagh Ata con gli sci (7546 metri, in Cina) e poi il Broad Peak (8051 metri, in Pakistan). Quest’ultimo sarebbe stato il suo secondo Ottomila, ma le condizioni terribili del tempo e la neve nella quale si sprofondava fino all’anca hanno fatto desistere, dopo alcuni tentativi, l’alpinista altoatesina salita alle ribalte internazionali per essere stata la donna più giovane,a 23 anni, a conquistare il mitico Lhotse (8.516 metri), la quarta cima più alta del mondo, cancellando così il precedente primato condiviso dalla ceca Sonja Bostikova, in vetta a 27 anni nel 1999, e dalla cilena Maria Ibarra Letelier, salita nel 2006. Il primo obiettivo, sulla vetta del Muztagh Ata, è stato, invece, brillantemente raggiunto il 3 luglio 2012, insieme al compagno di spedizione Paul Augscheller.

La storia di Tamara Lunger è quella di un sogno che si realizza. Un percorso costellato non solo da immense soddisfazioni e gratificazioni ma anche da drammatiche esperienze legate alla montagna, che hanno segnato profondamente la sua vita. Tamara si trovava, infatti, sul Cho You negli stessi giorni in cui perse la vita il famoso alpinista Walter Nones: dopo aver aiutato i soccorritori a riportare a valle il corpo dell’amico, decise di rinunciare alla sua salita. Come andò quella giornata Tamara? “Il pomeriggio del 3 ottobre Manuel Nocker venne a dirmi che Walter si era schiantato! Rimasi frastornata della gravità della cosa e decisi di andare nel loro campo per aiutarli. Una scelta che si rivelò importante. Quel 3 ottobre mi ha cambiato molto. Alcuni giorni prima avevamo festeggiato insieme con Walter, e mi ritrovavo a partire alle 8.00 della mattina per andare alla parete sud a recuperare il corpo“. Fu un’ esperienza dolorosa ed impegnativa. Il luogo dell’incidente era a quota 6400 m: abbiamo recuperato il corpo e lo abbiamo trasportato alla fine del ghiacciaio dove lo abbiamo lasciato agli sherpa che lo hanno portato al campo base

avanzato. Dopo ben 10 ore eravamo tornati alle nostre tende: una lunga giornata dove mi ero illusa che mi sarei liberata un po’ del dolore. Ma non è stato così. Ho anche pensato di scalare ugualmente la cima per Walter, ma quel che era successo fece scemare la mia voglia e la gioia di scalare”. Una scelta che le fece onore, un segno di grande rispetto per l’amico e per quella montagna, spesso fatale per molti, di cui si è innamorata sin da quando era in fasce. Tamara è nata e cresciuta in Alto Adige, a San Valentino in Campo (Cornedo). Figlia del noto sci alpinista italiano Hansjörg Lunger, ha sempre vissuto in montagna ed è stato forse inevitabile che proprio la montagna avesse un’enorme influenza su di lei e diventasse la sua più grande passione. Tamara inizia a praticare lo sci alpinismo nel 2002 e, identificando presto i suoi punti di forza, ottiene alcuni successi nelle gare classiche. Nel 2007, alla sua seconda esperienza di arrampicata su ghiaccio, porta a termine l’ascesa della parete nord dell’Ortler (3905 m): si tratta della sfida per lei più estrema compiuta fino a questo momento (… giurerà a se stessa che sarà l’ultima volta sul ghiaccio). Ma solo pochi giorni dopo già sente di dover tornare a sfidare la montagna, e in quel momento capisce che l’alpinismo sarà la missione della suavita.


“NON ARRIVARE IN CIMA AL NANGA PARBAT NON È STATA UNA SCONFITTA. IL SUCCESSO VA BEN OLTRE IL RAGGIUNGIMENTO DI UNA VETTA” Dall’Alto Adige al Nepal il salto è lungo. Raccontaci come andò quel 23 maggio 2010, a 23 anni, 11 mesi e 17 giorni... “La conquista del Lhotse è un sogno che parte da lontano e ha un padrino d’eccezione: il fuoriclasse bergamasco Simone Moro. Sua moglie, Barbara Zwerger, era la mia ex insegnante. Durante il ballo della maturità ho semplicemente chiesto a Simone«Mi porti con te?». Lui mi ha risposto :”potresti venire con me in ottobre al Cho Oyu!”. Ero al settimo cielo!” Simone Moro ha avuto parole entusiaste per Tamara Lunger: «E’ lei il futuro dell’alpinismo femminile». Dichiarazioni che hanno subito acceso i riflettori sulla ventitreenne diventata la donna più giovane al mondo a salire il Lhotse. Con Dawa Sherpa, che l’ha accompagnata in vetta il 20 maggio 2010, è partita dal campo base, sfruttando una finestra di bel tempo. A mezzanotte del 22 maggio la partenza dal campo 3, che si è conclusa positivamente in vetta ben 10 ore e mezza più tardi. Che si prova Tamara a 8516 metri di altezza? “Una sensazione indescrivibile. In cima al Lothse più che altro avevo fretta di fare alcune belle foto. Eravamo in cima in sette, era ora di iniziare la discesa, perché dovevamo andare ancora fino a campo 2. In certe condizioni anche i minuti sono importanti (Non è un caso che la giovanissima scalatrice ha dovuto fare i conti con un principio di congelamento ai piedi). Sono molto felice di aver fatto il mio primo ottomila, ho imparato molto da quella esperienza ”. Qual è il tuo rapporto con Dio? “Sono credente. Il silenzio e il contatto con la natura che si ha vivendo con la montagna mi riporta

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a Dio che ringrazio ad ogni mia impresa. Vado in montagna non con paura, ma con rispetto e prudenza. La vita è un grande dono che cerco di non mettere mai a repentaglio”. Tamara ha due bellissimi occhi blu, un sorriso contagioso. E’ una bella ragazza: fisicamente una autentica roccia. Riesce a trasmettere la sua semplicità, la sua energia, il suo entusiasmo. “Simone Moro sostiene che non ci sono sogni impossibili, ma dobbiamo lavorare per raggiungerli e renderli realtà. Quando il tuo obiettivo è ambizioso, hai un lavoro duro e intenso davanti a te. Ma questo è il modo migliore per sentirsi totalmente vivi”.

LE CONQUISTE PIÙ SPETTACOLARI DI TAMARA # 2009. Island Peak – 6.189 metri. Conquista la vetta della sua prima spedizione importante. # 2010. Lhotse – 8.516 metri. Conquista la sua prima vetta himalayana. È la donna più giovane ad aver scalato questa montagna. # 2011. Khan Tengri – 7.010 metri. Conquista la montagna più alta del Kazakistan. # 2014. K2 – 8.611 metri. È la seconda donna italiana nella storia a conquistare la vetta senza ossigeno e senza assistenza. # Nel febbraio 2015 Tamara ha provato a salire sul Manaslu insieme a Simone Moro, ma ha abbandonato la salita a causa della forte nevicata # 2016. Nanga Parbat – 8.126 metri. Tenta la prima ascesa invernale assieme a Simone Moro. Si ferma a soli 70 metri dalla vetta per problemi fisici. # Nel febbraio 2018, insieme a Simone Moro, ha effettuato la prima invernale di Pik Pobeda (Chersky Mountains, 3.003m). Questo vertice si trova in Siberia, in una regione molto remota. È noto per essere uno dei luoghi più freddi della Terra. # A dicembre 2019, Lunger e Simone Moro hanno tentato la prima invernale di Gasherbrum I e Gasherbrum II in Karakorum. La spedizione è stata annullata dopo che Moro è rimasto ferito in una caduta dopo aver attraversato la cascata di ghiaccio.

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protagonisti della montagna

La leggenda dello sci ha festeggiato 70 anni e ricorda gli esordi a Cortina

Gustav Thöni

Un mito intramontabile che ha scritto la storia dello sci

a cura di M.t. san juan

U

le piste che nel 1956 lo avevano reso leggenda, come l’Olympia delle Tofane e quella che oggi è la Drusciè A di Tofana – Freccia nel Cielo; alcune fra le piste che ritengo più belle al mondo. Quest’anno ha festeggiato un traguardo importante, congratulazioni per il suo settantesimo compleanno! Grazie... come vola il tempo. 70 anni sembrano tanti, ma in realtà mi sento ancora giovane! (sorride) Come sta oggi e com’è la siuazione dal suo punto di vista come albergatore? A livello di salute sto molto bene, mi sento in forma, anche se ogni tanto ho dolore al ginocchio. Come albergatore, la situazione attuale è drammatica. Mia figlia maggiore Petra gestisce il nostro Hotel Bella Vista a Trafoi. L’hotel è chiuso da mesi e tutto è fermo. Economicamente parlando, è un disastro! Ma il Bella Vista è sopravvissuto sia alla Prima che alla Seconda Guerra Mondiale, sopravviveremo anche al covid. La gente sente il bisogno di viaggiare e tornerà in montagna.

n luogo e una data: Cortina, 28 febbraio. Per Gustav Thöni, quest’anno, questi due fattori sono più significativi che mai: il giorno del suo compleanno, importante perché ha celebrato i 70 anni, lo porta a ricordare quello del 1967 quando, sedicenne, ha vinto entrambi gli slalom studenteschi sulle piste di Cortina che ospitano i Campionati del Mondo di Sci Alpino 2021. In occasione dei suoi 70 anni, che ha compiuto il 28 febbraio di quest’anno, il campione Gustav Thöni ricorda il suo sedicesimo compleanno nel 1967, quando ha vinto due ori ai Campionati Studenteschi di Cortina, proprio sulle piste coinvolte nei Campionati del Mondo di Sci Alpino 2021. L’attualità si intreccia ai suoi ricordi in questa intervista: 10 domande alla leggenda dello sci che da un paesino in Alto Adige si fa conoscere in tutto il

mondo, aggiudicandosi quattro volte la Coppa del Mondo, varie vittorie olimpiche e più volte il titolo di Campione del Mondo. Quella volta a Cortina lei è arrivato studente per diventare campione... Arrivare a Cortina per i Campionati Studenteschi 1967 non è stato coì semplice… In quel periodo ero in collegio a Merano e ricordo di essermi alzato alle 5 per raggiungere a piedi la stazione, con due borsoni pieni di attrezzatura, scarponi compresi, e due paia di sci sulle spalle. Da qui in corriera a Bolzano, dove c’era il cambio per Cortina d’Ampezzo. Sino a quando gareggiavo senza far parte di una rappresentativa, da quella giovanile alla Nazionale vera e propria, i trasferimenti per andare a sciare erano così. Ma, nonostante la fatica, l’esperienza di Cortina ai Campionati Studenteschi nel 1967 è stato un bellissimo regalo per il mio sedicesimo compleanno, perché ho vinto entrambe le gare: lo slalom speciale proprio il giorno del mio compleanno e lo slalom gigante l’indomani. È stata anche l’occasione per me di mettermi sulle tracce del mio eroe d’infanzia Toni Sailer, provando

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“è stato il mio primo natale senza poter sciare. è un periodo difficile, ma questi momenti in famiglia mi rendono felice” Abbiamo una natura stupenda ed un sacco di spazio aperto qui, cose che oggi sono fondamentali. Molti ospiti abituali hanno rimandato le loro vacanze al prossimo inverno o all’estate. Nell’estate del 2020 abbiamo già dimostrato che la gestione di un hotel col rispetto delle regole funziona benissimo anche in tempi di covid. Dobbiamo tutti quanti imparare a conviverci! E’ già stato vaccinato? Non ancora... ma adesso con i mei 70 anni anch’io faccio parte del gruppo a rischio. Penso che sia molto importante che a breve termine un vasto numero di persone si faccia vaccinare. Quando mi daranno la data, mi farò vaccinare immediatamente. La vaccinazione è un dovere civico, è l’unico modo per uscire da questa crisi. Ha sciato quest’inverno? Quest’anno è stata la prima volta nella mia vita che non ho sciato a Natale. C’è stata una neve da sogno, ma gli impianti di risalita erano chiusi, è stato molto triste. Di solito vado regolarmente a sciare con i nostri ospiti, quest’anno mi sono preso un paio di sci da alpinismo, sono salito con le pelli e poi sono sceso con gioia. Mi ha ricordato la mia infanzia, anche allora andavamo a sciare senza skilift. Ha avuto degli eroi da bambino? Mio padre Georg è stato il mio primo maestro, era uno sciatore stilisticamente perfetto, ha anche vinto più volte nei campionati Balilla. Successivamente il mio eroe sugli sci era Toni Sailer, aveva vinto 3 medaglie d’oro a Cortina nel 1956, tenevo il suo libro sotto il cuscino e studiavo attentamente tutte le foto. Non avrei mai pensato che da ragazzo avrei seguito le sue orme sulla pista Tofana a Cortina...

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E rivali? Più che rivali erano concorrenti. Solo per citarne qualcuno potrei dire Ingemar Stenmark, Franz Klammer, Bernhard Russi, ma soprattutto nella Squadra Nazionale: Piero Gros, Tino Pietrogiovanna, Helmut Schmalzl, Erwin Stricker, Paolo De Chiesa... Questa competizione interna era però alla base del successo per la mitica “Valanga Azzurra”. Oggi siamo tutti amici e siamo felici quando ci incontriamo. Se guarda indietro quali sono stati i suoi migliori successi e le più forti emozioni? Tra i successi più belli ci sono certamente le 4 Coppe del Mondo complessive.

Ma anche l’oro olimpico a Sapporo nel 1972 è qualcosa di molto speciale... naturalmente anche i Campionati del Mondo a St. Moritz nel 1974, dove ho vinto l’oro due volte: nello slalom dopo la prima manche ero solo ottavo, poi ho fatto una gara da sogno. Poi l’indimenticabile “Slalom parallelo” in Val Gardena nel 1975. Ma ho anche bellissimi ricordi e soddisfazioni da allenatore di Alberto Tomba, è stato un periodo molto emozionante. Cosa significa per lei lo sci? Lo sci è la mia vita. Grazie a questo sport ho potuto condurre una vita straordinaria. Lo sci è stata la mia chiave, che mi ha aperto - da timido ragazzino di Trafoi - l’intero mondo. Ha fatto una grande festa? Le grandi celebrazioni non hanno mai fatto per me, da questo punto di vista il periodo attuale mi si addice (sorride). Abbiamo festeggiato in famiglia, che non è più così piccola. Mia moglie Ingrid ed io eravamo figli unici, abbiamo 3 figlie ed una “valanga di 11 nipoti” tra i 18 e i 3 anni. 9 di loro stanno già sciando, nel nostro Bella Vista c’è tanta vita e movimento. Questi bellissimi momenti in famiglia mi rendono sempre veramente felice.

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protagonistI della montagna

alberto tomba

Nessuno come lui

M

adonna di Campiglio, 11 novembre 1988, parterre di arrivo del canalino Miramonti, esterno giorno. Tomba ha appena trionfato nell’ennesimo slalom speciale di Coppa del Mondo, facendo esplodere l’entusiasmo dei suoi tifosi, quando il GM di una famosa industria produttrice di sci (concorrente di quella che li forniva ad Alberto), mi fa: Tutti noi produttori dovremmo versare un fee di riconoscenza ad Alberto. Quello che sta facendo è olio che cola per coloro che lavorano in questo settore. La Rossignol avrà i benefici maggiori, è vero, ma anche noi vendiamo migliaia di sci in più, grazie a lui. E’ una manna dal cielo per tutto il mondo degli sport invernali. Alberto, a tanti anni di distanza dalla tua ultima gara, quali sono le sensazioni che ti appaiono più vive? «Le emozioni più vive sono quelle degli attimi prima della gara, al cancelletto di partenza, quel momento di adrenalina pura, massima concentrazione, sospensione e anticipo di tutto. Ma anche la folla a fondo pista, i fan che salivano a piedi alle 6 di mattina per assistere alla gara lungo il percorso, il loro tifo, con i campanacci e le urla, e l’affetto con cui ancora mi circondano. Quelli sono ricordi veramente indelebili e sempre vivi». Quali sono invece gli episodi che hanno segnato – a tuo parere – la tua carriera agonistica? «Sicuramente le vittorie agli appuntamenti impor-

di Paolo Ferrari

le emozioni più vive sono quelle degli attimi prima della gara, in poche parole adrenalina pura tanti. Prima su tutte la doppia vittoria alle Olimpiadi di Calgary nel 1988, praticamente a sorpresa, l’inizio di un’avventura durata 10 anni. Anche le vittorie ai Giochi Olimpici del 1992 e 1994 sono stati passi importanti della mia carriera, conferme conquistate con forza e determinazione, nonostante le pressione e le aspettative aumentassero di anno in anno. Ma anche le medaglie Mondiali di Sierra Nevada nel 1996 e la Coppa del Mondo Generale del 1995 che avevo inseguito fino ad allora». Ti piace la Coppa del Mondo così come è oggi ? Mi riferisco agli sci nuovi, alle distanze delle porte in slalom e in gigante, alle nuove tecnologie. Come la cambieresti? «Mi è piaciuta tantissimo l’idea dell’airbag inserito nelle tute di gara. Gli atleti, soprattutto nelle discipline veloci, ma non solo, raggiungono velocità altissime indossando solo una tutina sottile, protetta una volta dai paracolpi esterni e da qualche tempo da tute rinforzate nei punti sensibili (gomiti, ginocchia, spalle). Con gli sci corti e sciancrati con cui si gareggia oggi, si prende subito velocità, e questo causa più cadute e gravi problemi alla schiena (infatti praticamente tutti gli atleti ne soffrono) perché si agisce più in frenata che in spinta. Magari, com’è avvenuto per il casco, prima utiliz-

zato in gara, e poi anche dai turisti, anche questa tecnologia arriverà presto al grande pubblico. Con l’introduzione dello sci sciancrato è più facile imparare a sciare, ma anche prendere velocità e perdere il controllo, cadendo o facendo cadere altri. Il mio consiglio è sempre quello di divertirsi sulle piste, di lasciare le gare agli atleti e godersi il panorama, ma dotarsi di qualche protezione in più non farebbe male: come in auto, non basta esser prudenti, bisogna avere mille occhi e difendersi anche dall’imprudenza altrui. Tornando alle gare, ho visto bellissime e difficilissime tracciature, ma i tracciatori devono considerare il rischio a cui sottopongono gli atleti preparando percorsi molto contorti. Con la velocità che prendono questi sci

UNA gloriosa CARRIERA davvero INIMITABILE Coppa del Mondo 50 vittorie in Coppa del Mondo 28 volte al 2° posto in Coppa del Mondo 11 volte al 3° posto in Coppa del Mondo 11 vittorie consec. in Coppa del Mondo 89 volte sul Podio 1 Coppa del Mondo Assoluta 8 Coppe di Specialità (gigante e speciale) Olimpiadi 3 medaglie d’oro 2 medaglie d’argento Mondiali 2 medaglie d’oro 2 medaglie di bronzo

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Foto di Francesco Panunzio

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DICEVANO CHE ANDAVO PER ULTIMO ALLA RICOGNIZIONE PERCHÉ STAVO A LETTO. E INVECE LO FACEVO PER ULTIMO PER ESSERE DA SOLO. MI BASTAVA QUEL MOMENTO DI CONCENTRAZIONE TOTALE PER FOTOGRAFARE IL PERCORSO E REGISTRARE I PUNTI DIFFICILI.

Foto di Vittorio Jannuzzi

nuovi, si rischiano veramente le articolazioni, ed il fisico viene sottoposto ad uno sforzo che, sul momento, si riesce ad assorbire, ma poi si paga». Io ho sempre sostenuto che la tua dote maggiore - forse meno evidente, ma certamente più efficace – sia stata la tua capacità di “leggere” il tracciato durante la ricognizione, e di individuare immediatamente i punti chiave di una manche. Tra gli atleti di oggi, che sono quelli che possiedono questa dote? «Non saprei. A me per questa caratteristica in realtà mi hanno sempre attaccato. Dicevano che andavo per ultimo alla ricognizione perché stavo a letto, mentre gli altri salivano che era ancora buio. In realtà io salivo all’ultimo momento così il grosso degli altri atleti se ne era andato e potevo fare la ricognizione in pace e praticamente da solo. Mi bastava quel momento di concentrazione totale per fotografare il percorso e registrare i punti difficili. La realtà è che ho sempre seguito i miei ritmi, che erano un po’ diversi da quelli degli altri, ma che erano comunque efficaci».

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Il luogo dove vorresti scappare (o dove effettivamente scappi) quando sei alla ricerca di tranquillità, ed il piatto, il vino, il dolce che vorresti trovare sempre sulla tua tavola... «Sicuramente al mare e al caldo. Forse è una reazione a tutti gli anni passati in ghiacciaio a -20, alle alzatacce quando ancora fuori faceva buio. Il piatto la pasta, anche se con i carboidrati bisogna andarci piano. Ultimamente preferisco quella di Kamut, oppure quella fatta in casa, dalla mamma ovviamente. Per il vino direi un rosso, anche se ci sono alcuni bianchi niente male in giro. L’importante è che sia sempre vino locale: ha viaggiato meno, ed è più legato al cibo del posto. Per il dolce scelgo un semplice gelato alla vaniglia, buono e fresco, con i frutti di bosco o con la salsa di cioccolato, ma solo se fatta al momento». 21 dicembre 1994 - Lech – Austria. Molti osservatori sostengono che quel virtuosismo tra i pali dello slalom, quando ti sei fermato, sei ripartito ed hai comunque vinto la gara, sia da considerare il gesto tecnico che, più di ogni, altro rappresenta la cifra tecnica del tuo valore. Ma tu che

cosa hai pensato veramente in quel momento? «Non è che in quel momento abbia avuto tempo di fare un pensiero compiuto, si tratta di centesimi di secondo. Oltretutto nevicava forte e stavo andando fortissimo, poi l’errore. Lì non è solo il fisico che ti regge, quei due pali in recupero li ho superati grazie alle gambe, alla schiena, ma anche alla prontezza mentale. Sono riuscito a non perdere la concentrazione, e l’adrenalina e i muscoli hanno fatto il resto. E’ una perfetta sincronia corpo-mente, uno stato magico che ti premette di superare qualsiasi ostacolo». Cosa vedi nel tuo futuro? oltre alla gestione della tua immagine ed alle numerose iniziative (in gran parte benefiche) che continui a seguire, c’è qualcosa di più specifico che ti pacerebbe fare nei prossimi cinquant’anni? «Come sai, dopo il ritiro mi sono dedicato ad attività di promozione dello sci e dello sport in generale in tutto il mondo. Si tratta di progetti promossi da sponsor del settore sportivo, ma anche di attività di supporto e consulenza a Comitati Olimpici e Mondiali, e collaborazioni televisive legate allo sport e così sono praticamente sempre in viaggio, tra eventi in montagna e presenze in grandi città. Durante l’inverno, la mia agenda è ancora fitta come quando gareggiavo. Però mi rimane ancora del tempo libero, per praticare un po’ di sport, fare qualche sciata, e dedicarmi ad alcune attività benefiche in cui sono coinvolto in prima persona, come ad esempio la Sport for Good Foundation (www.laureus.com), associazione benefica internazionale che ho fondato insieme ai migliori atleti del mondo, con l’intento di aiutare i giovani in difficoltà proprio attraverso la pratica sportiva, intesa come scuola di vita e speranza per il futuro. Insomma faccio quello che mi piace e mi auguro per i prossimi 50 anni di poter continuare così».

Foto di Francesco Panunzio

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PROTAGONISTI DELLA MONTAGNA

è stato scelto come ambassador ai Campionati Mondiali di sci alpino che si sono tenuti nella sua Cortina a febbraio 2021

Kristian ghedina Un campione dal cuore grande

di marco morelli

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ualche anno fa lessi, su un periodico sportivo, dell’opportunità, unica nel suo genere, di vivere la montagna insieme ai campioni dello sport. L’Alpine Fitness Tour Alto Adige proponeva, tra gli altri, un tour di Nordic Trekking insieme a Kristian Ghedina, il mitico discesista azzurro, attraverso la famosa Gola Ulina, alla scoperta del famoso “Sentiero dei contrabbandieri”. Non ci pensai due volte e, con la prospettiva di unire l’utile (ovvero l’intervista che segue) al dilettevole, afferrai scarponi, zaino e giacca a vento e mi lanciai in questa avventura che si rivelò assolutamente emozionante ed indimenticabile. Un paio d’ore di autostrada e mi ritrovai sulla statale che da Merano porta al passo Resia, tra vigneti, filari di meleti e paesaggi montani che mi fanno sempre riflettere su quanto sia diventata spoglia e monotona, dal punto di vista paesaggistico, la nostra pianura padana. Con l’amico Lorenzo Zuntini, compagno di numerosi press tour da lui organizzati, ci dirigemmo al punto d’incontro a Slingia, 1738m in Alta Val Venosta (Alto Adige). E’ qui incontrammo Kristian, il funambolico, emozionante sciatore azzurro. Il più grande discesista italiano di sempre in Coppa del Mondo e in assoluto uno dei migliori specialisti a cavallo degli anni ‘90. Il Palmares di questo ragazzo di 38 anni è impressionante: in Coppa del mondo 13 vittorie (12 in discesa libera, 1 in supergigante), 11 secondi posti (9 in discesa libera, 2 in supergigante), 9 terzi posti (8 in discesa libera, 1 in supergigante). Medaglia d’argento ai campionati del mondo in combinata nel 1991 a Saalbach (Austria), medaglia d’argento in discesa libera nel 1996 in Sierra Nevada (Spagna) e medaglia di bronzo in discesa libera 1997 Sestriere (Italia). Eppure questo monumento dello sci italiano è di un’allegria, di una semplicità e simpatia contagiose. Il suo modo di affrontare gli avvenimenti della vita e il suo atteggiamento sempre portato a sdrammatizzare ogni cosa ci fa capire come, sulla splendida Streif di Kitzbühel, il cortinese sia riuscito ad effettuare quella spericolata spaccata sull’ultimo salto del rettilineo d’arrivo (punto del tracciato nel quale si possono raggiungere i 120 km/h) che gli regalò, pur non avendo

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vinto la gara in quell’occasione, una “standing ovation” da parte del pubblico austriaco. “Avevo fatto quella spaccata in prova” ci raccontò Kristian “ad una velocità molto più ridotta. Mio cugino, dopo aver visto questo mio gesto decisamente fuori dagli schemi, mi disse che erano capaci tutti di farlo in allenamento. E fu così che scommisi una pizza dicendogli che l’avrei fatto pure in gara. Vinsi la scommessa ma sto ancora aspettando la pizza!” Con lui ci incamminammo su una stradina verso la malga di Slingia e verso la Croda Nera, una barriera naturale che tronca la valle. Dopo alcuni saliscendi ci trovammo in un tratto pianeggiante dove intravedemmo il rifugio Sesvenna 2256 m . Kristian si divertiva a fare il verso alle marmotte che fischiando lanciano il loro segnale di imminente pericolo nella valle mentre Roman Burgo, responsabile del gruppo di soccorso alpino della zona, ci illustrava le bellezze della vallata. Raggiunto il rifugio ebbi il tempo, davanti a speck e formaggio di malga, di fare qualche domanda a questa icona dello sci nazionale, senza essere mai invadente. Come andò Kristian quel giorno a Cortina, me lo racconti?

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“Ti dirò, quel giorno nell’aria c’era realmente qualcosa di diverso”. Kristian, quando aveva solo 15 anni, proprio su quella pista perse la mamma vittima di un incidente fuoripista. “Ogni tanto ci penso. Avevo quattro costole che mi ero rotto solo 15 giorni prima sulla Streif. Lo sapevi che tra noi discesisti si dice che se non hai fatto almeno una volta la Streif non puoi ritenerti tale?” Sorride e riprende: “C’era un’ atmosfera particolare, in ogni curva, in ogni balzo, mi sono quasi sentito accompagnato e preso per mano fino a quella che è stata la mia prima vittoria. Nel mio paese, tra la mia gente.” Quando il pensiero andava alla madre il volto di Kristian aveva una smorfia e il suo sguardo diventava testimone di un dolore grande che ha segnato fortemente la sua vita. E’ a lei che Kristian ha dedicato il suo libro “Primi e centesimi” dove, a ruota libera, racconta di tante imprese e si racconta. “Ero deciso a intraprendere la carriera di sciatore tanto da convincere mio padre che, da uomo concreto di montagna, non vedeva nella carriera sportiva un qualcosa di vantaggioso nel quale investire tanto tempo. Ma, anche se ho imparato tantissimo da lui e i suoi insegnamenti mi rimangono maestri di vita, fui più forte del suo scetticismo e gli dimostrai che sapevo essere veloce e vincente.” Ti ho sempre seguito, come la maggior parte degli italiani appassionati di questa disciplina sportiva, nelle tue gare e nelle tue interviste. In gara sapevamo che avresti dato tutto e, in forma o fuori forma, i tuoi rimanevano sempre 2 minuti emozio-

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nanti. E se una vittoria o un podio ci confermava il tuo talento, anche un tempo deludente non veniva mai accettato da noi tifosi come una prova fallita, perché sapevamo che in pista davi tutto. Nel dopo gara finalmente ti presentavi come una persona che sapeva sorridere sempre: mai frasi scontate, giri di parole ma dichiarazioni spontanee. E già dal piccolo schermo ispiravi simpatia. Non perché ti ho qui davanti, ma per noi tifosi Kristian Ghedina è sempre stato questo. “Beh, ti ringrazio, fa sempre piacere sentirsi dire queste cose. Io sono così, non mi vedrai mai diverso. Mi arrabbiavo solo coi giornalisti quando mi venivano a dire di stare a riposo dopo un infortunio mentre io avevo voglia di gareggiare di nuovo.” Ma in quei due minuti capita di pensare, di avere un’immagine diversa da un computer che mentalmente ti ripropone curve, dossi e rettilinei? “Ti dirò, mi è capitato una volta in Germania di essere passato all’intermedio proprio di fianco allo speaker che urlava che il mio tempo era il migliore. Anche se andavo a 120 km/h ho sentito nitidamente che ero primo. Sciavo e mi dicevo: sei primo, oh..sei primo! Non hai capito male sei primo! Devo fare bene l’ultima curva, devo fare bene l’ultima curva…sciavo e ripetevo… devo fare bene l’ultima curva.” E come è finita? “L’ho fatta bene. Ho vinto quella volta!” Maria, splendida responsabile marketing della Val Venosta, ci sottrasse Kristian prendendolo per un braccio e si lanciò insieme a lui in un ballo seguendo il ritmo di fisarmonica e chitarra imposto da due allegri contadini del posto. “Sei meglio come discesista” qualcuno gli urlò, suscitando una risata generale. Si riprese il cammino, ci aspettava il sentiero dei contrabbandieri. Superato il confine con la Svizzera ci lasciammo sulla sinistra una delle più grandi torbiere alpine. La valle si chiudeva fra le rocce e ci trovammo improvvisamente sul sentierino scavato nella roccia che a prima vista genera paura e vertigini mentre il roboante frastuono del torrente che sta in fondo al dirupo faceva da colonna sonora a quegli emozionanti istanti. Ci tenemmo saldi al cavo d’acciaio e percorremmo in tutta sicurezza il sentiero per tutti i suoi 900 metri, provando sensazioni davvero uniche. Qualche foto e si decise di rientrare. Durante il tragitto parlammo con Kristian un po’ di tutto: di calciatori, di allenamenti, di doping, di piatti tipici, di qualche bella atleta. Di pagine ce ne vorrebbero tante, non solo queste per non dimenticare nulla. La sera nel paese fu festa per lui, si cenò nella piazzetta di Malles, sotto la rocca, e sembrò di tornare indietro nel tempo: nessun rumore, la banda locale che suonava, mamme, nonni e bambini tutti accorsi a far festa al campione. Venne proiettato un breve filmato sulle sue imprese sportive. Le foto in bianco e nero che lo ritraevano con la faccia da Gianburrasca vicino alla sua mamma furono realmente toccanti. Così come emozionante fu la scena del capriolo che, in Val Gardena sul Saslong, accompagnò Kristian per tutto lo “schuss” finale sino al traguardo. “Da ragazzo mi divertivo ad inseguirli nella neve fresca e ad abbracciarli dopo averli bloccati” racconta Kristian. Dopo il drammatico incidente avuto in macchina, Kristian sapeva essere competitivo solo nelle giornate di sole, in quanto le giornate di poca luce gli impedivano di “sentire” la pista come lui voleva.Quando invece splendeva il sole la gente si fermava e gli diceva “Oggi c’è il tempo Ghedina!” L’ultima gara Kristian la vinse nel 2002, sulla Saslong, dove solo lui e il mitico Franz Klammer sono riusciti a collezionare ben 4 vittorie. Ma la vittoria più bella di Kristian sta in quelle sincere strette di mano che vidi rivolgere a lui da parte di tutti durante un’intera giornata trascorsa col campione cortinese. Testimonianza che l’essere puliti, determinati e coraggiosi nello sport e nella vita, a differenza dei poco edificanti episodi che hanno coinvolto tanti campioni, porta tanto onore.

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Copyright Orler images



protagonistI DELLA MONTAGNA

PIERLUIGI ORLER

Reinventare la realtà attraverso la fotografia

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ierluigi Orler è un fotografo professionista che percorre il mondo alla ricerca di uno scatto, o di una serie di immagini della natura, realmente capaci di regalare incredibili emozioni. Ma definirlo solo fotografo professionista è riduttivo e non rende giustizia alla sua vena artistica, alla sua ricerca, all’originalità che gli appartengono nel ritrarre paesaggi e soggetti. E’ l’autore di reportage che hanno contribuito a riproporre la realtà con prospettive ad angolature insolite ed inusuali, soprattutto ad aprire gli occhi di chi ha avuto l’opportunità di ammirare i suoi scatti sulla bellezza di quanto ci circonda e ci sembra invece così piatto e monotono. Un autentico atleta, dote spesso indispensabile per chi pratica un certo tipo di fotografia, Orler ha seguito negli anni diversi eventi Olimpici e Mondiali. IL BEST, pubblicazione del Comitato Olimpico che contiene le più belle foto sportive fatte al mondo, lo ha premiato per ben due anni consecutivi come unico fotografo italiano presente nel libro. Ma il fotografo trentino non si occupa solo di sport e natura: Gennaro Esposito, Pino Lavarra, Enrico Crippa, Riccardo Agostini, personaggi che appartengono al Gotha della ristorazione italiana sono alcuni degli chef da lui immortalati. Fondamentali, tra le tante, le sue collaborazioni con Fuji Film Europa, Porsche Italia, Salomon, North Sail, Malesia tourism, Cavit, Trentino spa, Apt Valle di Fiemme , Ski Center Latemar e Ski Area Alpe Cermis.

di Marco Morelli

SAPER VEDERE OLTRE, SAPER COGLIERE L’ATTIMO MA SOPRATTUTTO GUARDARSI ATTORNO CON OCCHI CURIOSI Come nasce la sua passione per la fotografia? La mia passione per la fotografia nasce in me fin da piccolo. Mio padre aveva perso la vista in un incidente sul lavoro e quando andavamo a passeggiare mi faceva notare tutto ciò che ci stava intorno e che lui non poteva più vedere ma che ricordava benissimo, con grande nostalgia. I colori della natura, il silenzio dei boschi e tutte le piccole grandi cose che ci stanno attorno ma che spesso ignoriamo. Si decisamente… è stato mio padre a trasmettermi questa passione !!! Quali sono i fotografi che l’hanno maggiormente incuriosito nel corso degli anni? Sinceramente non ho mai avuto dei maestri fotografi come riferimento. Ho sempre osservato con attenzione tutto ciò che riguardava la fotografia, cogliendo tutti gli aspetti che mi affascinavano. Più che le qualità artistiche dei maestri fotografi mi hanno sempre colpito le luci dipinte dai grandi pittori. Caravaggio per esempio, gli impressionisti... Mentre sulla neve mi sono sempre ispirato ad un grande pittore austriaco di Kitzbuel, Alfons Walde, il pittore della neve. Un grande. Le sue opere sembrano spesso dei quadri: che cosa la ispira? La domanda porta già in se la risposta: mi sento un po’ pittore e cerco sempre di immortalare situa-

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zioni e paesaggi che potrebbero ispirare qualsiasi paesaggista. Cosa cerca di comunicare con le sue foto? Essenzialmente emozioni. Quelle suggestioni che percepisco nell’istante in cui “vedo” e “colgo” qualsiasi cosa che mi impressiona. E cerco di regalare, a chi poi vede le mie foto, la stessa emozione che provo nel momento in cui catturo un’ immagine che solo io vedo. Spesso faccio notare, a chi sta con me, taluni dettagli che vedo mentre sono in plen air: contrasti di luci, scorci particolari, etc. E tutti mi dicono la stessa cosa: “Grazie! Non l’avevo notato. E’ bellissimo”. Spesso uno scatto fotografico riesce a descrivere una situazione meglio di molte parole. Che cosa

“Silenzi da Guardare” un must targato Orler Silenzi da Guardare è una raccolta di magici scatti dove il paesaggio alpino acquista nuovi significati. L’artista di snowart Pierluigi Orler ha acquisito una particolare sensibilità nei confronti dell’ambiente naturale e, attraverso l’obbiettivo della sua “Reflex”, riesce a restituirne una sintesi grafica inedita così che chi osserva le sue immagini scopre nuova bellezza e poesia. Il suo lavoro è da tempo al servizio del paesaggio dolomitico e in particolare della Valle di Fiemme, sua musa per numerose inquadrature. www.orlerimages.com Facebook: Pierluigi Orler https://500px.com/pierluigiorler

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L’immagine parte sempre da una base emotiva. La grande fotografia è il perfetto bilanciamento tra quello che si sente e quello che si vede, tra ciò che si prova e ciò che è la realtà

Pierluigi Orler

è necessario per poter cogliere l’attimo giusto? Saper vedere oltre, saper cogliere l’attimo ma soprattutto guardarsi attorno con occhi curiosi … sempre ! Solo in questo modo si riesce a “vedere”quanta meraviglia ci circonda. Questo penso sia il dono che ho e che mi permette di vedere ciò che gli altri non vedono. Quali sono le fotografie che ricorda con maggiore emozione? Tutte le mie fotografie! Ognuna mi ha dato un’ emozione diversa. Naturalmente ce ne sono diverse che rimangono le mie favorite. Spesso, quando scatto una fotografia e la rivedo, mi fermo a valutarla e riguardandola mi emoziono ancora di più di quando l’ho scattata. Quali sono invece le foto che non ha scattato e avrebbe tanto desiderato fare? Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, collaborando con tutti i giornali nazionali del settore Turismo, scoprendo posti meravigliosi in giro per il pianeta. Una cosa mi manca: Il deserto. Sono sicuro che in un contesto come quello farei dei capolavori… ma è solo questione di tempo. Il deserto è, infatti, molto simile ai paesaggi che la neve disegna e dato che la neve è uno dei soggetti che preferisco fotografare sono certo che il risultato riuscirà a sorprendere anche me. Tra bianco e nero e colori, ha preferenze? Non ho preferenze. Il colore è insostituibile in gran parte delle foto ma il bianco e nero, soprattutto nei ritratti, è insuperabile ! Protagonisti nelle sue foto sono i chiaroscuri. Come riesce a renderli magici? Ecco un punto che mi piace molto. Mi piacciono i contrasti forti. La luce e il buio. Le luci che Caravaggio dipingeva sono le stesse che adoro e che spesso cerco di ricreare nelle mie fotografie. Non ci sono segreti, tendo a sottoesporre per dare maggiore drammaticità all’immagine. Ma anche qui si tratta di saper vedere oltre e cogliere al volo l’opportunità. La luce, come disse qualcuno, è il miglior scultore! Dopo lo scatto, “istante decisivo”, l’altro momento chiave un tempo era rappresentato dallo svi-

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luppo, ovvero l’interpretazione del negativo. L’era digitale come ha cambiato il lavoro fotografico? L’era digitale ha stravolto la fotografia al punto che a volte si fa fatica a far passare per fotografie elaborazioni fatte al computer. Personalmente non rimpiango la pellicola. L’immediatezza dell’immagine non ha valore e da una parte ha semplificato sensibilmente il modo di lavorare. Dall’altra, come accennavo prima, Photoshop ha permesso di creare foto assolutamente inesistenti, fuori dalla realtà, ma che comunque hanno un certo valore artistico. Ma non chiamiamole fotografie perchè sono “Art work”. La fotografia deve essere, invece, semplice, non elaborata e che sappia comunicare con genuinità quello che hai visto ed interpretato. Il mio slogan è: “Simple is beautiful”! E’ eclatante il caso del fotografo danese Klavs Bo Christensen, escluso qualche anno fa dal concorso Picture Of the Year, nel suo Paese, per eccesso di Photoshop! Lei che ne pensa? Come dicevo prima bisogna distinguere tra fotografia e Art work ! Personalmente vedo troppi “fake” in

giro e ormai tutti si propongono come fotografi! Ma attenzione, fotografi si nasce non si diventa! Come si vive di fotografia oggi? E’ un mondo sicuramente diverso, quello odierno, da quello nel quale operava e si proponeva alcuni anni fa il fotografo: il digitale ha stravolto tutto. Il web è pieno di immagini che tutti possono scaricare e, molto spesso, utilizzare senza alcun problema. Quello del fotografo non è sicuramente un lavoro facile, ma sono altrettanto sicuro che la professionalità paga ancora e fa in modo che si possa sopravvivere bene. Bisogna saper diversificare i vari settori d’operatività ed inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Cosa consiglia a chi ama la passione per la fotografia e volesse farne una professione? Non consiglio la professione del fotografo ( …e si fa una sonora risata), troppo complicato. Comunque scherzo, rimane sempre valido il concetto che se qualcuno ha una grande passione per la fotografia deve assolutamente studiare e prepararsi bene, facendo tanta gavetta e cercando di fotografare il più possibile. Solo in questa maniera, al di là delle qualità innate, si riesce a migliorare la propria tecnica e a raggiungere i propri obiettivi . Pier Orler: quattro aggettivi per descriversi? Eclettico, eccentrico, versatile e … sognatore. La fotografia mi appassiona in tutte le sue forme e per questo motivo spazio dalla fotografia legata al mondo del Food (come un ritratto di un famoso Chef), al reportage di Architettura su Calatrava, sino ad uno sciatore di Freeride che pubblicizza una nota ditta di sci. Perché dopo tanto girovagare per il mondo ha deciso di vivere a Predazzo come base? Ho deciso di tornare là dove sono cresciuto, portando con me un bagaglio di esperienza che mi permette di lavorare bene in un contesto come il Trentino, dove la qualità della vita è sicuramente meno complicata e stressante rispetto a quella che si incontra in una grande città come Milano. Lei è diventato papà da qualche anno: si augura che suo figlio diventi un famoso fotografo? Sicuramente gli insegnerò ad amare e ad osservare le cose meravigliose che ci circondano. Le piccole grandi cose della vita, senza dimenticare mai che bisogna essere felici di quello che si è e di quello che si ha! “…Qualche volta i poeti hanno la reflex a tracolla e scattano un’ istantanea. Allora le fotografie si sfogliano come versi senza rime, geometrici e colorati. E’ il caso di Pierluigi Orler. “ Luigi Alfieri, giornalista e scrittore

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PROTAGONISTI DELLA MONTAGNA

Il leggendario alpinista e pioniere della scalata morto a 91 anni e’ stato protagonista di alcune imprese storiche, ma è stato anche partigiano, scrittore e maestro di sci

CESARE MAESTRI

Nel ricordo del mitico “Ragno delle Dolomiti”

A CURA DI m.t.sAN jUAN (TRATTO DA lA GAZZETTA DELLE vALLI)

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o chiamavano il “Ragno delle Dolomiti”. E’ morto qualche mese fa all’ospedale di Tione (Trento) Cesare Maestri, 91 anni, alpinista che ha firmato storiche imprese scalando e aprendo vie sulle principali montagne. Cesare Maestri era nato il 2 ottobre del 1929. Il figlio Gianluigi ha annunciato la morte del padre scrivendo: “Questa volta Cesare ha firmato il libro di vetta della scalata sulla sua vita”. Figlio di attori si appassionò alla montagna e scrisse pagine memorabili di alpinismo negli anni ’50 e ’60. Dopo aver combattuto nelle file della Resistenza, è tornato fra le montagne, si stabilì a Madonna di Campiglio e da allora il centro della sua attività alpinistica furono le Dolomiti di Brenta. Nel 1950 comincia la sua carriera di scalatore, affrontando in solitaria vie di grande difficoltà come la Preuss al Campanil Basso, la Detassis-Giordani al Croz dell’Altissimo, la Soldà alla Marmolada. Poi la salita del 1959 sulla parete nord del Cerro Torre, in Patagonia. Il suo compagno, Toni Egger, venne travolto in discesa da una valanga, lui stesso vagò incosciente alla base della montagna e fu ritrovato dal terzo membro della spedizione, Cesarino Fava. Dichiarò di essere arrivato in cima, ma di non avere prove della salita, essendo la macchina fotografica nello zaino di Egger. Poi Il piacere della recita non lo abbandonò mai e, diventato un personaggio, si esibì spesso in televisione, ad esempio nel 1977 sulle cascate del Nardis gelate dall’inverno, assieme ad Ezio Alimonta. Tanti i ricordi e i messaggi di saluti che sono giunti alla famiglia di Cesare Maestri. “Addio Cesare Maestri, grazie di aver onorato Trento e il Trentino con le tue imprese e con la tua vita” “Con Cesare Maestri non se ne va solo il simbolo dell’alpinismo italiano. Perdiamo soprattutto un grande uomo, che è stato ben più di un atleta straordinario, capace di scalare le vie più impervie dalle Dolomiti alla Patagonia. Partigiano, ambientalista, scrittore di rango, maestro di montagna per tanti giovani: nei suoi 91 anni Cesare Maestri ha raggiunto l’eccellenza in campi disparati, senza mai perdere l’umiltà e l’umanità tipiche del montanaro”. Il sindaco Franco Ianeselli ha ricordato Cesare Ma-

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estri, nato a Trento 91 anni fa, anche se gran parte della sua vita l’ha trascorsa a Madonna di Campiglio, vicino alle sue amate Dolomiti. “La sua scomparsa ci fa tornare in mente quella che forse è stata una delle sue ultime uscite pubbliche – racconta il sindaco – Maestri, che era socio onorario del Trento Filmfestival, acclamato da una folla entusiasta nel 2019 ricevette la Genziana alla carriera: è stato un momento davvero commovente, indimenticato e indimenticabile da chi era presente. Ora che questa figura quasi leggendaria non c’è più, ci restano le sue imprese e le sue riflessioni sul rapporto tra l’uomo e una natura che può essere, di volta in volta, magnifica, aspra o indifferente, ma a cui Cesare Maestri ha sempre portato rispetto. In una vecchia intervista rilasciata al giornalista di Repubblica Roberto Bianchin in occasione della festa suo sessantesimo compleanno organizzata a sorpresa a Mattarello, Maestri disse: ‘Non faccio l’ ambientalista a oltranza, ma non mi piace la ressa, la confusione, la sporcizia e la spavalderia. Bisogna andare in montagna come se si entrasse in una chiesa, in punta di piedi e senza alzare la voce. Ci vuole più rispetto, più amore. Anche più timore’. Rispetto, amore, timore: la sua è stata una lezione

Cesare Maestri Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A.

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non solo ad uso degli alpinisti, ma per tutti coloro che hanno voglia di ascoltarla. Di sicuro verrà ricordato nella prossima edizione del Filmfestival e quando, da amministratori, dovremo occuparci di montagna. Addio Cesare Maestri, grazie di aver onorato Trento e il Trentino con le tue imprese e con la tua vita”. IL SALUTO DEL TRENTO FILM FESTIVAL “L’alpinista più bravo è quello che diventa vecchio”, disse Cesare Maestri il 29 aprile 2019, quando ricevette la Genziana alla carriera del Trento Film Festival, davanti a un pubblico che lo ascoltava in religioso silenzio. “Cesare Maestri era un bravo alpinista, uno dei migliori della storia, ed è riuscito nella sua impresa, quella di invecchiare tra le sue montagne senza perdere la vita sopra di esse. Una vita così lunga è un grande dono, che ci ha permesso di amarlo e apprezzarlo a lungo: ma la sua scomparsa lascia comunque un vuoto incolmabile”, ha affermato il Presidente del Trento Film Festival, Mauro Leveghi. “Lo ricordiamo commosso, lui così forte, ringraziarci per il premio ricevuto, abbracciato all’amico di sempre Carlo Claus: era tosto e tenace, la vita lo aveva forgiato, ma non aveva mai perso la sua tenerezza, il suo amore per l’umanità e la fiducia in un futuro migliore”. Il Trento Film Festival, di cui Cesare Maestri era socio onorario, si stringe alla famiglia, alle Guide Alpine di Madonna di Campiglio, a tutte le persone che hanno amato un uomo che ha lasciato un segno indelebi-

le sulla storia dell’alpinismo internazionale, prima con le sue imprese su roccia e ghiaccio, poi con i suoi libri, infine con il suo esempio di uomo libero e coerente, figlio di una terra che non lo potrà mai dimenticare. IL RICORDO DEL PRESIDENTE PACCHER “Grande cordoglio ha suscitato la scomparsa di Cesare Maestri, il Ragno delle Dolomiti. A lui si deve l’apertura di alcune delle più belle vie di arrampicata non solo sulle nostre Dolomiti ma anche in altri continenti. Ha promosso e diffuso l’arrampicata sportiva e con essa un’educazione ambientale alpina. Uomo disciplinato e coerente ha dato visibilità e prestigio alla nostra Terra ed è stato testimone del nostro territorio. La nostra Regione con la sua scomparsa perde un personaggio di primissimo piano stimato ed apprezzato anche oltre i confini nazionali. Esprimo le più sentite condoglianze alla famiglia”, il commento di Roberto Paccher, presidente del Consiglio Regionale Trentino Alto Adige-Südtirol. IL CORDOGLIO DELLA GIUNTA PROVINCIALE Si è spento Cesare Maestri, leggenda dell’alpinismo italiano. Il figlio, Gianluigi, annunciandolo su Facebook ha scritto che “Cesare, questa volta, ha firmato il libro di vetta della scalata della sua vita”. “Una vita fatta di vittorie e di rinunce, di gioie e anche di amarezze ma, senz’altro, un grande esempio di competenza, coraggio e intraprendenza. – ha detto il presidente Maurizio Fugatti a nome di tutta la giunta – Con Cesare Maestri, il Trentino, perde una delle sue figure più significative e un testimone dell’alpinismo mondiale. Rimarrà per sempre un simbolo del nostro popolo, che con la montagna convive da secoli e alla montagna deve certamente quei tratti del carattere che – come lui – ci distinguono un po’ nel mondo dove i trentini sono conosciuti per la tenacia, l’affidabilità, l’impegno e la serietà espressa tante volte più dai fatti che dalle parole. Tutti gli assessori esprimono vicinanza al figlio, ai suoi cari, a coloro che lo hanno amato e stimato.” Cesare Maestri ha effettuato nella sua vita, in Italia e nel mondo, circa 3.500 salite, un terzo delle quali compiute “in solitaria”, anche in età avanzata. Maestri che a Madonna di Campiglio ha condotto una bottega che portava il suo nome, alternava l’alpinismo alla scrittura di articoli per giornali e riviste e libri autobiografici. Nel 2002 ha ancora organizzato in Tibet una salita al Shisha Pangma (una delle vette superiori agli 8.000 metri della Terra), chiamandola “A 8000 for peace”. Per la sua attività alpinistica e per l’impegno che ha sempre profuso in difesa dell’ambiente, della democrazia e della libertà, Cesare Maestri ha ottenuto molti importanti riconoscimenti: oltre a quelli già citati sopra fu socio onorario del Club Alpino Italiano è stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana, della Medaglia di bronzo al merito civile, e dello scozzese “Ordine del Cardo”.

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DOTT. EUGENIO BELUFFI 21-03.1929 / 12-04-2021

Caro Eugenio, il cerchio della vita ha avuto il suo corso anche per te. Sei stato uno dei fondatori della nostra Associazione e della nostra Scuola. Istruttore di Scialpinismo molto capace, hai insegnato a tutti come sciare, soprattutto accompagnando i più giovani che volevano iniziare, e lo facevi con passione sia durante i corsi, sia quando ti trovavi tra amici. Proprio i giovani sono stati la “tua vita”. Come Pediatra stimatissimo ed amato, per la tua instancabile generosità sei stato e resterai per tutti un esempio da seguire. Ora che raggiungerai gli altri nostri istruttori e soci che lassù ti aspettano, potrai nuovamente legarti in cordata o sciare in loro compagnia su candide nevi, come a te è sempre piaciuto. Grazie a nome di tutti i soci del CAI Bozzolo e degli istruttori della Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Sesto Gnaccarini”. Buona salita, resterai per sempre il nostro caro Dottore!

CAI BOZZOLO (MN)

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dossier / criminologia, ma pure drammi umani

il drammatico silenzio delle persone scomparse

In Italia migliaia di persone ormai da tempo sono diventate solo fotografie appese alle pareti delle Questure di tutto il Paese: persone scomparse. Con l’espressione “persona scomparsa” ci si riferisce a soggetti allontanatesi in modo inconsueto dal proprio domicilio e di cui si viene ad ignorare la posizione e lo status in vita. Noi ormai siamo abituati ad utilizzare questa espressione secondo l’uso che se ne fa in criminologia, in cui lo studio delle “persone scomparse” concerne quelle allontanatesi in maniera permanente dal proprio domicilio rendendosi radicalmente irreperibili. La scomparsa di una persona può essere addotta a diverse ragioni, volontarie e/o involontarie. Più nello specifico le motivazioni possono includere: a) volontà di abbandonare la situazione sociale attuale (familiare, lavorativa/di studio, di relazioni sociali) divenuta incompatibile con il proprio benessere per ricercarne una diversa ; b) adesione a comunità religiose o ad organizzazio-

a cura di GiacOMO GaBriELE MOrELLi

L’angosciante e purtroppo sempre attuaLe dramma degLi individui svaniti neL nuLLa e deLLe Loro famigLie, pone interrogativi etici e pratici sulle inadeguatezze della società

ni clandestine; c) presenza di malattie mentali o problemi causanti vuoti o perdita di memoria; d) fuga da situazioni traumatiche o di abuso (o per paura di subirle); e) fuga dalle autorità giudiziarie o di polizia per il timore di subire una pena restrittiva; f) fuga da emergenze umanitarie e naturali (es. persecuzioni, calamità); g) subire il reato di sequestro di persona (a fini estorsivi o per riduzione in schiavitù); h) subire il reato di sottrazione (di minore o altro soggetto sotto tutela) da parte di genitore o altro parente; i) essere vittima di omicidio, con conseguente occultamento del cadavere; l) morte accidentale o volontaria (suicidio)in località remota o comunque in area ove non si è ancora rinvenuto il cadavere; m) morte accidentale in situazioni calamitose (naturali o belliche). Qualunque sia stata la causa, in Italia negli ultimi 25 anni sono scomparse nel nulla ben 15.000 persone, di cui 10.000 minori. Buona parte di queste scomparse riguardano


In moltI StatI è Sempre attuale Il crImIne della SoppreSSIone deglI avverSarI polItIcI

iL dramma dei “desaParecidos” neLLe nazioni senza democrazia Le madri manifestanti neLLa PLaza de mayo di Buenos aires sePPero emozionare in modo indeLeBiLe iL mondo

stranieri, giunti in Italia per vacanza o lavoro, e mai più ripartiti. Nello stesso periodo sono state circa 65.000 le denunce di persone scomparse, ma poi ritrovate. Parrebbe incredibile che ogni anno in Italia scompaiano mediamente nel nulla alcune centinaia di individui, quelli recentemente legati al dramma dell’emigrazione clandestina sono esclusi dalle statistiche. Solo pochi di questi casi vengono evidenziati da giornali e TV. Negli anni trascorsi alcune vicende di persone scomparse hanno colpito ed emozionato la popolazione italiana, occupando grandi spazi nei programmi televisivi, si pensi ai casi di Emanuela Orlandi, o di Ylenia Carrisi (la figlia di Al Bano e Romina Power), o delle bimbe Angela Celentano e Denise Pipitone, sul cui mistero si fa cenno ancor oggi saltuariamente con rinnovate congetture e supposizioni. Più frequenti sono stati gli episodi riguardanti imprenditori presumibilmente sequestrati per estorsione e mai più ritornati alla propria dimora, la lista qui sarebbe lunga. Ancor più lunga quella riguardante le sparizioni di individui nelle aree interessata dalle organizzazioni malavitose, mafia, ‘ndrangheta e via dicendo, dove l’omertà congenita copre un’ingente numero di mancanti riscontri anagrafici. Si rimane sconcertati, in un’era caratterizzata dalle tecnologie più raffinate e diffuse, come la scomparsa di un individuo sia un evento di una naturalezza disarmante e di difficile rilevamento ed interpretazione. In questo influiscono certamente, in una comunità sempre più “fredda”, la rarefazione dei rapporti umani, l’indifferenza generalizzata, l’appannamento del sociale. Sono all’ordine del giorno i ritrovamenti casuali di persone anziane sole decedute da molto tempo nelle proprie abitazioni

Il termine desaparecidos (letteralmente “scomparsi” in spagnolo), trae origine dalle persone che negli anni ’70 furono arrestate per motivi politici, (o anche semplicemente accusate di avere compiuto attività anti- governative), dalla polizia del regime militare argentino, e delle quali si per-

se in seguito ogni traccia. Si ritiene che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, siano scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali (9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali) su 40.000 vittime totali. Tale fenomeno fu riconosciuto dalle Nazioni Unite come crimine contro l’umanità. La ‘sparizione forzata’ è un fenomeno che si è verificato in modo meno eclatante anche in molti altri Paesi e in molti altri momenti storici, pure oggi, facendo del termine spagnolo una parola-mantello d’uso comune. Di quanti “desaparicidos” ancor oggi si macchiano i regimi politici delle nazioni meno evolute e controllate? Si pensi ad esempio ai regimi dittatoriali mediorientali, o a quelli africani, cui spesso tutto è permesso dalle civiltà occidentali in cambio di convenienti cooperazioni di livello economico.

I cadaverI SenZa nome neglI oBItorI ItalIanI Sono oggI 1258

tanto oggI quanto nel paSSato Sono numeroSe le vIcende dI perSone ScomparSe che tramite i media hanno appassionato ed emozionato negativamente la popolazione italiana

nell’assoluta inconsapevolezza del vicinato. Un dato sconcertate sono i cadaveri senza nome che giacciono attualmente negli obitori italiani: 1258. Lo Stato e le istituzioni non sono preparati a gestire quella che è una vera e propria emergenza, e spesso sono le famiglie a dover far fronte, da sole, alle ricerche. Sono nate così alcune Associazioni create per dare voce a chi non ce l’ha, per lottare contro l’indifferenza e l’oblio, per sostenere la ricerca degli scomparsi e della verità, affinché l’attesa diventi parte di un percorso condiviso, durante il quale non ci si senta completamente soli. “Cercando Fabrizio” è uno di questi gruppi di volontariato, volti a dare e ricevere il sostegno che nasce dall’unione tra le persone, per non abbandonare nessuno, qualunque sia la sofferenza che porta con sé. Anche il sito “Crimeblog” ha istituito una rubrica “Missing” con lo stesso fine: raccontare ogni mese una o due storie di scomparse ancora irrisolte che hanno lasciato intere famiglie in un’attesa infinita. In queste situazioni a tenere acceso il lumicino della “speranza” è la ricerca di una insperabile segnalazione, anche apparentemente insignificante.



ECo&grEEn

FoCUS di giacomo gabriele morelli

di benedetta bottura

Come dormono gli animali

animali metropolitani, una reale minaCCia?

Tutti gli animali dormono. Il sonno è un meccanismo necessario per riposare il cervello. Durante il sonno di mammiferi e uccelli si alternano due fasi: la REM (Rapid eyes movement, movimenti rapidi degli occhi), che è quella in cui si sogna e il sonno profondo. Non tutti gli animali però hanno bisogno dello stesso numero di ore di sonno, i carnivori dormono più a lungo, mentre gli erbivori di meno, inoltre il numero di ore di sogni sembra dipendere dalle dimensioni e dall’età: più un animale è piccolo e giovane più sogna. Gli esseri umani dormono in media 8 ore con una fase REM di 1,9 ore. L’animale che più ci somiglia in questo è il maiale, che ha il nostro stesso numero di ore di sonno e sogno. Il mammifero che dorme di più è il pipistrello, 20 ore, mentre il primato per i sogni più lunghi va all’ornitorinco che su 14 ore di sonno, sogna per 8 ore. L’animale che dorme

di meno, invece, è il cavallo, con appena 2-3 ore di sonno. Alcuni animali tra cui i delfini, le otarie e gli uccelli, sono in grado di avere un sonno uniemisferico, ovvero dormono con solo mezzo cervello alla volta e chiudendo un occhio solo. Questo gli consente di difendersi dai predatori e nel caso degli uccelli, di continuare a dormire anche durante i voli migratori. L’argomento dei sogni resta invece sconosciuto. L’ipotesi è che, come noi, rivivano eventi del passato.

Periodicamente i quotidiani nazionali, ma spesso pure i rotocalchi televisivi, divulgano con stucchevole allarmismo notizie riguardanti presenze animali inconsuete nei nostri centri urbani. Secondo molti giornalisti vissuti sempre tra quattro mura, aventi come unica esperienza naturalistica la gita allo zoo da bambini col proprio nonno, dopo il tramonto orde di cinghiali, lupi, orsi, ecc., ci minaccerebbero tanto quanto i fantomatici terroristi ISIS. Inutile dire che la nostra scarsa cultura naturalistica ci porta a suggestionarci per eventi di

curiosità

Braynikl, il dito gelido della morte I Braynikl sono stalattiti marine di ghiaccio. Si formano nei mari dell’Artico, dove la temperatura in superficie è di -20 gradi, mentre quella sottomarina di -2. La differenza di temperatura e la diversa densità dell’acqua salata vicino al ghiaccio, consente la formazione di correnti vorticose che ghiacciandosi creano delle stalattiti sommerse. Il

rimedi naturali

golden milk, oro per il tuo organismo Un latte d’oro per rafforzare il sistema immunitario. Il golden milk è una bevanda a base di latte, curcuma e pepe, con molte proprietà. Il nome viene dal colore dorato che la curcuma da al latte. Ha proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, aiuta a prevenire e curare infiammazioni, dolori articolari e nevralgie, facilita la digestione e contribuisce a ridurre il colesterolo. Per rinforzare il sistema immunitario si dovrebbe bere il golden milk per 1 mese. Per preparare la bevanda basta sciogliere la punta di un cucchiaino di pasta di curcuma in un bicchiere di latte (animale o vegetale), aggiungere 1 cucchiaino di olio di mandorle dolci o di cocco per alimenti e un po’ di miele per addolcire. La pasta si prepara facendo rassodare 1/4 tazza di curcuma in polvere, 1/2 tazza d’acqua e 1/2 cucchiaino di pepe nero macinato. Il latte può essere bevuto caldo o freddo, secondo il proprio gusto.

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ghiaccio imprigiona al suo interno tutto ciò che si trova dentro la corrente. In poche ore le stalattiti raggiungono il fondale dove continuano a espandersi, uccidendo tutti gli organismi nel raggio di alcuni metri, da cui il nome “dito della morte”. Il fenomeno è stato fotografato nel 2011 da un team della BBC.

Coppetta mestruale Comoda ed eCologiCa Una coppetta in silicone al posto di assorbenti e salvaslip. La coppetta mestruale ha la forma di una campana con un gambo o un anellino per facilitarne la rimozione. Si inserisce in vagina e raccoglie il sangue mestruale, evitando che questo resti a contatto con la pelle, garantendo una migliore igiene e una maggiore libertà. Una volta inserita può essere lasciata in posizione anche per 8-10 ore, in caso di flusso normale, la si può mettere alla mattina e dimenticarsela fino alla sera. Questo dispositivo è riutilizzabile per diversi anni, per questo è economico (le più comuni costano intorno ai 20€) ed ecologico. Basta sterilizzarla prima e dopo il ciclo facendola bollire. Le coppette si possono acquistare in farmacia, parafarmacia, su internet e in alcune erboristerie.

scarso rilievo. Ovunque nel mondo, dove le specie animali sono tutelate e numericamente consistenti, la loro saltuaria presenza nei centri urbani è vissuta come un normale e piacevole evento. La disinformazione che invece impera in Italia, grazie al gratuito sensazionalismo di cui sono farcite le notizie, porta a timori infondati. Nessun naturalista si sognerebbe di dipingere come pericolose per la cittadinanza le famiglie di cinghiali (madre con al seguito i piccoli) che a volte si spingono nelle periferie cittadine, o qualche sporadico lupo che si avvicina alle discariche nel periodo invernale. Anche l’episodio dell’orsa Daniza, abbattuta nel 2014 in Trentino per aver ferito alle braccia e alle gambe un cercatore di funghi avvicinatosi casualmente (o incautamente) ai suoi cuccioli, e

rea di avvicinarsi spesso all’abitato, avrebbe potuto essere gestito con maggior criterio. Uno web quotidianamente in cerca accanita in tutto il mondo di eventi macabri da scodellare ad un pubblico sempre sensibile al sangue, rarissimamente riesce a scovare notizie di aggressioni di animali nei centri urbani, e questo semplicemente perché … non ne avvengono. La saltuaria pericolosità degli animali sopra menzionati è dovuta ad una reazione in caso di ferimento, o alla difesa della prole. Nel mondo non c’è notizia di decessi se non nelle savane indiane e africane causate dai grandi felini, o casualmente nei grandi parchi americani dai plantigradi; mai nell’abitato.

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territorio

CAMMINARE NEI MILLE COLORI DELLA BIODIVERSITÀ Val di Non, Monte Peller ph. Alessandro Gruzza

Di MARCO MORELLI

In Trentino la primavera è un racconto della natura che si sveglia. Un racconto in divenire, territorio per territorio, settimana dopo settimana. Fiori, animali e piante rinnovano il loro instancabile rito della rinascita, espressione di bellezza e pura energia vitale di questa ricca biodiversità presente sul territorio. Un’autentica esplosione di colori che in poche settimane vivacizza il paesaggio delle valli, per poi iniziare a salire verso gli alpeggi e le praterie in quota. Camminare o pedalare nelle valli trentine è un piacere per gli occhi e anche per il fisico, mentre si annusa l’aria ricca di profumi intensi, stimolati dal gioco dei colori che nei prati accostano le più diverse tonalità: spruzzate di giallo, di blu, tocchi delicati di rosso, tappeti di bianco. Itinerari tra le fioriture Il territorio del Parco Naturale Locale del Monte Baldo, è conosciuto fin dal medioevo dai botanici di tutta Europa per la sua straordinaria biodiversità e ricchezza di specie endemiche preglaciali, che hanno potuto giungere fino a noi perché hanno colonizzato le aree più in quota non coperte dalle calotte glaciali nel Quaternario. Già nel 1500 Giovan Battista Olivi, medico farmacista e letterato cremonese, a lungo al servizio dei Gonzaga, aveva definito il massiccio del Monte Baldo “Il giardino d’Italia”, Hortus Italiae. Per questo molte tra le specie botaniche più rare vengono accompagnate dall’aggettivo baldensis, che ne riconosce l’unicità. Le più comuni però, come l’arnica, gigli, genziane, orchidee, botton d’oro e gerani argentati, tra maggio e giugno creano

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Val di Non, meleti in fiore ph D.Marin

sulle praterie in quota coloratissimi tappeti che si osservano percorrendo gli itinerari del Parco. Genziane, orchidee blu, gigli rossi, e sulle rocce anche il geranio argentato, si possono osservare camminando dal rifugio Graziani verso Malga Campo, Bocca Paltrane per raggiungere il rifugio Malga Campei nella Val Paròl. E appena sciolta l’ultima neve, tappeti di bucaneve circondano il sentiero che da Polsa di Brentonico sale in direzione di Malga Susine fino alla Bocca d’Ardole e alle postazioni della Grande Guerra del vicino Corno della Paura. Tra primavera e inizio estate sono più di mille specie di fiori spontanei a colorare i prati della Val di Ledro, una ricchezza di biodiversità che ha permesso di includerla nella Biosfera UNESCO Alpi Ledrensi e Judicaria. Sono specie tipiche della flora mediterranea - nelle zone più prossime al Lago di Garda – mentre le stelle alpine fioriscono sulle creste sopra i 2000 m attorno alla Val di Concei. Particolarmente facili da raggiungere sono i pascoli in località Dromaè, un alpeggio sopra il paese di Mezzolago: un paio di ore di cammino attraversando pinete di Pino Silvestre, faggete, boschi di latifoglie. Da maggio a giugno i pascoli si trasformano in un tappeto bianco e fucsia pieno di narcisi e peonie selvatiche e, con un po’ di attenzione, tra i camminamenti della Grande Guerra, si possono osservare

Monte Baldo ph. Luciano Gaudenzio

anche orchidee selvatiche, anemoni e gigli. In Valle del Chiese sopra l’abitato di Bondone, al confine con la provincia di Brescia, ecco l’Alpe di Tombea. Nei primi anni del 1800, tra i pascoli ai piedi di Cima Tombea, si spinse Kaspar Von Stenberg, un botanico di Praga, e con grande emozione si imbattè in rarissime specie floristiche mai osservate altrove. L’appellativo tombeanensis completa il nome di questi endemismi, rari e unici, che da oltre due secoli vengono studiati solo qui. Il fiore più raro si chiama Saxifraga tombeanensis e i maggiori erbolari d’Europa ne conservano almeno un esemplare. L’alpeggio in quota si raggiunge partendo da Bondone, il borgo dei carbonai sopra il Lago d’Idro, uno dei “Borghi

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più belli d’Italia”. Dalla Malga Alpo, in località Plogne, lungo mulattiere di guerra, che non stancano le gambe, in un’ora si raggiunge Bocca Cablone. In Val di Non la fioritura dei meli a fine aprile riempie i versanti di colori delicati e deliziosi profumi. Un momento irripetibile per scoprire questa valle ricca di piccoli borghi carichi di storia, ma anche di ambienti naturali davvero particolari come i numerosi canyon. Luoghi che si raggiungono grazie a percorsi escursionistici o in mountain bike e che attraversano le distese di meleti in fiore. L’itinerario didattico “Al Meleto” è una passeggiata di soli 5 chilometri (si percorre in meno di 2 ore) per grandi e piccini. Un itinerario per scoprire luoghi nuovi, conoscere le mele e come vengono coltivate grazie ad alcuni pannelli didattici, giocare con gli insetti, ammirare scorci sulla valle insoliti. La partenza è dal centro di Romallo. E volendo arricchire di emozioni per gli occhi una visita a Castel Thun, il più monumentale dei tanti castelli presenti in valle aperti al pubblico, il consiglio è di salire a piedi da Vigo di Ton seguendo il percorso che si snoda, appunto, tra i meleti in fiore. Ad aprile, Dolce Fiorire propone diverse attività tra i meli in fiore: passeggiate, visite guidate ai frutteti storici dove si coltivano antiche varietà di mele e di pere, wine trekking dedicati al Groppello di Revò, vitigno tipico della valle delle mele.

Val di Non, meleti in fiore ph. Carlo Baroni

GIARDINO BOTANICO DI BRENTONICO. All’interno di Palazzo Eccheli-Baisi, l’Orto dei semplici si estende su una superficie di 6000 m2. Si tratta del primo esempio di giardino botanico rinascimentale in Trentino. Nell’Orto dei semplici sono presenti 500 piante, che testimoniano l’importanza botanica da secoli riconosciuta al Monte Baldo, meta ambita di speziali, botanici e amanti della montagna. Palazzo Eccheli-Baisi fu costruito alla fine del XVI secolo, unificando alcuni edifici pre-esistenti. Il verde è il colore dominante dell’edificio che ospita anche il Museo del Fossile del Monte Baldo.

RISERVA DELLA BIOSFERA UNESCO ALPI LEDRENSI E JUDICARIA. Una porzione consistente di territorio tra il Lago di Garda e le Dolomiti di Brenta, un’area di 47 mila ettari particolarmente ricca di biodiversità, ma anche di testimonianze storico-culturali e di utilizzi sostenibili delle risorse naturali, ha ottenuto nel 2015 questo prestigioso riconoscimento internazionale nell’ambito del programma MaB – “Man and Biosphere”. Si tratta delle Giudicarie Esteriori e del Tennese, nell’ambito dell’Ecomuseo della Judicaria “Dalle Dolomiti al Garda” e delle Valli di Ledro e del Basso Chiese.

Monte Baldo ph. Luciano Gaudenzio

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S P E C I A L E

a g ili t y

d o g

a cura di giacomo gabriele morelli Foto di Alessandro Soragna e Tetyana Misharina

divertirsi divertendo il nostro cane Tanzer Lifestyle Coach Marco Casali con Kula Shaker

L

e relazioni tra esseri umani e cani danno vita a storie affascinanti. Sull’argomento sono stati versati fiumi di inchiostro, realizzate migliaia di pellicole (ora mandate in pensione dal sistema digitale), e basati studi sempre più sofisticati. Le innumerevoli attività basate sul rapporto uomo-cane offrono costantemente nuovi spunti di discussione. I cani sono molto diversi da noi, eppure molte persone considerano i cani come membri della propria famiglia. Instaurano con loro un rapporto spesso surrogante quello con altri umani, e con essi parlano, dormono, giocano, e così via. Tra le espressioni ludiche del rapporto uomo-cane troviamo l’Agility Dog. Un’idea abbastanza recente. Essa infatti è nata in Inghilterra nel 1977. I suoi ideatori volevano proporre gare di salto simili a quelle con i cavalli, e ne è nata una disciplina sportiva che vede impegnati cani di qualsiasi razza, meticci compresi. E’ una competizione, allo stesso tempo educativa e sportiva, in grado di valorizzare le doti di intelligenza del cane e la sua agilità, nonché la sua intesa con il conduttore, indispensabile per il buon esito. Questa disciplina è giunta in Italia solo nel 1989 e nel 1990 l’ENCI (Ente Nazionale Cinofilia Italiana) ne ha pubblicato il primo regolamento. Tuttora l’ENCI è l’ente organizzatore delle varie manifestazioni, ma le regole sono quelle dettate dalla FCI (Federazione Cinologica Internazionale). Nella gara di Agility Dog i cani devono cimentarsi in un percorso costituito da ostacoli, che deve essere effettuato entro un tempo base definito, secondo l’ordine degli ostacoli imposto, nel minor tempo possibile e commettendo il numero minore di errori. Tale percorso deve avere una lunghezza compresa tra i 100 e i 200 metri e

Raffaele con la piccola Zoe

L’Agility Dog implica una grande armonia tra il cane e il suo conduttore

Barbara con Bea

Giuseppina con Brando

presentare dai 15 ai 22 ostacoli. Le differenze determinano la difficoltà della prova e quindi la categoria della gara. Il tutto deve svolgersi su un terreno di almeno 30 x 40 metri, non pericoloso né per il cane né per il suo conduttore. Nel corso della gara il conduttore deve seguire il cane comunicando con esso, dandogli dei comandi e accompagnandolo in tutto il percorso. Questa disciplina implica una grande armonia tra il cane e il suo conduttore, che porta a un’intesa perfetta tra i due. I vincitori della competizione vengono decretati da: una giuria composta da un esperto appartenente all’albo ENCI, un assistente con il compito di segnare le irregolarità riscontrate dal giudice, 2 cronometristi e 2 commissari di campo che devono risistemare eventuali ostacoli fuori posto dopo il passaggio del cane. Gli ostacoli omologati dalla FCI sono: salto in alto, siepe, viadotto o muro, tavolo, passerella, basculla, palizzata, slalom, tunnel rigido, tunnel morbido, pneumatico, salto in lungo; e la loro altezza o lunghezza dipende dalla taglia del cane. I soggetti ammessi all’Agility Dog sono suddivisi in tre categorie che si basano sull’altezza dell’animale: S (Small) per cani non più alti di 35 cm al garrese; M (Medium) per cani dai 35 ai 43 cm al garrese; L (Large) per cani di altezza superiore ai 43 cm. I cani devono essere di età superiore ai 18 mesi, essere tatuati o muniti di microchip, vaccinati contro la rabbia e non presentare segni di malattie o ferite. Le femmine non devono essere nel periodo di gestazione o in estro, e il conduttore deve essere associato all’ENCI. L’Agility Dog quindi è disciplinata da una serie di normative, nel contempo semplici ma rigorose, a tutto vantaggio della incontestabilità del suo svolgimento. Di tutto questo parlo con Monica Pezzali, tesserata della “ConFido” di Viadana (Mn), asso-


La ConFido di Viadana promuove numerose attività cinofile, condotte da istruttori esperti, che spaziano dal semplice gioco ai dressaggi più complessi Monica Pezzali in azione con Nala sullo slalom

ciazione cinofila che tra le proprie attività assegna all’Agility Dog un ruolo primario. Monica quanto è diffusa la pratica dell’Agility Dog in Italia? Ad oggi gli iscritti italiani in Agility Dog superano i 19mila. Quali sono le doti indispensabili per chi volesse iniziare a praticarlo? Tra le doti indispensabili per poter iniziare Agility c’è sicuramente la passione che deve accomunare l’uomo e il cane, è uno sport che vede in gioco il binomio ed è essenziale che entrambi si divertano! Si può iniziare e praticare Agility anche senza partecipare alle gare, è un modo per creare affinità con il proprio cane e divertirsi insieme e mantenersi in forma. Quante sedute d’allenamento settimanale sono necessarie? Per quanto riguarda gli allenamenti non vi è un numero di allenamenti “necessari” in quanto ripeto, si può praticare l’Agility anche solo per divertimento; a livello agonistico a ConFido i nostri agonisti ne fanno uno a settimana con l’istruttore Casali Marco, lavorano gli esercizi e curano la relazione e il gioco con il proprio cane durante gli altri giorni. Abbiamo riscontrato numerosi benefici soprattutto in termini di salute mentale e fisica del cane quando le attività variano, una disciplina che sicuramente aiuta moltissimo il binomio in questo senso è il K9 (i soggetti K9 in gergo sono quelli dressati per gli interventi di protezione civile, polizia e protezione in genere). A ConFido il nostro istruttore Matteo Ruina supporta con allenamenti specifici, agonisti e non, cani giovanissimi e anziani sviluppando muscolatura, attenzione, propriocezione e cardio. Nel periodo invernale come si ovvia? Nel periodo invernale chi non ha il campo coperto si arma di … maglia termica e giacca. Gli allenamenti vengono organizzati nei momenti più caldi della giornata, si curano gli esercizi in modo attento per evitare che il cane scivoli o si faccia male, se piove sicuramente l’allenamento non viene svolto. Si può iniziare il dressaggio in un cane adulto o è necessaria un’educazione sin da piccolo? Si può iniziare a praticare Agility con qualsiasi cane a qualsiasi età, ovviamente è uno sport che richiede da parte del cane prestazioni fisiche, più il cane è giovane prima imparerà e potrà fare più esperienze. È assolutamente (scontato) essenziale che il cane sia in salute! Anche i cani adulti possono iniziare Agility, con l’istruttore si valutano percorsi personalizzati in base al cane e agli obiettivi che si pone il binomio.

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Esiste un’unica metodologia di dressaggio o all’estero seguono altre metodiche? Ogni istruttore ha sicuramente il suo metodo in Italia come all’estero, anche all’interno del nostro paese, sebbene gli esercizi da svolgere siano chiari e definiti, ogni istruttore ha il suo metodo di insegnare la disciplina e la loro esecuzione. Per partecipare ad una gara ufficiale un cane deve avere un certificato di razza o può essere un soggetto (magari meticcio) non iscritto ai libri genealogici? Alle gare possono partecipare tutti, cani di razza e meticci. L’atmosfera che si crea è meravigliosa, che il cane sia di razza o no, ogni binomio è lì per divertirsi, saltare e fare una nuova ed emozionante esperienza! Vi sono scuole specifiche per conduttori? I conduttori possono imparare nei centri cinofili a loro vicini, sono veramente tanti ad oggi i centri nei quali oltre all’area di sgambamento vi è la possibilità di fare diversi tipi di sport. Quali attività svolge l’Associazione ConFido di Viadana, di cui tu sei esponente di spicco? ConFido è nata come associazione di volontariato nel marzo del 2015 su iniziativa di 5 appassionati cinofili della zona di Viadana (MN) che insieme hanno dato vita a un luogo dove poter stare insieme, avere a disposizione l’area sgambamento e poter fare educazione di base. Nel corso di questi anni sono cambiate sicuramente molte cose, abbiamo fatto passi avanti e ottenuto tante soddisfazioni. Abbiamo promosso interventi di approccio al cane nelle scuole primarie, partecipato a eventi in piazza e collaborato in giornate organizzate con i cani in realtà aziendali locali. Ad oggi alcune realtà locali che credono nel nostro progetto, nelle nostre iniziative e ci sostengono ed aiutano sono: Conad Petstore, Geofarm, VarAuto, AAD arredaoreadomicilio, Spazi Più. Ad oggi a ConFido durante l’anno, siamo circa 80 tesserati, siamo all’interno della “Lavadera” a Cogozzo di Viadana e qui oltre che ad aree recintate dove poter liberare i cani in sicurezza si possono svolgere diverse attività: puppy class, socializzazione, educazione di base, obedience, rallyO, agility,IRO, K9 e (covid permettendo) grigliate tutti insieme!! Le attività che svolgiamo con l’aiuto di educatori cinofili e istruttori sono tante, ogni binomio può scegliere se fare o

Giuseppina con Brando

Liliana batte il 5 a Marek

meno agonismo, l’importante è sempre divertirsi e passare momenti di condivisione significativi con il nostro cane. Grazie Monica. Un in bocca al lupo a tutti voi.

Barbara in azione con Beacon..........................

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dall’8 Maggio Sirmione (Bs)

L’Evento

GLI SCATTI DEGLI ANGOLI PIù SUGGESTIVI DELLA PENISOLA TORNANO PROTAGONISTI DI PALAZZO CALLAS EXHIBITIONS

A CURA di M.T. SAN JUAN

U

OUVERTURE PREMIO SIRMIONE PER LA FOTOGRAFIA

na nuova mostra, un nuovo debutto. Tutto è pronto a Palazzo Callas Exhibitions di Sirmione per l’apertura di OUVERTURE, l’esposizione fotografica allestita dall’8 maggio al 18 luglio che racconta Sirmione e il lago di Garda attraverso gli scatti dei protagonisti dell’edizione 2020 del Premio Sirmione per la Fotografia. 108 fotografie selezionate con cura, che trasporteranno i visitatori in un viaggio alla scoperta degli angoli più suggestivi, degli scorci più caratteristici e dei dettagli più inaspettati di Sirmione e del lago di Garda. Un debutto dicevamo, che, dopo un forzato periodo “sospeso nel tempo”, porta con sé emozioni, eccitazione, entusiasmo e promesse. Ouverture è la mostra fotografica che annuncia l’apertura della stagione estiva di Sirmione e del lago di Garda e dà il via alle celebrazioni per il centenario di Maria Callas. È il preludio di un tempo denso di aspettative e speranza. Una grandiosa e promettente sinfonia di immagini. Che il futuro abbia inizio. “Rivedere Sirmione e il lago di Garda attraverso le bellissime immagini esposte a Palazzo Cal-las ci ha procurato un’emozione straordinaria – è il primo commento di Mauro Carrozza, vice-sindaco ed assessore al Turismo e alla Cultura – la stessa che senz’altro offriremo ai visitatori in procinto di arrivare. Apriamo così una nuova stagione, con l’ottimismo che caratterizza chi fa dell’accoglienza una vera e propria missione. E con un grazie immenso agli amici fotografi, che ci consentono di allestire ogni anno questa originale forma di benvenuto”.

DA SABATO 8 MAGGIO AL VIA LA NUOVA MOSTRA: 112 FOTOGRAFIE RACCONTANO SIRMIONE E IL LAGO DI GARDA

L’ALLESTIMENTO: ONDE E TRIDIMENSIONALITÀ L’allestimento della mostra è dinamico ed evoca il movimento sinuoso delle onde le lago. Le fotografie, tutte dello stesso formato 50x50, aprono scorci quasi a richiamare delle reali finestre affacciate su questo nuovo mondo. Gli scatti sulle pareti sono disposti secondo un ordine apparentemente casuale. Ogni immagine, montata su supporto di cartone di diversa profondità, crea un effetto di movimento che sembra uscire dalle pareti stesse donando una tridimensionalità unica e coinvolgente. Il visitatore entrando nella stanza percepisce l’irregolarità sul piano delle parete e, contemporaneamente, il movimento delle fotografie nello spazio, un chiaro richiamo al riecheggiare delle onde del lago. “Inserite singolarmente sui supporti, le fotografie ricordano tante finestre sul Lago: immagini ed emozioni che i fotografi hanno voluto raccontare secondo la loro sensibilità e diversa prospettiva. Il Premio Sirmione per la Fotografia si racconta in un’unica voce: le 108 fotografie dei 4 concorsi si mescolano le une con le altre per narrare, insieme,

una storia comune” così Mariangela Gavioli, ideatrice dell’allestimento di OUVERTURE.

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4 SCATTI ANCORA DA SCEGLIERE OVERTURE si completerà solo una volta terminata la Sirmione 10% Photo Marathon, la sfida a tempo che si terrà domenica 9 maggio a Sirmione. 60 minuti a disposizione, dalle 7:30 alle 8:30, per scattare e trovare l’immagine perfetta in grado di raccontare il tema di quest’anno, che verrà svelato solo qualche minuto prima dello start ufficiale. Tra gli scatti inviati, la giuria selezionerà le 4 fotografie vincitrici che andranno a completare l’allestimento di OUVERTURE portando così il numero totale di scatti protagonisti a 112. Orari e contatti Orario di apertura: tutti i giorni 10.30 – 12.30 e 16.30 – 19.00 Venerdì e sabato aperto fino alle 22.00. Chiuso il lunedì Ingresso gratuito su prenotazione Info e prenotazioni: cultura@sirmionebs.it – 030.9909184

n. 3 Maggio 2021


news

la società del servizio idrico integrato della provincia di Mantova

U

n nome nuovo, con radici solide. E’ AqA, il nuovo gestore del servizio idrico integrato di oltre 300mila abitanti in 40 comuni della provincia di Mantova. Il nome è legato alla risorsa più preziosa che la società produce, all’acqua. Si pronuncia A-q-A e si traduce in servizi di qualità, in investimenti per migliorare le reti e gli impianti del territorio, in una più attenta tutela del nostro prezioso e delicato ambiente. La Società fa parte del Gruppo Tea e nasce dalla fusione di Tea Acque e AqA Mantova, che aveva sede a Castiglione delle Stiviere. “E’ un progetto che parte da lontano - spiega Massimiliano Ghizzi presidente del Gruppo - in cui la fusione tra le due anime idriche di Tea ha l’obiettivo di ottimizzare l’organizzazione del servizio in sé, ma anche di compiere un lungo passo in avanti nella direzione del gestore unico provinciale, di cui AqA è società veicolo come definito dagli enti competenti”. Il management della società che servirà il 75% circa del territorio mantovano per i prossimi 16 anni è composto da Vinicio Fiorani e Giovanna Pesente, rispettivamente presidente e amministratore delegato di AqA. “Innovazione e sostenibilità - sottolinea Vinicio Fiorani - sono i valori sui quali la nuova realtà fonda la costruzione del proprio futuro al servizio dell’acqua e che trovano concreta applicazione nelle li-

a cura di Marco morelli

Da sinistra Giovanna Pesenti, Vinicio Fiorani e Massimiliano Ghizzi

nee di indirizzo del cospicuo piano di investimenti che, con il rinnovo della concessione, è stato raddoppiato e ammonta a 87 milioni di euro nel prossimo triennio, per superare i 300 milioni al 2037”. AqA gestirà il ciclo completo dell’acqua, dal prelievo alla depurazione, orientando la propria attività alla sostenibilità e all’innovazione. “Si apre una fase nuova e stimolante per la vita della società - commenta Giovanna Pesente - in cui tutti noi che raccogliamo la straordinaria eredità che ci viene affidata da Tea Acque in particolare dovremo impegnarci per dar vita a un soggetto imprenditoriale dinamico, sensibile alle necessità del territorio e capace di sviluppare progetti innovativi per garantire una risorsa di altissima qualità, nel pieno rispetto dell’ambiente”. Gli investimenti di AqA, attualmente partecipata al 14,08% dal socio privato ADC, il medesimo che era in Tea Acque, nel periodo 2020/2037 saranno di 300 milioni di euro. Riguarderanno il completamento della rete acquedottistica nei comuni che ne sono ancora privi e al potenziamento del rifornimento idrico da falda, per tutti gli schemi acquedottistici in gestione. Previsti, inoltre, rilevanti interventi sulla rete fognaria e sui depuratori, per migliorare il trattamento, l’efficientamento energetico e il sistema di telecontrollo e di automazione con il fine di razionalizzare il numero degli impianti

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SI PRONUNCIA A-q-A E SI TRADUCE IN SERVIZI DI QUALITÀ, IN INVESTIMENTI PER MIGLIORARE LE RETI E GLI IMPIANTI DEL TERRITORIO, IN UNA PIÙ ATTENTA TUTELA DEL NOSTRO PREZIOSO E DELICATO AMBIENTE

Fanno parte della squadra di AqA, 72 persone, che si occupano di monitorare, di controllare e di gestire i numerosi impianti e reti della società: 76 depuratori, 66 pozzi, 17 potabilizzatori, 1.601 chilometri di rete acquedottistica, 2.250 chilometri di rete fognaria, 380 impianti di sollevamento. Il tutto con oltre 12mila campioni d’acqua analizzati ogni anno e 114 punti di controllo sulla rete. Per scoprire tutto sulla nuova società: aqamantova.it

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ABITARE

TOTEM LIVING, MOBILI CHE SI FANNO PARETI Natural Skin, una delle innovative collezioni cucina di Minacciolo, si espande per essere adattata a qualsivoglia spazio abitativo. La linea dalle geometrie ben definite rende particolarmente facile la progettazione degli spazi della casa: grazie all’ampia gamma di elementi componibili ed adattabili su misura, sia in altezza, che in larghezza e profondità, la zona giorno può essere trattata come una location sezionabile in più aree. Un nuovo input per ridisegnare l’ambiente. Senza difficoltà si possono innalzare colonne che, complice la libera componibilità degli elementi danno vita ad infinite soluzioni e diventano monoliti accessibili da ogni lato, capaci di soddisfare specifiche esigenze d’uso e di valorizzazione degli spazi. Con l’aiuto dei moduli si riesce ad incontrare il bisogno di semplificare il vivere moderno, si rende possibile una grande flessibilità di assemblaggio che permette di creare composizioni utilizzabili per

di barbara gazzi

creare mobili personalizzati nei quali contenere dispense ed elettrodomestici e, allo stesso tempo, che fungono da elementi divisori tra gli spazi vivibili. All’interno di un unico blocco multifunzione si possono organizzare, così, diverse tipologie di cesti estraibili e di cesti girevoli, capaci di rispondere alle necessità di contenimento, veri e propri scrigni che organizzano e celano tutto l’occorrente. I monoliti Natural Skin, completamente neri al loro interno, possono essere composti esternamente da HDF, composto ligneo ad altissima densità, tinto in pasta, idrofugo ed ignifugo, elegante nella sua semplicità e disponibile in diverse colorazioni, oppure possono essere ricoperti con vari materiali come la pietra, il legno o vari tipi di tessuto. Nei totem possono addirittura essere integrati caminetti ad etanolo che si affacciano da entrambi i lati e zone tv che possono essere nascoste dai meccanismi automatici ad altissime prestazioni.

TENDENZE

MATCH E FLY ABBINAMENTO PERFETTO

CASA DINAMICA CON MASTER

MATCH, tavolo allungabile con struttura in legno e piano in vetro o ceramica. Il cuore del progetto di Match è l’incastro tra le sezioni ellittiche delle gambe e del traverso, dettaglio stilistico che ne esalta la qualità ebanistica artigianale. Il design si coniuga perfettamente con la tecnica. Il giunto infatti non risulta solo armonioso ed elegante, ma anche funzionale e solido quanto necessita un tavolo allungabile. Match, per le sue caratteristiche, è unico nel suo segmento commerciale ed è pensato per conferire personalità e un tocco deciso di design all’interno del contesto domestico. FLY, la collezione si compone di sedute a due altezze, sedia e sgabello, dedicate all’uso residenziale e contract con scocca in multistrato curvato e telai metallici. Dal punto di vista estetico, la sedia trova ispirazione nelle sedute della tradizione nordica, sia nelle forme pulite che nelle finiture naturali. La cifra stilistica è data soprattutto dal design dello schienale ampio e avvolgente che, oltre a conferire un grande comfort di seduta, ne ridefinisce le proporzioni generali rendendolo estremamente attuale. Lo schienale largo, inoltre, contribuisce a ridefinire i “connotati” morfologici della seduta che si colloca a metà strada fra la sedia e la poltroncina. I designer e l’azienda hanno ottenuto una forma molto ambiziosa e “plastica” in un unico pezzo di multistrato curvato. La scelta di mantenere visibile la vena del legno in senso orizzontale ha complicato ulteriormente la creazione del prodotto. Questo, infatti, da un lato esalta le linee curve e avvolgenti dello schienale, dall’altro rende ancora più delicato il processo produttivo, ma ne esalta la qualità di elaborazione ed esecuzione. In sostanza Fly è una sedia semplicema rivela la competenza e un processo di ricerca e innovazione da parte di Domitalia.

Dielle si fa interprete di un nuovo concetto grazie alle librerie modulari Master, un sistema che si adatta alle diverse zone della casa come l’area living, l’home office e la camera dei ragazzi. Le librerie Master a fianco portante sono caratterizzate da uno spessore importante - 35 mm - dei piani e dei fianchi. I caratteri distintivi come l’aspetto estetico, le dimensioni e le finiture rendono possibile una perfetta integrazione con gli altri sistemi Dielle. La libreria Master infatti, rappresenta una vera e propria fonte d’ispirazione per l’arredatore che può ripensare le diverse composizioni contrapponendo i piani irregolari delle librerie Snake, intersecare con profondità di volumi dei pensili Game, prolungare i piani con scrivanie e top degli stessi spessori e materiali, integrandone così i sistemi per l’arredamento della casa moderna e dinamica. Master è quindi una proposta che rappresenta infinite opportunità di progetto a misura di ogni ambiente. La qualità e il gusto raffinato delle finiture e dei laccati fanno sì che le soluzioni siano sempre versatili e funzionali.

LAMPADA WOOD DI SKITSCH Disegnata da Fernando e Humberto Campana, ricorda un albero con i suoi giochi d’ombra. Costituita da sottili listelli in teak, Wood, nell’intenzione dei designer, si erge come simbolo della necessità di riforestare l’Amazonia. I materiali per la lampada da terra o da tavolo con struttura in massello di teak e acciaio inox, cappello regolabile in 2 posizioni.

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WHITE SPACE CABINA DOCCIA La nuova cabina doccia White SPAce di Grandform è un’autentica oasi di relax da vivere comodamente a casa propria. La purezza del bianco si combina a incredibili funzioni terapeutiche, regalando momenti di puro piacere: la cromoterapia e il bagno turco sono ideali per rigenerare il fisico dopo una lunga giornata.

SISSY PELLET SEMPLICE ED ESSENZIALE Le stufe a legna di Sergio Leoni sfruttano il sistema di riscaldamento ad accumulo, senza dover essere murate a parete, diventano complementi di arredo, capaci di adattarsi sia ad ambienti contemporanei sia ad abitazioni di gusto più classico. Il riscaldamento a legna ad accumulo è un sistema naturale e sano, non sposta polveri e mantiene la giusta umidità nell’aria.

n. 3 Giugno-Luglio 2020


Dai nostri vigneti alla tua tavola, in un click. www.cantinabertagna.it

Da oggi basta un click per avere direttamente a casa tua i nostri vini. Visita il nostro nuovo sito o contattaci telefonicamente, potrai ordinare in modo semplice e conoscere le nostre produzioni, anche le più premiate come il Montevolpe Rosso 2014 che nel 2018 ha ricevuto le Quattro Viti, il riconoscimento di massima Eccellenza della Associazione Italiana Somelier.

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we want web

Alle volte basta poco per creare qualcosa di ecclatante come questo murales completamente composto da tappi di plastica. Se è vero che la plastica richiede molti anni per deteriorarsi, l’artista ha assicurato lunga vita alla propria opera.

di matteo zapparoli

www@mantovachiamagarda.it

Playa Roja, Panjin, China. La spiaggia rossa del fiume Liao, Panjin, in Cina, è una riserva per 236 specie di uccelli migratori sulla rotta tra Asia e Australia. Il colore rosso è dovuto alla Sargadilla, pianta che germoglia nei mesi di aprile e maggio, per raggiungere la massima intensità cromatica in autunno.

È di queste due sorridenti ragazze boliviane, un modello di braccio idraulico alimentato ad acqua e realizzato con materiale totalmente riciclabile. Riesce a simulare movimenti come sinistra, destra, su, giù, aprire e chiudere. Dunque la vera povertà quale è?

Le stupefacenti sculture che potete vedere con un viaggio non proprio dietro l’angolo. Ogni anno, nella città di Harbin in Cina, si tiene il Festival del Ghiaccio. Se siete veloci, potete arrivare prima del disgelo ;)

Nel caso in cui aveste molti dischi in vinile che non utilizzate più, potete prendere spunto da questi esempi e ricavarne altri oggetti. Ascolterete solo la vostra ispirazione artistica, a 33 o 45 giri.

Un orologio a muro che è l’emblema della sintesi estetica. Sempre su Amazon, potete trovare questo articolo orginale e adatto per loft iper moderni, con pochi elementi ma molto costosi. Se non avete un loft, accontentatevi; forse questo orologio sta bene anche in lavanderia, appena sopra la lavatrice, a fianco dell’armadietto.

Se avete scelto di passare ad una fiammante mountain bike ed appendere al chiodo la vostra vecchia bicicletta, appendetela al chiodo giusto; oppure utilizzatela in altri modi, seguendo questi esempi. Risparmiate denaro, fate una scelta con stile e... pedalare!

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Su Amazon potete trovare questo originalissimo portachiavi “Spina” con relativa presa a muro. L’unica raccomandazione; non sbagliatevi perchè mettere le chiavi nella presa sbagliata potrebbe essere un’esperienza elettrizzante.

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RATIO FAMIGLIA acquiSto di beni uSati quali garanzie? Il Codice del Consumo offre tutela anche in caso di acquisto di beni usati, attraverso due tipi di garanzia.La prima è la cosiddetta Garanzia legale, quella cioè garantita per legge e che ci tutela per 2 anni a decorrere dalla data di acquisto (o meglio di ricezione) del bene o del servizio. Tale garanzia è una sicurezza irrinunciabile della quale può essere variata la durata di validità solo se entrambe le parti, venditore e acquirente, sono d’accordo ma che non può per nessun motivo essere inferiore ad un anno. La seconda è detta

la miglior gestione dell’economia quotidiana

Garanzia convenzionale ed è da considerarsi ulteriore rispetto a quella legale. Ciò vuol dire che il venditore può offrire una garanzia convenzionale accanto, e non al posto di, quella legale.Nel caso l’acquirente ricevesse un bene viziato da difetto di conformità deve denunciare i vizio al venditore entro 2 mesi dalla scoperta. Nel caso di vizi occulti, quindi non visibili al momento dell’acquisto o che si manifestano solo al momento dell’utilizzo del bene, i 2 mesi decorrono dalla data della scoperta del vizio. In caso di vizi l’acquirente ha diritto ad essere rimborsato oppure di far sostituire o riparare (a spese del venditore) il prodotto acquistato. La garanzia non è dovuta se, al momento della conclusione del contratto di vendita, l’acquirente conosceva i vizi del prodotto e l’ha comunque acquistato oppure se i vizi erano evidenti o facilmente riconoscibili.

Social network e foto di minori La pubblicazione di fotografie di figli minori sui social network e in generale in internet non è libera come possiamo erroneamente pensare, esistono disposizioni di legge alle quali bisogna attenersi, che limitano tale possibilità. L’art. 10 del Codice Civile precisa che qualora l’immagine di una persona (o dei suoi genitori, del coniuge o dei figli) sia esposta o pubblicata senza consenso, l’autorità giudiziaria può ordinarne la rimozione. Inoltre l’art. 96 della legge sulla protezione del Diritto d’Autore stabilisce che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso dell’interessato, salvo casi specifici. Il consenso alla pubblicazione delle immagini relative ai minori deve essere prestato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale. Essa, secondo quanto disposto dall’art. 316 del Codice Civile, spetta ad entrambi i genitori e deve essere esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. Questo vale sia per le famiglie fondate sul matrimonio e sia nel caso i genitori non siano sposati o siano separati.

documenti e riceVute quanto dobbiamo conSerVarli? Scontrini, ricevute, bollette e fatture sono sempre in aumento. Nonostante la voglia di disfarcene dobbiamo fare attenzione perchè le amministrazioni e il Fisco potrebbero richiederle come giustificativo, inoltre molte di esse potrebbero servirci sia per la dichiarazione dei redditi sia in caso di contenzioso. Ogni documento ha una propria data di scadenza: bollette domestiche (acqua, gas, luce, telefono fisso), affitti e spese condominiali 5 anni. Giustificativi delle spese da detrarre (parcelle mediche, ristrutturazioni della casa, ecc.) 5 anni. Tassa di circolazione (bollo auto) 3 anni (consigliabile 5 anni); estratti conto, mutui e bollette del cellulare 10 anni. Abbiamo poi: multe (ricevuta di pagamento) 5 anni, assicurazioni (quietanze polizze) 1 anno dalla scadenza salvo diversi tempi previsti dal contratto, 5 anni se usate a fini fiscali detraibili. Scontrini d’acquisto 2 anni che coincidono con

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la durata ufficiale della garanzia salvo prolungamento specifico e 5 anni se usati ai fini fiscali. Rette scolastiche e iscrizioni a corsi sportivi 1 anno oppure 5 anni se usate a fini fiscali detraibili. Parcelle di professionisti (avvocati, commercialisti, ecc.) e artigiani (idraulici, elettricisti, ecc.) 3 anni oppure 5 anni se usate a fini fiscali.

lavorare in forma autonoma

come aprire la partita iVa L’apertura di Partita Iva è immediata sia presso gli uffici sia attraverso i canali telematici. Caratteristica peculiare è lo svolgimento in forma autonoma, sia professionale che imprenditoriale, di un’attività economica. Da un punto di vista fiscale la tassazione Irpef funziona allo stesso modo e con le stesse aliquote sia per un dipendente sia per un lavoratore autonomo, con l’unica eccezione se si opta per l’adozione di

regimi fiscali agevolati. Il vero elemento discriminante è la previdenza, che risulta totalmente a carico del lavoratore. Costi: vi sono degli obblighi di tenuta e registrazione contabile a cui si affiancano numerose scadenze infrannuali. I costi variano in funzione del volume di lavoro che necessita la gestione e che sono una diretta conseguenza della tipologia dell’attività svolta e delle caratteristiche in quanto a seconda del regime fiscale prescelto, del volume d’affari, della presenza di operazioni con l’estero o di particolari regimi speciali Iva si può registrare un maggiore o minore impegno di un consulente. In linea teorica è possibile gestire da soli la Partita Iva, tuttavia si deve fare i conti con la rapidità con cui le normative cambiano e si evolvono, per le quali occorre uno studio e aggiornamento costante. Pagina realizzata in collaborazione con Centro Studi Castelli. Per abbonarsi a Ratio Famiglia: tel. 0376.775130 ; www.ratiofamiglia.it ; servizioclienti@ratiofamiglia.it

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TruviviTY BY nuTriliTe

di AleSSAndrA FuSÉ

l’amiCo della pelle

Maschere viso e cura delle Mani

Clarins,

Colorito radioso

Truvivity by Nutrilite è il nuovo brand dedicato al trattamento della pelle dal suo interno, nato dall’unione delle competenze di Amway in ambito nutrizione e cosmetica, e, in particolare, dalla sinergia tra NUTRILITE, marca numero uno al mondo nella vendita di vitamine e integratori alimentari, e ARTISTRY, uno dei cinque marchi più venduti nel segmento dei prodotti skin-care di prestigio. Truvivity by Nutrilite segna un nuovo approccio al trattamento della pelle attraverso l’integrazione alimentare: grazie ai complessi PhytoInfuse e PhytoCeramide, a base di estratti vegetali e grano, i prodotti di questa nuova linea distribuita in esclusiva da Amway agiscono dall’interno, per una bellezza ancora più profonda.

Masque Multi-Régénérant di Clarins è una maschera viso che permette di ritrovare un colorito radioso e di sentirsi nuovamente bene nella propria pelle: levigata e riposata, visibilmente ringiovanita. Proprio come dopo un week-end di riposo! La maschera associa un’azione levigante sulle rughe da stress: un’inedita texture color malva, incredibilmente sensoriale. L’estratto di seme di acerola: favorisce l’ossigenazione cellulare ravvivando lo splendore del colorito. Crème Mains, sempre di Clarins, contribuisce a nutrire e levigare la struttura delle unghie, rinforzandone la resistenza e restituisce alle mani il tocco levigato e “pieno” di una pelle più giovane e tonica.

& acqua graTinica

Fleur

de roCher Il principio attivo principale di Aqua Infini di Galénic è il Fleur de Rocher, che non muore mai; vive nel deserto messicano del Chihuahua e si accontenta della rugiada del mattino per sopravvivere alle temperature desertiche. Questa pianta della risurrezione ha il potere di preservare l’acqua all’interno delle sue cellule, grazie a delle proteine-spugna. Pureté Sublime è invece un fluido opacizzante, che lascia sulla pelle un velo polveroso, dalle note verdi acidule sottolineate da un bouquet floreale delicato di fiori d’arancio e gelsomino, il principio attivo è l’acqua granitica dei Pirenei.

acqua TerMale

levigare

e detergere PhysioLift occhi di Avène contiene AscofillinaTM, Mono-Oligomeri di Acido ialuronico e Retinaldeide , ingredienti che riempiono le rughe e distendono la pelle del contorno occhi: la pelle è ricaricata in Collagene e Acido ialuronico; il Solfato di destrano attenua le borse e le occhiaie persistenti e l’acqua termale d’Avène risulta lenitiva ed addolcente. La piacevole consistenza “patch” originale libera i principi attivi in modo mirato durante la notte. Senza profumo. Per detergere il corpo: Gel Douche douceur di Avène; la sua base detergente molto delicata (a pH fisiologico) deterge senza aggredire anche le pelli più delicate mentre i suoi agenti idratanti e nutritivi di origine vegetale apportano comfort e morbidezza alla pelle. La sua morbida schiuma e il suo delicato profumo rendono la doccia o il bagno un momento di vero piacere. Senza sapone, senza coloranti, senza parabeni.

Salute & Bellezza aquaPoWer

bellezza

al masChile

Quando nel 2002 è arrivata per la prima volta nei negozi, l’innovativa consistenza del gel leggero di Aquapower, ideata per fornire un’idratazione quotidiana, ha rappresentato una grande novità per i trattamenti della pelle maschile. In questi 14 anni, con oltre 4 confezioni vendute al minuto, Aquapower Gel rimane l’idratante Biotherm Homme più venduto al mondo. Con Aquapower gli uomini scoprono una freschezza idratante che dura tutto il giorno rimanendo impalpabile. L’originaria formula oligotermale, una combinazione di aminoacidi idratanti e rivitalizzanti, vitamine E, C e B5 potenziate, dal Life PlanktonTM, resta immutata. Aquapower rinfresca la pelle: 48 ore dopo, la pelle è ancora più idratata.

inTervisTa al doTT. luca PireTTa

mamme

e alimentazione la colaZione ideale dei BaMBini

Un’indagine realizzata dall’Osservatorio Doxa – AIDEPI “Io comincio bene”, alla vigilia della riapertura delle scuole, ha indagato quanto ne sanno le mamme sulla prima colazione e cosa mangiano i loro bambini. Ecco alcuni dati: mamme “rimandate” su calorie e nutrienti, ma solo 1 su 4 ammette che dovrebbe/vorrebbe saperne di più. Gli errori delle mamme sulla colazione: sottostimano la quantità di calorie necessarie perché sia adeguata alle necessità del proprio bambino. Ce ne parla Luca Piretta, nutrizionista gastroenterologo e docente dell’Università Campus BioMedico di Roma: “I bambini italiani

prima di andare a scuola fanno colazione quasi tutti i giorni (93% tutti i giorni, 6% 3-4 volte a settimana). Noi medici lo ripetiamo da anni: prima di andare a scuola non si dovrebbe mai saltare la colazione o farla in maniera insufficiente o inadeguata. Che le mamme italiane abbiano recepito il messaggio è un buon inizio. Il mix corretto a colazione è dato da cereali, come pane, fette biscottate, biscotti o cereali da prima colazione, che apportano zuccheri a lento rilascio e danno energia per tutta la mattina. Non va trascurata, poi, la presenza del latte o suoi derivati, perché apportano la quota

di proteine e grassi utili a stimolare il senso di sazietà in quantità tutto sommato contenute, e contengono buone quantità di calcio e fosforo molto biodisponibili. Per finire un frutto o una spremuta: apportano fibre, sali minerali, vitamine, polifenoli, come antiossidanti e acqua. Un menù intorno alle 400 kcal, indicato per un bambino di 6-10 anni, può essere composto da una tazza di latte parzialmente scremato da 150 cc (o uno yogurt alla frutta senza zucchero), una fetta di pane tostato con marmellata o miele, due biscotti con cereali e una spremuta d’arancio o un kiwi.


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INTERVISTE SPECIALI

ANDREA ANTONELLI FA LUCE SU UNO DEI GRAVI PROBLEMI CHE COLPISCONO L’OPINIONE PUBBLICA MA LASCIA INDIFFERENTE LA POLITICA

Vi racconto la vita con mio figlio affetto da autismo

di Luca La Gamma (tratto da Frontiere News - www.frontierenews.it)

L’

omicidio-suicidio di Castello di Godego, in provincia di Treviso, dove un padre ha ucciso il figlio autistico di due anni e poi si è tolto la vita, ha colpito l’opinione pubblica, ma lasciato indifferente la politica. Quando accadono queste tragedie non ci si sofferma mai abbastanza a cercare di capire come prevenirle. Eppure gli strumenti per accompagnare le famiglie in un percorso di accettazione ci sarebbero, ma troppo spesso rimangono nascosti o si perdono nella burocrazia. Ne parliamo con Andrea Antonelli, papà di Daniele, e con la dott.ssa Alessandra Gasperini, psicologa e psicoterapeuta. “Quando si sfocia in queste tragedie”, spiega Antonelli, “l’opinione pubblica parla di ‘papà provato dalle difficoltà’. In realtà è provato dalla mancanza di sostegno“. In Italia 4,1 milioni di individui soffrono gravi limitazioni nella vita quotidiana a causa di problemi di salute (dati Censis 2019). Persone con disabilità, in una delle sue tante e singola-

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ri espressioni. Sono il 6,7% della popolazione, e troppo spesso le famiglie di questi individui vengono abbandonate al loro destino, senza la possibilità di fare un percorso per accettare la disabilità. Ho deciso di approfondire questa tematica dopo il dramma di Godego, dove il 43enne Egidio Battaglia, papà di Massimiliano, sfinito e provato dalla realtà ha deciso di compiere un gesto estremo – che non riesco neanche ad immaginare mentre scrivo questo articolo –, quello di togliere la vita al figlio e poi toglierla a sé stesso. L’ho fatto chiedendo aiuto ad Alessandra Gasperini, psicologa e psicoterapeuta e ad Andrea Antonelli, operatore educativo per l’autonomia (OEPA), coach di basket e promotore del basket per ragazzi affetti da disabilità. Ma soprattutto è papà di Daniele e da 24 anni vive la realtà dell’autismo insieme a sua moglie Emanuela. Conosco personalmente Andrea da un po’ di tempo, e conosco e voglio molto bene a suo figlio Daniele. A colpirmi è stato un suo post di sfogo su Facebook, dove denunciava l’assenza di sostegno psicologico nei confronti delle famiglie che apprendono di avere un figlio disabile. “Quando si affronta una diagnosi di una malattia che prevede il coinvolgimento di tutto il sistema familiare – commenta la dottoressa Gasperini – è necessario che ci sia un intervento di supporto che non sia solamente verso il singolo, ma che chiami in causa tutti i membri dello stesso sistema di appartenenza. La diagnosi che coinvolge il singolo è una diagnosi che si estende e inevitabilmente coinvolge tutto il nucleo familiare. Deve essere pensato, in situazioni di questo tipo, un intervento che possa offrire delle risorse al soggetto affetto dal disturbo e ai suoi familiari. La situazione ideale sarebbe un supporto per il bambino, ma anche uno per i genitori e uno per l’interno nucleo familiare”. Ho provato, quindi, ad approfondire e raccontare come cambia la vita di un papà quando apprende che il figlio ha un problema di disabilità, in questo caso legato all’autismo. Ho provato a farmi raccontare tutti gli aspetti legati alla vita, dall’accettazione alla reazione pratica. Cosa significa avere un figlio autistico, come si ripensa e si riorganizza la vita, con un importante focus su tutti quegli aspetti, assistenziali, sanitari ed economici, cui va incontro una famiglia quando

Riuscire a diagnosticare il problema rapidamente solleva i genitori da preoccupazioni che si radicano per anni

si vede costretta a riorganizzare il suo assetto. “I fattori che hanno una rilevanza determinante rispetto a questo tema sono molteplici”, prosegue la dottoressa Gasperini. “Dalla tempestività e l’efficacia della comunicazione della diagnosi, alla possibilità di offrire degli strumenti facilmente utilizzabili. La tempestività della diagnosi del disturbo dello spettro autistico dovrebbe avvenire entro i 36 mesi di vita del bambino e avviene quando i genitori hanno già cominciato ad osservare una serie di problematiche. L’iter che si segue è quello di fare degli accertamenti per avere una diagnosi, questo provoca tantissimo stress ai genitori, che si trovano ad affrontare una situazione di impotenza. È l’impotenza che genera vissuti successivi. Si consideri che per avere una diagnosi ufficiale ci vogliono all’incirca tre anni; il genitore passa da una serie di osservazioni sul figlio che generano sentimenti di ansia, preoccupazione e angoscia, a pensieri che generano il timore che si stia perdendo tempo. Riuscire a diagnosticare il problema rapidamente solleva i genitori da preoccupazioni che si radicano per anni. Quando si comunica a un genitore la diagnosi di autismo, le reazioni in genere sono due: shock o sollievo. Sollievo perché finalmente rispetto a un’osservazione di tante cose che non vanno, uno specialista riesce a mettere ordine. L’accettazione della diagnosi è più facile se chi la comunica lo fa comprendendo ed empatizzando con i genitori”. Ho iniziato la mia conversazione con Andrea sulla base di questi concetti espressi dalla dottoressa Gasperini. Andrea, partiamo dal fatto di cronaca: a Godego un padre ha ucciso il figlio disabile di due anni e si è tolto la vita. Tu, molto attento e sensibile alla questione disabilità, sei inter-

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PRIMA E DOPO L’ACCETTAZIONE

venuto sui social denunciando l’assenza delle istituzioni nei confronti delle famiglie con disabili. Vuoi spiegarci il tuo pensiero? Avendo un figlio affetto da autismo, sono rimasto molto colpito da questa storia e la prima reazione è stato scrivere un post di sfogo. La mia è rabbia, non stupore. Daniele, mio figlio, ha 24 anni e io da 24 anni sento storie come quella di Godego. Purtroppo ciclicamente si assiste ad una di queste tragedie, non è un evento raro. Questo tipo di eventi drammatici non riguardano solo i bambini, ma anche gli adulti con genitori anziani. L’omicidio di ragazzi o adulti disabili è figlio di un mancato sostegno psicologico per le famiglie che vengono colpite da una diagnosi come quella dell’autismo. Nei primi anni di vita di un bambino, se autistico, capita che una coppia di genitori decida di rivolgersi a un neuropsichiatra per fare accertamenti e che, dopo visite approfondite, questi comunichi che il bambino deve svolgere un percorso riabilitativo. Ma nessuno ti parla di una cosa importante: l’accettazione di questo problema, che per le famiglie diventa rinunciare a un sogno che si era custodito durante tutta la gravidanza e nei primi mesi di vita del bambino. È qui che si verifica un primo grande ostacolo, ossia la mancanza di sostegno psicologico e di una guida per aiutare i genitori a districarsi nella burocrazia, per fare richieste di visite specialistiche, domande di invalidità e soprattutto un percorso riabilitativo. Le ASL e i comuni non sono in grado di garantire sufficiente assistenza. Quando si sfocia in queste tragedie, l’opinione pubblica parla di “papà provato dalle difficoltà”, ma il papà è stato soprattutto provato dalla mancanza di sostegno. Non siamo tutti pronti davanti a una cosa del genere. Faccio spesso questo esempio: quando ci sono catastrofi naturali viene inviata la protezione civile e un’unità di psicologi sul luogo colpito per sostenere la popolazione in un momento critico. Mi domando perché non è previsto un servizio di sostegno

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L’omicidio di ragazzi o adulti disabili è figlio di un mancato sostegno psicologico per le famiglie che vengono colpite da una diagnosi come quella dell’autismo

psicologico alle famiglie appena ricevono questa diagnosi. Perché non esiste un assistente sociale che guidi i genitori nel percorso? Ti lasciano in balia delle onde, sei in mezzo a una tempesta e se non sai districarti, inevitabilmente finisce in tragedia. Sul discorso dell’anzianità, ad esempio, quando hai un figlio grande e devi fare i conti con l’età che avanza, chi ti aiuta? Nessuno ti rassicura. Ciclicamente accadono queste tragedie, l’opinione pubblica con una lavata di coscienza pone l’attenzione a questi aspetti, ma nessuna istituzione ha mai realmente preso in considerazione il problema. Interviene la dott.ssa Gasperini. “È corretto richiedere supporto psicologico, perché quando si immagina una gravidanza, si crea uno spazio dove entrambi i genitori collocano delle fantasie relative al figlio ‘ideale’. Una comunicazione di questo tipo, come racconta Andrea, genera nei genitori un sentimento simile a quello del lutto, della perdita, perché quelle fantasie custodite per mesi, non possono essere soddisfatte. Un essere umano, quando si prepara a diventare genitore, comincia già a immaginare una serie di preoccupazioni legate al figlio, che aumentano in modo esponenziale quando viene diagnosticato il disturbo dello spettro autistico.”

Ci racconti una giornata tipo con tuo figlio Daniele? Fin qui ho vissuto due “giornate tipo”: una preaccettazione e una post-accettazione. Quella pre-accettazione era tutta incentrata sul cercare di recuperare il terreno perso e provare a favorire Daniele nell’acquisizione delle funzioni di base, dall’autonomia nel mangiare da solo a lavarsi i denti e vestirsi. Questi bambini non imparano per imitazione come i normodotati, avendo un deficit grave dell’attenzione non imparano per ripetizione. In alcuni casi non imparano proprio avendo difficoltà di displasia motoria. Durante la prima fase della vita la giornata tipo era quella di svegliarsi, prepararlo per la scuola, fargli fare colazione, lavarlo e vestirlo. Poi c’era il momento della scuola, il pranzo e dopo pranzo si andava all’associazione di riferimento per fare terapia. Percorrevamo chilometri su chilometri per fare terapia psicologica o comportamentale, oltre alle visite mediche. Era tutto incentrato sull’autismo. Le nostre uscite quotidiane erano rivolte a sostenere Daniele, potrei definire quel periodo di vita come una vita autistica. Grosse possibilità di socializzazione per noi non ce n’erano. Durante la scuola materna e la scuola elementare il bambino non interagiva con i coetanei, quindi non partecipavamo alle feste e avevamo difficoltà a socializzare. Mandato giù questo boccone, abbiamo ripreso in mano la nostra vita. Io personalmente ho ripreso ad allenare, prima i ragazzi disabili e poi anche i ragazzi normodotati. Abbiamo sdoganato la disabilità di Daniele e l’abbiamo condivisa con tutte le persone che abbiamo intorno, scoprendo un mondo nuovo. Daniele, oggi, è accettato ovunque, non abbiamo quasi mai riscontrato problemi nel portarlo in qualsiasi posto. È anche vero che noi siamo stati molto testardi; i primi tempi Daniele non aveva piacere a frequentare posti, ma poi col tempo si è adattato e arricchito, come si sono arricchite le persone che sono entrate in contatto con lui. Persone che prima avevano timore dell’autismo e poi si sono aperte. Anche su questo aspetto potremmo parlare di “un prima e un dopo”. “A questo proposito”, prosegue la psicoterapeuta, “oltre al supporto delle istituzioni – quali sistema sanitario e scolastico – è fondamentale che la famiglia possa contare anche sul supporto della propria rete sociale (amici e familiari). In questo modo, ci si sente meno soli e soprattutto si sente di poter contare su qualcuno e chiedere aiuto”. Come è cambiata la tua vita da quando hai scoperto la disabilità di Daniele? La vita è cambiata al 200%, non al 100%. Il sentore che ci fosse qualcosa che non andasse lo avevamo. Abbiamo aspettato, ma quando c’è stata la diagnosi che ha confermato i nostri dubbi, la nostra vita è completamente cambiata. Abbiamo smesso di vivere una vita normale, era diventato impossibile anche andare a fare la spesa, portarlo a comprare le scarpe o dal barbiere, andare al cinema per vedere un film. Siamo stati male per parecchio tempo. Per fortuna poi abbiamo trovato un’associazione che ci ha accompagnato per dieci anni e ci ha insegnato ad interagire con Daniele. Siamo riusciti a trovare la maniera per poter tornare a fare tutto. Abbiamo vissuto un periodo buio che è durato almeno tre o quattro anni, periodo in cui alternavamo sempre la terapia comportamentale e tutto ciò che concerneva la parte medica al percorso psicologico di accettazione da parte della famiglia, aspetto che ci tengo a sottolineare essere fondamentale. Dopo i primi anni di vita di Daniele, siamo riusciti ad accettare il fatto di aver avuto un problema che si è rivelato in seguito una crescita

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grandissima per tutti noi e abbiamo potuto riappropriarci della nostra vita, in maniera diversa, ma più consapevole. Il divertimento e quello che si può raccogliere frequentando dei posti per disabili, Sei molto attivo nelle scuole e nella pallacanestro. Hai letteralmente stravolto la tua vita da quando è arrivato Daniele e oggi sei a Roma uno dei promotori del basket per ragazzi affetti da disabilità. Ci racconti questa tua doppia vita? Sono nel mondo del basket da quando ho memoria. Purtroppo anche la pallacanestro, quando abbiamo scoperto il problema di Daniele, è finita in secondo piano. Un giorno Emanuela mi ha fatto leggere un articolo che parlava di coach Marco Calamai, allenatore che a Bologna praticava basket con bambini autistici. Decisi di andare a Bologna per vedere con i miei occhi cosa facesse Marco. Quindi mi feci coraggio e iniziai a replicare il suo metodo a Roma. Le attività che fanno i bambini autistici a tavolino prevedono delle ripetizioni di riconoscimento, di appaiamento e così via. Ho immaginato che queste ripetizioni, facendole con la palla,

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nessuno ti parla di una cosa importante: l’accettazione di questo problema, che per le famiglie diventa rinunciare a un sogno che si era custodito durante tutta la gravidanza e nei primi mesi di vita del bambino. potessero essere utili per uno sviluppo migliore dell’attenzione e della concentrazione. Unire divertimento e attività fisica è stata una novità che all’inizio mi ha messo alla prova. Ma piano piano mi ha dato tantissime soddisfazioni, perché sono riuscito a comprendere ancora meglio come funziona un soggetto autistico. Ho capito che non è vero che non capiscono cosa gli accade intorno o non comprendono ciò che gli viene detto. Lo decifrano semplicemente in maniera diversa e non sono in grado di poter dare il giusto feedback allo stimolo ricevuto. Ma se sono motivati e si accorgono che la persona che hanno accanto crede in loro, raggiun-

gono dei miglioramenti inaspettati. Anche con il basket per autistici ho avuto grandissime soddisfazioni. Da quando ho iniziato non l’ho mai abbandonato, pur modificandolo man mano che Daniele cresceva. In questo momento, covid a parte, abbiamo un gruppo di uomini e donne adulti con disabilità psichica e motoria. Anche quello fa parte dell’evoluzione dell’accettazione, riuscire a trasformare qualcosa di negativo in qualcosa di positivo. SCUOLA E AUTISMO Rimanendo nell’ambito della formazione, i dati Istat raccontano che nell’anno scolastico 2019-2020 è aumentato il numero di alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane (+13 mila, il 3,5% degli iscritti). Sono quasi 300mila gli alunni con disabilità in Italia. In crescita anche il numero di insegnanti per il sostegno, con un rapporto alunno-insegnante migliore delle previsioni di legge, ma il 37% non ha una formazione specifica. Che realtà si vive nelle scuole italiane, secondo la tua esperienza? A mio avviso è una realtà positiva. Gli insegnanti di sostegno ci sono e sono validi, ma è impossibile pensare di avere una preparazione specifica su ogni tipo di disabilità. Una disabilità come l’autismo è difficile da trattare. Chi può essere preparato ad una cosa del genere se non ha esperienza sul campo o non ha studiato per risolvere questi problemi? Una cosa importante che non può mancare tra gli insegnanti di sostegno e gli operatori OEPA è l’empatia, l’intelligenza emotiva. Bisogna riuscire ad aprire una breccia e conquistarsi la fiducia del bambino o del ragazzo, ancora più che sapere i fondamenti del disturbo. Poi è necessario conoscere il tipo di lavoro da svolgere, non utilizzare solo il metodo empirico ma fondarsi su un metodo scientifico ed elaborato. La conditio sine qua non è l’empatia, l’interesse e la vocazione per lavorare in questo campo. Nella scuola gli strumenti ci sono già tutti, esistono il PEI (Progetto educativo individualizzato) e il GLH (Gruppo di lavoro handicap) che collega tutte le figure che interagiscono nella vita del bambino. Bisogna però farli funzionare bene. Serve una sinergia tra la famiglia, la scuola e la struttura che segue il bambino dal punto di vista

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INTERVISTE SPECIALI

riabilitativo. Se tutto questo funziona, ogni cosa diventa più semplice. Le leggi, a mio avviso, ci sono. Bisogna avere la volontà di farle funzionare. La scuola deve essere più pronta ed accogliente per questi bambini, bisogna prevedere spazi comuni nei quali i bambini imparino ad interagire con i loro compagni. La base c’è, il problema – ribadisco – è far funzionare tutto quanto. E poi c’è la figura dell’assistente educativo e culturale (AEC) troppo poco conosciuta e spesso non sufficientemente qualificata. A che punto è in Italia il processo di riconoscimento di questa figura, che si occupa di sostenere e promuovere l’autonomia dell’alunno, facilitarne il processo di integrazione e comunicazione in classe e rendergli accessibili le attività scolastiche? Io sono un AEC, oggi definito OEPA (operatore educativo per l’autonomia). È stata sempre una figura un po’ maltrattata all’interno della scuola. Non abbiamo mai avuto un riconoscimento formale, soprattutto da parte degli insegnanti. Bisogna sempre avere presente che è la maestra di sostegno quella che elabora il PEI; o si ha la fortuna di collaborare con una maestra che ti rende partecipe dei programmi che vuole attuare, o bisogna lavorare per conquistare la fiducia di questa persona e poi lavorare a quattro mani. È una cosa complicata, ma se si mettono passione, entusiasmo e competenza nelle cose (e queste vengono riconosciute) il rapporto solitamente è molto fattivo e collaborativo. Io mi ritengo molto soddisfatto del mio lavoro. Vado volentieri a scuola e mi godo i progressi dei ragazzi che mi sono stati affidati. I dati Istat nel biennio 2019-2020 raccontano anche di una scarsa presenza di assistenti all’autonomia e alla comunicazione nel Mezzogiorno, dove il rapporto alunno/assistente è di 1 a 5,5; oltre 1 a 11 in Campania e in Molise. Il Ministero dell’Istruzione come dovrebbe intervenire per garantire maggiore assistenza ai disabili nelle scuole di provincia? Come ti ho detto, per la scuola le leggi esistono. Bisogna farle funzionare. Io credo che le leggi riguardo l’assistenza siano ottime. Il problema è destinare bene i fondi, non tagliare sul sociale. La cosa che mi indigna di più è questa mentalità secondo cui per recuperare soldi bisogna sempre tagliare sul sociale. Tante volte ho sentito dire che il sociale è un settore in perdita perché non c’è possibilità di auto finanziamenti. Penso che si sappia che i fondi nel sociale sono a fondo perduto, ma vanno destinati bene e tu-

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telati. Mi domando, chi è genitore di un ragazzo autistico in provincia, al sud, che fa? Anche lì bisognerebbe iniziare a pensare a come impiegare bene questi fondi. ASSISTENZA SANITARIA E PREVIDENZA Parlando di disabilità e assistenzialismo sanitario, mi ha colpito molto un tuo post in cui denunciavi l’impossibilità di far fare una panoramica delle arcate dentarie a Daniele, se non a pagamento. Tocchi un tasto dolente. A prescindere dall’avere un servizio di neuropsichiatria infantile in cui manca totalmente l’assistenza psicologica alle famiglie, addirittura non c’è la possibilità di far seguire pubblicamente e con poche spese i propri figli! Bisogna ricorrere al privato perché il Servizio Sanitario Nazionale dal punto di vista riabilitativo è imbarazzante. Non fosse sufficiente, al compimento della maggiore età i nostri figli non possono più rivolgersi al servizio territoriale di base – quello della neuropsichiatria infantile per intenderci – perché non sono più bambini. Non hanno più punto certo dove poter richiedere esami e fare visite di controllo. Questo è un problema molto grave. Un banale raffreddore che si tramuta in una bronchite, in un ospedale non sanno come gestirlo perché non sanno come gestire tuo figlio. Non esistono strutture ricettive dove puoi chiedere l’assistenza di uno specialista. Bisogna sempre rivivere questo peso di essere guardato come un alieno. Se devi curare occhi, orecchie e denti, entriamo in un discorso spinoso perché bisogna applicare una sedazione: è impossibile convincere un ragazzo autistico a farsi visitare. Diventi una palla da ping-pong perché nessuno ti accoglie e nessuno sembra in grado di poterti aiutare. Mi arrabbio perché poi mi viene risposto che ‘è una cosa rara’ e non sanno come gestirla. Vieni abbandonato a te stesso se non sai importi. Devi essere pronto a fare rumore; spesso mi sono trovato in situazioni in cui hanno dovuto chiamare i vigili urbani per farmi desistere. I dati INAIL raccontano che i disabili titolari di una rendita sono 565.924. Ci aiuti a capire criteri e modalità per ricevere un sussidio economico in favore dei disabili? A causa di lungaggini, burocrazia e illeciti che vengono commessi per cercare di non aiutare le famiglie e tenere nascosti i diritti dei ragazzi disabili ad accedere ai rimborsi per le terapie sostenute, è difficile e diventa quasi un lavoro. Bi-

lungaggini, burocrazia e illeciti vengono commessi per cercare di non aiutare le famiglie e tenere nascosti i diritti dei ragazzi disabili ad accedere ai rimborsi per le terapie sostenute sogna quasi studiare per riuscire a districarsi in questo ginepraio. A casa mia se ne occupa mia moglie e se non fosse per lei non avremmo nulla. Ma lei passa tante ore al pc, si aggiorna, si informa e studia per ottenere ciò che spetta a Daniele di diritto. L’iter burocratico è tremendo, ti sfinisce. Vengono richiesti certificati e documentazione infinita. In ogni comune o circoscrizione dovrebbe esserci uno sportello d’ascolto con una persona specializzata che aiuti queste famiglie già provate e sfiduciate a causa degli iter burocratici. Ci sono liste di attesa di famiglie lunghissime per ottenere solo l’aggravamento della posizione dei bambini. Famiglie che spendono un sacco di soldi per far seguire privatamente i bambini. Ci sono cose che non si spiegano: perché, mi domando, bisogna risparmiare sulla pelle dei bambini disabili e non sugli stipendi dei deputati? L’assistenza domiciliare funziona? Qual è l’iter da seguire per attivare servizi di questo tipo? Riscontri criticità? L’assistenza domiciliare è una conseguenza del riconoscimento dell’invalidità civile e della legge 104, art. 3 comm. 3. Deve esserti riconosciuta come diritto da parte del neuropsichiatra, poi bisogna andare al comune di appartenenza, parlare con l’assistente sociale e sperare che ci siano ore disponibili, che sono sempre troppe poche. Arriva un assistente in casa che cerca di entrare in relazione con tuo figlio. La maggior parte delle volte l’esito è positivo, ma questo non è un percorso riabilitativo. Con l’assistente sociale i ragazzi fanno passeggiate, giochi, ma l’assistenza domiciliare è piena di criticità. È sempre difficile ottenerla, perché le domande sono tante e il personale scarseggia. Ogni anno il bilancio dei comuni viene tagliato e quindi aumentano i restringimenti. Ci sono tante criticità, servono spalle larghe e perseveranza per ottenere diritti. Non è semplice neanche fare domanda di disabilità, ci sono tanti cavilli che possono cambiare la possibilità di avere il diritto ad ottenere qualcosa. È molto complicato. Su questo punto ho chiesto un parere alla dottoressa Gasperini. “Credo”, chiosa Gasperini, “che l’assistenza domiciliare, esattamente come racconta Andrea, ha un aspetto che offre una prospettiva differente. Oltre ad offrire un aiuto diretto al bambino, l’assistenza domiciliare offre anche un’assistenza alla famiglia, perché consente ai genitori di crearsi uno spazio di libertà dalla quotidianità. È importante investire sulla presenza e formazione dell’assistente domiciliare, che deve essere una figura altamente qualificata. Consentire ai genitori di avere tempo per sé stessi, è fonte di benessere per l’intera famiglia”. Il governo Draghi ha istituito il Ministero per le Disabilità. Ti aspetti un cambiamento d’impatto nei prossimi mesi? Ti dico la verità: io rimango vigile, alla finestra. Al momento voglio dare un 3% di parere favorevole al fatto che si riuscirà a fare qualcosa con questo Ministero, ma per il 97% penso che sia fumo negli occhi. È come al solito propaganda, qualcosa da sbandierare. Di fattivo non c’è nulla, il nulla più totale. Sono convinto di questo. Ne parlano perché c’è un esercito di voti da prendere cavalcando quest’onda, ma sono tutte promesse al vento che temo non verranno soddisfatte. INFO: WWW.FRONTIERENEWS.IT

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speciale salute

franco leoni MASCHERINE FFP2 E CERTIFICAZIONE CE

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LA SITUAZIONE È MIGLIORATA RISPETTO AD APRILE-MAGGIO 2020 QUANDO QUASI TUTTE LE MASCHERINE FFP2 AVEVANO DELLE IRREGOLARITÀ

ecentemente sono apparse notizie allarmanti sulla conformità delle mascherine FFP2. Ne parliamo con Franco Leoni, amministratore di Polonord Adeste Srl, azienda che produce elettronica in Cina da vent’anni e che un anno fa ha effettuato la conversione della produzione per la realizzazione di mascherine FFP2. Come si ottiene la certificazione delle mascherine FFP2? Le mascherine FFP2 rispondono al regolamento UNI EN 149:2001+A1:2009, sono DPI di categoria III e quindi la certificazione CE può essere emessa solo da un ristretto numero di enti autorizzati da una specifica commissione Europea denominata Nando. L’elenco di questi enti è pubblico e può essere consultato su internet. L’ente deve essere autorizzato per il regolamento Regulation (EU) 2016/425 Personal protective equipment e per la sua sottoclasse Equipment providing respiratory system protection relativamente agli Annex V, VII e VIII. Ogni ente è identificato da un numero di 4 cifre, attribuito dalla commissione Europea. Le mascherine FFP2 regolarmente certificate CE devono quindi riportare stampato sul prodotto oltre al marchio CE il numero dell’ente che ha emesso il certificato. La validità della certificazione può anche essere richiesta all’ente notificato stesso che in genere ha un database pubblico online. È di questa giorni la notizia che il CE 2163 emesso da un ente notificato Turco denominato Universal sia collegato a diverse mascherine non a norma. Si tratta della ripresa di una notizia apparsa a metà febbraio 2021 su un quotidiano tedesco dove un’azienda importatrice di mascherine ha sostenuto di aver testato alcune mascherine recanti il certificato della Universal e che queste non abbiano passato le prove di filtraggio. Se una mascherina è marcata CE 2163 significa che la fabbrica produttrice ha dato incarico all’ente notificato Universal di effettuare le verifiche

Franco Leoni

obbligatorie per l’ottenimento del certificato CE. L’ente notificato Universal si trova in Turchia ed è stato utilizzato da tantissime fabbriche di mascherine nel periodo marzo-maggio 2020, tra cui anche quella dove produciamo noi, per effettuare gli adempimenti di legge, perché la maggioranza degli altri enti notificati avevano sede in paesi bloccati dal primo lock down e non erano in grado di effettuare la certificazione in tempi brevi. . Può una mascherina che riporta una marcatura CE seguita dai 4 numeri dell’ente notificato non essere a norma? Ciò è possibile a prescindere da quale ente abbia fatto la certificazione per due motivi: 1) Il certificato è falso. Abbiamo avuto segnalazione di diverse mascherine certificate con certificati finti. Nel caso della Universal l’autenticità del certificato è verificabile sul loro sito universalcert.com o tramite il QR code da noi fornito. Questo problema dei certificati falsi è un problema serio ma non relativo specificatamente alle mascherine certificate dall’ente 2163 Universal. 2) Se una fabbrica tra un monitoraggio e l’altro cambia la materia prima la responsabilità rimane della fabbrica che commette una truffa e l’ente, messo a conoscenza di ciò, revoca il certificato. Quindi l’autore dell’articolo, un’azienda che im-

porta a sua volta mascherine e perciò in conflitto di interessi, non dovrebbe attaccare Universal ma segnalare ad Universal o agli altri eventuali enti notificati queste anomalie, se documentabili, e chiedere la revoca dei certificati. Universal ha lo stesso titolo di qualunque altro ente notificato dalla specifica commissione europea per emettere i certificati CE delle mascherine. I certificati che emette sono autentici. La società ha difatti pubblicamente comunicato di avere avviato procedure legali contro questo tentativo di discredito. Come fate quindi voi a garantire che il prodotto sia conforme? Quello che noi facciamo, proprio per essere certi che il prodotto sia conforme al prototipo, è il monitoraggio continuo della produzione, a differenza di un qualunque ente notificato che può solo fare un monitoraggio randomico annuale o su specifica segnalazione. Facciamo più di 80 controlli frutto del perfezionamento delle nostre procedure di qualità, tra questi c’è anche il controllo della capacità filtrante. Non esce merce dalla fabbrica senza che sia testata, inoltre a maggior tutela dei clienti abbiamo volontariamente rieffettuato il processo di certificazione delle stesse mascherine presso un secondo ente europeo. Al di la della certificazione come fate a verificare che il prodotto sia di qualità costante, non difettoso, aderente al prototipo certificato? Abbiamo una procedura di controllo molto elaborata ed in continuo miglioramento, questa procedura viene eseguita da ispettori nostri in fabbrica e prevede moltissimi controlli. Queste sono alcune immagini dei controlli di routine relativi alla tenuta degli elastici, la resistenza respiratoria e la capacità filtrante eseguiti in fabbrica.


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S P E C I A L E

sal u t e

a cura di marco morelli

Palazzo di Varignana presenta il nuovo “Medical Center” Rocca di Lonato

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alazzo di Varignana amplia la propria offerta di servizi presentando il nuovo medical center e i programmi benessere e salute per Pasqua. Il nuovo centro è dedicato allo sviluppo di terapie mediche per la cura della persona e per il benessere degli ospiti del Resort. Sotto la guida della dott.ssa Annamaria Acquaviva - responsabile del progetto e ideatrice del metodo scientifico praticato a Palazzo di Varignana – prendono il via programmi di attività e trattamenti dedicati a stimolare la risposta immunitaria, favorire l’attività metabolica e combattere lo stress ossidativo: Ossigeno Ozonoterapia, IV Therapy, Nature Therapy, sono solo alcune delle attività che la Dottoressa Acquaviva ha disposto per completare l’offerta di servizi costruiti attorno ai bisogni della persona. Al centro del Resort, immerso nel verde dei colli bolognesi, sorge il nuovo spazio, attiguo alla Varsana SPA, che costituisce un asset importante anche in relazione al delicato momento storico e al contesto pandemico. I trattamenti proposti sono infatti indicati per migliorare le difese immunitarie, combattere l’ansia e i disturbi della serenità. Un servizio particolarmente importante che consentirà agli ospiti Palazzo di Varignana di coniugare l’armonia e bellezza del contesto naturale con la cura di sé. I 5 PILASTRI DELLA SALUTE DEL METODO ACQUAVIVA I pilastri della salute, fondamenta del metodo, sono cinque: armonia ed equilibrio interiore, corretta nutrizione, adeguata attività fisica, sonno e micronutrizione. Questi elementi rappresentano la base dei programmi di benessere e salute per gli ospiti di Palazzo di Varignana.

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il nuovo spazio e’ stato pensato per consolidare l’offerta di trattamenti per la salute e il benessere

La dott.ssa Annamaria Acquaviva

“Sono orgogliosa di aver sviluppato per Palazzo di Varignana un palinsesto di programmi di benessere, basati su un metodo innovativo e sulle più recenti acquisizioni scientifiche: per favorire l’attività metabolica e la buona qualità del riposo, combattere lo stress ossidativo e supportare il sistema immunitario – afferma la dott.ssa Annamaria Acquaviva -. Con grande orgoglio abbiamo inaugurato prima di Pasqua uno spazio medico, dedicato esclusivamente agli ospiti del Resort desiderosi di raggiungerci da tutta Italia, che avvalorerà l’impegno della struttura verso il benessere.” Operativo dal 31 marzo, il Medical Center di Palazzo di Varignana si avvale dell’esperienza della dott.ssa Maria Immacolata de Vicariis, medico chirurgo specializzato in endocrinologia, specialista nella terapia del dolore e della prevenzione, medico certificato SIOOT (società italiana di Ossigeno-Ozonoterapia), da sempre promotrice delle novità in campo scientifico integrate alle tradizionali terapie. OSSIGENO OZONOTERAPIA E IV THERAPY La Dottoressa de Vicariis praticherà Ossigeno Ozonoterapia. Si tratta di una terapia medica che utilizza una particolare miscela di ossigeno e ozono, aumentando l’ossigenazione dei tessuti e favorendo un importante effetto antinfiammatorio, antibatterico e antivirale, oltre che antiossidante. L’ossigeno-ozonoterapia contribuisce al miglioramento dei sistemi di difesa contro l’azione dei radicali liberi, rallentando l’invecchiamento cellulare e l’ossidazione dei tessuti. Un’altra innovativa proposta l’IV Therapy: infusioni endovenose di 3 diversi mix di vitamine, nutrienti e antiossidanti: Detox, Energy e Immuno Defense, a seconda dell’esigenza e dello stato di salute della persona.

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il nuovo centro è immerso in un contesto naturale e paesaggistico capace di ristabilire l’armonia tra spirito, corpo e mente

Palazzo di Varignana

Si tratta di un trattamento di medicina rigenerativa che consente ai principi attivi di avere il massimo assorbimento, metodo ideale per contrastare rapidamente fenomeni come la disidratazione, la fatica cronica, cali di energia, gli abusi di alcol e supportare le difese immunitarie. I PROGRAMMI BENESSERE: IMMUNO DEFENSE E DETOX Due i percorsi tra salute, piacere e benessere, proposti agli ospiti del Resort per coniugare la cura del corpo con la scoperta di un diverso equilibrio psicofisico. Immuno Defense: un programma completo di well-being studiato per contrastare l’indebolimento delle nostre naturali difese, ripristinare il loro corretto funzionamento e mantenere il sistema immunitario in uno stato ottimale. Detox: studiato per purificare l’organismo, grazie ad una serie di attività finalizzate a ripristinare il naturale equilibrio tra corpo e mente, guadagnando energia e vitalità e mirando a ritrovare la propria naturale forma fisica. Insieme a peculiari attività, specifiche di ciascun pacchetto, ad ogni programma viene associato un menù attentamente bilanciato e con un basso impatto glicemico, che non rinuncia al gusto e al piacere della tavola. I menù hanno l’obiettivo di stimolare la funzione metabolica e contrastare lo stress ossidativo. Le attività all’aperto, nel verde delle colline di Palazzo di Varignana, favoriscono poi la naturale rigenerazione del nostro organismo, restituendo benessere alla nostra mente e bellezza al nostro corpo. Ogni programma prevede infatti delle sessioni di Nature Therapy. L’esposizione a stimoli naturali utilizzando i cinque sensi ha un effetto diretto sul sistema nervoso parasimpatico, favorendo uno stato di rilassamento - che concilia il riposo - e la funzione immunitaria. NATURE THERAPY E MINDFULNESS Una serie di percorsi guidati di diversa lunghezza e difficoltà consentono agli ospiti del Resort di ristabilire il rapporto con la natura, nella versione contemplativa o attiva, attraverso percorsi immersivi all’interno dei poderi, tra vigneti, oliveti, frutti dimenticati. Per ritrovare la linea di confine tra paesaggio e percorso interiore. “Tra i pilastri del metodo, l’equilibrio e l’armonia interiore si raggiungono anche attraverso l’attività nella natura di Palazzo di Varignana - spiega la dottoressa Acquaviva, dietista nutrizionista e

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farmacista - è la “Nature Therapy”, i cui benefici sono descritti da vasta letteratura scientifica: l’esposizione a stimoli naturali attraverso tutti i 5 sensi ha un effetto diretto sul sistema nervoso parasimpatico, vengono favoriti uno stato di rilassamento - conciliando il riposo - e la funzione immunitaria.” L’obiettivo è quello di raggiungere la Mindfulness: una nuova consapevolezza, un senso di armonia ed equilibrio fra corpo e psiche. La felicità è “qui ed ora”, senza soffermarsi sul passato ma, come nel concetto del “carpe diem”, rendendosi consapevoli del presente e quindi dell’ambiente circostante, dei colori, dei sapori e dei profumi, “assaporando” ogni istante con “leggerezza” e positività. A Palazzo di Varignana la vacanza e il relax sono da sempre all’insegna della salute e del benessere, grazie al contesto ideale: il microclima salubre e la moderata altitudine delle colline che circondano il Resort sono conosciuti fin dai tempi antichi e vocati per favorire il benessere e una buona qualità del riposo. MINDFUL EATING L’azienda agricola di Palazzo di Varignana, Agrivar, si stende su 160 ettari di colline coltivate a ulivi, frutteti, vigneti e ortaggi, zafferano e tutte le materie prime che diventano prodotti di grande qualità e piatti a km zero dei menù dei ristoranti. “La dieta è un altro dei pilastri della salute, fondamenta dei programmi di benessere grazie a un menù che ho realizzato con lo chef Francesco Manograsso, in cui gli ingredienti sono sapientemente trattati per ottenerne il massimo delle proprietà nutrizionali - spiega la dottoressa Acquaviva - siamo fieri di avere una delle produzioni più importanti dell’Emilia Romagna di un olio extravergine d’oliva d’eccellenza, premiato a livello internazionale. Privilegiando le cultivar autoctone originarie come la Nostrana, la Ghiacciola e il Correggiolo, dalla polpa delicata e aromatica, si è dato origine a un olio EVO con caratteristiche nutrizionali eccellenti e una bassissima acidità.” La filosofia del programma è focalizzata anche sulla riduzione dello stress per contrastare l’emotional eating, ovvero la “fame nervosa”. L’eccesso di stress, infatti, può indurre a cibarsi in modo compulsivo, talvolta con senso di colpa, senza percepire il sapore e il piacere di quanto si mangia. In questo percorso si sperimenterà un nuovo approccio al cibo: si tratta del mindful

eating, una nuova consapevolezza nel nutrire il Casacorpo, del Podestà.Lonato. proprio utilizzando i propri sensi immerBiblioteca gendosi nei colori, nella consistenza, nei profumi, nei sapori e nei suoni di ciò che beviamo e mangiamo. “La letteratura scientifica e in particolare i nuovi studi sull’epigenetica (che approfondisce le modificazioni del DNA in base allo stile di vita) ci dimostrano che il nostro comportamento incide in modo molto importante sulle nostre prospettive di salute e nella prevenzione delle malattie. Col nostro programma ogni ospite è accompagnato in un cammino verso una maggiore consapevolezza del proprio benessere. Un’opportunità fondamentale, che diventa il valore aggiunto della vacanza a Palazzo di Varignana.” Palazzo di Varignana Resort & Spa Nell’elegante cornice delle colline bolognesi, il Resort si è sviluppato attorno a Palazzo Bentivoglio, antica villa risalente al 1705. Circondato da 30 ettari di parco, di cui otto parte di Grandi Giardini Italiani, sorgono una serie di altri edifici, a formare un piccolo borgo immerso nella natura. www.palazzodivarignana.com

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TERME

AQUARIA THERMAL SPA il 15 MAGGIO apre la spa termale sita nel centro storico di Sirmione

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a cura di v.corini

DECIDERE PER Aquaria in questo momento significa scegliere una struttura bellissima, in cui riscoprire in totale tranquillità il valore dato dell’acqua termale

a notizia è ufficiale: il 15 maggio apre Aquaria con la sua grande piscina di acqua termale e il suo imponente reparto appena ristrutturato con nuovi 200 metri quadri di trattamenti signature individuali e basati sui prodotti “Aquaria thermal cosmetics” e i fanghi termali con il loro distintivo microbiota. Dal 26 aprile è stato possibile prenotare il proprio ingresso o direttamente dal sito della struttura o telefonando al call centre. Dopo il via libera del Governo all’uso delle piscine all’aperto nelle regioni gialle, il primo operatore termale in Italia ha messo in moto la macchina organizzativa per rendere attivo già dal primo giorno di autorizzazione la spa termale sita nel centro storico di Sirmione. Margherita De Angeli, Direttore Generale di Terme di Sirmione: “le piscine all’aperto, il parco, il solarium sul lago e la grande area (oltre 600 metri quadri di cabine singole per trattamenti di estetica e fango bagno) dedicata ai trattamenti termali personalizzati ci permettono di offrire a ogni ospite spazi ampi. L’apertura in totale sicurezza ci impone importanti distanziamenti e una forte riduzione del numero delle persone presenti nella struttura, consentendo ai fortunati che riusciranno a prenotarsi per tempo, di accedere a una location esclusiva con un trattamento personalizzato. Venire in Aquaria in questo momento significa infatti scegliere una struttura bellissima, in cui riscoprire in totale tranquillità il valore dato dell’acqua termale sulfurea salsobromoiodica (riconosciuta per le sue proprietà antiinfiammatorie e immunostimolanti) potenziato dalla posizione, dalla qualità e da una personalizzazione del servizio. In questo momento gli elevati standard aziendali e il DNA sanitario di Terme di Sirmione ci consentono di offrire ai clienti un prodotto distintivo e servizi, anche di estetica, operanti nella rassicurante cornice di una seria e responsabile direzione scientifico sanitaria”. Aquaria sarà aperta tutti i giorni (7/7) dalle 9 alle 20. I clienti potranno usufruire in esterno della piscina termale con idromassaggi, infinity pool a sfioro sul lago, vasca Musa con 22 getti di cascate cervicali. Nel par-

zioni, alla riscoperta del tempo per se stessi, offrendo diverse forme di relax immersivo personale. Aquaria e gli hotel del gruppo Terme di Sirmione offrono delle unicità, acqua termale, location, metodo, scientificità che permettono a Terme di Sirmione di essere aperta e in salute da oltre 130 anni”, conclude Margherita De Angeli.

co si trova il punto ristoro con un’offerta curata dai cuochi aziendali e le aree relax con lettini distanziati e sanificati a ogni utilizzo; sdraio riservate anche sul pontile-solarium, la cui posizione a ovest regala splendidi tramonti sul Lago di Garda. All’interno nell’Area Spa gli ospiti possono usufruire, sempre su prenotazione, dei trattamenti signature, protocolli benessere validati dal centro dermatologico. Aperte anche le nuove Area Mud, Hair Spa e la Thermal Rain Shower, inaugurate lo scorso settembre, per trattamenti specifici con acqua e fango termali. Saranno attive nuove tariffe con ingressi che prevedono diversi tempi di permanenza, lettini personali e servizi aggiuntivi tra cui un trattamento, o il lunch o l’aperitivo. Nel mese di maggio è prevista anche l’apertura degli altri due hotel termali di Terme di Sirmione. A fianco del Grand Hotel Terme, aperto a marzo, sono pronti ad accogliere i turisti della rinomata penisola il quattro stelle Hotel Sirmione e Promessi Sposi, rimasto chiuso per tutto il 2020, e il tre stelle Hotel Fonte Boiola.

TERME DI SIRMIONE Terme di Sirmione è una delle storiche e più importanti realtà termali italiane. Offre un centro termale –Terme Virgilio -, 4 alberghi con area benessere di cui tre con reparto termale - il cinque stelle Grand Hotel Terme, i quattro stelle Hotel Sirmione e Promessi Sposi e l’Hotel Acquaviva del Garda e il tre stelle Hotel Fonte Boiola - e Aquaria Thermal Spa. L’offerta di Terme di Sirmione è arricchita da un prodotto venduto in farmacia, Acqua di Sirmione, e dalla linea cosmetica Aquaria Thermal Cosmetics. Nel settore della salute gli ambiti d’intervento riguardano otorinolaringoiatria, broncopneumologia, angiologia, fisiatria, dermatologia clinica ed estetica, ginecologia e uroginecologia, osteopatia, gastroenterologia e nutrizione con altrettanti centri e servizi specializzati. Aquaria Thermal SPA offre oltre 14.000 mq di benessere fronte lago con piscine termali, idromassaggi, lettini effervescenti, docce emozionali, percorso vascolare, cabine benessere, circuito saune interne ed esterne, bagni di vapore, area per trattamenti benessere e aree relax polisensoriali. Nel 2017 è stato acquisito Golf Bogliaco che comprende un campo da golf, il terzo più antico in Italia, con 18 buche, una club house, un residence di 14 appartamenti e una nuova struttura ricettiva con 10 camere. La qualità del servizio al cliente, l’attenzione per l’ambiente e per la sicurezza sono componenti fondamentali della filosofia della Società, che è certificata ISO 9001 per la Qualità, ISO 14001 per l’Ambiente e OHSAS 18001 per la gestione della Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro.

“Aquaria Thermal SPA nel 2019 ha registrato 200 mila ingressi ed è stata riconosciuta essere la migliore day spa in Europa. Quest’anno gli ospiti apprezzeranno un’atmosfera più tranquilla, più riservata, più personalizzata. Nelle ultime settimane le richieste sulle aperture sono triplicate. In questo momento come non mai le persone hanno bisogno di ritrovare una serenità persa. Sono alla ricerca di un benessere interiore. Il focus dell’azienda è dare spazio alle loro emo-

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Apertura 15 maggio Sirmione, Lago di Garda @aquariathermalspa termedisirmione.com

Lo abbiamo desiderato, lo abbiamo immaginato e ora il sogno si è avverato. Accogliervi è ancora più emozionante. Dedicarvi il nostro relax e benessere è ancora più speciale.

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speciale sente-mente

NONOSTANTE LA DEMENZA vivere un tempo di qualità è POSSIBILE

SENTE-MENTE® OLTRE IL DRAMMA DELLA MALATTIA

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eter Whitehouse, neurologo americano e uno dei massimi esperti mondiali di Alzheimer, sostiene che le patologie neurodegenerative non si “impadroniscono” delle persone anziane né possono dominarle o annullarne l’umanità, ma semplicemente cambiano il modo in cui vivono la loro vita. “Non esiste la completa perdita di se” afferma il Dottor Peter Whitehouse “e la malattia non prevale mai sulla persona.” Ad oggi non esiste una cura per questa malattia e vivere da familiare la relazione con una persona che con-vive con la demenza sappiamo che non è semplice. Per chi convive con la malattia non è altrettanto semplice, ma vivere una vita di qualità nonostante la diagnosi è possibile. Mai come in questo periodo in cui ci si sente impotenti davanti ad una diagnosi di demenza, abbiamo la necessità di condividere nuovi modi e strumenti nella relazione di cura. Grazie al progetto Sente-Mente®, persone con demenza, familiari, organizzazioni socio-sanitarie, Comuni, hanno la possibilità di essere traghettati oltre il dramma della malattia ed allenarsi ad una maggiore auto-efficacia e consapevolezza. Il Sente-Mente® Project, creato in Italia nel 2014 grazie a Letizia Espanoli e alla sua collaboratrice Ilaria Filzi, è un modello innovativo che desidera un nuovo mondo sociosanitario pronto ad accogliere chi con-vive con la Demenza, perché è tempo di restituire dignità, difendere e valorizzare il nocciolo vitale racchiuso in ciascuno persona. Letizia Espanoli nel suo utlimo libro “#lavitanonfinisceconladiagnosi”, scrive: “Ho imparato che il dolore ti lacera le budella, che la rabbia ti erode dentro e ti conduce nel labirinto dei: perché proprio a me, perché proprio a lui. Ho imparato che nello sguardo denso di pietà si nasconde l’incapacità a procedere, ad andare oltre. Tra le sue pieghe tuttavia pulsa e germoglia la più grande scuola della vita: il dolore che attraversato si trasforma in nuove possibilità.” Come Felicitatrice formata all’interno del modello Sente-Mente® ho avuto la possibilità e l’onore di

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di elena mantesso

Sente-Mente® Project è rivolto alla creazione del benessere di tutte le persone che sono coinvolte direttamente o indirettamente in questo percorso di vita. Stanno nascendo sul territorio mantovano nuove occasioni aperte alla comunità. Se sei un professionista della cura e della relazione, un famigliare, una persona che con-vive con la malattia, un volontario, o sei parte di un’associazione, amministrazione comunale e hai il desiderio di programmare eventi o approfondire il modello contattaci, saremmo felici di incontrarti. Info: - emantesso@gmail.com - www.letiziaespanoli.com - Facebook: Sente-Mente® ; Sente-Mente® FormAzione; Giorni Felici; Giorni Felici FormAzione - YouTube: Letizia Espanoli

“Io non mi arrendo e ogni giorno cerco di allenarmi e trovare il modo migliore per stare con lui. Ci credi che questa cosa mi rende felice?” incontrare diverse persone e famiglie che quotidianamente fanno i conti con la loro con-vivenza con la demenza. Così ho scelto di condividere le parole straordinarie di una familiare che sta sperimentando le potenzialità degli strumenti del progetto e si sta allenando a vivere la relazione con il marito nel miglior modo possibile. UNA MOGLIE CORAGGIOSA Durante un nostro incontro è emersa l’importanza di sentire le nostre emozioni, ma anche quelle della persona di cui ci prendiamo cura. In accordo con questa generosa signora condivido in questa pagina alcuni passaggi significativi del nostro incontro, perché crediamo che la sua esperienza possa essere d’aiuto anche ad altri familiari. «Cerco sempre di sentire le sue emozioni e provo a scegliere quei modi che in un certo senso accendono la luce. Mi capita di condividergli quanto siamo fortunati a volerci così bene, ad avere il calore della famiglia, ma anche che ogni giorno è un nuovo giorno e possiamo alzarci. Una volta tra di noi queste parole difficilmente uscivano, invece adesso per me è un continuo allenamento. Le prime volte facevo fatica, ma ora mi viene spontaneo. Sto scoprendo una vita nuova, è vero che è cambiata, ma sono felice nonostante tutto. Ho capito però che è importante anche prendersi cura di noi stessi. Se non sto bene io difficilmente sta bene lui». È cambiato il tuo modo di parlare da quando lui con-vive con la demenza? «Mi stupisco di come sono diventata. Scrivo spesso sul mio quadernino tutte le cose che voglio imparare per vedere se riesco a dargli la mia miglior risposta. Perfezionare il linguaggio funziona nella relazione, ma anche nelle situazioni. Si, ho un altro modo di parlare».

Cosa ti sentiresti di dire ad altri familiari di persone che con-vivono con la demenza? «Sinceramente i nostri incontri mi hanno cambiato la vita». Lei mi sorride, ma le rispondo che anch’io tutte volte imparo qualcosa da lei e che il merito della sua migliore qualità di vita è tutto suo, per ciò che sceglie di fare quotidianamente nonostante le fatiche. SCELGO CIO’ CHE MI FA STARE BENE Quali sono le cose che ti fanno sentire bene? «Mi concedo momenti in famiglia che so che mi riempiono il cuore e mi fanno stare meglio, ad esempio passare del tempo con i miei figli e i miei nipoti mi da gioia, perché con loro sono certa di sorridere e giocare. Quando mi sento stanca e affaticata è proprio quello il momento in cui decido di cogliere tutte le cose belle della giornata, come mi hai proposto tu. Ci sono cose che non possiamo cambiare, ma possiamo scegliere a quali dedicare di più la nostra attenzione. Dipende dalla situazione e dal momento, ma solitamente provo diverse esperienze per stare meglio, come ad esempio la lettura, la musica, il movimento, scelgo addirittura di sorridere e respirare». Come fai nei momenti più difficili a scegliere queste esperienze? «Quando mi sento in difficoltà o arrabbiata o triste, mi dico che non voglio stare così e mi chiedo cosa posso fare per stare meglio? Come intendo farlo accadere? Queste domande che mi hai proposto nei nostri incontri funzionano. Pensa che un pomeriggio mi ero arrabbiata con lui, ero disperata, ma ho deciso di andare ad accendere la radio e fatalità c’era una canzone molto allegra con delle belle parole e ho subito preso una cassettina e l’ho registrata. Ho perfino chiamato la radio per chiedere se potevo fare una dedica a mio marito».

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Il sesso è vita, mantienilo vivo

I DISTURBI DEL DESIDERIO SESSUALE L’AMORE NON BASTA PER AMARE

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a cura della dott.Ssa rosa perosi

Gli impulsi sessuali nell’uomo sono più frequenti ed intensi. La donna è più vulnerabile ai fattori relazionali o al contesto in cui si trova

e io non mangio muoio. Se non ho rapporti sessuali la specie non muore perché qualcuno li ha al posto mio. Ma nessuno può mangiare al mio posto, quindi la fame serve per la sopravvivenza del singolo. La spinta libidica, invece, serve per il mantenimento della specie. Ma la posso delegare. Il desiderio sessuale ci spinge fondamentalmente a fare queste cose: cercare una persona, sedurla, eccitarla. In linea di massima il desiderio sessuale possiamo immaginarlo come l’automobile, se prevale il pedale dell’acceleratore, aumenta la spinta alla velocità; se prevale il pedale del freno, la macchina tende a rallentare. Noi potremmo avere un basso desiderio sessuale per mancanza di accelerazione o da eccesso di freno tirato. Cosa deprime il desiderio? Ormoni, farmaci, depressione, partner non attraente, stimolazione inadeguata, emozioni negative, rabbia, stress, ansia, pensieri negativi, eccessiva familiarità, questi possono essere solo alcuni dei fattori di rischio. C’è chi, per aumentare il desiderio, cerca di introdurre delle novità nella coppia, senza scomodare terze persone, ma il “tromb-amico” è sicuramente più facile da introdurre. Il “tromb-amico” non scalfisce la coppia, anzi sessualmente può attivare meglio, mentre, se mi innamoro, il desiderio verso il partner ufficiale si chiude. Ci sono differenze tra uomo e donna nell’espressione del desiderio? Certo, ci sono alcune differenze biologiche/neurologiche, le aree cerebrali dell’uomo sono molto più ampie ma meno complesse; l’uomo ha 100 volte di più i recettori del testosterone rispetto alla donna. Il testosterone nel maschio declina progressivamente, mentre nella donna in maniera brusca. Il desiderio sessuale pulsionale nell’uomo è più costante e più continuo. Nella donna è più discontinuo. Gli impulsi sessuali nell’uomo sono più frequenti ed intensi. La donna è più vulnerabile ai fattori relazionali o al contesto in cui si trova. L’uomo, poi, fa pace col sesso, mentre la donna per fare sesso deve fare pace nella relazione. Nel momento in cui gli uomini invec-

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chiano e vanno in andropausa diventano sempre più simili alle donne. Se a 30 anni litighiamo l’uomo ha ugualmente lo stesso desiderio di sempre, di fare sesso; 30 anni dopo c’è un blocco: nel momento in cui il testosterone scende, l’uomo diventa più vulnerabile al contesto. Quella donna che è abituata ad avere il maschio che la cerca, quando lui smette di cercarla rompe un equilibrio e la coppia deve trovare un nuovo riadattamento, altrimenti, quando il drive smette di spingere, la coppia si paralizza. Cosa sostiene il desiderio dentro di noi? Il divieto. Se possiamo trasgredire, la trasgressione ci attiva sessualmente. Oggi come oggi, trasgredire è un casino. Oggi le persone utilizzano il cellulare per trasgredire una regola. E non è detto che si usi il cellulare per fare sesso con altre persone, ma lo si usa per fare qualcosa di proibito, all’insaputa degli altri. Una larga fetta di trasgressioni si fermano lì, non vanno oltre. 30 anni fa i divieti erano assoluti, oggi non ci sono più divieti. Si arriva facilmente con Tinder o altre Applicazioni, ad esempio, a trovare subito qualcuno con cui avere rapporti sessuali. Non c’è più il gusto della fatica. Certo ci hanno agevolato la vita ma hanno innescato tutta una serie di disturbi. Oggi l’uomo che non si sente desiderato va in crisi. Perché svanisce il desiderio, la passione? E’ complesso da valutare ed ogni caso è una storia a se. Nella nostra società si pensa che il matrimonio sia la tomba del sesso, quindi c’è un’idea de-erotizzata del matrimonio; l’eccesso di disponibilità toglie il desiderio; la relazione istituzionalizzata; l’eccesso di familiarità; l’effetto bravo ragazzo (tanto più lui di-

venta affidabile, tanto perde di attrattività sessuale. L’affidabilità sul sesso, non paga); mancanza di trasgressioni (il sesso con il marito è più comodo che eccitante); il sesso diventa meccanico e prevedibile. Le tecniche ed i preliminari sono sempre prevedibili. Il linguaggio per chiedere il sesso (“oh ci facciamo una trombata stasera?”); distrazione cognitiva durante il rapporto (c’è poco tempo, siamo stanchi, siamo incompatibili…); se compaiono i figli nel ruolo materno e paterno è difficile passare al ruolo di amante; la mancanza di autodesiderabilità (non mi sento più desiderata, non metto più vestiti sexi, perdo autostima…). Esistono due situazioni emblematiche: 1) Il desiderio sessuale è sempre stato debole, compensato di solito dalla componente affettiva; 2) dopo una partenza pirotecnica, la coppia abbandona gli investimenti sulla propria vita sessuale che perde gradualmente la sua energia fino a spegnersi. Il risultato finale appare molto simile, ma la risoluzione del problema è invece fondamentalmente diversa. Nel primo caso bisogna costruire qualcosa che non è mai esistito; nel secondo caso bisogna recuperare qualcosa che è andato perso. Più facile a dirlo che a farsi, visto che spesso i tentativi di soluzione messi in atto dalla coppia non solo non risolvono, ma addirittura complicano il problema. L’aiuto di un esperto può essere invece molto efficace ed è pertanto il più indicato per ottenere quello ‘sblocco’ che voi desiderate. Per informazioni: info@rosaperosi.it Instagram: dott.ssa_rosaperosi

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arte

DI Barbara Ghisi

considerata tra gli artisti emergenti più promettenti

Ilaria Ingrosso l’arte oltre la pura esteticità Vincitrice del 1° premio per la pittura figurativa classica al concorso Campo dè Fiori presso la Galleria Trittico Art Museum di Roma. Ha tenuto una mostra Personale nel Vicariato di Roma presso la Galleria La Pigna di Palazzo Maffei Marescotti, proprietà del Vaticano. L’artista in questione è la mantovana Ilaria Ingrosso nata nella città virgiliana nel 1970, attualmente residente a Goito. La sua formazione artistica parte dalle basi accademiche del Liceo Artistico di Verona, per poi rafforzarsi a distanza di anni attraverso corsi privati a Mantova tenuti dal professore Enrico Beccari. Inizia ad esporre nel 2012 le sue opere ad olio su tela di matrice classica, raffiguranti ballerini in passi di danza. In occasione dell’undicesima edizione del Mantova International Tango Festival espone presso la Feltrinelli. In opere come Bailar el tango e Pasion latina trova un’essenza ed esprime quella “fisiologia” che porta i ballerini a vivere un dialogo creativo fatto di sensorialità, percezione e istinto. Riesce quindi a raggiungere e mostrare la sensualità tipica di questo ballo. Opere come Trois danseur e Passo a due, oltre ai premi vinti a Roma, ottengono l’apprezzamento del pubblico e della critica. Lo sfondo bianco della superficie esalta l’eleganza dei

personaggi e dell’immagine, contribuendo a concentrare su di loro l’attenzione. Nessun elemento distrae l’occhio dell’osservatore dai protagonisti del dipinto: i ballerini. La muscolatura freme nell’atto della danza e rende possenti e carnali i personaggi. Vivi e reali nel corpo e nell’anima. Nel Marzo 2013 l’artista tiene la sua prima mostra Personale presso “Il Circolo Unificato dell’Esercito” di Mantova e a Novembre presso la Galleria Art-Expertise di Firenze. Nel 2014 espone: a Febbraio alla Galleria Bottega d’Arte Merlino di Firenze. A Giugno alla Biennale di Spoleto e nella collettiva in Corte Isolani a Bologna. A Luglio partecipa alla Rassegna Internazionale d’Arte della Galleria Artem a Bratislava e a Dicembre a Facè Arts Merano. Il percorso delle mostre e il contatto con altri artisti stimola Ilaria Ingrosso a modificare la rappresentazione dei soggetti. Senza mai abbandonare l’immagine della figura e del corpo umano ne fa affiorare con forza emozioni e sentimenti. Il desiderio di toccare temi sempre più profondi, la porta a trovare una sua linea personale nella rappresentazione del dramma e del dolore, quasi per esorcizzare problemi di salute che hanno coinvolto nell’ultimo anno la sua famiglia. Il pathos emerge con prepotenza e sovrasta l’e-

stetica dell’immagine. Nelle ultime opere esposte nel 2015 al Palazzo Ducale di Revere e al Club la Meridiana di Modena, la protagonista è l’emozione. Nel dipinto “Poteva essere” il dolore per una presunta mancata gravidanza coinvolge l’osservatore toccandolo fino alle lacrime. La tecnica pittorica si perfeziona fino al realismo più estremo, lasciando trasparire sotto le vesti bianche della camicia aderente alla pelle, il sudore della sofferenza. L’immagine è rappresentata dal collo al ventre, senza volto, così che ogni donna si possa immedesimare nella rappresentazione. Il miglioramento sia della perfezione tecnica che della potenza espressiva dei soggetti è veloce ed evidente. Tutte queste qualità, insieme alla tenacia e alla forza d’animo, classificano Ilaria Ingrosso tra gli artisti emergenti più promettenti. Per informazioni tel. 329 4236772

il suo mercato è limitato a lavori su commissione

l’iperrealismo del maestro benetelli Walter Benetelli bresciano, Maestro di pittura, si interroga sul perchè le istituzioni italiane non aiutino e non considerino il lavoro degli artisti iperrealisti contemporanei, visto che notoriamente viviamo in un Paese famoso per l’arte in tutti i secoli. A suo parere nella società attuale contano di più il consumismo di massa e le mode del momento, mentre viene meno considerata la realtà di chi utilizza ancora tecniche antiche per lavorare e creare arte. Incuriositi dal suo lavoro e dalle sue affermazioni, gli abbiamo rivolto alcune domande: Chi è Walter Benetelli? “Sono nato a Sabbio Chiese il 29 Dicembre del 1952 e attualmente vivo a Barghe nel Bresciano. La mia grande passione per l’arte mi ha spinto a diplomarmi all’Istituto Statale d’Arte di Gargnano sul Garda. Sono Maestro d’Arte nel 1972”. Quale percorso artistico ha seguito e come si è ritrovato pittore? “Fin da quando ho memoria sono stato sempre attratto dal mondo della pittura e del disegno, crescendo la mia passione e la mia naturale predispo-

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sizione mi hanno accompagnato. Dopo essermi diplomato non ho mai abbandonato la pittura. Seguendo l’impronta dei grandi Maestri dell’Arte che ammiravo, ho sviluppato la mia personale tecnica pittorica e lo studio delle luci e delle ombre”. Quanto tempo dedica alla pittura durante una giornata tipo? “Solitamente dipingo in base agli impegni della giornata, prevalentemente seguo l’ispirazione”. Che tecnica utilizza e perché? “Prevalentemente utilizzo la tecnica ad olio su tela che mi permette di ottenere maggiori sfumature di colore. Studio e cerco di conoscere ogni sfumatura che un colore può assumere, e di ottenere la qualità e la precisione che sono caratteristiche del mio stile pittorico iperrealista. Seppure da molti considerata una tecnica difficile per me è quella migliore per

esprimere le sensazioni e le emozioni che provo”. Quali artisti del passato e del presente ammira maggiormente? “Caravaggio e la pittura del 600, mentre per i contemporanei mi è più difficile rispondere”. Cosa vuole rappresentare con le sue opere? “Per le mie opere vengo ispirato dal mondo della natura che mi circonda e dai personaggi caratteristici dei luoghi nativi. Infatti oltre ai paesaggi montani delle mie valli rappresento persone che conosco o che sono originarie dei luoghi che decido di dipingere”. Quali esposizioni le hanno dato maggior soddisfazione? La personale tenuta nel Comune di Barghe all’interno dello storico Palazzo Beccalossi del 500. La mostra a Salò presso il Municipio , a Sabbio Chiese durante le Decennali e l’ultima collettiva alla Reggia dei Gonzaga a Revere nel mantovano”. A quale pubblico si rivolge? “L’arte è per tutti, e soprattutto la mia pittura iperrealista che si rivolge a chi apprezza la realtà dei luoghi e delle persone”. Quali persone l’hanno sostenuta e quali l’hanno ostacolata? “Molte persone mi hanno sostenuto in quanto apprezzano la mia arte e le mie capacità”. Cosa pensa del mercato dell’arte attuale? “A mio parere il mercato dell’arte è certamente in calo, in quanto le nuove tecnologie non lasciano molto spazio all’operato di chi come me dipinge in stile classico e con soggetti iperrealisti. Come per molti artisti, il mio mercato è limitato a lavori su commissione, e le opere che vengono eseguite per ispirazione personale spesso restano invendute o hanno diffusione limitata alla propria zona di resin. 3 Maggio 2021 denza”.


M. Quaini e l’energia dell’acquerello Marialuisa Quaini è tra i pochi artisti che possono dire di avere fatto dell’arte la propria professione di vita, oltre che la propria passione. Ci parla della sua formazione artistica? “Sono nata a Milano dove ho vissuto parecchi anni studiando pittura attraverso corsi privati. In seguito mi sono trasferita a Verona, dove ho ricominciato gli studi d’arte, inizialmente da privatista e poi attraverso l’Accademia di Belle Arti Cignaroli. Qui ho approfondito lo studio della pittura ad olio e dell’acrilico, alternando corsi di grafica e affresco. Alla Cignaroli ho ottenuto il primo diploma in pittura. Ho studiato anche storia dell’arte e acquerello. Durante gli anni successivi ho frequentato L’Accademia Internazionale di Brunico in provincia di Bolzano, per lo studio specifico dell’acquerello con insigni professori austriaci. Ho infine imparato la ceramica Raku e approfondito la tecnica dell’acquerello all’Accademia di Tenno di Trento”.

Autunno verso la Fobbia di Treviso Bresciano olio su tela 50 x 70 Walter Benetelli

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Cosa l’ha spinta a frequentare diverse Accademie di Belle Arti? “Mi interessava poter discutere e lavorare con professori di varie formazioni culturali. Scambiare opinioni con pittori stranieri sempre alla ricerca di nuovi spunti e nuove idee”. Come mai la scelta dell’acquerello come tecnica ideale? “La tecnica dell’acquerello mi ha sempre coinvolto. Operare con l’acqua vuol dire concepire meraviglie improvvise, guidare senza problemi le sensazioni, libera da costrizioni. Era quello che cercavo da sempre”. Ci sono materiali diversi che uniti al suo acquerello lo rendono originale? “Per materie diverse io intendo quei prodotti che mi possano aiutare nella ricerca dell’originalità e della diversità. Il sale che assorbe il colore mi aiuta a trovare il sogno, l’etereo. L’inchiostro a delineare certi punti. Le polveri d’oro e d’argento a far risplendere parti del dipinto. Il caffè per usare un solo prodotto, riuscendo a trovare la via prescelta. I gessi per muovere le superfici creando spazi diversi, e le cere per realizzare spazi chiari e luminosi”. Quali soggetti predilige e perchè? “Prediligo i paesaggi che riesco a visitare perché mi restano nella mente dopo i lunghi viaggi. Li elaboro come li ricordo e li sogno, con il cuore e con la mente”. Quali Maestri pittori del passato o contemporanei l’hanno ispirata artisticamente? “Mi hanno ispirato Maestri meravigliosi come William Turner che ho avuto la possibilità di vedere a Londra, e i miei professori, insigni pittori contemporanei come: Giuliari, Patuzzi e Tavella”.

Quale è stata la soddisfazione più grande in campo artistico? “Soddisfazioni tante. In primis gli apprezzamenti fatti dai Maestri che mi hanno aiutato e seguito. Le citazioni sui diversi cataloghi, il Cavalierato per l’arte, e l’essere iscritta alla SBAV Società delle Belle Arti di Verona dal 1990, con successo di critica e riscontri positivi vari”. Quale invece quella nel campo dell’insegnamento? “Essere stata in grado di trasmettere ai miei alunni l’amore per la pittura ad acquerello, e di averli seguiti con sentimento oltre che con professionalità”. Come mai questa grande passione per la pittura? “Perché fa parte della mia vita, del mio cammino, del mio modo di vivere. Non concepisco la vita senza sfumature, luce e colori, senza potermi esprimere attraverso la pittura stessa”. Info www.quaini-ml.com

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libri & cultura

di luca masiello (tratto da qui merano)

Tredici chilometri di suspense L’inchiostro è ancora fresco sulle pagine di “Solo tredici chilometri”, legal thriller edito da alphabeta di Merano e scritto a quattro mani da Mauro de Pascalis e Giovanni Accardo, ma è già boom di vendite. Il romanzo ricostruisce una controversa vicenda giudiziaria - l’omicio di una ragazza di 19 anni - ambientata in un Alto Adige che dietro ameni paesaggi nasconde atmosfere cupe e inquietanti, un misterioso omicidio realmente accaduto e che aveva visto il neoscrittore De Pascalis affrontare indagini e processi. Avvocato De Pascalis, perché questo libro? Questo libro andava fatto innanzitutto per rendere omaggio a due persone che il caso ha avvicinato in una vicenda tragica che ha rischiato di travolgere non una, ma ben due vite: una ragazza di 19 anni e un giovane accusato del suo omicidio. Una storia che appartiene a chi l’aveva vissuta, e siccome in molti mi avevano chiesto di raccontarla, nel corso di questi anni ho deciso che andava scritta. Come è nata la sinergia con Giovanni Accardo? Ci eravamo trovati in un bar a Bolzano e gli avevo parlato del mio progetto. Giovanni Accardo si è dimostrato subito molto entusiasta di ciò che avevo scritto, e mi aveva proposto di correggerla. Poi si è talmente affezionato al personaggio e alla storia che abbiamo deciso insieme che era corretto che diventasse un coautore: il mio scritto descriveva i fatti in ordine cronologico, mancava di una vis letteraria, e lui ha messo a disposizione tutto il suo talento. Passiamo alla cronaca: questa vicenda giudiziaria l’ha segnata. Come è cambiata la sua vita dopo il processo? È vero, mi ha sicuramente segnato sia dal punto di vita professionale che umano. Perché mi sono reso conto dell’importanza del ruolo della difesa e del giusto processo. In questa triste vicenda tutti hanno agito all’interno delle regole, ed è stato affascinante scoprire come il meccanismo processuale se utilizzato bene è virtuoso e garantisce l’accostamento della verità reale alla verità processuale. Ho scoperto che non ci si deve mai innamorare di una propria tesi, né a livello accusatorio né a livello difensivo, soprattutto quando si parla di femminicidi o comunque eventi così tragici come la morte di una persona. Quanto ha cambiato la sua vita professionale? Non ha rappresentato una svolta epocale, io forse non ho avuto né la voglia né la costanza di capitalizzarla, e comunque non l’avevo ritenuto opportuno, ho semplicemente lasciato che la mia professione seguisse i sui binari. In cuor mio ho sempre pensato fosse necessario raccontare questa storia, proprio perché attribuisce ai ruoli della difesa e dell’accusa una giusta collocazione, e può avere

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Giovanni Accardo

LA RECENSIONE

anche una valenza formativa e didattica proprio in un periodo storico in cui i processi a volte vengono fatti con i plastici o con le urla in televisione. Questo libro forse scansiona bene il tempo necessario per analizzare una visione così complessa come quella che è avvenuta, e dimostra che non è sempre vero che il trascorso del tempo sia una negazione della giustizia; bisogna sempre contemperare le esigenze del processo alle esigenze del raccoglimento dei dati che servono poi all’interno del processo stabilire se uno è colpevole o innocente. Avete creato un personaggio al quale il lettore riesce ad affezionarsi. C’è la possibilità che De Vitis torni in un altro libro? Ora è ancora troppo presto per pensare al futuro, ma non lo posso negare: l’idea mi stuzzica parecchio. Anche perché i primi commenti sono decisamente positivi: addirittura Massimo Carlotto, un maestro del noir italiano, ha mostrato il suo apprezzamento, un fatto che mi ha onorato. Quanto Mauro De Pascalis c’è nell’avvocato Marco De Vitis? Forse la domanda giusta è: quanto De Vitis c’è in De Pascalis (ride, ndr)! Diciamo che a volte le due figure si sovrappongono...

Ricordo benissimo quel novembre di ormai oltre vent’anni fa. Ricordo anche tutte le fasi processuali, le foto dei rilievi e il video dell’autopsia di quella povera ragazza strappata alla vita. Non avevo ancora compiuto trent’anni, e ricordo anche quell’avvocato che ne aveva solo un paio in più di me; scrivevo di cronaca giudiziaria, e quello era il mio primo grande caso. È con questo approccio mentale che mi sono avvicinato a “Solo tredici chilometri”: sapendo che non mi sarei potuto abbandonare in quella piacevole foresta del patto letterario. Ma Giovanni Accardo e Mauro De Pascalis sono riusciti a creare un’opera che riesce a restare fedele alla realtà dei fatti, avvolgendola però in un’aura di fantasia capace di intrappolare il lettore con colpi di scena, emozioni inaspettate e tanto italiano scritto bene. Innanzitutto i personaggi: ognuno di essi riesce ad essere identificato immediatamente, e ad ognuno di loro – nel bene o nel male – ci si riesce ad affezionare. Il protagonista, l’avvocato De Vitis, è un professionista che sbaglia, inciampa, si risolleva, affonda colpi che vengono parati ma non si dà per vinto. È con la caparbietà che combatte la sua inesperienza e la sua vulnerabilità; in lui si sente ancora l’odore delle aule universitarie, le risate di quella gioventù pre-laurea che spesso si scontrano con la pesante toga nera che indossa in Corte d’Assise, e che cozza a sua volta con una dedizione al caso che puzza di dipendenza. Martin, l’indagato: imperscrutabile, silenzioso, resta in carcere per dimostrare quell’innocenza della quale sembra l’unico ad essere convinto; un carattere che non si differenzia moltissimo da parenti, amici e antagonisti che vivono nel suo stesso paese, quella San Candido ancora periferia estrema, non contaminata da quel luccichìo che da lì a pochi anni una serie televisiva le avrebbe imposto. Un paesino alpino come tanti altri, ma che da un giorno all’altro vede il suo cielo oscurarsi di tinte scure, “noir”, a dimostrazione che (mi si passi la citazione deandreiana), i fiori del male sbocciano anche dove il panorama è più bello. La storia si snoda in maniera semplice, nonostante il caso non lo sia per niente. Ma i due autori riescono a spiegare in maniera elementare anche i cavilli giudiziari più intricati, accompagnando per mano il lettore nel mondo della giurisprudenza senza fargli incontrare nessun ostacolo. “Solo tredici chilometri” è un libro amaro. Entra nelle vite di tanti personaggi, e in ognuno di essi trova dei punti di forza ma soprattutto le loro tante debolezze, non escludendo nessuno. Ogni pagina sprona il lettore a sfogliarne un’altra giocando sulla suspense e la curiosità. Una curiosità che dal punto di vista della narrazione viene soddisfatta, ma che lascia il lettore con un punto interrogativo; e l’impressione è che la risposta non si possa trovare fra quelle pagine, ma che maceri nella mente di chi le ha sfogliate. (L.M.)

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Guido Ruberto e Michele Rigoni @Storielette2020 in Facebook Il progetto @storielette nasce dall’idea di due amici, Guido e Michele, che in questo delicato periodo di “tempo sospeso” e di “socialità vietata” hanno immaginato di costruire uno spazio da condividere e far vivere grazie alla letteratura. “Abbiamo pensato che le persone avessero bisogno di un momento di vicinanza e che questo momento potesse essere riempito con delle storie, le più diverse, tratte da romanzi o racconti di scrittori di tutto il mondo”. L’obiettivo è stato quello di coinvolgere le persone, di farle sentire più vicine, un po’ come si faceva agli albori della radio, utilizzando però una delle piattaforme digital più conosciute e condivise da persone di ogni età. Il format del progetto iniziale prevedeva una lettura Quotidiana in Diretta di circa 30’, quindi non un romanzo intero, ma un racconto, o la scelta di un personaggio o di un frammento significativo. I racconti che legge Guido sono “momenti” di coinvolgimento emotivo. Michele invece durante la diretta interagisce con gli ascoltatori che chiedono informazioni, partecipano o semplicemente salutano; li sollecita anche a suggerire proposte di lettura, tipo di preferenze e qualità del gradimento. Da circa sei mesi le letture LIVE sono diventate bisettimanali, il lunedì e giovedì alle 19. La pagina Fb ha ormai 8000 followers e ottime attività di ingaggio. Dal 25 marzo sono stati letti in diretta Ngozi Adichie, Tabucchi, Calvino, Camilleri, Braudel, Updike….e molti altri ancora. Dopo 1 anno di dirette sono stati letti e interpretati circa 115 romanzi e racconti per un totale di circa 100 ore di diretta. Gli ascoltatori e le ascoltatrici possono seguire @Storielette2020 anche sul canale Youtube: Storielette.

L’avvocato Mauro de Pascalis (ph. Orler)

LA TRAMA Martin Scherer ha ventisei anni, vive a San Candido, in provincia di Bolzano, e fa diversi lavori: il cameriere a Jesolo in estate, il muratore, il dipendente in un noleggio sci. Johanna Pichler di anni ne ha invece diciannove, abita a Sillian, in Austria, a “solo tredici chilometri” dal confine italiano: è disoccupata e conduce una vita molto sregolata. Una sera i due s’incontrano in un bar e trascorrono parte della notte insieme, ma pochi giorni dopo Johanna viene trovata morta in Veneto, con segni di strangolamento, i pantaloni abbassati e del nastro adesivo a chiudere bocca e narici. Cos’è successo? Chi l’ha uccisa e poi trasportata a San Stino di Livenza per gettarla in un fosso? Johanna ha addosso una felpa di Martin, che viene subito interrogato e arrestato, ma che si dichiara innocente. A cercare la verità, tra mille dubbi e domande, sarà l’avvocato De Vitis, alla sua prima esperienza in un procedimento penale, che diventerà un vero e proprio apprendistato giuridico e umano.“Solo tredici chilometri” è scritto a quattro mani da un narratore siciliano, naturalizzato bolzanino (Accardo vive nel capoluogo altoatesino

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da oltre 25 anni), e da un avvocato dell’Alto Adige attivo come penalista nel Foro di Bolzano da diversi anni. Un lavoro che trova la sua principale originalità nell’incontro tra letteratura e cronaca giudiziaria; la narrazione entra nei meandri di un processo per omicidio, negli atti giudiziari, nelle dinamiche dentro e fuori dall’aula di un tribunale, nelle indagini di una procura, nelle strategie difensive, nelle responsabilità dei giudici. Un racconto quasi in presa diretta e ricco di colpi di scena, che mette in scena tutto il fascino e la complessità dell’arte forense, riservando una sorpresa finale.

Guido Ruberto è uno storico doppiatore pubblicitario - oltre che un appassionato lettore. Michele Rigoni è il titolare e direttore dell’agenzia di comunicazione Keymove di Milano,

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eventi

CREMONA MUSICA TERZA EDIZIONE DEL DISKLAVIER COMPOSERS CONTEST

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remona Musica e Yamaha Music Europe – Branch Italy, presentano la terza edizione di un concorso di composizione concepito per favorire l’incontro tra l’innovativa tecnologia Yamaha e il genio creativo dei compositori di oggi! Le molteplici potenzialità offerte dalla tecnologia Disklavier potranno essere utilizzate dai partecipanti per comporre un brano inedito. I finalisti saranno selezionati da una giuria internazionale che, in occasione della finale, il 26 settembre 2021, nell’ambito di Cremona Musica, voterà il vincitore del concorso. “Il Disklavier è uno strumento di grande stimolo creativo per tutti i compositori, - spiega il M° Roberto Prosseda, direttore artistico del concorso - in quanto consente di sviluppare idee musicali che sarebbero altrimenti irrealizzabili da parte di un pianista “umano”. Questo concorso si distingue perché offre a tutti i compositori la possibilità di ascoltare l’esecuzione (filmata sul Disklavier) del proprio brano, contribuendo alla diffusione e promozione della loro musica. La giuria, composta da importanti musicisti internazionali, avrà modo di valutare non solo l’originalità e la qualità di scrittura delle composizioni, ma anche la comprensione e lo sfruttamento delle potenzialità uniche del Disklavier, che permettono, ad esempio, di gestire una polifonia a 30 o più voci, o di eseguire passaggi con una velocità e una precisione

a cura di v.corini ritmica e dinamica altrimenti impossibili. “Con questo concorso si vuole esprimere la voglia di rilancio, di continuità per un settore, quello culturale, che sta soffrendo più di qualsiasi altro - dichiara Ilaria Seghizzi, Product Manager di Cremona Musica - Vogliamo continuare con forza a sostenere la musica e la sua divulgazione anche attraverso progetti di co-marketing con le azienda partner, per realizzare iniziative di grande prestigio come questa”. “ Il Disklavier è un esempio di utilizzo virtuoso della tecnologia che amiamo, quella sempre al servizio dell’uomo – dichiara Giovanni Iannantuoni, Senior Manager di Yamaha Music Europe - Il compositore che avrà ad esempio scritto un brano per pianoforte a dieci mani, potrà vedere, ascoltare il suo brano riprodotto dal pianoforte Disklavier. Ma il genio, la creatività che lo avranno suscitato, rimarranno sempre una creatura dell’anima del compositore”. IL CONCORSO Il Disklavier Composers Contest è aperto ai musicisti maggiorenni, residenti in Europa, indipendentemente dal titolo di studio. I partecipanti dovranno comporre un brano inedito che sarà riprodotto su un pianoforte Disklavier. La giuria internazionale, composta da Richard Danielpour (Presidente), Francesco Filidei, Betty Olivero, Enrico Pieranunzi e Geoff Westley, selezionerà i brani che accederanno alla finale del 26 settembre, che si svolgerà nell’ambito della Manifestazione fieristica Cremona Musica. In quell’occasione verrà decretato il vincitore, a cui andrà un premio di euro 5.000,00 (al lordo delle ritenute di legge vigenti) offerto da Yamaha Music Europe - Branch Italy. È previsto inoltre un “premio del pubblico”, deciso sulla base delle preferenze espresse online, del valore di euro 2.000,00 (al lordo delle ritenute di legge vigenti) offerto da Yamaha Music Europe - Branch Italy. Ogni spartito/file audio presentato dai concorrenti e caricato nella pagina di iscrizione sarà eseguito su Disklavier, video-registrato e pubblicato sul canale YouTube Disklavier Composers Contest con relativo titolo e nome dell’autore. Il video che riceverà più “like” sul canale YouTube si aggiudicherà il “premio del pubblico”. Nell’eventualità in cui si riscontrassero anomalie nell’analisi dell’attribuzione dei like, il video verrà escluso dalla competizione per il “premio del pubblico”. Casa Musicale Sonzogno pubblicherà il brano vincitore inserendo il titolo nel suo catalogo e si riserva la facoltà di proporre a uno o più autori finalisti di pubblicare nel proprio catalogo le rispettive composizioni.

zioni, o partendo anche da una semplice traccia in formato MIDI, replicando anche le sfumature sonore e i movimenti di tasti e pedali, e permettendo al pianista anche di accompagnarsi da solo o di suonare un pianoforte situato dall’altra parte del mondo. CREMONA MUSICA è la principale fiera al mondo per gli strumenti musicali d’alto artigianato, e si tiene ogni anno a Cremona, città natale di Stradivari e polo internazionale dello strumento musicale. Oltre agli strumenti creati dai maestri cremonesi, italiani, e internazionali, Cremona Musica ospita un calendario di eventi ricco e variegato, con concerti, mostre, masterclass, concorsi, conferenze, con artisti di livello mondiale. Combinando il lato business e quello artistico della musica, Cremona Musica diventa un evento irrinunciabile, un punto di incontro dove nascono nuove idee, progetti e collaborazioni, e dove la musica vive e si rinnova.

LA TECNOLOGIA DISKLAVIER, sviluppata in oltre 30 anni da Yamaha, permette ai pianoforti acustici del brand giapponese di registrare e riprodurre perfettamente le performance del pianista, attingendo anche ad un catalogo di spartiti, registra-

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MARCO NODARI La música es mi vida! E’ membro dell’Academy Latin Grammy Awards (unico italiano ad esserlo), ha avuto 5 nomination all’ISSA AWARD 2021, è Ambasciatore della Casa della Cultura HispanaAmericana a Miami, è stato nominato infine quale miglior cantautore del decennio dall’agenzia di stampa mondiale. E’ Marco Nodari, cantante e cantautore italiano di origini mantovane, proprietario di una prestigiosa etichetta discografica indipendente, “Canzoni Buone Come il Pane” (che si occupa della produzione e distribuzione di musica online in tutto il mondo, oltre che della collaborazione con altre importanti case discografiche, che può contare su un ventaglio di oltre 700 brani che spaziano dalla musica dance, pop, strumentale e tradizionale), ha trovato il successo in Sudamerica. La sua è una autentica passione per la musica iniziata all’età di 6 anni con lo studio della chitarra e successivamente del pianoforte, coltivata per tutta la giovinezza e che registra una svolta significativa quando viene scelto per partecipare alla prestigiosa scuola CET fondata da Mogol ove viene ammesso al corso di composizione. Laureato con brillanti risultati, Marco rimane nella scuola come assistente ai corsi e a diversi docenti del calibro, per citarne alcuni, di Mango, Lucio Dalla, Mogol, Cheope (autrice della cantante Laura Pausini), Stelvio Cipriani per la musica da film, Ornella Vanoni, Gianni Bella, Mario Lavezzi e tanti altri.Con Mogol si instaura un rapporto di fiducia professionale molto forte e Marco partecipa con il maestro a numerosi eventi nazionali in qualità di musicista, artista e compositore. Dopo 8 anni di esperienza con Mogol, Marco inizia il percorso come produttore di altri progetti musicali: musica per il teatro, pubblicità, musica da ballo per il mercato estero, produzione discografica per altri artisti, oltre a maturare la sua esperienza di compositore e artista. Ed è proprio in questo periodo che l’artista mantovano decide di creare una propria etichetta discografica indipendente. Nel febbraio 2011 l’etichetta “Canzoni Buone Come il Pane” ha prodotto il primo album di Marco Nodari, “Buonasera signorina”, progetto realizzato e ideato dallo stesso Marco in collaborazione con Bob Benozzo (eccezionale produttore più volte nominato a livello internazionale ai Grammy Awards di musica latina) e Cesare Chiodo (bassista e produttore di Laura Pausini, Mina e Celentano) che vede finalmente protagonista la maturità artistica e musicale di Nodari. Canzoni caratterizzate da una fusione unica e originale di ballate e versioni di classici della musica italiana,

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un progetto dedicato alla comunità italiana nel mondo, che comprende alcune cover di classici italiani, brani in spagnolo e brani inediti dell’autore. “Bella Italiana”, una canzone che fa parte dell’album, è stata scelta da diversi siti negli Stati Uniti (ciaoamerica.net, etc. per diventare la colonna sonora ufficiale di Miss Italia America e, in America Latina, di Miss Italia Uruguay. Nel 2014 esce “Una Mañana Especial”, il suo nuovo album, con il primo singolo omonimo, al cui video, girato a Roma, partecipa l’attrice Eleonora Albrecht. Rompere la routine della quotidianità per regalare alla donna che ami una mattinata speciale, è il concetto che emerge nelle parole di Nodari che vuole offrire, con la sua musica, un momento speciale a tutto il suo amato pubblico. Nel marzo 2020 Marco è stato insignito del titolo “Member of the Latin Recording Academy” ed è stato nominato per l ‘”Intercontinental Latin American Gold Award 2020 - 2021, il premio di eccellenza mondiale”, in qualità di musicista, compositore e produttore italiano con la massima proiezione internazionale ed anche per il “4 ° Incontro Intercontinentale di Cultura”, nella città di Puerto Cabello, stato di Carabobo, Venezuela. Marco ha avuto infine un altro riconoscimento a Miami come “Ambasciatore Socioculturale Rappresentante dell’Italia”, nella casa della cultura di Miami per le comunità latine negli USA Il nuovo singolo di dicembre 2020, “Es Navidad”, girato presso il prestigioso Teatro Bibiena di Mantova, ha avuto un grande successo ed è trasmesso in Australia, Europa, America Latina e Stati Uniti dove Marco sta accrescendo la propria fama. Tante le testate giornalistiche che hanno testimoniato con titoli eclatanti la sua ascesa: “Marco Nodari, il musicista che mette il cuore nella sua seconda patria” (FOX SPORT); “Nodari, musica dal sapore genuinamente italiano” (EL DIARIO de Santa Fé); “L’eleganza della sua voce, suono e arrangiamenti sottolineano la maturità artistica e musicale di Nodari”(LA CUERDA PLANETARIA); “Marco Nodari, un artista con una tinta unica” (PLANETA Santa Fé); “Il cantante Marco Nodari, figura di spiccata discendenza musicale” (Diario CRONICA); “Il cantante italiano suona forte con il suo successo ai Mondiali” (Diario POPULAR); “Marco Nodari, la voce che accarezza i sensi” (Cristina Barcelona Ceo APCESX Group The World PRESS Agency). MCG l’ha intervistato per voi!

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Aquileia

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aro Marco, innanzittuto grazie di questo incontro e davvero complimenti, complimenti sinceri per questa carriera artistica che l’ha resa così famosa all’estero. Un percorso, quello dell’artista musicale, mai scontato e irto di difficoltà. A tal proposito ha mai avuto in gioventù un momento di sconforto e pensato di lasciare il mondo della musica? Sì, durante l’adolescenza, quando quelle 6-8 ore giornaliere che dedicavo alla musica mi tenevano lontano da tutto. A quell’epoca non avevo ancora un pianoforte mio (perché a noleggio) e ricordo che dissi un giorno ai miei genitori: “basta, stop, portatelo via!” Ma dopo una settimana era come se mi mancasse l’aria, e li pregai di farmelo riportare. Sono stato davvero molto fortunato da questo lato, i miei genitori mi hanno sempre sostenuto ed appoggiato. Come sta vivendo questo periodo di grande popolarità? Diciamo che non ho mai il tempo di “fermarmi”, è un lavoro di contatti giornalieri con vari Paesi del mondo agli orari più disparati, ma è un immenso piacere poter condividere la mia musica a livello internazionale, è ciò che ho sempre desiderato, e che si sta realizzando. “Uno su mille ce la fa” cantava Morandi…forse l’Italia è ingrata: cosa le ha dato il Sud America ed altri Paesi e che rapporto ha oggi con questo continente e con i suoi abitanti? Ho un contatto giornaliero non solo col Sud America ma col mondo: calcoli che nell’ultimo anno ho realizzato ben oltre 600 interviste in tutto il mondo, ed ogni giorno si aggiungono nuovi Paesi che vogliono sapere di Marco Nodari. Non voglio pensare ad un’Italia ingrata: la mia è stata una scelta di mercato, e con un’altra lingua…ho sempre desiderato il mondo, senza mai dimenticare però le mie origini, le mie radici Ha ricevuto prestigiosi incarichi ed ha avuto Nomination per prestigiosi premi: che responsabilità si sente cucita addosso? E’ vero: questi prestigiosi riconoscimenti, nomination etc. sono una grande soddisfazione per me ma più che altro rappresentano una spinta a migliorarmi ogni giorno. Recentemente nella prestigiosa Associazione Americana Issa “Singer Songwriter Association U.S.A” ho avuto 5 Nominations: Intenational Male Vocalist Of The Year, INTL Album Of The Year, INTL Male Songwriter Of The Year, INTL Male Emerging Artist Of The Year, INTL Male Single Of The Year, e mi lasci dire che solo il fatto che prestigiose Associazioni nel mondo riconoscano il tuo lavoro diventa il premio più grande per i tanti sacrifici e il tanto impegno profuso sino ad oggi. Lei è l’unico italiano membro dell’Academy Latin Grammy Awards: ci racconti un po’ di più a riguardo del suo incarico.

Marco col suo caro papà

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“Ho recentemente pubblicato un nuovo brano “Volver Volver”, una rivisitazione-arrangiamento di un classico conosciuto in tutto il mondo, cantandolo con l’ambasciatrice della musica messicana nel mondo, la fantastica Myrza Maldonado”

essere l’unico italiano membro dell’academy latin grammy awards mi ha regalato un’immensa soddisfazione. E’ UNA QUALIFICA CHE TI COLLOCA DI DIRITTO TRA I MIGLIORI MUSICISTI NEL MONDO

musicisti nel mondo, una immensa soddisfazione che porta con se una strana coincidenza: pochi giorni prima avevo lanciato il brano “Hola papà” una canzone dedicata a mio padre, che non è più tra noi. Proprio con questo brano mi hanno nominato membro dell’Academy, cosa che mi rende doppiamente orgoglioso. Ma per dare risposta completa alla sua domanda le dico che le “funzioni-responsabilità” di un Membro dell’Academy, oltre a partecipare come artista, sono quelle di votare e valutare i più importanti artisti al mondo nelle varie categorie. E’ stato bello ricevere, infatti, nei giorni successivi a questa notifica, i complimenti da altri colleghi, già vincitori in passato di vari Grammy, che si sono complimentati per il lavoro e le produzioni che ho realizzato nel tempo. A quale progetto sta lavorando? Ho recentemente pubblicato un nuovo brano “Volver Volver”, una rivisitazione-arrangiamento, di un classico della musica messicana, brano conosciutissimo in ogni angolo del mondo (a parte l’Italia) che ho stravolto portandolo ai giorni nostri, cantandolo con l’ambasciatrice della musica messicana nel mondo, Myrza Maldonado, figlia di uno dei più importanti compositori messicani nonchè autore di questo brano. Sono felicissimo della produzione-realizzazione che ho curato nei minimi dettagli, e che sta “passando” in moltissimi Paesi del mondo. Infine ho pubblicato, recentemente, oltre 300 brani strumentali, per un’importante collaborazione con Netflix ed altre cose che presto usciranno.

E’ stata una fantastica sorpresa! Il Grammy Awards è, infatti, l’Oscar della musica nel mondo! Il tutto si è svolto così: dei miei collaboratori, e giuro a mia insaputa, hanno inviato il mio materiale all’Academy, dove i migliori produttori, artisti, produttori, arrangiatori di fama mondiale (che sono i selezionatori votanti) hanno 45 giorni di tempo per valutare il tuo lavoro, che va dall’arrangiamento, composizione, testo, produzione, musicisti, interprete, suono, che son tutti elementi e dettagli che curo personalmente. Per farla breve, nemmeno in due giorni ricevo una mail da Santa Monica Los Angeles (ricordo che non ne sapevo nulla) dall’Academy Latin Grammy Awards che mi dice (pensavo fosse un messaggio pubblicitario) “Congratulations, You Are Membership Of Academy Latin Grammy Awards”! Non ci potevo credere, ho pianto dall’emozione! Una qualifica che ti colloca di diritto tra i migliori

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Come ha influito il Covid con la sua attività professionale? Ha influito nel cancellarmi un volo ed una tourneè, però mi ha dato lo “spazio-tempo” e la possibilità di potermi dedicare molto di più alle interviste e alle nuove produzioni. Diciamo che è stato un anno di regali meravigliosi, voglio essere positivo, perchè il resto, purtroppo, ognuno di noi sa come lo ha vissuto… Parliamo dei suoi successi: facendo una classifica in termini di ascolti e visualizzazioni quali sono i primi tre brani di Marco Nodari più ascoltati in Sudamerica ed Altri? Racconto un aneddoto relativo ad un brano di qualche anno fa, “Una Mañana Especial”: alcuni collaboratori-produttori che lavoravano con me, rispetto ad altri brani, la consideravano “minore”, ma siccome l’ultima parola in ogni caso spetta al sottoscritto, è stato il primo singolo che ho voluto produrre e realizzare in video. Nemmeno un mese dopo era sigla di oltre 120 programmi in Sud-America ed altri paesi, ed alcuni han persino creato programmi televisivi e radiofonici con lo stesso nome della canzone ovvero “Una Mañana Especial”. Altro brano che voglio ricordare è Hola Papà, che lo scorso anno ha avuto una presentazione da New York con la diffusione contemporanea in oltre 1000 radio nel mondo. Qual è la canzone alla quale è più affezionato e perché? E’ quella che dovrò scrivere, quella che sta per arrivare: ognuna è come un figlio. Che idea si è fatto della musica prodotta attualmente in Italia? Ho sempre avuto una visione internazionale che mi ha confermato che il mondo è diverso fuori dall’Italia, ed è anche per questo, purtroppo, che molta musica non oltrepassa più i nostri confini, ed è un peccato! Pensando al Rinascimento, agli anni 60, alla dolce vita, alla Milano da bere etc. a tutto quello in pratica che l’Italia esprime di bello, ci si è posti e ci si pone con un’ aria di superiorità verso l’estero e si è portati a pensare che gli altri siano “meno”, parlando in termini di musica naturalmente. A chi mi diceva che il Sud-America è più “facile” , musicalmente parlando, facevo notare che ogni sera ti “scontri” con mostri sacri della musica: in una settimana o, nella stessa serata, puoi trovare gli U2, Lionel Ritchie, Roger Waters, Sting, etc...

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questo è il livello! Una città come Buenos Aires, ad esempio, ha lo stesso fatturato annuo della musica live di New York! E parliamo di milioni di dollari. Che ne pensa dei Talent e di tanti ragazzi giovani che dopo alcuni mesi di popolarità scompaiono per sempre nell’anonimato? Direi che già la domanda porta con se la risposta. Personalmente mi spiace vedere ed immaginare che tutto sia semplice e facile ”Successo”. Avendo lavorato e collaborato con i grandi Lucio Dalla e Mogol posso fare un esempio concreto: Dalla ha realizzato 8 album prima di farsi conoscere, ed era un super musicista, un Maestro, che ha continuato incessantemente a sperimentare, studiare, lavorare! Mogol stesso ha venduto oltre 500 milioni di dischi ed ha avuto più numeri uno dei Beatles nel Mondo: io che è da quando ho 6 anni che ho iniziato a studiare son stato con lui ben 8 anni, ed in moltissime situazioni musicali e di vita quotidiana-lavoro! Nessuno mi ha regalato nulla, ho sudato e lavorato duro per essere arrivato dove sono arrivato: facile capire che in 2 mesi di talent show, se non hai un vero background alle spalle non andrai da nessuna parte, ma è più facile

che ti scioglierai come la neve al sole. Poi qualche eccezione c’è, parliamo di talenti puri, che come sempre conferma la regola. I talent rispondono al business mediatico e quasi sempre bruciano gli aspiranti artisti che corrono peraltro il grave rischio che, se non forti soprattutto psicologicamente, si possono poi trovare in un vortice negativo, fatto di insoddisfazione e depressione, per molto tempo della loro vita. Qual è il suo sogno nel cassetto? Sono molti, ma già potersi svegliare al mattino e poter fare della tua passione il tuo lavoro, è un privilegio che non tutti hanno nella vita. Sono riconoscente di questo, spero di evolvere, di migliorare le mie prodiuzioni, e tornare al più presto a realizzare concerti nel mondo, oltre che a comporre musica per film ed altro…d’altronde questa è la mia vita, la mia “passione-ossessione” Mandi un saluto da queste pagine ai suoi tanti fans oltre oceano visto che questa intervista verrà sicuramente tradotta e riproposta in Sudamerica, ed altri paesi Ringrazio il direttore Marco Morelli, al quale rilasciai molti anni fa un’intervista nei primissimi anni della mia carriera, per questo spazio che ho avuto per raccontare, non solo ai miei fans in Sudamerica ma anche alle tante persone in Italia che mi vogliono bene e che mi seguono, alcune news sulla mia attività. Colgo l’occasione per augurare ad ognuno di voi che ci sta leggendo salute e serenità, che sono le cose più importanti che abbiamo, delle quali, mai come ora, abbiamo colto il valore e l’importanza. Come per esempio il valore di quello che ora più ci manca e che vorrei dare ad ognuno di voi: un grande abbraccio!

Paolo Carli

tumarconodari.com

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JENNI GANDOLFI

Canto storie vere, di chi incontro sul mio cammino!

Castello di Spessa

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Mantova fucina di talenti. Affermati, incompresi, oppure sulla rampa di lancio. Lascio a voi lettori il compito di individuare la categoria nella quale collocare Jenni Gandolfi dopo aver letto questa intervista e dopo essere andati ad ascoltare online qualcuno dei suoi brani. Jenni è una cantautrice mantovana, autrice, insegnante di canto moderno, musicoterapeuta e studentessa di psicologia. Si è avvicinata al mondo musicale all’età di 12 anni studiando sax contralto, in seguito pianoforte, chitarra acustica e canto moderno. Ha partecipato a numerosi contest e festival di livello provinciale e nazionale, tra i quali Accademia di Sanremo, Festival di San Marino, Premio Mia Martini (Terni), Nel 2008 consegue il suo primo successo: vince il Ballabellaradiofestival con il suo brano “Crescere”, concorso per cantautori di Misano Adriatico organizzato da Lorenzo Piani, in collaborazione con Rai Uno Mattina Estate e nel 2009 pubblica il primo album “Crescere”. Nel 2011 viene selezionata da Radio Number One come finalista del Contest “Back to nature game” tenutosi a St. Moritz. Scoperta dal noto cantautore e talent-scout bolognese Marcello Romeo, diventa ospite di alcune trasmissioni radiofoniche e televisive nazionali. La cantautrice ha diretto anche vari cori, tra i quali “Fuori dal Coro” dell’Istituto Statale d’Arte “G. Romano”– di Mantova, e “Il Coro degli Angeli” di San Giorgio di Mantova. Tutt’ora è alla direzione del “Coro di voci bianche Farinelli”.

Nel 2015 Il brano “Di notte” contenuto nell’album “CRESCERE” è stato selezionato ed inserito nella compilation “ARTISTI UNITI CONTRO IL CANCRO VOL.1” pubblicato da Vitteck Records. Nel 2017 pubblica l’album “Come l’Acqua”. Il 1 gennaio 2021 entra a far parte del mondo dell’etichetta discografica PMS studio label. Jenni puo’ vantare inoltre nel suo curriculum: - il contest “Microfono d’oro” edizioni: 2016 – con il brano “L’Amore è un gioco” ; 2017 -con “Uno strano sasso” aggiudicandosi il premio del quotidiano nazionale “Il Resto del Carlino” come miglior compositore assoluto del concorso; 2018 con “La scuola che vorrei”- l’esser stata finalista del Faenza Pop Festival - l’aver vinto vince la gara canora nel celebre programma “Mezzogiorno in famiglia” su Rai 2 i - l’aver conseguito nel concorso nazionale “Giovanna Daffini”: nel 2017 il premio della critica con il brano ”Le malelingue”; nel 2018 il Primo Premio nella sezione “A un secolo dalla fine della grande guerra si ritorna nei campi e in officina” con il suo brano “La guerra” ; nel 2019 il Premio della critica con “I nani ad Mantua”. - l’aver vinto Il 19 aprile 2018 con il coro dei bambini della scuola dell’infanzia “G. Farinelli” di Governolo (Mn) il “Global Education Festival” (GEF), tenutosi presso il Teatro Ariston di Sanremo. - l’esser stata Semifinalista nel 2019 del contest americano “Song of the year” e l’essere stata finalista del “Biella video festival”. MCG l’ha intervistata per voi.

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iao Jenni. Cosa rappresenta per te la musica? Sicuramente questa l’avrai già sentita ma... la musica è l’aria che respiro, è in ogni poro della pelle, è la vita. Per me rappresenta un sentiero che mi ha portata fino ad oggi in un mondo parallelo, che mi ha permesso di sopravvivere nella jungla della vita. Come nascono le tue canzoni? Le mie canzoni nascono da storie vere di chi incontro sul mio cammino, storie che, in qualche modo mi hanno colpita. Di solito si tratta di avvenimenti particolari. Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo stile? Gli artisti di cui mi sono “innamorata” e che poi hanno influenzato il mio stile sono per esempio, in ambito americano Johnny Cash, Bob Dylan, Joan Baez; in ambito italiano Fabrizio De Andrè, i Nomadi, Bertoli e, per quanto riguarda un gruppo più recente, The broken circle break down bluegrass band, che mi ha dato la “scossa” per arrangiare i miei brani dipingendoli con un genere tra il bluegrass, il country e il pop. Raccontaci com’è nato il tuo ultimo progetto discografico. L’ ultimo progetto (che uscirà a breve), come del resto anche gli altri, è nato dall’esigenza di fare ordine tra il caos delle mie canzoni che attualmente sono arrivate a quota cento. Sono in continua produzione e il mio studio è pieno di testi sparsi tra pianoforte, scrivania, libri di psicologia e chitarra. Mi sveglio persino di notte per scrivere quella canzone che mi tormenta finché non l’ho stesa. Al Pc arriva il brano ormai finito. L’ultimo progetto però ha una storia particolare che resterà nei miei ricordi, perché nel bel mezzo del lavoro arriva la realizzazione di uno dei miei tanti sogni: dopo tanta, tanta, tanta gavetta, parte la collaborazione con un’etichetta discografica importante di Ravenna, la PMS studio label di Raffaele Montanari, con la quale firmo il mio primo serio contratto editoriale. Il 1 gennaio 2021 sei entrata a far parte appunto del mondo dell’etichetta discografica PMS studio label: lo vedi come un punto di partenza o d’arrivo? Sicuramente si tratta di un punto di partenza, anche se non ho una meta precisa, se non il continuo miglioramento e la continua esplorazione. Rimane comunque una grandissima soddisfazione personale, arrivata dopo tante delusioni. Quale ruolo riveste la musica nella società? Purtroppo, la musica in questo momento ha un ruolo marginale, è stata messa da parte, anche se in realtà - ed ora ti parla la musicoterapeuta che è in me - è ciò che può salvare la vita, può sollevare per esempio dalla depressione e dai disturbi d’ansia che potrebbero nascere in un periodo così delicato. La musica ha un grandissimo potere sulle persone,

La soddisfazione più grande è quella di rimanere nel cuore delle persone che incontri che cantano le tue canzoni per strada o che ti ascoltano su internet e che ti scrivono dall’altra parte dell’Italia perché chiedono il tuo autografo

ogni volta che scrivo mi commuovo (anche se non sono io il soggetto del brano); mi succede come quando un attore entra talmente nella parte che riesce a interpretarla come se fosse la sua storia

bene. Ho perso però un’ amica quando è esplosa la pandemia e ancora non si sapeva come affrontare la situazione. Era il tempo in cui gli infermieri e i dottori si ammalavano e morivano. Moriva il vicino di casa, moriva il parente dell’amico. Vedevo le foto degli operatori sanitari stremati in corsia, le persone che se ne andavano a centinaia e non si vedeva la luce nel tunnel. Questo mi ha portato a riflettere, a cercare la verità, a cercare una soluzione che portasse almeno il pensiero al di fuori della pandemia. Così è arrivata “Un grido sottovoce”: “Nel vento ora va Una poesia nell’aria (Le anime delle persone che ci hanno lasciato a causa della pandemia, che se ne sono andate nel vento, senza un abbraccio, senza il calore di una persona cara) La nostra Italia Ce la farà. E se l’oscurità (questa situazione che ci opprime) Toglie ossigeno al cuore La nostra Italia, Ce la farà! Ed un grido sottovoce (una preghiera ricolma di rabbia, un grido soffocato perché non possiamo far nulla) Fino al cielo salirà Come un simbolo di pace Per la nostra umanità. (La sofferenza accomuna tutti e avvicina alla pace anche i cuori più duri) Questa guerra silenziosa Non ci dominerà Per noi figli della vita, Per la nostra libertà”

non a caso si utilizza anche come terapia anche per i disturbi più gravi. Ora più che mai ne abbiamo bisogno. Qual è il tuo rapporto con il territorio e in particolare con il luogo in cui sei cresciuta Il tutto si riassume con la classica frase “nessuno è profeta in patria”, anche se c’è chi, per fortuna, ha creduto e crede in me anche sul mio territorio. Anzi, in certe occasioni sono stata proprio ostacolata. Però sono felice anche di questo perché ogni ostacolo mi ha fatto diventare più forte. Hai presente l’ultima tuta di Black Panther che ad ogni colpo ne assorbe la forza e raddoppia la propria? Questo accade a me. Musicalmente parlando, ma anche dal punto di vista umano, come hai vissuto il lockdown e il Covid? Il lock down e il Covid hanno lasciato il segno... anch’io l’ho passato ma per fortuna ne sono uscita

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Si tratta di un grido di speranza, dove dedico la prima parte del brano alle persone che sono “volate nel vento” come “una poesia” e la seconda parte è dedicata invece a tutti gli operatori sanitari che si occupano delle persone colpite dal virus, che hanno lottato e stanno lottando tutt’ora per salvare vite e debellare la malattia. Per il resto del brano vi mando all’ascolto sul mio canale YouTube. Di certo, è un periodo che resterà nella storia. Come può sopravvivere la musica in tempi di Covid? È difficile dirlo. Penso che l’unico modo per far sopravvivere la musica in questo periodo sia quello per cui la gente si renda conto di quanto sia importante ascoltarla, cantare, ballare e lasciarsi trasportare in un altro mondo per il proprio benessere. Se si lascia entrare la musica nella propria vita si vive più serenamente. Questo la manterrebbe in vita. Cosa pensi dei talent show? Ti piacerebbe partecipare ad un programma televisivo di questo genere? Preferisco non parlare di ciò che detta legge sul mercato creando un business che uccide la vera musica. Lo sai che esistono moltissimi cantautori e cantautrici bravissimi che “farebbero la cresta” ai ragazzi che troviamo nei talent ma che a causa di mancanza di denaro o di amicizie giuste non riescono ad arrivare da nessuna parte? Forse quando ero più giovane e incosciente mi sarebbe piaciuto, ma ora non credo. Certo che per un emergente è un gran trampolino di lancio, ma, finito il talent, come diceva Pelù “lo spettacolo deve ancora incominciare”.... Tre brani che non possono mancare nella tua playlist. “Can’t help falling in love”; “Unchained melody”; “I don’t wanna miss a thing”. Ma anche tante altre, queste sono le prime canzoni che mi sono venute in mente. Ascolto e mi piacciono svariati artisti e generi, adoro, come dicevo sopra, Fabrizio De Andrè e, ad esempio, tra i suoi brani “Se ti tagliassero a pezzetti” e “Inverno”; degli ACDC “Back in black”, ma anche “Wayfaring stranger” e “Hurt” interpretata da Johnny Cash... e molte altre. Tre artisti che non smetteresti mai di ascoltare Non smetterei mai di ascoltare in primis Elvis, con la sua voce meravigliosa, penetrante, interpretativa, come nessuno più sa fare. Giusto ieri riascoltavo per la milionesima volta, appunto, “Can’t help

falling in love” e mi chiedo ogni volta sbalordita, come sia potuta esistere una voce tanto straordinaria, con una profondità da far venire i brividi e che commuove ogni volta che l’ascolti; Mia Martini, altra voce interpretativa, penetrante e significativa; infine (ce ne sarebbero ancora ma mi limito ai tre artisti che mi hai chiesto) Demis Roussos, altra voce che ci si chiede da quale paese extraterrestre possa arrivare. Quali sono i brani musicali che hanno più caratterizzato la tua vita Potrebbero essere per esempio “No potho reposare”, “Unchained melodie”.... e, da circa dieci anni a questa parte tutti quelli che ho scritto io, nei quali, oltre a raccontare storie di vita ascoltate, c’è anche un pezzetto della mia, le mie fatiche, le mie gioie e miei dolori, perché ogni volta che scrivo mi commuovo (anche se non sono io il soggetto del brano), mi succede come quando un attore entra talmente nella parte che riesce a interpretarla come se fosse la sua storia. I tre brani di Jenny Gandolfi che consiglieresti di

ascoltare Consiglierei, in ordine, “Crescere”, “Come l’acqua”, del quale consiglio anche la visione del bellissimo video creato e diretto da Gian Maria Pontiroli, “Un grido sottovoce” e inserisco un quarto brano che fa parte del disco che uscirà tra poco che è “Ricordi lontani”. I primi due sono i più rappresentativi degli omonimi album; “Un grido sottovoce” è il singolo che rappresenta il periodo della pandemia; “Ricordi lontani” è un brano che ricorda la mia infanzia e che ho scritto di recente. Quali sono i tuoi programmi futuri? Possiamo avere delle anticipazioni? Tra i miei futuri progetti c’è l’ uscita del terzo album, di cui anticipiamo il singolo in uscita proprio ora, a maggio 2021, “Ricordi lontani”. Uno su mille ce la fa: in Italia la musica è una scelta di vita audace e coraggiosa. Cosa consiglieresti alle ragazze e ai ragazzi che volessero intraprendere la tua strada? Consiglierei di armarsi di tanta pazienza, coraggio, buona volontà e di non abbattersi di fronte alla prima porta chiusa in faccia, quindi se ci credono fino in fondo, di non mollare mai, che se quella è la strada giusta, le soddisfazioni arrivano eccome. Col senno di poi posso dire che la soddisfazione più grande non è arrivare al Festival di Sanremo o a un talent o a un programma televisivo, che, per carità, vanno benissimo (a seconda dell’età). Quelli sono dei momenti di passaggio, che ti possono portare anche a non diventare nessuno se non hai le qualità. La soddisfazione più grande è quella di rimanere nel cuore delle persone che incontri che cantano le tue canzoni per strada o che ti ascoltano su internet e che ti scrivono dall’altra parte dell’Italia perché chiedono il tuo autografo per il genere che fai pur non avendo avuto un passaggio mediatico che ti abbia aiutato a farti conoscere ovunque. Come avrai ben capito, sono molto soddisfatta dei traguardi che ho raggiunto finora e combatto ogni giorno per raggiungerne uno nuovo. Colgo l’occasione per ringraziare chi mi sta sostenendo a livello professionale come Gian Maria Pontiroli, Elide Pizzi Prandi e, naturalmente Raffaele Montanari con la Pms Studio Label.

Marco Morelli


speciale turismo Vacanze insolite in luoghi di grande fascino. Crociere fluviali, città infiorate, mini case su ruote per soggiornare nella natura. E tante, tante altre curiosità...

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n. 2 Aprile-Maggio 2020


n. 2 Aprile-Maggio 2020

Trebbiashire, veduta panoramica

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S P E C I A L E

v aca n z e

a cura di di marco morelli

La Trebbiashire un piccolo paradiso a portata di tutto

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ualcosa si sta muovendo nel bellissimo e piccolo comprensorio Emiliano. Incastonato tra valli torrenti e colline si trova nel punto di unione tra 4 regioni: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Liguria che un gruppo di operatori turistico alberghieri ha deciso di chiamare: “Treb-

biashire“. Il fiume Trebbia con la sua valle, definita da Hemingway “la più bella valle del mondo”, è la via maestra che si snoda tra anse e canyon in un continuo variare di paesaggi che dalla dolce collina arriva fino a vette di 1800 metri per poi scendere velocemente verso il mar Ligure con il tipico entroterra mediterraneo. Siamo lungo l’antica via del sale che in antichità collegava Genova e la Liguria, attraverso gli Appennini, alla pianura padana dove arrivano i prodotti che i bastimenti scaricavano al porto antico. Territorio tutto da scoprire che offre al turista una varietà di esperienze incredibili ma senza clamori e tutto in una atmosfera di rilassatezza e discreta eleganza. Per chi arriva in Valtrebbia e nelle valli del Nure e Luretta la sensazione è di non essere in un posto turistico ma di osservare il lento scorrere della vita di campagna con i suoi ritmi ed i suoi riti: le sagre di paese, l’aperitivo al caffè della piazza, il gioco delle bocce in calde serate di giugno ed il rumore lontano dei trattori che nelle lunghe giornate estive lavorano fino al tramonto. Ma ecco che, come un gioiello custodito in una serie di scatole concentriche, il viaggiatore attento che si lascerà coinvolgere dal ritmo della vita “Local”, potrà cogliere le tantissime opportunità della Trebbiashire . Una cosa che qui non serve è la fretta.

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Siamo lungo l’antica via del sale che in antichità collegava Genova e la Liguria, attraverso gli appennini, alla pianura padana

Ristoranti eleganti e di alto livello convivono con tipiche trattorie a gestione familiare; cantine e vigneti gestiti da giovani agricoltori e vignaiuoli indipendenti che organizzano degustazioni e concerti tra le vigne; Castelli medievali abitati da nobili famiglie di Principi e Conti blasonati con moltissime storie da raccontare; scultori e artisti di varie nazioni hanno scelto la valle come stabile residenza in cui lavorare; ed ancora golf, equitazione canoa, rafting, trekking, mountain bike corsi di volo su ultraleggeri, Tennis, Paddle e la Petanqué . Ma anche tanta storia e cultura: il borgo di Bobbio con la Abbazia di San Colombano santo patrono del paese, ma anche del popolo Irlandese, è meta di moltissimi visitatori che dalla piovosa Irlanda vengono a godersi la pace del Borgo. Sempre a Bobbio il festival del cinema che in agosto trasforma il caratteristico centro in un set cinematografico con attori, registi, produttori, giornalisti e tantissimo pubblico per dibattiti proiezioni e presentazioni di nuovi film. Ma per ogni esperienza ci vorrebbe un racconto poiché ogni angolo è fatto di storie e personaggi degni di un libro di Peter Mayle (ndr Un anno in Provenza). ENO-GASTRONOMIA La cucina Emiliana non ha bisogno di presentazioni ma forse di approfondimenti e ricerca del particolare.Ne citiamo alcuni irrinunciabili. I salumi piacentini: Coppa, salame e pancetta accompagnati dalla “bortellina” (una specie di crepes fatta di acqua sale farina) sono il tipico antipasto a cui si accompagna anche una giardiniera classica. I primi: Pisarei e Fagioli, Anolini In Brodo, Maccheroni alla Bobbiese con funghi tirati a mano, Chicche della nonna; I secondi: stracotto al Gutturnio.

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Il fiume trebbia è la via maestra che si snoda tra anse e canyon in un continuo variare di paesaggi

Il Trebbia

RISTORANTI Antica Locanda del Falco (Rivalta): nel bellissimo castello di Rivalta un ristorante di alto livello che coniuga la cucina locale con una continua ricerca ed innovazione che un gruppo di cuochi internazionali mixa con perfetto equilibrio. Grande cantina! - Il Castellaccio (Travo): sempre ad alto livello in ambiente elegante ma con grande calore della gestione affidata alla famiglia Solari in cui il titolare Graziano dirige la sala con maestria e disinvoltura. - Lo Scrajo (Rivergaro): ottimo ristorante in cui degustare piatti a base di pesce cucinati con maestria ed accompagnati da vini di ottimo livello. Imma Amodio in sala accoglie gli ospiti con calore e professionalità - Il Cappon Magro (Bobbio): la tradizione Genovese si fonde con la cucina piacentina. Federica Cella in cucina ha creato un perfetto mix delle due culture che a Bobbio convivono da sempre. - Bistrot Croara (presso il Golf Croara): situato presso il campo da golf propone agli ospiti piatti innovativi con vini di ottima scelta. CANTINE Moltissime etichette che grazie alla seconda generazione di giovani imprenditori del vino creano e sperimentano nuove soluzioni da proporre ad un mercato sempre più esigente ed evoluto. Moltissime attrezzate con area degustazione offrono ai clienti ottime degustazioni. - Cantina Il Poggiarello: situata in posizione panoramica con vista sulla valle e tra i vigneti produce ottimi vini tra cui Gutturnio e Ortrugo tipici locali frutto di una ricerca anche storica sui vitigni autoctoni. - Cantina Le Torricelle: All’interno del castello dei Principi Gonzaga nel comune di Agazzano si produce una Barbera ed un Rosso fermo di grande qualità. Lodovico Gonzaga rappresenta quella nuova generazione di piccoli produttori indipendenti che ogni anno si ritrova alla Fiera di Piacenza per presentare le ultime novità da tutta Italia (l’ultima edizione ha visto oltre 600 cantine con presenze anche dalla Francia.) CULTURA Oltre alla visita ai bellissimi Castelli di Rivalta ed Agazzano sono moltissime le iniziative che il territorio propone durante tutto l’anno.

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- Il Film Festival di Bobbio ha come ideatore e promotore il celebre regista Marco Bellocchio. - Summer Wine Festival: Musica jazz e degustazioni sotto le stelle presso le location più suggestive - Piacenza Jazz Festival: un classico ormai da oltre 30 anni che visto i più grandi jazzisti a livello internazionale. LIRICA E CLASSICA Il conservatorio G. Nicolini di Piacenza organizza moltissimi eventi di musica classica e da camera. La stagione lirica del Teatro Municipale di Piacenza e del Tatro Verdi di Parma sono sempre di alto livello. SPORT Noleggio Mountan Bike, percorsi di trekking organizzati e segnai dalla locale sezione del C.A.I. Golf presso il Croara Country Club 18 buche da campionato Equitazione: Azienda agricola Croara Vecchia

Casa del Podestà.Lonato. Biblioteca

DOVE DORMIRE Moltissime le soluzioni anche se non esistono strutture di grandi dimensioni ma moltissime strutture B&B anche di alto livello che offrono un servizio ottimo a prezzi adeguati in bellissime location. Alcuni esempi - Hotel Torre San Martino : nel castello di rivalta - Relais Il Mulino : Loc. Quarto - Relais e SPA“ La Colombara “ ( Pigazzano) - B&B Bosco dei Poveri : Agazzano - B&B Il Cappon Magro ( Bobbio) ABITARE NELLA TREBBIASHIRE I recenti eventi della pandemia hanno impresso una accelerazione alla ricerca di case non lontano dalla città (Piacenza 15 minuti e 50 da Milano) in cui vivere tutto l’anno in vacanza. Molti imprenditori, professionisti, giornalisti e personaggi del modo dello spettacolo hanno scelto la zona per la bellezza del luogo e la discrezione dei frequentatori. Non di rado capita di trovarsi al bar del paese o dal ferramenta con qualche “Vip” in versione “ Bricolage”. Ma servirebbe veramente un romanzo per descrivere cosa significa vivere nella Trebbiashire. Per info: www.thetrebbiashire.com

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turismo

LE PERLE NASCOSTE DELLE METROPOLI EUROPEE Dom Arkhitektora San Pietroburgo ph. credit Dom Arkhitektora

a cura Di M.t. san juan

Alcune attrazioni sono ben conosciute dai turisti di tutto il mondo e sono un vero must: il Colosseo a Roma, gli Uffizi a Firenze o il Park Guell a Barcellona. In questi casi, si sa già che bisognerà prenotare per tempo e sgomitare in mezzo ai tanti turisti per il posto migliore o la foto perfetta espesso la bellezza di quello che si sta visitando può essere rovinata dal grande afflusso di persone. Holidu, il motore di ricerca per case vacanza , ha pensato, quindi, di dedicare uno studio alle perle nascoste delle città europee: quei luoghi poco conosciuti ma tanto apprezzati dai locali e dai turisti che ci capitano per caso, dove sentirsi trasportare dall’atmosfera della città e stare a contatto con la gente del posto. La classifica è stata creata tenendo in considerazione le attrazioni che hanno da 50 a 500 recensioni su Google e un punteggio da 4.8 a 5 stelle. Ecco le prime classificate delle destinazioni europee che racchiudono più perle nascoste, e tre chicche imperdibili per ciascuna, scelte da Holidu: 1. MOSCA - 23 PERLE NASCOSTE Al primo posto, con ben 23 perle nascoste, si posiziona la capitale russa: tra la sua magia e le sue tante bellezze non può certamente mancare una visita alla Piazza Rossa, al Cremlino o al famosissimo Teatro del Bolshoi. Ma tralasciando queste famose attrazioni, cosa nasconde davvero Mosca per i turisti che vogliono lasciare le strade conosciute? ● Museo sulla storia della medicina: forse non molti sanno che a Mosca si trova la più antica università di medicina di tutta la Russia. Fondata nel 1758 nel quartiere di Chamovniki, l’università Sechenov ospita anche un bellissimo museo.

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Victoria Museum Kiev ph. credit Victoria Museum

La particolarità di questo posto sono i reperti locali unici, che vi sono racchiusi all’interno, e la quantità di informazioni relative al progresso della medicina nel paese. 54 recensioni - 4.9 stelle ● Casa di Stanislavskij: Un altro luogo imperdibile è l’appartamento del regista teatrale Konstantin Stanislavskij, oggi diventata un museo. Proprio nel centro di Mosca, questo luogo legato alla storia teatro vi darà la possibilità di conoscere da vicino il cosiddetto metodo Stanislavskij, o psicotecnica come lui stesso la chiamava, vedere dal vivo il suo ufficio e scoprire qualcosa in più sui suoi ultimi anni di vita. 54 recensioni - 4.9 stelle ● Podpol’naya Tipografiya: la terza chicca è un’antica copisteria sotterranea, e non si tratta di una qualunque: per più di 100 anni ha, infatti, ingannato i passanti con la falsa insegna di “commercio all’ingrosso di prodotti caucasici”, stampando e diffondendo volantini rivoluzionari durante la Prima Rivoluzione Russa (1905-07). 68 recensioni - 4.8 stelle 2. S. PIETROBURGO - 16 PERLE NASCOSTE Al secondo posto, ci troviamo ancora in Russia con la bellissima San Pietroburgo, capitale imperiale per oltre due secoli. Chi ci è stato vi dirà sicuramente di visitare l’Hermitage, il Palazzo d’Inverno e la suggestiva chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, ma se si vuole seguire un itinerario diverso dal solito? S. Pietroburgo offre 16 perle nascoste, ecco le più belle:

Museo della storia della Medicina - Mosca

● Casa di Lev Nikolaevič Gumilëv: nel quartiere Tsentralny, il cuore della città, si trova l’appartamento di Gumilëv, famoso storico e antropologo sovietico dalla vita travagliata, che dopo aver speso 14 anni in un campo di lavoro, visse in questa casa gli ultimi anni di vita. Una visita potrà accompagnare tutti gli appassionati di storia a comprendere il suo pensiero e la sua influenza sulla geopolitica post sovietica. 71 recensioni - 4.9 stelle ● Porta Trionfale di Narva: un po’ fuori dal centro, nella Piazza Staček, si trova la Porta Trionfale di Narva. Costruita per celebrare la vittoria contro le armate di Napoleone, fu inizialmente costruita in legno, per essere poi ricostruita in bronzo e rame. Il colore verdastro dei materiali utilizzati offre una certa inusualità all’opera, che al proprio interno ha anche un piccolo museo di armi. Per i più curiosi, a S. Pietroburgo, si trova anche lo Studio di Mikhail Anikushin, lo scultore della Porta. 416 recensioni - 4.8 stelle ● Dom Arkhitektora: la terza e ultima perla di S. Pietroburgo è davvero nascosta! A due passi dalla Cattedrale di Sant’Isacco si trova la Dom Arkhitektora, conosciuta come la “Casa degli Architetti” e creata nel 1932. Dall’esterno sembra un edificio privo di importanza, eppure gli inter-

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ni vi stupiranno davvero: ricchezza dei dettagli, ampie stanze e decorazioni di classe vi faranno immergere in un ambiente davvero magico. 98 recensioni - 4.8 stelle 3. KIEV, UCRAINA - 9 PERLE NASCOSTE Andando verso ovest, chiude il podio la capitale ucraina, con ben 9 perle nascoste per i visitatori più curiosi. Si certo, chi va in vacanza a Kiev, non può farsi mancare il Monastero delle grotte e la cattedrale di S. Sofia, ma quali sono i posti più inusuali, che solo la gente del posto conosce o dove sentirsi meno turisti? ● Victoria Museum: si tratta di una chicca davvero imperdibile, che si trova nel quartiere storico di Pecherskyi. La storia dei costumi e dello stile dal 18esimo al 20esimo secolo e tutti gli abiti originali aspettano gli appassionati di moda di tutto il mondo, che si trovano nella capitale, per una visita da lasciare a bocca aperta. 81 recensioni - 5 stelle ● Artkvadrat: poco lontano dal centro, ecco un’altra perla nascosta...l’Artkvadrat! Si tratta di un teatro davvero inusuale: dal 1991 è, infatti, l’unico in Ucraina completamente basato su improvvisazione e live show. Per chi vive alla giornata, è possibile godersi uno spettacolo senza sapere cosa aspettarsi proprio qui. 130 recensioni - 4.8 stelle ● Muzey Komp’yuteriv Ta Prohramnoho Zabezpechennya: in un mondo sempre più tecnologico, una vista all’originalissimo museo della storia dei computer è certamente d’obbligo. Il museo si trova a ovest del Dnepr, il fiume che attraversa Kiev, ed è apprezzato non solo dai fanatici del settore, ma anche da chi è curioso di scoprire di più! 425 recensioni - 4.9 stelle 4. BERLINO, GERMANIA - 7 PERLE NASCOSTE La capitale tedesca non poteva certo mancare in questa classifica: alternativa, originale e piena di storia, Berlino nasconde ben 7 chicche tra i suoi meandri, che allieteranno i turisti più esigenti,

Sakzing Berlin Credit Salzing Berlin

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London Parasol Unit Abdel Abdessemed Silent Warriors ph. credits joanneconlon via Flickr

coloro che non si accontentano di visitare la Porta di Brandeburgo, il Reichstag e i resti del muro di Berlino. ● Theater im Keller: la prima chicca si trova a sud della città, nella zona di Reuterkiez: il Theater im Keller. In questo teatro, aperto dal 1987, vengono organizzati più di 100 spettacoli l’anno, di cui i più importanti seguono il genere travesti, e sono anche quelli per cui è più conosciuto. I Travestieshow sono perfetti per chi vuole godersi uno spettacolo diverso dal solito e ridere a crepapelle. 144 recensioni - 4.8 stelle ● Flimrauschpalast: proiezioni originali, ottima qualità audio-video e un’atmosfera intima e rilassata: tutto questo è possibile al Flimrauschpalast. Si tratta di un piccolo cinema dall’anima indie, all’interno di una vecchia fabbrica, situato nel quartiere multiculturale di Moabit. Per gli amanti dei manga, ogni secondo lunedì del mese vengono organizzate proiezioni anime con sottotitoli in inglese! 92 recensioni - 4.8 stelle ● SALZIG Berlin: La street art di Berlino è forse conosciuta in tutta Europa ed esiste un posto davvero speciale dove poterla osservare. Stiamo parlando di SALZIG Berlin: una galleria d’arte, un negozio...un’esperienza! Questo luogo magico si trova nel quartiere più punk e alternativo di Berlino: il Friedrichshain. Qui è possibile trovare opere di street artist locali e anche portarsene a casa qualcuna. 67 recensioni - 5 stelle 6. 5. Londra - 7 perle nascoste Non c’è dubbio che la capitale del Regno Unito sia una delle mete più gettonate d’Europa e che la maggior parte dei visitatori vogliano visitare il Big Ben, Buckingham Palace o fare un giro sulla London Eye, ma perchè non partire alla ricerca delle perle nascoste che solo una città dinamica come Londra può offrire? ● Howard Griffin Gallery: nell’elegante quartiere di Mayfair, a due passi da Hyde Park, si trova questa suggestiva e colorata galleria d’arte. Le sue peculiarità sono l’ambiente informale e le diverse esposizioni che si susseguono, incentrate soprattutto sulla street art: si tratta di una vera e propria perla in mezzo alle tante gallerie della zona! 58 recensioni - 4.9 stelle ● The Castle Cinema: per coloro che amano i cinema piccoli e accoglienti, questo luogo è davvero un must. Vicino al Parco olimpico dedicato alla

Regina Elisabetta, questo edificio è nato come cinema indipendente nel 1913 e dopo aver cambiato gestione negli anni, dal 2016 è un cinema con tanto di bellissimo lounge bar. Vi innamorerete del soffitto curvo e della lunga storia, che racconta questo luogo! 221 recensioni - 4.8 stelle ● Parasol Unit: si tratta di una fondazione no-profit di arte contemporanea nel quartiere Hoxton, a est di Londra. L’atmosfera hipster e creativa dell’area accoglie armoniosamente questo luogo d’arte, che ha come unico scopo la condivisione, in un ambiente stiloso e inusuale. 53 recensioni - 4.9 stelle 7. BUDAPEST, HUNGARY - 6 PERLE NASCOSTE Per il settimo posto, ci spostiamo a Budapest con le sue 6 chicche per i viaggiatori più curiosi! Chi è stato nella capitale ungherese, sarà sicuramente andato alle terme di Széchenyi, e sarà anche stato spiacevolmente sorpreso dall’incredibile numero di persone! Ecco quindi qualche perla nascosta per evitare le folle di turisti: ● Stúdió K Színház: spettacoli originali in un luogo alternativo, indipendente e intimo: tutto questo è lo Stúdió K Színház, un piccolo teatro a est del Danubio, poco lontano dal centro città. Qui è possibile rilassarsi e godersi uno spettacolo diverso dal solito in un ambiente intimo, in compagnia. 164 recensioni - 4.9 stelle ● Arnoldo: nel quartiere culturale di Újbuda, l’Arnoldo vi stupirà sul serio! Si tratta di una galleria d’arte, dove poter sorseggiare caffè e mangiare buonissimi cioccolatini fatti a mano, mentre si contemplano opere di artisti locali. Il locale piccolo e accogliente è stato proprio creato da un artista, Arnold Gross, e prende proprio il suo nome. 89 recensioni - 4.9 stelle ● Koller Galeria: chi fosse interessato a conoscere più da vicino gli artisti locali, potrà visitare la Galleria Koller, nel quartiere del castello di Buda. Si tratta di una piccola galleria d’arte dedicata a dipinti, sculture, litografie e tanto altro! Particolarmente suggestivo è il giardino circostante, con bellissime sculture immerse nel verde. 118 recensioni - 4.8 stelle

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L‘ARTE DI VIVERE LA MONTAGNA IN OGNI STAGIONE


A

stroblhof ACTIVE FAMILY SPA RESORT

Cari amici e ospiti dello STROBLHOF! Ci auguriamo vivamente di potervi salutare presto nel nostro STROBLHOF con l’abituale familiaritá ed amicizia. In profonda gratitudine per ció che é stato e in gioiosa attesa di ció che sará! A presto,

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turismo

in viaggio a firenze tra tulipani e rose a cura di MArco morelli

In primavera la città di Firenze si colora, svelando ai visitatori la bellezza dei suoi parchi: tra piazze e monumenti storici, si possono ammirare varietà di rose, iris e tulipani immersi nel verde. Dopo la fioritura di queste aree verdi, la città sembra decorata da tanti piccoli bouquet in cui immergersi e godersi lo spettacolo che la natura ha da offrire. E quest’anno allo splendore del Giardino delle Rose e del Giardino dell’Iris, si aggiunge il Parco del Mensola dove sono sbocciati 50mila tulipani. Un’occasione per visitare Firenze e godersi la brezza primaverile, senza rinunciare ad un piacevole soggiorno nel centro storico al Brunelleschi Hotel. I giardini in fiore sono un’opera d’arte senza tempo che in primavera regalano a chi è in cerca di relax e ispirazione un vero e proprio spettacolo di colori e profumi. Passeggiando tra le vie di Firenze è possibile imbattersi in veri e propri angoli di paradiso dove trovare centinaia di varietà diverse di rose e iris e ora anche tulipani. Gli amanti di questo fiore delicato dai mille colori non devono più raggiungere la lonta-

na Olanda per poterli ammirare da vicino: da quest’anno il Parco della Mensola ospita 900 metri quadrati di tulipani piantati dall’associazione no profit “Le tribù della terra”. Questa distesa di 50 mila tulipani è un progetto d’arte ecologica pensato per riqualificare il parco, arricchendolo con circa 60 diverse varietà di questi fiori e 650 nuovi alberi. Ogni bulbo è stato piantato secondo un disegno preciso con l’intento di ricreare con i fiori la matrice del tempio etrusco descritto da Vitruvio, che parlava dell’area del parco del Mensola come di un luogo magico e sacro. I colori dei tulipani vanno dal rosa, al viola, al fucsia, al bianco fino all’arancio e sono stati selezionati per rievocare la cromaticità delle antiche strutture che un tempo sorgevano in quest’area. L’ ingresso al parco è gratuito e la fondazione “Le tribù della terra” è a disposizione dei visitatori per illustrare il progetto e le diverse varietà di fiori. Inoltre per chi lo desidera è possibile cogliere un tulipano da portare a casa al costo di un euro. Un’altra meraviglia da gustare a maggio è il Giardino delle rose, situato sul lato sinistro di Piazzale Michelangelo ad accesso gratuito.

I giardini in fiore sono un’opera d’arte senza tempo che in primavera regalano a chi è in cerca di relax e ispirazione un vero e proprio spettacolo di colori e profumi

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Il giardino delle rose di Firenze

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Un’occasione per visitare Firenze e godersi la brezza primaverile, senza rinunciare ad un piacevole soggiorno nel centro storico al Brunelleschi Qui oltre ad una delle viste più spettacolari su Firenze, si possono ammirare oltre 350 varietà di rose che colorano il parco e lo rendono meta ideale per chi è in cerca di romanticismo e intimità. Il Giardino delle Rose ospita anche numerosi alberi di limoni ed anche un giardino giapponese, donato a Firenze nel 1998 dalla città di Kyoto. All’interno del perimetro, disseminate qua e là, ci sono anche 12 sculture dell’architetto belga Jean-Michel Folon: tra le più famose “Envol”, l’uomo col cappello pronto a spiccare il volo e “Chat” un gattone appisolato tra i roseti. Poco distante, un’altra meta imperdibile, è il Giardino dell’Iris in cima al colle proprio accanto a Piazzale Michelangelo: durante il periodo di fioritura in primavera, che di solito coincide con il mese di maggio, il parco si colora grazie alle 200 specie di iris, più comunemente conosciuto come giglio, simbolo della città di Firenze. Alcuni ambienti dell’Hotel Brunelleschi

HOTEL BRUNELLESCHI L’ingresso del Brunelleschi Hotel si affaccia su una accogliente piazzetta del centro storico fiorentino, a pochi passi dal Duomo, da Palazzo della Signoria e dalla Galleria degli Uffizi: l’albergo è attorniato dalle vie dello shopping e dai musei più famosi della città. Il Brunelleschi Hotel ingloba nella facciata una torre semi circolare bizantina del VI secolo e una chiesa medievale, interamente ristrutturate nel rispetto delle caratteristiche originali. All’interno, un museo privato conserva reperti rinvenuti durante il restauro della Torre e un calidarium di origine romana, oggi incastonato nelle fondamenta. Il Brunelleschi Hotel fa parte degli Esercizi Storici Fiorentini. L’albergo è stato rinnovato in uno stile classico contemporaneo estremamente elegante, dove predominano i colori chiari e il grigio della tipica pietra serena. Il Santa Elisabetta è il ristorante gourmet dell’hotel, uno degli indirizzi gastronomici più interessanti su Firenze. È stato insignito dalla Guida Michelin 2021 della seconda stella; ha ricevuto due forchette nella Guida dei Ristoranti d’Italia 2021 di Gambero Rosso e un cappello nella Guida gourmet de L’Espresso 2020. Situato in una sala intima con solo 7 tavoli al primo piano della torre bizantina facente parte dell’hotel, alla location invidiabile aggiunge un’atmosfera ricercata e una cucina raffinata. E’ aperto dal martedì al sabato a pranzo dalle 12.30 alle 14.30 e a cena dalle 19.30 alle 22.30. Dal 2017 la proposta gastronomica dell’albergo è firmata dallo Chef Rocco De Santis. La più informale Osteria Pagliazza, è situata al pianterreno dell’hotel e durante la bella stagione ha anche tavoli all’aperto sulla suggestiva piazzetta antistante l’albergo; propone un menu sfizioso di piatti dichiaratamente a base di ingredienti del territorio. Brunelleschi Hotel Via de’ Calzaiuoli – Piazza Santa Elisabetta 3 – 50122 Firenze Tel. 055/27370 – Fax 055/219653 info@hotelbrunelleschi.it www.hotelbrunelleschi.it

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turismo

DOVE TRASCORRERE UNA NOTTE UNICA AL MONDO Gevora Hotel Dubai

Di MARCO MORELLI

Al giorno d’oggi tutto diventa un’esperienza da condividere con amici e familiari sui social network, soprattutto quando si viaggia: posti visitati, persone incontrate, emozioni, sensazioni e commenti sui ristoranti in cui si è mangiato e sugli alberghi in cui si è soggiornato. I viaggiatori, senza rendersene conto, sono quindi sempre di più alla ricerca di qualcosa di speciale da raccontare e mostrare agli altri, per eccellere in mezzo alla marea di messaggi, post e foto condivise, e, anche gli alberghi, si stanno specializzando per accontentare una clientela esigente e selettiva. Il motore di ricerca per hotel e altri tipi di alloggi, hotelscan. com, ha selezionato alcune strutture uniche nel loro genere in cui passare almeno una notte e lasciare i propri follower a bocca aperta. 1. Il più alto Il Gevora Hotel di Dubai domina la classifica degli hotel più alti del mondo, con 75 piani e un’altezza di 356 metri, solo uno in più dell’Hotel JW Marriott Marquis, anch’esso a Dubai. Il Gevora ha 528 camere, la maggior parte di lusso, ma tutte in linea con gli standard elevatissimi dell’albergo, basti pensare che la più piccola è di 46 metri quadri e la più grande di 85; inoltre, ogni piano ha un maggiordomo pronto a soddisfare tutte le esigenze degli ospiti. I suoi cinque ristoranti offrono una grande varietà di atmosfere e di cucine differenti. Questo impressionante hotel dorato ha una esclusiva spa, due palestre, una per gli uomini e una per le donne e una piscina coperta. Il superlusso inizia già dal piano terra, quando si entra attraverso una delle porte girevoli d’oro massiccio nella hall. Poi, uno degli otto ascensori conduce gli ospiti in soli 38 secondi

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MGM Grand di Las Vegas

fino al 75esimo piano, dove c’è la spettacolare piscina sul tetto con vista mozzafiato sulla città. Da ammirare assaporando un cocktail o mentre si fa il bagno. 2. Il più grande L’hotel più grande del mondo è attualmente l’MGM Grand di Las Vegas, con 6.198 camere. L’edificio principale ne ha 5.044 (4.293 camere e 751 suite) a cui si aggiungono le 576 suite situate nelle tre torri The Signature, i 51 loft degli Skylofts e le 29 ville di The Mansion at MGM Grand. Inoltre, l’hotel ospita la famosa MGM Grand Garden Arena per i concerti e un gigantesco padiglione sportivo, oltre a 16 ristoranti tra cui alcuni pluristellati, come il Joel Robuchon, specializzato in alta cucina francese, il Tom Colicchio’s Craftsteak grill e il Morimoto Las Vegas, di cucina giapponese creativa. Come se non bastasse, per l’intrattenimento c’è direttamente il Cirque du Soleil che propone lo spettacolo KÀ, uno show che combina acrobazie, arti marziali, marionette e pirotecnica. Ma l’MGM Grand dovrà cedere il primo posto nella classifica degli hotel più grandi del mondo all’Hotel Abraj Kudai, attualmente in costruzione alla Mecca, con 10.000 camere situate in dodici torri, 70 ristoranti e quattro eliporti. Un maxi complesso che vanterà anche la cupola più grande del mondo.

President Wilson Hotel

3. Il più piccolo È complicato stabilire quale sia effettivamente l’hotel più piccolo del mondo; da un lato potrebbe essere il Central Hotel & Café di Copenhagen, che dispone di una sola camera di 12 metri quadrati, però con tutti i tipi di comfort, situata sopra la caffetteria Granola Café nel quartiere di Vesterbro. La colazione è inclusa nella prenotazione e può essere gustata al piano terra o direttamente in camera. Questo albergo non detiene comunque il Guinness dei primati, poiché la caffetteria viene considerata come parte dell’hotel. Il titolo è stato assegnato invece a una struttura della Germania, di Ambreng, nella regione bavarese. Si tratta dell’hotel Eh’haeusl, 56 metri quadrati e una sola camera singola il cui prezzo è di 240 euro a notte (colazione inclusa). In pochissimi metri offre tv a schermo piatto, musica in filodiffusione, un divano, un camino, una vasca idromassaggio... e naturalmente un letto. Per Hotelscan.com, invece, l’hotel più piccolo al

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mondo è un popolare maggiolone bianco della Volkswagen che si trova in Giordania, precisamente ad Al Jaya, a Sud della capitale Amman. Un singolarissimo alloggio adatto a due persone. Il suo proprietario offre anche colazione e pasti tipici giordani in una vicina grotta che ha sistemato anche a uso reception. Una notte costa circa 48 euro. 4. Il più antico L’hotel più antico al mondo, in cui si può ancora alloggiare, è l’El Nishiyama Onsen Keiunkan, situato vicino al monte Fuji, in Giappone, gestito da non meno di 52 generazioni della stessa famiglia che lo aprì nel 705 a.C. Dispone di 37 camere decorate nel tradizionale stile giapponese, che costano tra i 400 e i 600 euro a notte. Nel 1997 è stato rinnovato, mantenendo però la sua estetica tradizionale. E’ particolarmente famoso anche per i benefici delle sue acque termali che in passato attiravano i samurai che si recavano qui in tempo di guerra per guarire le ferite e curare malattie varie. I 1.313 anni di attività di questo albergo hanno sicuramente molte storie da raccontare. 5. Il più costoso Sarebbe meglio dire quello che offre la camera più costosa: la Suite Imperiale del President Wilson Hotel di Ginevra, Svizzera. Il pernottamento costa solo 83.000 dollari, circa 71.670 euro. Gli ospiti “paperoni” che se la possono permettere hanno l’imbarazzo della scelta: questa mega suite occupa infatti l’intero ottavo piano dell’hotel ed è composta da 12 camere, 12 bagni in marmo con prodotti Hermès, una terrazza che si affaccia sul lago Lemano e sul Monte Bianco, un ascensore privato, una sala-studio, uno spogliatoio, una sala da pranzo per 26 persone, un soggiorno di 230 metri quadri con un tavolo da biliardo Brunswick del 1930 e un pianoforte a coda Steinway, una biblioteca con una collezione di libri antichi, finestre antiproiettile e possibilità Desert cave Hotel

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Ice Hotel Jukkasjärvi ph.Asaf Kliger

di una speciale evacuazione in elicottero. Inoltre, il pacchetto soggiorno comprende uno chef, un maggiordomo, un autista e un assistente personale. 6. Il più freddo Lo storico Ice Hotel di Jukkasjärvi, in Svezia, costruito con blocchi di ghiaccio che si sciolgono ogni primavera e vengono ricostruiti ogni inverno, può essere considerato l’hotel più freddo del mondo, anche se offre anche camere riscaldate. Le celle frigorifere hanno una temperatura compresa tra -5 e -8 gradi e ognuna di esse ha un tema particolare e mobili di ghiaccio scolpiti a mano da artisti internazionali. Le camere includono letti esclusivi Carpe Diem con sacchi a pelo termici e coperte di pelle di renna. Il prezzo, tuttavia, non è di quelli da far rabbrividire il cliente, è possibile prenotare una notte a partire da 130 euro. 7. Il più sottoterra Il Desert Cave Hotel è l’unico hotel completamente sotterraneo al mondo. Non si tratta solo dell’albergo, c’è un’intera città così, chiamata Coober Pedy, nel mezzo del deserto australiano. Al Desert Cave Hotel le 19 camere sono spaziose e hanno soffitti alti, ma sono scavate nella roccia! Ha anche negozi, una caffetteria, un centro in cui si studiano pietre e minerali, un bar e una sala giochi con biliardo. Il prezzo per godersi l’esperienza di vivere nel sottosuolo è di 120 euro a notte. 8. Il più inclinato Lo Hyatt Capital Gate Hotel di Abu Dhabi è l’hotel più ripido del mondo, situato tra il 18esimo e il 33esimo piano della Capital Gate Tower, alta 165 metri, che ha una pendenza di 18 gradi, quattro volte superiore alla Torre di Pisa! L’hotel a 5 stelle dispone di 189 camere e suite, una piscina all’aperto, una palestra, vasche idromassaggio sospese e il suo famoso centro benessere conosciuto come “Spa cielo” per la sua incredibile vista sulla città. Un’esperienza insomma.

9. Il più sott’acqua Il Conrad Maldives Rangali Island Hotel alle Maldive sta per offrire una suite che permetterà agli ospiti di dormire sott’acqua. Questa è la prima camera del suo genere a essere realizzata in vere e proprie acque oceaniche invece che in acque artificiali, come hanno già fatto altri hotel. Il suo nome è Muraka (che significa “corallo” in dhivehi, la lingua locale maldiviana) e ha due piani: il piano superiore galleggia sull’acqua, mentre il piano terra è sommerso più di cinque metri sotto la superficie dell’oceano. Coloro che desiderano riservare la stanza devono però sapere che non è ancora stato inaugurato, ma lo sarà alla fine di quest’anno. Una notte costerà 50.000 dollari, circa 43.000 euro. 10. Quello con la piscina più profonda... è italiano! Per completare la sua selezione di alberghi da primato, hotelscan.com ha verificato che anche l’Italia entra nel libro dei Guinness per l’albergo con la piscina più profonda del mondo. Questa struttura si trova in Veneto, a Montegrotto Terme, è l’Hotel Millepini Terme, con piscina profonda 42 metri, l’equivalente di un edificio di 14 piani! Si chiama Y-40 Deep Joy e oltre a essere utilizzata dagli ospiti dell’hotel è un’attrazione che attira appassionati di apnea provenienti da tutto il mondo.

Conrad Maldives Hotel

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Gallo Rosso: la vacanza che ti meriti Gallo Rosso è il marchio che riunisce oltre 1600 agriturismi in Alto Adige. Stare in mezzo alla natura, godersi spettacolari panorami sulle montagne, gustare prodotti deliziosi fatti in casa e concedersi il lusso di allontanarsi dal mondo: questo è una vacanza con Gallo Rosso! Aprire la finestra al mattino e farsi travolgere dall’aria fresca e pura di montagna, sedersi poi al tavolo per una fantastica colazione preparata dalla contadina con uova fresche delle galline del maso, il latte delle mucche, le marmellate, le torte e il pane fatto in casa sono esperienze uniche e indimenticabili, attimi che sembreranno durare per sempre. Oggi piú che mai abbiamo bisogno di ritrovare l’equilibrio, di vivere la natura e di avere libertà di movimento. Scappa dalla città e concediti un po’ di tempo nella natura incontaminata! Scegli il maso che preferisci su www.gallorosso.it

Gallo Rosso – Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi Via C. M. Gamper 5, 39100 Bolzano Tel. 0471 999 308, info@gallorosso.it



turismo

SLOVENIA, GLAM GLAMPING SOTTO LE STELLE Chocolate Village by the River, Maribor

a cura di v.corini

La tendenza per le prossime vacanze estive, ormai è chiaro, è quella di ricercare soluzioni en plein air, che assicurino isolamento e sicurezza, meglio se a due passi da casa. Una delle formule che godrà certamente di maggior successo è quella del glamping che, se in passato rimandava a territori lontani dai climi tropicali, oggi è figlia di quel Green Tourism ormai diffuso in tutti gli angoli del mondo. In questo ambito la Slovenia è sicuramente un unicum: pur essendo estesa come una singola regione italiana, può vantare un’ampia rete di glamping e di altre sistemazioni tematiche innovative. Alcune di queste scommettono sul semplice comfort del legno sloveno e sul contatto diretto con la natura, altre invece sull’esclusività e sull’offerta culinaria d’eccellenza con firma locale. Venite a conoscere i resort glamping sloveni dalle storie uniche e scegliete quello che trasformerà la vostra vacanza in un’esperienza indimenticabile. Ecco la TOP 9! Garden Village, Bled Il primo al mondo a ricevere sei stelle secondo il criterio World of Glamping. A soli 300 metri dal lago di Bled, nascoste tra gli alberi, uno stagno, un ruscello e un orto, sorgono delle

sorprendenti casette in legno e delle tende ricche di glamour. In un podere assolato, dove una volta sorgeva un vivaio, gli alberi non saranno solo i vostri accompagnatori, ma anche i vostri coinquilini. In una delle casette crescono, infatti, ben otto alberi! Queste sistemazioni così originali vantano il premio Sejalec per la migliore idea nel turismo sloveno e il Certificato di Eccellenza di TripAdvisor. Una chicca: fa parte del villaggio anche il ristorante Vrtnarija, che utilizza ingredienti che arrivano dall’orto di proprietà e dalle fattorie locali e che arricchisce la tradizione della gastronomia slovena – da non dimenticare che la Slovenia è Regione Gastronomica Europea 2021 - con nuovi approcci. Prezzo a partire da 121€ a notte per 2 persone. Glamping Olimia Adria Village, Podčetrtek Coccole in una Jacuzzi privata di fronte alla tenda o nelle piscine di uno dei centri benessere più moderni d’Europa? Qui potete concedervi entrambi. Sulle sorgenti delle Terme Olimia potrete scegliere la comodità glamour di un resort boutique, caratterizzato da tende lussuose e arredate con stile. Ogni tenda dispone di un bagno indipendente e di un climatizzatore, ma alcune sono dotate

addirittura di cucina e piscina privata. Appena svegli sulla terrazza troverete ad attendervi un cestino con la colazione, ricco di prelibatezze provenienti delle fattorie della zona. Gli ospiti hanno libero accesso al parco termale Aqualuna e alle piscine del Termalija Relax. Prezzo a partire da 126€ a notte per due persone. Chateau Ramšak, Maribor Ecco una gemma nascosta in una delle parti più belle e incontaminate della Slovenia: tra quindici ettari di dolci colline vestite di vigneti, nel cuore della pittoresca regione vinicola della Stiria, vi attende un resort che è un vero paradiso per gli amanti della natura, del lusso... e del vino! A solo due passi dalla vivace città di Maribor, casa della vite più antica del mondo, si trova la tenuta Ramšak, con il suo fiabesco Chateau Ramšak che vanta una cantina con il più grande torchio d’Europa ed una location per le degustazioni situata vicino ad un laghetto romantico e rivitalizzante. L’arredamento delle splendide tende glamping si riflette in un lusso caldo ma sobrio ed è completato da terrazze con vasca idromassaggio privata, dove godere di un’atmosfera romantica sotto le stelle. Prezzo a partire da 200€ a notte per due persone.

Proposte dal cuore verde d’Europa per un’estate all’aria aperta che sia sicura, di prossimità e nel segno di un lusso alla portata di tutti

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Chocolate Village by the River, Maribor

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Una delle formule che godrà di maggior successo è quella del glamping, figlia di quel Green Tourism ormai diffuso in tutti gli angoli del mondo Herbal Glamping Resort, Ljubno Una volta messo piede in questo fiabesco resort entrerete nel meraviglioso mondo delle erbe. Immaginate aromi avvolgenti che vi accompagnano ad ogni passo: nel giardino potrete scoprire la diversità delle erbe, dal seme al prodotto finale; i massaggi e la sauna faranno sì che tutti i vostri sensi si attivino ed insieme ai meravigliosi profumi, potrete sentire benefici effetti anche sulla pelle; per finire con le erbe commestibili sapientemente utilizzate in deliziose creazioni della gastronomia locale. Prezzo a partire da 280€ a notte per 2 persone. Theodosius Forest Village, Vipava Tra i pini profumati della Valle del Vipava, a meno di un’ora di strada da Trieste, si trova un paesino nel bosco, celato dal trambusto della città, in cui troverete una magnifica pace nell’abbraccio della natura. Le casette di legno, dal design moderno ed ideate nel rispetto del patrimonio naturale, si fondono impercettibilmente con le rocce sottostanti. La notte porta sonni tranquilli, il mattino risvegli unici in mezzo alla natura, ai margini di un vigneto. Gli arredi realizzati da artigiani locali offrono un comfort elevato ed il piacere di riposare nell’abbraccio di piante odorose ed essenze di pino. Alcune casette sono dotate di una vasca all’aperto e di una sauna interna. Prezzo a partire da 170€ a notte per 2 persone.

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1.2.3. Glamping Olimia Adria Village, Podetrtek 4. Pikol Lake Village, Nova Gorica

Chocolate Village by the River, Maribor In Slovenia non mancano i glamping tematici e questo è chiaramente il paradiso dei chocoholics. In questo lussuoso resort glamping nel parco naturale lungo il fiume Drava, non lontano dalla città di Maribor, tutto ruota, infatti, intorno al cioccolato: dalla colazione ai workshops, dai cosmetici ai massaggi. Vi

basterà scegliere se dormire nascosti tra le chiome degli alberi o tra le colline lungo il fiume! Prezzo a partire da 260€ a notte per 2 persone. Green Resort Glamping, Radlje ob Dravi In questo rifugio verde, tra i boschi della Carinzia e il fiume Drava, potrete nuotare tra le ninfee nella prima piscina biologica naturale in Slovenia in un luogo che vanta il marchio d’argento Slovenia Green. I cottage di legno accanto ai campi di grano somigliano ai vecchi mulini di legno che un tempo operavano sul fiume Drava. Finestre rotonde e porte in vetro che si aprono alla natura con un tocco di romanticismo. Prezzo a partire da 120€ a notte per 2 persone. Forest Glamping Resort Blaguš, Sveti Jurij ob Ščavnici Comodamente situate in riva al lago Blaguš, le casette esclusive, ideate con un’architettura unica e realizzate in armonia con la natura, ti daranno la sensazione di esserti svegliato in una fiaba. Trovate la pace nell’abbraccio della foresta che circonda il resort, calmate i vostri pensieri guardando l’azzurro dell’acqua luccicante. Riempite i polmoni di ossigeno mentre passeggiate a piedi scalzi sulla terrazza e abbandonatevi alla lettura all’ombra degli alberi. Prezzo a partire da 160€ a notte per 2 persone. Pikol Lake Village, Nova Gorica Che ne dite di una vacanza romantica tra le ninfee del lago? Sì, avete sentito bene. A pochi km dal confine si può trascorrere la notte nel primo villaggio glamping galleggiante della Slovenia. Le casette sull’acqua donano calma e relax riempiendoti di una piacevole sensazione di libertà. Per chiudere in bellezza vi aspettano coccole romantiche con le creazioni gastronomiche del ristorante Pikol, riconosciuto con il Piatto Michelin. Prezzo a partire da 230€ a notte per 2 persone.

Theodosius Forest Village, Vipava

www.slovenia.info

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turismo

DIECI BUONI MOTIVI PER UNA CROCIERA FLUVIALE Di MARCO MORELLI

L’Italia con le sue città di costiera e i suoi porti è da sempre una meta attraente per i crocieristi di ogni parte del mondo. Infatti, quasi 11 milioni degli oltre 25 che nel 2017 hanno fatto una crociera, sono passati per un porto italiano. Una cifra che si prevede in aumento nel 2018, con circa 27,2 milioni di passeggeri delle navi da crociera in tutto il mondo, seguendo il trend positivo degli ultimi tempi che ha visto un +60% in 10 anni, con un aumento di quasi 10 milioni di passeggeri rispetto al 2009. E anche l’Italia rientra a pieno titolo in questi numeri e lo scorso anno ha rappresentato il terzo mercato europeo per crocieristi, dietro solo a Germania e al secondo posto Regno Unito e Irlanda, con un +2,5% sull’anno precedente e una quota complessiva di 770mila passeggeri. Un settore, quindi, quello delle crociere, che continua a essere florido e su cui si continua a puntare, e nel 2018 si prevede che le compagnie amplieranno la loro offerta con 27 nuove navi tra marine, fluviali e speciali. Naturalmente, queste cifre corrispondono per lo più alle crociere marittime, con migliaia di passeggeri trasportati su ogni nave. Ma a fronte di questo turismo navale un po’ di massa, stanno prendendo piede anche le crociere fluviali, che rappresentano un’alternativa più ricercata e tranquilla per navigare sull’acqua, anche se parliamo quasi sempre di grandi fiumi. Crocierissime (www.crocierissime.it), il primo sito italiano interamente dedicato al mondo delle crociere, suggerisce dieci buoni motivi per scegliere una crociera fluviale, spiegandone i vantaggi rispetto a quelle marittime.

Varietà di percorsi Le proposte di crociere fluviali si concentrano principalmente in Europa. I grandi fiumi come la Senna, il Danubio, il Reno e il Volga sono i protagonisti, ma ci sono meravigliosi itinerari anche per scoprire il Douro, il Guadiana, il Guadalquivir, il Rodano, la Saona, la Garonna, l’Elba, la Loira, l’Oder, il Po, o lungo alcuni dei canali francesi a bordo di imbarcazioni più piccole. Altre proposte più originali, per chi ama spingersi in terre lontane, sono le crociere sui fiumi di altri continenti, come il Mekong in Vietnam o lo Zambesi, il Chobe e il Lago Kariba in Zimbabwe, e lo Yangtze in Cina. Poiché i battelli fluviali hanno un pescaggio basso, sono anche adatti per la navigazione lungo le coste. Ideali, quindi, per visitare ad esempio le isole e le coste di Croazia e Montenegro o la Costiera Amalfitana, navigando da Napoli e arrivando fino alla Sicilia. Senza pensieri, tutto a portata di mano Una crociera fluviale è il modo più comodo e spensierato per esplorare altri paesi e conoscere altre culture. Ci si può trovare a pochi metri dai più bei monumenti e cattedrali d’Europa o al centro vero e proprio di una grande città, un’esperienza davvero indimenticabile. È un po’ come avere un hotel itinerante e a bordo ci sono tutti i servizi. È questa la vera vacanza che permette di godersi il paesaggio, chiacchierando e rilassandosi senza doversi preoccupare degli

spostamenti. E per quanto riguarda il bagaglio non ci sono problemi di franchigia. Inoltre, non c’è bisogno di pensare a organizzarsi per i pasti, non serve prenotare in anticipo un tavolo in un ristorante, o perdere tempo per trovarne uno e, non da ultimo, non ci sono pericoli e preoccupazioni per la sicurezza. Una crociera di questo tipo ha tutte le caratteristiche positive di un viaggio organizzato, ma lascia il viaggiatore libero di pianificare il suo tempo come meglio crede. Partenze comode La maggior parte delle crociere fluviali partono dalle principali città europee: Parigi, Porto, Amsterdam, Mosca, Budapest, Strasburgo. Tutte hanno buoni collegamenti aerei con le città italiane, in molti casi con voli low cost, quindi sono facili da raggiungere e a tariffe convenienti e, se si desidera, si può prolungare il viaggio per visitarle comodamente prima o dopo la crociera. Niente folla Le navi che solcano i grandi fiumi trasportano solo circa 200 passeggeri, mentre alcune delle grandi navi marittime ne trasportano più di 4.000 e quasi altrettanti membri dell’equipaggio. C’è un’atmosfera più familiare, quindi, che

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permette una migliore comunicazione e coesistenza con il resto dei passeggeri. Durante le crociere fluviali è facile conoscersi, scambiarsi esperienze di viaggio e partecipare alle attività a bordo. Anche se, ovviamente, ognuno sceglie di spendere il suo tempo con quello che preferisce: leggere, prendere parte a giochi e tornei, fare ginnastica di gruppo o semplicemente rilassarsi e godersi il panorama. Addio mal di mare Le navi da crociera fluviale sono poco profonde e molto stabili, perché nei fiumi, non importa quanto grandi, le acque non sono mai molto agitate. Ecco perché è così raro soffrire il mal di mare, come capita spesso, invece, nelle crociere oceaniche, anche se le grandi navi dispongono di buoni stabilizzatori, perché le condizioni del mare, soprattutto se parliamo di Oceani, possono essere molto mutevoli. Un viaggio piacevole e mai noioso Il mare è meraviglioso, rilassante, incanta... Ma può essere a volte monotono. Le compagnie di solito programmano innumerevoli attività a bordo per intrattenere gli ospiti e non farli annoiare. I tour fluviali, invece, sono sempre piacevoli. Si possono scoprire piccoli borghi sulle rive, vigneti, castelli, monasteri e abbazie e tutto è a pochi metri e delizia la vista. Anche il “traffico” del fiume è di per se’ una distrazione e il passaggio delle dighe o sotto i ponti è un’esperienza da assaporare. A bordo l’intrattenimento è soft, vengono organizzati giochi sul ponte o negli spazi comuni, si può assistere a rappresentazioni e spettacoli di musica o seguire corsi di cucina, artigianato o altre attività che richiedono manualità, ma tutto in un’atmosfera familiare e poco caotica. Cabine esterne I battelli fluviali sono larghi poco più di dodici metri (per poco più di 100 metri di lunghezza), il che significa che ci sono solo cabine esterne con

grandi finestre nella maggior parte dei casi, separate da un corridoio al centro. Non ci sono terrazze, come si possono trovare in alcune cabine di navi marittime, dove però ci sono anche molte cabine interne; ma ognuna, è finemente arredata e dotata di tutto il necessario per un viaggio comodo e confortevole, con ovviamente bagno privato, docce e aria condizionata. Più che sufficiente, insomma, se si calcola il poco tempo che si trascorre in cabina.

diverse compagnie che effettuano partenze esclusive per gli italiani e la maggior parte di loro offre anche servizi in lingua italiana con un minimo di 40 passeggeri.

Pasti serviti al tavolo La maggior parte dei pasti serviti sui giganti del mare sono di solito pasti a buffet, l’unico modo per dare da mangiare in poco tempo a tante persone. E i buffet, si sa, hanno vantaggi e svantaggi. Nelle crociere fluviali, invece, pranzi e cene sono sempre serviti al tavolo da camerieri, a eccezione delle colazioni che, per rispondere meglio alle esigenze orarie e di appetito di tutti, sono a buffet. L’offerta non sarà così variegata come sulle altre navi, ma la qualità è assicurata e spesso migliore. In alcuni casi, vino, birra, bibite e caffè sono inclusi. E in molte crociere ci sono pacchetti che includono le bevande durante tutto il giorno, non solo a pranzo e a cena, senza dover pagare extra.

CROCIERISSIME.IT Crocierissime.it nasce dall’esperienza pluriennale nel mercato crocieristico internazionale dei suoi fondatori con un progetto altamente innovativo nel campo del turismo online: sviluppare anche in Italia le migliori tecnologie di servizio ai consumatori mettendo a disposizione una piattaforma web interamente dedicata al mondo delle crociere, la prima in Italia. Crocierissime è parte di lastminute.com Group, una delle principali online travel agency (OTA) europee presente in oltre 35 paesi in tutto il mondo. Le tecnologie all’avanguardia sviluppate dal gruppo e l’offerta integrata per il viaggio e il tempo libero permettono agli utenti di ricercare e prenotare le soluzioni più adatte alle proprie esigenze in maniera intuitiva e veloce.

Scali facili e veloci nelle città La maggior parte delle soste che si fanno durante una crociera fluviale sono nel centro delle città che si attraversano o in luoghi particolari che si incontrano lungo il percorso, come abbazie, fortezze, castelli, città più piccole. Inoltre, le operazioni d’imbarco e sbarco sono molto veloci e senza code per il controllo documenti o per prendere pullman. Ecco perché, in molti casi, non è necessario prenotare prima le escursioni, basta scendere e girare a piedi o magari in bicicletta, a differenza di molte crociere in mare, dove spesso il porto è lontano dalla città e ci possono volere ore tra andata e ritorno per raggiungere il centro. Basta pensare alla distanza da Civitavecchia a Roma, da Livorno a Firenze o Pisa e dal Pireo ad Atene. Tante offerte da personalizzare Le opzioni sulla scelta della nave che meglio si adatta ai gusti e ai budget personali sono moltissime. Crocierissime segnala inoltre che ci sono

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tURISMO

Friland, le minicase per vivere la natura a cura di m.t. san juan

Minimalismo e comfort negli alloggi nomadi ed ecosostenibili che non consumano il suolo e regalano un’esperienza immersiva in luoghi naturali selezionati Minimalismo e comfort negli alloggi nomadi ed ecosostenibili che non consumano il suolo e regalano un’esperienza immersiva in luoghi naturali selezionati Friland è il progetto di hospitality dell’omonima e giovane startup friulana con sede a Gemona Del Friuli, pensato per chi desidera prendere una pausa dalle proprie abitudini al di fuori delle rotte tradizionali. L’iniziativa è basata sul concetto di nomadismo in cui mini alloggi su ruote, (completamente autonomi e offgrid) vengono posizionati temporaneamente in luoghi naturali ed affittati per brevi periodi. Con Friland gli ospiti hanno la possibilità di vivere un’esperienza unica alloggiando in una mini casa completamente autosufficiente, basata sul non consumo di suolo, che utilizza pannelli solari e un sistema innovativo di gestione degli impianti nel rispetto integrale della natura.

L’idea nasce dall’esigenza e dal desiderio di proporre un modello diverso di turismo, per dare la possibilità alle persone di rilassarsi completamente e vivere un soggiorno immersi in un bosco, vicino a un fiume o in un vitigno, provando a vivere con meno e in semplicità, ricaricandosi con suoni, rumori e immagini della natura. “Concedersi del tempo, staccare la spina, ritrovare l’essenziale, il silenzio e se stessi racconta Gabriele Venier, socio fondatore di Friland -. Ci piace l’idea di regalare un’emozione unica e inconsueta, dando la possibilità a tutti di esplorare e abitare, seppur per brevi periodi, paesaggi d’eccezione in totale libertà con la consapevolezza di non consumare il territorio.” LE CARATTERISTICHE DEL PROGETTO Se dovessimo sintetizzare, potremmo dire che Friland è: 1.NOMADE Le unità abitative, facilmente spostabili, si aggregano in maniera dinamica, per creare destinazioni temporanee sempre diverse.

Con Friland gli ospiti hanno la possibilità di vivere un’esperienza unica alloggiando in una mini casa completamente autosufficiente

L’ambizione del progetto è di promuovere un nuovo paradigma di strutture ricettive erranti fortemente integrato in luoghi naturali. Un organismo di strutture completamente autosufficiente che non richiede opere di urbanizzazione: ciascun elemento è infatti scollegato da terra e dalle reti idriche/elettriche, consentendone la collocazione in contesti naturali o selvaggi. 2.EMOZIONALE Friland promuove un’esperienza autentica di riconnessione con la natura grazie alle grandi vetrate, a un design essenziale e a un livello di intimità unico con il territorio, molto distante dalla tradizionale offerta. 3.IN SIMBIOSI CON IL TERRITORIO Friland integra l’offerta turistica della località in cui si colloca, operando in maniera non invasiva, sostenibile e reversibile: un progetto di ospitalità turistica temporanea e adattabile, in simbiosi con il paesaggio. Il progetto promuove e valorizza il territorio grazie alla costruzione di una rete sinergica con le realtà locali e attraverso una guida delle attività che esso offre: percorsi, escursioni, prodotti e piatti tipici, coerentemente ai principi dello slow travel. Obiettivi in linea con l’esigenza crescente, in Friuli ma anche in Europa, di forme alternative di turismo di prossimità. I mini-alloggi di Friland dispongono di circa 12mq e possono ospitare due persone.

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Gli interni sono stati progettati con materiali naturali (come l’abete e il rovere) e con un design essenziale privo di elementi superflui e di disturbo. E’ dotato di ampie vetrate che permettono agli ospiti di immergersi completamente nell’ambiente esterno che li circonda. Ogni unità dispone di tutti i servizi necessari per godersi l’esperienza: un ampio e comodo letto matrimoniale posizionato di fronte alla grande vetrata dell’alloggio, una cucina pratica e funzionale, un bagno con doccia e wc che impiega un sistema per ridurre i consumi d’acqua. L’alloggio dispone inoltre di riscaldamento e aria condizionata. Un sistema di gestione smart permette di gestire il corretto funzionamento degli impianti e di segnalare tempestivamente la presenza di anomalie al fine di garantire una maggiore sicurezza nonché rendere efficiente la manutenzione. In accordo con la filosofia del progetto, la permanenza degli alloggi in una location dura tra i due e i quattro mesi, per dare la possibilità agli ospiti di vivere esperienze sempre diverse. Al termine del periodo prestabilito, le unità vengono spostate verso una nuova destinazione. DIVERSE LE LOCALITA’ RAGGIUNTE Sono diverse le località raggiunte da Friland: la foresta millenaria della Val Saisera (Ud), i suggestivi Colli Orientali del Friuli (Ud) e la splendida laguna di Marano (Ud). Ma il viaggio non finisce qui: Friland è ora attivo in altre località, come i Laghetti Rossi di Capriva del Friuli (Go), dove oltre all’atmosfera rilassante fronte lago si potrà godere di itinerari paesaggistici unici, gite in bici e visita alle numerose cantine della zona e nello scenografico contesto morenico del castello medievale d’Arcano Superiore a Rive d’Arcano (Ud), con vista panoramica su tutta la catena

delle Prealpi Giulie. Altre location saranno attivate nel periodo estivo per far scoprire agli ospiti di Friland nuovi scorci paesaggistici del Friuli Venezia Giulia. Friland è prenotabile tramite Airbnb oppure Gift Card acquistabile direttamente sul sito https://fri.land/.

FRILAND Friland è una startup innovativa nata nel 2019 con sede a Gemona del Friuli impegnata sui temi dell’ecoturismo, del benessere e dell’economia circolare. L’idea progettuale nasce già nel 2015 dalla passione dei fondatori per il proprio territorio e dalla volontà di riscoprire i luoghi meno conosciuti e valorizzati. L’avvio dell’iniziativa è stato reso possibile grazie al contributo regionale POR FESR da parte delle Attività Produttive FVG e alla lungimiranza da parte della Regione Friuli Venezia Giulia nell’introdurre normative in grado di disciplinare per la prima volta la creazione di strutture ricettive ecocompatibili in aree naturali favorendo lo sviluppo di nuovi progetti legati al turismo ecologico ed esperienziale. .

Per informazioni: Friland, Via Taboga 154, Gemona del Friuli (UD) E-mail: hello@fri.land Sito web per prenotare: https://fri.land/ F B : h t t p s : / / w w w. fa c e b o o k . c o m / Fr i land-107815684329391 IG: @friland.wild

L’idea nasce dall’esigenza di proporre un modello diverso di turismo, per dare la possibilità alle persone di rilassarsi completamente e vivere un soggiorno immersi in un bosco, vicino a un fiume o in un vitigno

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#PERSOGNATORI Scoprite i fantastici Romantik Hotels & Restaurants italiani. Gli ospitali padroni di casa vi aspettano in Alto Adige, sul Lago di Garda o sul Lago d’Iseo, sulla Strada del Prosecco, vicino a Venezia e a Firenze. Esplorate gli splendidi dintorni, gustate l’ottima cucina, rilassatevi nelle ampie aree benessere e vivete una perfetta vacanza in stile Romantik. www.romantikhotels.com


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turismo

EALA, UN SOGNO A CINQUE STELLE Panoramica Eala

ph. Copyright-@photograficamangili

Di MARCO MORELLI

Ha aperto il 30 aprile 2021 EALA, hotel 5 stelle Lusso, perla esclusiva di ospitalità sulle rive del Lago di Garda. Il progetto nasce dalla volontà della famiglia Risatti , da generazioni attiva nel settore alberghiero lacustre. Ispirato alle leggende celtiche e alla figura maestosa del cigno, che da tempi antichi abita le rive del lago, EALA (cigno in celtico) è un invito a sognare, immersi in una magica atmosfera a cinque stelle, godendo di ogni comfort, in un percorso rigenerante che aiuterà a ripartire ricchi di nuova vitalità. EALA si trova a Limone sul Garda, un piccolo borgo che conquista per i meravigliosi scorci, le acque blu del lago e le limonaie, costruite a terrazze ai piedi della Cima della Mughera. Ed è proprio lungo la strada che collega Riva del Garda e Limone che si trova EALA. Progettato per garantire la massima efficienza energetica, l’edificio è stato studiato per integrarsi perfettamente nel paesaggio seguendo il concept del “lusso della natura”: all’esterno, grazie ai colori naturali della facciata e al bosco verticale che percorre tutti i piani, si fonde completamente con la roccia. All’interno, l’arredo in stile eclettico, le ampie vetrate che lasciano immergere il visitatore nella natura circostante, il gioco di armonie e contrasti creato attraverso i materiali e le tonalità degli interni, completano questo sogno di bellezza. Suddivisa in 7 piani, la struttura si sviluppa in verticale: il piano terra ospita la reception, due ristornati e un bar; dal primo al quinto piano si trovano le camere, suddivise in 5 tipologie con stili legati al mondo naturale; al sesto piano la Royal Suite Awen, EALA LUXURY SPA & Medical, che si sviluppano su due livelli; sul tetto, l’esclusivo

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Panorama Lounge Bar, da cui si può godere di una magnifica vista. Un percorso lungo i giardini a terrazza dell’hotel guida infine l’ospite alla spiaggia privata. Passione, innovazione, autenticità, rispetto del territorio e dell’ambiente, e un approccio moderno e adult friendly per ospiti sopra i 16 anni: sono questi i cardini dell’ospitalità di EALA. Un impegno quotidiano che si traduce in un servizio d’eccellenza e un lusso soft e contemporaneo, che fa sentire l’ospite al centro dell’esperienza. EALA MEDICAL Benessere e salute si incontrano in EALA Medical, centro medico Omotossicologico interno, guidato dalla Dott.ssa Bonafini, medico specialista e membro dell’International Academy of PRM (Psysiological Regulating Medicine). Presso EALA Medical l’ospite potrà effettuare visite mediche personalizzate con lo scopo di individuare terapie mirate al ripristino dell’equilibrio e del benessere dell’organismo, liberandosi delle omotossine, attraverso la detossificazione, il drenaggio e stimolando gli organi emuntori (reni, fegato, intestino, polmoni e pelle). Il tutto in un ambiente lussuoso, dotato di ogni comfort e circondati dalla bellezza della natura. EALA LUXURY SPA Un viaggio sensoriale di puro benessere è EALA LUXURY SPA: un’area di 1500 mq dotata di due

La Hall dell’Hotel

piscine interne, una infinity pool esterna, sauna mediterranea, sauna finlandese panoramica, criosauna, percorso kneipp, docce emozionali, sala relax e cabine dedicate ai trattamenti. L’ospite verrà accompagnato dal team di esperti EALA in un percorso che restituirà nuova energia a corpo, anima e mente. LA CUCINA Particolare attenzione va alla cucina, guidata dal pluristellato chef Alfio Ghezzi, Executive Chef di EALA, insieme a Akio Fuijta, Resident Chef di EALA. Italianità, semplicità, ingredienti locali, sostenibilità e alta qualità sono gli elementi portanti della sua offerta, sia durante le cene gourmet che l’ospite potrà sperimentare all’interno dell’incantevole ristorante Fine Dining SENSO, sia durante il giorno presso Alfio Ghezzi Bistrot. Entrambi i ristoranti sono aperti anche agli ospiti esterni. Completano l’offerta la zona fitness di circa 80 mq firmata Technogym, e molte attività outdoor, che donano l’opportunità di vivere appieno il Lago e tutto ciò che esso offre, dalle escursioni a piedi o in bicicletta lungo la Ciclovia dei sogni del Garda, al golf, fino a gite in barca o sport acquatici, come windsurf e kitesurf. Un insieme di proposte e servizi che concorrono a rendere EALA la location perfetta per una vacanza da sogno.

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Chef Alfio Ghezzi

Dolomiti di Brenta Patrimonio UNESCO Foto Paolo Luconi Bisti

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tURISMO

UNA FUGA NEL CUORE VERDE DELL’UMBRIA a cura di m.t. san juan

Un borgo medievale nel cuore verde dell’Umbria è l’ambiente ideale per una fuga dallo stress e dalle preoccupazioni. Torre del Nera Albergo diffuso & Spa, a Scheggino, la patria del tartufo, a soli dieci minuti da Spoleto accoglie amanti dell’arte, dell’enogastronomia, della natura e della tradizione. L’area è quella della Valnerina che intrisa di spiritualità e dalla bellezza inaspettata delle cose più semplici, è luogo magnifico per praticare attività sportive come il trekking lungo i cammini di San Francesco o di San Benedetto, rafting sui fiumi, passeggiate a cavallo tra i mille colori che dipingono le distese di lenticchie durante la fioritura, ma anche per visitare città d’arte, scoprire antiche tradizioni e deliziarsi il palato scegliendo tra gli innumerevoli percorsi enogastronomici proposti. Torre del Nera Albergo diffuso & Spa presenta un format d’accoglienza ancora poco noto che permette di vivere un’esperienza autentica sul territorio rimanendo a diretto contatto con la realtà locale, usufruendo della comodità dei servizi alberghieri. L’albergo si compone infatti di 16 appartamenti, un tempo dimore di duchi e duchesse, sparsi tra i vicoli acciottolati del borgo decorati

con maioliche, pietra viva, travi a vista e cotto, in omaggio alla tradizione umbra, dotati di camini, cucina e dei migliori comfort. Salendo verso la cima della collina dominata da un’antica torre medievale, sorge invece il corpo centrale dell’albergo nato in parte dal recupero dei ruderi dell’antico castello e delle mura fortificate. Ultimato nella primavera 2020, dispone di 12 camere dipinte a mano, dotate dei comfort più moderni e da complementi ispirati al territorio. Al piano terra trova spazio il Ristorante Torre del Nera dove poter degustare i sapori del territorio che per l’inizio della primavera resterà aperto solo per la prima colazione, rimandando all’inizio dell’estate il servizio di pranzi e cene. Fiore all’occhiello dell’albergo è la Spa affacciata sulla Valnerina: un’area di 400 mq con piscina con acqua riscaldata tra i 28 e 34°, idromassaggio, sauna finlandese, bagno turco, stanza del sale Halos, area relax con tisaneria e un giardino terrazzato di 300 mq. I trattamenti beauty e i rituali corpo e viso proposti dal personale attento e professionale della Spa Torre del Nera saranno un rimedio perfetto per allontanare la fatica e lo stress,

regalando momenti di puro benessere. Da non perdere le Spa Experience che abbinano il relax del corpo a quello del gusto abbinando percorsi wellness a degustazioni. TORRE DEL NERA PROPONE: per soggiorni da maggio, quote a partire da 314€ a persona, per 3 notti in camera doppia con trattamento di pernottamento e prima colazione. La quota include: •1 Rituale di coppia di 55 minuti Luci soffuse, oli profumati, musica rilassante. L’atmosfera perfetta per la coppia che in vacanza vuole dedicarsi un momento magico. Mani avvolgenti renderanno il massaggio il preludio perfetto di un soggiorno indimenticabile. •1 Massaggio Soul Experience di 60 minuti Prodotti innovativi vi condurranno in un territorio nuovo fatto di piacere. La sinergia dell’esclusivo blend oil essence soul e le tecniche di massaggio rilassante portano ad una sensazione di quiete per il corpo e la mente, utile per il recupero del sonno. •Entrata SPA www.torredelnera.it

Un’inedita location nel cuore verde dell’Umbria. Un borgo medievale vivo e vissuto dai suoi abitanti, che conserva intatto il soffio del passato tra le mura antiche e uno scorcio di natura ancora selvatica.

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Veduta del borgo2021 medioevale di Castellaro Lagusello (Mn) n.aerea 3 Maggio

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minestra di verdure uovo e crostoni Ingredienti: 5 piccole zucchine novelle, 200 g di cipollotti freschi o un porro piccolo, 10 bacelli di piselli primavera da sgranare, 150 g di asparagi verdi, 1 spicchio d’aglio in camicia, 4 uova freschissime, 1 litro di brodo di verdura bollente, 1 cucchiaio d’aceto, sale e pepe. Lavate e mondate tutte le verdure. Riducete le zucchine novelle a dadini, affettate gli asparagi verdi e i cipollotti. Sgranate i piselli freschi e sciacquateli. Scaldate in una pentola 2 cucchiai d’olio, versate le verdure assieme allo spicchio d’aglio in camicia e rosolatele dolcemente. Salatele e pepatele. Eliminate l’aglio e versate poi il brodo caldo. Fate cuocere a fuoco medio per una mezzora. Quando la minestra sarà quasi pronta, preparate l’uovo in camicia e fatelo scivolare nel piatto con qualche crostone.

sapori di primavera di flora lisetta artioli

insalata di farro con tonno e pomodorini

TORta di mandorle e cannella

Ingredienti: 250 grammi farro, 250 grammi pomodori ciliegini, 300 grammi tonno sott’olio, 3 cucchiai olive verdi denocciolate, erbette aromatiche (maggiorana, prezzemolo, timo), olio extra vergine d’oliva, sale e pepe

sfizioso risotto con le fragole Ingredienti per 4 persone: 300 gr di riso, 350 gr di fragole, 2 scalogni, 1/2 bicchiere di prosecco, 1 litro di brodo vegetale, 25 gr di parmigiano, olio, sale.

Lavate i pomodorini, tagliateli a metà e metteteli in una bacinella insieme ad abbondanti erbe aromatiche tritate. Condite con olio, sale e pepe, coprite con pellicola e fate insaporire per un’ora. Nel frattempo fate cuocere il farro in acqua bollente salata, scolatelo e raffreddatelo sotto acqua fredda. Versatelo in una ciotola. Sgocciolate il tonno e unitelo al farro, aggiungete anche le olive tagliate a metà e i pomodori con il condimento alle erbe. Regolate se necessario il condimento, mescolate bene e servite.

Tritare 100 gr di mandorle con lo zucchero di canna integrale. In una ciotola unire la farina di farro, il lievito e la cannella; aggiungere mandorle e zucchero tritati e mescolare. Unire il latte di mandorle lentamente e mescolare piano con la frusta fino a ottenere un impasto omogeneo. Versare l’impasto in una teglia foderata con la carta da forno e poggiare sulla superficie gli altri 100 gr di mandorle intere e un pizzico di cannella. Infornare nel forno preriscaldato a 180°C e cuocere per 40 minuti circa.

Far imbiondire lo scalogno tritato in una casseruola con l’olio. Aggiungete il riso e lasciatelo tostare, quindi sfumate con il vino. Aggiungete il brodo fino a ricoprire il riso e aggiungetene man mano che si asciuga. Lavare le fragole e tagliarle a pezzetti. Aggiungetele a metà cottura. Mescolare delicatamente aggiungendo man mano un mestolo di brodo se dovesse asciugarsi troppo,aggiustate di sale e terminate la cottura. Spegnere la fiamma, aggiungere il parmigiano e mantecate il risotto alle fragole con un cucchiaio di legno. Impiantare con una dadolata di fragole fresche.

Le mete culinarie che non ti aspetti ioni s r u c s E rmet 144 gou

Ferran Adrià ha indicato il Perù come la culla della prossima rivoluzione gastronomica e sul paese sudamericano, da qualche anno, sono puntate le attenzioni dei gourmet di tutto il mondo. «Tra ceviche e i piatti a base di quinoa e amaranto, la cucina peruviana è gustosa, sana, sorprendente. E nasce fusion, perché è da sempre un mix di tradizioni diversissime» commenta Romagnoli. Negli ultimi anni gli chef peruviani sono arrivati ai vertici della cucina mondiale: il ristorante Central di

Ingredienti: 150 g Farina di farro, 200 g Mandorle, 1 cucchiaino Cannella in polvere, 150 g Zucchero di canna integrale, 1 bustina Lievito per dolci, 300 ml Latte di mandorle. Senza burro, senza uova, senza olio

Lima è al quarto posto della classifica World’s Best Restaurant 2016. Il Vietnam, la “cucina del mondo”. È una meta poco conosciuta dagli italiani dal punto di vista culinario, ma chi la visita torna sempre sorpreso ed entusiasta perché il Vietnam è un crocevia di sapori: si ritrovano echi delle cucine di tutta l’Asia, «e poi c’è l’influenza francese –ricorda Silvia Romagnoli– alla quale si ispirano ristoranti stellati come La Maison 1888, a Danang, meta gastronomica numero uno del Paese secondo la BBC».

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IL BUONGUSTAIO

NICOLA BERTINELLI RICONFERMATO PRESIDENTE del CONSORZIO PARMIGIANO REGGIANO

gli integratori rigoni di asiago Raffreddore, mal di gola, tosse… si chiamano mali di stagione in quanto tipici dei mesi più freddi ma, in realtà, a minare il nostro sistema immunitario intervengono anche altri fattori altrettanto comuni quali lo stress, gli sbalzi di temperatura e l’inquinamento. Un valido aiuto, in tutti questi casi, arriva dagli integratori naturali, cioè quei prodotti altamente specifici la cui peculiarità è di aiutare proprio le nostre difese immunitarie. Echindrink e Echinspray sono la grande novità di Rigoni di Asiago per difendere in modo naturale il nostro organismo. Nati dalla profonda conoscenza nel mondo del miele e delle erbe dell’azienda dell’Altopiano di Asiago, i due nuovi integratori sono a base di echinacea, miele, rosa canina e propoli. L’efficacia dell’echinacea è dimostrata da diversi studi scientifici che risalgono già al 1915, quando venne riconosciuta a questa pianta un’azione diretta sul sistema immunitario. Infatti, oltre ad avere una spiccata azione antiossidante, possiede anche una naturale azione antinfiammatoria, grazie al suo contenuto di flavonoidi. Il miele, poi, è un autentico elisir di salute, da sempre considerato un fantastico antibatterico e antinfiammatorio. Si può dire che esista da sempre ma, oggi, è ancora più prezioso, visto il rischio di estinzione delle api a cui stiamo assistendo. shop.rigonidiasiago.it

grana padano in aiuto ai giovani Aiutare i giovani a fare la scelta giusta per il proprio futuro: è quanto si propone l’Associazione Smart Future Academy che è la prima realtà Italiana che mette in contatto gli studenti con personaggi dell’imprenditoria, della cultura, della scienza, dell’arte e dello sport. L’Associazione ha messo a punto un format di orientamento per i giovani particolarmente efficace, basato sull’ascolto e l’interazione con professionisti brillanti che raccontano il proprio lavoro e il percorso di studi che li ha portati al successo, permettendo di ottenere crediti per i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) degli studenti. Il Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano, anch’esso già da tempo coinvolto in progetti didattici per gli istituti superiori, è promotore attivo della cultura della qualità e della passione dei giovani facendo conoscere la storia, la tradizione, il territorio e le caratteristiche del proprio prodotto, il formaggio DOP più consumato al mondo. ‘’Questa collaborazione – dichiara il Presidente di Smart Future Academy Lilli Franceschetti – è per noi molto importante. L’orientamento dei giovani è un tema che sta molto a cuore ad entrambe le nostre realtà e il Consorzio Grana Padano ha deciso di sostenerci in questo percorso. Abbiamo infatti obiettivi simili e complementari: promuovere la cultura italiana in tutte le sue forme, sia dal punto di vista culinario che culturale.”

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Nicola Bertinelli è stato riconfermato per acclamazione presidente dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio Parmigiano Reggiano. Bertinelli, parmigiano classe 1972, guiderà il Consorzio per altri quattro anni e sarà affiancato da Kristian Minelli, vicepresidente vicario e Alessandro Bezzi, vicepresidente, insieme al terzo vicepresidente che sarà nominato nel corso del prossimo Cda fissato per giovedì 22 aprile durante il quale verrà costituito anche il Comitato Esecutivo. “Ringrazio la nostra base e tutti membri del Consiglio per la rinnovata fiducia – ha affermato Bertinelli – continueremo a lavorare affinché questa sia sempre di più la casa di tutti i consorziati. Un luogo di confronto costruttivo tra persone che condividono non solo un nobile mestiere ma anche i valori e quella passione che

fanno del Parmigiano Reggiano un’eccellenza assoluta. Il nostro compito è stato e sarà quello di tutelarla, di difenderla dalle contraffazioni, di valorizzarla sia in Italia sia all’estero e di favorire la transizione verso una filiera ancora più sostenibile e in linea con le richieste dei consumatori”. Ricordiamo che la filiera del Parmigiano Reggiano è composta da 321 caseifici e oltre 2.600 allevatori per un totale di 50.000 persone coinvolte. Nel 2020 sono state prodotte 3,94 milioni di forme pari a circa 160.000 tonnellate. Nicola Bertinelli è CEO dell’Azienda Agricola Bertinelli, che opera dal 1895 a Medesano (PR), producendo Parmigiano Reggiano. Laureato in Scienze Agrarie e in Economia e Commercio, ha conseguito un master in Business Administration all’Università di Guelph, in Canada.

casaro per un giorno Il piacere di vivere all’aria aperta, tra la campagna e il mare, in luoghi dove la tradizione permea lo stile di vita e segue il ritmo della natura: la Basilicata è la meta ideale per chi cerca una vacanza all’insegna dell’autenticità. E Borgo San Gaetano di Bernalda (MT) offre ai suoi ospiti l’opportunità di collaborare alla produzione di eccellenze gastronomiche. L’incantevole relais di charme, ricavato dalla ricercata ristrutturazione di un antico frantoio nel centro dell’elegante cittadina di Bernalda e composto da sette accoglienti suite dotate di ogni comfort e indipendenti, è la base perfetta per un viaggio alla scoperta del territorio. La proposta “Casaro per un giorno”, in collaborazione con il Caseificio Esposito, prevede la possibilità di seguire le fasi di produzione del formaggio in prima persona. Burrata, stracciatella, scamorza, caciocavallo, provolone, trecce di mozzarella, yogurt… nel laboratorio delle meraviglie si assiste – e si partecipa – alla lavorazione dei latticini, per poi naturalmente gustarli accompagnandoli con pane, insaccati e un buon bicchiere di vino.

“Grana Padano è al fianco di Smart Future Academy sin dalla prima edizione perché crede fortemente nelle nuove generazioni. Eventi come questo consentono di dialogare con i giovani e trasmettere loro, con un linguaggio smart, un’educazione alla qualità e al consumo consapevole, soprattutto quando si parla delle eccellenze made in Italy – commenta Renato Zaghini , Presidente del Consorzio Grana Padano. Crediamo sia fondamentale che, soprattutto in questa fase della loro vita, imparino a cogliere l’importanza di saper scegliere con senso critico quando acquistano un prodotto, analizzando le informazioni in etichetta e conoscendo la differenza tra un prodotto tutelato e garantito da un Consorzio, rispetto ad un prodotto che non lo è. Solo così potranno acquistare liberamente, e starà a loro valutare sulla base di dati oggettivi. Questa nuova edizione di Smart Future Academy – conclude Zaghini – sarà, come sempre, stimolante e ci auguriamo di riuscire a coinvolgere e far appassionare alla bontà tutti questi adulti di domani”. Uno degli obiettivi per il quale destiniamo tanti sforzi ed energie è quello di un dialogo continuo con tutte le principali espressioni del territorio di promozione della cultura, della crescita e della formazione giovanile. Attraverso questa collaborazione verranno promossi eventi di orientamento rivolti ai giovani mettendo in luce anche le tendenze del mercato del lavoro. Si punta quindi ad unire i benefici di un format vincente con informazioni puntuali sulle prospettive occupazionali per aiutare i giovani a fare le loro scelte future più consone ai propri sogni e inclinazioni, ma anche più rispondente alle reali e mutevoli esigenze del mondo del lavoro e dell’impresa.

il ristorante con l’orto È sempre più numeroso l’esercito degli Chef che ingaggiano la battaglia Green per combattere gli sprechi alimentari e per offrire piatti dal sapore unico, con le materie prime di stagione colte a pochi passi dai loro ristoranti. Proprio nella Bassa tanto cara al Maestro, a Polesine Parmense (PR), lo Chef stellato Massimo Spigaroli incanta occhi (e palati) col suo orto-giardino, all’ingresso dell’Antica Corte Pallavicina, castello del 1300 sulla golena del fiume Po. Qui si coltivano ortaggi, piante aromatiche e frutta, ingredienti del suo menu gastro-fluviale. Il ristorante produce il 95% di quello che porta in tavola: verdura, carne, farina, pane, salse e conserve, vini. Da pochi mesi, sempre a Polesine Parmense e nel cuore dell’Ortaglia, ha aperto anche l’Agribottega, dove poter acquistare tutti i prodotti a metro zero, oltre a qualche chicca di produttori locali fidati. (www.anticacortepallavicina.com)

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speciale dolci

ANTICA AMARETTERIA SPECIALE FESTA DELLA MAMMA Per la ricorrenza più dolce dell’anno, direttamente dal cuore del Monferrato arriva l’elegante confezione di Amaretti all’Arancia, con deliziosi cubetti di arancia candita. Realizzati a mano secondo le più antiche tradizioni pasticcere, sono acquistabili anche online per festeggiare con gusto il 9 maggio. Una proposta della tradizione, senza impiego di farine, aromi o conservanti, ideale anche per chi sceglie il gluten free!

Il prossimo 9 maggio 2021 cade la ricorrenza forse più dolce dell’anno: la festa della mamma! Allora perché non sorprendere la vostra con un pensiero gourmet fatto di sapori autentici e passione artigiana? Direttamente dal cuore del Monferrato, il laboratorio Antica Amaretteria di Incisa Scapaccino (Asti), propone una “special edition” di Amaretti all’Arancia pensata proprio per la Festa della Mamma 2021: la selezione - racchiusa in un’elegante e colorata confezione regalo in latta - è disponibile anche online al prezzo di 8 euro. L’Amaretto con i canditi all’arancia, protagonista di questa Festa della Mamma 2021, è realizzato solo con materie prime genuine e interamente a mano: ogni fase è compiuta secondo le più antiche tradizioni, dalla plasmatura, all’incarto. Agli ingredienti di base - zucchero, armelline (minimo 20%), mandorle (minimo 20%) e albume d’uovo - viene aggiunta l’arancia candita per un inedito connubio di gusto che rende l’amaretto ideale in qualsiasi momento: per uno spuntino gourmet, come pre-dessert o come amuse-bouche di fine pasto, magari accompagnato da un calice di Moscato d’Asti DOCG. Il sapore intenso degli Amaretti Antica Amaretteria è ottenuto grazie ad una sapiente combinazione di mandorle scelte pelate dolci e armelline (ottenute dai noccioli di albicocche o pesche) che conferiscono la spiccata nota amarognola, e ad una preparazione molto accurata: questa miscela rigorosamente selezionata, triturata finemente, è impastata semplicemente con zucchero semolato

ed albume - senza impiego di farina, aromi, conservanti – e plasmata manualmente in tante piccole palline che, dopo la cottura in forno, assumono la caratteristica forma piatta alla base ed arrotondata in superficie. L’impasto base viene poi arricchito di cubetti di scorza d’arancia candita. Il dolce ideale anche per chi sceglie un’alimentazione gluten free!

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ABOUT ANTICA AMARETTERIA Antica Amaretteria sforna amaretti realizzati e confezionati uno ad uno, a mano, in un sapiente lavoro artigianale fatto di passione e consolidata tradizione. Gestito con dedizione da Massimo Pesce e dal suo staff, questo laboratorio, infatti, affonda le sue radici negli anni Trenta, a Mombaruzzo, sede per eccellenza degli amaretti monferrini. Qui l’attività prende il suo avvio con il celebre marchio Moriondo, diffondendo il sapore degli amaretti oltre i confini locali. Nel 2016 Massimiliano decide di rinnovare lo storico laboratorio e lo trasferisce a Incisa Scapaccino, proprio a due passi dalla città di Asti, in uno spazio nuovo e ancora più accogliente suggellando il nuovo inizio con un rebranding e dando così vita al marchio Antica Amaretteria. Nel pieno rispetto della tradizione, il ciclo produttivo è ancora tutto rigorosamente artigianale, seguendo la stessa ricetta degli antichi amaretti Moriondo. L’impasto, ottenuto solo con ingredienti di primissima scelta e arrotolato nello zucchero da mani esperte, conserva una buona friabilità esterna. Terminata la cottura, gli amaretti emanano la loro fragranza tipica, divenuta ormai un emblema e motivo di orgoglio nell’astigiano. Profumatissimi e morbidi al punto giusto, gli amaretti sono eccezionali al fianco di un caffè, oppure possono essere un elemento fondamentale nella realizzazione di dolci e dessert piemontesi come il bunet. Elaborando l’impasto base sono nati nuovi gusti: amaretto all’amarena, amaretto con gocce di cioccolato e amaretto con cubetti di arancia candita, amaretto con cubetti di scorze di limone candito che vanno ad aggiungersi all’amaretto classico ed anche l’amaretto alla nocciola tonda gentile trilobata (un dolcetto simile nella forma, frutto della stessa lavorazione ma con ingredienti diversi: solo nocciole tonde gentili di langa + zucchero + albume). Tutte le specialità non contengono glutine, per cui sono ideali anche per i celiaci e per gli intolleranti alla proteina.

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cucina

DUE CHIACCHIERE CON UN RISOTTO

a cura di m.t. san juan

A seguito del successo della prima edizione, il libro di Giovanni Potenza “Due chiacchiere con un risotto” edito da Maggioli Editore torna in libreria con una nuova edizione, ancora più ricca nella grafica e nei contenuti. Cambia la copertina e, come richiesto direttamente dai lettori, le ricette sono ancora più in evidenza e pratiche da consultare. Cucinare è sensazione, emozione e comunicazione. Questi sono i sentimenti che animano da sempre Giovanni Potenza, in arte Poppy Chef, rinomato chef a domicilio e volto noto di Mediashopping, ogni volta che si appresta a cucinare un piatto. Una passione, rimasta per molto tempo solo un hobby e diventata negli ultimi anni una professione, che Poppy ha deciso di trasferire in un libro. Nasce così “Due chiacchiere con un risotto”: il racconto di quindici risotti per quindici momenti indimenticabili che hanno segnato la vita dell’autore. Non un classico libro di ricette, ma un racconto appassionato di esperienze di vita che hanno come comune denominatore la cucina e in particolare il risotto; un alimento che l’autore ama definire “il Re della cucina” per la sua unicità e il suo essere estremamente versatile. Partendo dal 1984 e arrivando al presente, il racconto delle esperienze di vita dell’autore si trasforma in un vero e proprio viaggio intorno al mondo: da Santo Domingo a Formentera, da New York a Pantelleria, passando per Marrakech e Cortina. Ogni capitolo racchiude in sé momenti unici e straordinari, dove amicizia e passione culinaria vanno a braccetto, e culmina con la ricetta di un risotto, legato indissolubilmente al territorio in cui viene cucinato. La preparazione del risotto è una situazione particolare durante la quale il cuoco si ritrova a “dialogare” con l’alimento e a creare un momento di grande condivisione con i commensali, conversazioni spesso destinate a protrarsi per tutta la durata del pasto. Grande soddisfazione per questa seconda edizione curata da Maggioli Editore, grazie all’impegno della redattrice Paola Russo che ha curato con passione i testi e i consigli del responsabile commerciale Massimo Molari. “Ci è voluto il lockdown dello scorso marzo per indurmi a scrivere un libro a cui pensavo da tempo, ma che la mia pigrizia aveva sempre ostacolato. L’idea si era formata nella mia testa quando, raccontando alcuni episodi divertenti a una cena con amici, questi mi hanno suggerito di metterli nero su bianco. L’ipotesi era accattivante, anche perché avrebbe permesso di conciliare le due grandi passioni della mia vita: la cucina e la mia rinnovata socievolezza. Tra i tanti vissuti, ho scelto 15 episodi che eccellevano per il contesto in cui mi sono trovato e per gli amici che avevo intorno; immancabile citare quella volta che ho avuto l’onore di cucinare un risotto rosa per il Dalai Lama in persona o il risotto al nero di seppia per le belle fotomodelle conosciute a Pantelleria!” – sottolinea l’autore Poppy Chef. Il volume è edito da Maggioli Editore e include quindici illustrazioni, a corredo di ogni capitolo, della pittrice e artista veneta Maria Silvia “Margot” Del Turco. Info: www.poppychef.it

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l’incontro

Chef David Rangoni* È nella stanza del silenzio che lo chef crea

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i cose, nella vita di Davide Rangoni*, chef da due anni del Dolomieu di Madonna di Campiglio e da quest’anno anche chef del ristorante Sulphur, di Torri del Benaco, di prossima apertura, ne sono accadute molte. Ricerca, accoglie e vive la sua continua metamorfosi come un’opportunità, uno stimolo necessario per essere. “Il mio percorso di vita e lavorativo, è stato tutto un susseguirsi di eventi, rapidi ed inaspettati. Non so se sono cambiato in meglio o in peggio, certo è che sono cresciuto, ha fatto mia ogni caduta, ogni errore e mi sono preso qualche piccola soddisfazione. Ho elaborato, ho sofferto e ogni tanto, quando mi capita di guardare il mio riflesso in un piatto mentre lo sto preparando, sorrido a quel ragazzino di cucina che non sapeva ancora cosa gli sarebbe accaduto”. Arriva nel 2018 al “Dolomieu”, dove già c’era una stella Michelin. “Non che sia facile prenderla, anzi, ma mantenerla, soprattutto se ereditata, è ancora più difficile”. Il carico emotivo, l’ansia da prestazione e il non voler deludere chi in lui aveva riposto fiducia lo ripagano, sin da subito, con la conferma del riconoscimento che saldamente mantiene fino ad oggi. Autodidatta, studi tecnici, veneto, classe 1979, si muove tra le montagne del Trentino e il Lago di Garda, mantenendo fede al patto ancestrale con i territori che ama, rispetta e che cerca di esplorare andando sempre di più nella loro profondità.

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a cura di v.corini

“LE COSE ACCADONO E TI CAMBIANO, L’UNICA COSA CHE PUOI DECIDERE È SE TI CAMBIERANNO IN PEGGIO O IN MEGLIO”

Chef David Rangoni

La struttura, quella di base, la fa in “trincea” lavorando, sin da molto giovane, nei ristoranti della cucina e della tradizione veneta. La svolta nel 2007 come chef di partita da Igles Corelli: “Sarà sempre il mio maestro. I suoi insegnamenti mi hanno plasmato prima come uomo e in ultimo come cuoco”. Dalla cucina del suo mentore a chef di partita con Bruno Barbieri e Moreno Cedroni, a sous chef con Andrea Costantini e Giuseppe D’Aquino. Oggi Davide Rangoni, oltre ad essere chef resident del ristorante “Dolomieu”, all’interno dell’Hotel DV Chalet Boutique Hotel e SPA****S della famiglia Zambotti, ha accolto con entusiasmo ed energia la sfida lanciata dalla famiglia Consolini dell’hotel Al Caminetto****S di Torri del Benaco, dove, sotto il suo coordinamento, la fedele brigata interpreterà i menu da lui firmati. “Un progetto coraggioso e rivoluzionario. Nell’anno della pandemia, i Consolini hanno investito, stravolgendo completamente la loro struttura ricettiva. A me, hanno affidato il compito di seguire tutta la linea ristorativa dal bistrot al gourmet. Appena le condizioni ce lo permetteranno apriremo. Per ora siamo ancora nei lavori”. Concreto, concentrato e di poche parole lo chef Rangoni. Poche ma essenziali per imparare a conoscerlo e cominciare ad entrare in sintonia con la sua cucina. “Equilibrio” ciò che più appartiene al suo animo, che ricerca e trasferisce nei suoi piatti. “Armonia” la formula alchemica che ritroviamo al palato. “Vibrazione” che arriva tra la sollecitazione dei sensi e la maniacale ricerca dei dettagli che si esprime nella realizzazione, su misura, di piatti in

ceramica dalla doppia veste. Lucida in superficie, dove viene accolto il cibo, e grezza sotto. È qui che il tatto e il suono vanno a scrivere la partitura della sua cucina. Se per il ristorante Sulphur dell’hotel Al Caminetto il menu è ancora in fase di creazione, al Dolomieu, senza dubbio, i signature dishes di Rangoni sono: “Caldo Freddo di Diaframma di Rendena ai Carboni, More e Caviale Calvisius” e il suo dolce-nondolce “Brûlé al Taleggio, croccante di sesamo al Mugo e alchechengi senapate”. “Il diaframma è una parte povera che viene impreziosita dal caviale. In questo piatto c’è tutto: il territorio, perché la Rendena è una razza bovina autoctona del Trentino; c’è la ricerca nell’equilibrio tra il caldo e il freddo della scottatura; la collaborazione, lavorando gomito a gomito con l’allevatore per raggiungere, con la sua esperienza, la giusta frollatura con il corretto passaggio nella grotta del sale e infine, ci sono il blue del cuore del diaframma, il rosso delle more. Acidità e morbidezza. La ricchezza della semplicità.” Fedele all’armonia di cui si faceva cenno, lo Chef propone per il fine pasto il dolce –non-dolce. “Durante tutto il pasto abbiamo orchestrato gusti, sapori e profumi. Arrivare al dessert con un dolce, che comunque proponiamo in chiusura con la petit patisserie, sarebbe una nota troppo alta, stonerebbe. Si perde l’orizzonte. Ecco il senso del dolce-non-dolce: accompagna alla pasticceria finale preparando il palato. Rievoco quindi la tendenza del formaggio a fine pasto, ma lo trasformo in un quasi dolce. La forma quadrata riprende la forma del Taleggio, il croccante, il rubrum cromatico della crosta e il mugo, uno sciroppo fatto con piccole pigne macerate naturalmente. L’antica sapienza dice che il mugo si deve conservare così al massimo per 7 anni, questo, rilascia nel dolce-non-dolce essenze di erbe officinali e resina, portando subito la mente in quota, dove l’aria fresca della montagna apre i polmoni e si respira la vita “ Come un soffiatore di vetro, lo chef Rangoni, insuffla nel suo lavoro la creatività, il sapere e la bellezza di un pensiero lucido e trasparente, plasmando e trasformando la materia. “Esploro, cucino, mangio, destrutturo e mi destrutturo, compongo, ricompongo e inizio nuovamente daccapo. L’aria cambia, il terreno si trasforma, l’acqua immagazzina nuove memorie e le materie prime, in apparenza uguali, si muovono nell’essenza. Ecco dove si trova la vera capacità di un cuoco, nel percepire la trasformazione e assecondarla.”

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cucina

RISTORANTE BOTERO chef lorenzo adobati docet

a cura di paolo carli

Nel centro storico di Crema esiste un luogo pressoché volutamente appartato, in armonia con l’anima gentile e il genius loci della città, nota per la sua tradizione culinaria molto legata al territorio e, allo stesso tempo, segnata da contaminazioni culturali anche favorite dall’avvicendarsi delle dominazioni straniere. Un luogo speciale, insignito dalla “Rossa”, ovvero la Guida Michelin di “due forchette” e “un piatto” per comfort e piacevolezza. Il Ristorante Botero, a due passi da Piazza Duomo a Crema, stupisce per il sapiente bilanciamento di eleganza unita a un ambiente scenografico e al contempo intenzionalmente frugal-chic contemporaneo, in grado di esaltare l’eleganza dell’edificio storico che lo accoglie al suo interno. Una corte interna adibita a dehors estivo ospita altri tavoli in un piacevole ambiente elegante. Si è circondati da un’eccellente sobrietà perpetua e nulla distrae dalla bellezza e bontà dei piatti. Piatti selezionati dalle preparazioni creative che sono al contempo un importante sguardo al mare e all’orto – quest’ultimo, per scelta, a filiera cortissima con consegna quotidiana da fornitori scelti in maniera da valorizzare il territorio e l’ambiente. Elementi in grado di caratterizzare in maniera marcata i piatti presenti nei 12 menù stagionali che nascono dall’estro creativo dello Chef Lorenzo Adobati. Sapori tradizionali, sceltissimi, genuini e fortemente legati alla tradizione sono sapientemente abbinati con appassionata maestria e creatività dallo Chef Lorenzo Adobati, che in cucina amalgama sulla tavolozza dei sapori, il mare, la terra e la tradizione con genuinità e inventiva per stupire anche i palati più esigenti. Sapori concreti, prodotti locali reperiti direttamente nella zona di produzione, con acquisto diretto dal produttore che si sposano armoniosamente con il tempo che al Botero trascorre pigro tra una portata e l’altra invitando a decelerare i ritmi.

Non mancano poi i piatti straordinariamente creativi come la “Spadellata di calamari e cavolo nero, crema di ceci e crumble di caffè e rosmarino“ (ca. euro 16) oppure la “Lingua di vitello morbida e croccante, purea di sedano rapa e salsa remoulade“ (ca. euro 20). Degno di nota: nonostante la cantina decisamente ben fornita, il Botero applica il “diritto di tappo”, aka BYOB “bring your own bottle”, una pratica molto diffusa oltre oceano e altrettanto poco conosciuta in Italia, applicando una CorKage-Fee di Euro 7,- per bottiglia, permettendo così ai commensali più esigenti e ai collezionisti di gustare le bottiglie di particolare pregio della propria cantina in abbinamento ai piatti del menù del ristorante. Aperti, fino a nuova indicazione, tutti i giorni a pranzo da Lunedì a Domenica. Orari costantemente aggiornati su www.ristorantebotero.it

Seguendo l’armonia del tempo e delle stagioni il trio creativo di soci composto da Marco Ferani – Direttore e Restaurant Manager, Lorenzo Adobati – Chef e James Zerbi nell’amministrazione, propone piatti sempre in tono con il momento e in linea con il desiderio o le preferenze dei commensali. Degni di nota i “Tortelli dolci Cremaschi pizzicati a mano” (ca. euro 12) introvabili al di fuori del territorio cremasco e nati come piatto di pregio, probabilmente ai tempi della dominazione veneziana che introdusse, grazie al commercio marittimo con l’Oriente, l’uso di zucchero e spezie all’interno delle corti. I Tortelli del Botero sono, infatti, un sapiente mix di spezie e di dolci rinchiusi in una pasta leggerissima con una spolverata di formaggio a piatto ultimato. Prima ancora si ordina la “Culatta di San Polo D’Enza con frittelle di Salva Cremasco“ (ca. euro 14) un saporito formaggio tipico del cremasco, che prevede una stagionatura minima di 75 giorni fino a 12 mesi da gustare fritto e croccantissimo con la Culatta (da non confondere con il culatello) un prosciutto morbido e magro che nasce tra le verdi colline della Val d’Enza, nel bel mezzo dei territori Matildici.

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ristoranti

H20 by Andrea Berton si cena sott’acqua

LAGO ha firmato il ristorante dello chef stellato nel resort You&Me by Cocoon alle Maldive

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opo aver arredato Cocoon Maldives, il primo design hotel Five Star Friendly nell’arcipelago maldiviano inaugurato dal tour operator italiano Azemar nel 2016, il brand italiano di design LAGO torna nell’Oceano Indiano e fornisce gli arredi per H2O, il nuovo ristorante subacqueo nato all’interno del resort You & Me by Cocoon. Situato nell’atollo di Raa alle Maldive, il nuovo ristorante è guidato dallo chef milanese Andrea Berton, una stella Michelin presso il Ristorante Berton Milano e una presso il Ristorante Berton al Lago, e si presenta con ampie vetrate immerse nei fondali corallini della laguna che consentono agli ospiti di cenare circondati dalla flora e dalla fauna sottomarine. Il menu propone i piatti iconici firmati Berton, ma anche nuove proposte che si rifanno alla cultura italiana, con contaminazioni internazionali. Oltre a portate inedite, che si ispirano all’incantevole luogo e alle bellezze del posto. La cucina sarà affidata allo chef resident Alessandro Sciarrone, già membro dello staff del Ristorante Berton Milano per tre anni, mentre il corporate chef del Gruppo Cocoon è Giovanni De Ambrosis. Gli arredi sono stati realizzati appositamente da LAGO con cura sartoriale al fine di adattarsi al contesto originale del ristorante e

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di paolo carli

“CREDIAMO IN UN PILOTA CHE FACCIA COPPIA CON IL TALENTO E LA PERSONALITÀ DI LECLERC E CARLOS SAINZ, IL PIÙ GIOVANE DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI DELLA SCUDERIA, SARÀ LA MIGLIORE COMBINAZIONE POSSIBILE” ricalcano lo stile del resort Cocoon Maldives. Per dare all’ambiente una sensazione di leggerezza sono stati, infatti, scelti i tavoli della collezione Air, sospesi su impercettibili gambe di vetro e rivestiti da piastrelle in ceramica dipinte a mano. La predominanza dei colori scuri, presenti sia nei tavoli che nelle sedie Dangla rivestite in pelle color grafite, accentua e valorizza in modo emozionale le cromie e sfumature tipiche dell’ambiente marino. «Il design di LAGO è caratterizzato da linee pulite e un’estetica minimale - spiega lo chef Andrea Berton -, per questo trovo che sia molto simile alla mia filosofia di cucina: il connubio che si crea tra gli arredi e i piatti che propongo valorizza ulteriormente l’esperienza complessiva che proponiamo ai clienti». «Le esperienze sono sempre più centrali nelle nostre vite - racconta Daniele Lago, CEO &

Head of Design di LAGO SpA -. In questo senso il nostro design contribuisce a rendere l’esperienza di H2O un momento unico per l’esaltazione della natura in cui è immerso. Siamo molto felici di continuare la collaborazione con Alessandro Azzola e di accogliere nel nostro network lo chef Andrea Berton con i quali abbiamo avuto l’opportunità di portare ancora una volta i nostri arredi nel cuore dell’Oceano Indiano». Con questo nuovo progetto LAGO conferma la collaborazione con il tour operator Azemar con cui condivide un’idea di ospitalità empatica e attenta al viaggiatore, in grado di far sentire a casa in qualsiasi parte del mondo.

n. 3 Giugno-Luglio 2020


al giro d’onore ero sfinito e coi crampi. MI SONO BUTTATO SOTTO UN CARTELLONE PUBBLICITARIO, HO ALZATO LA TESTA E HO VISTO QUESTO STADIO PIENO DI BANDIERE ITALIANE. UN’ EMOZIONE CHE NON DIMENTICHERò MAI

n. 3 Giugno-Luglio 2020

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a cura di MARCO MORELLI

Il sommelier consiglia barolo docg 2013 batasiolo

I vIgnetI sono statI completamente rInnovatI e rIqualIfIcatI. anche la cantIna è stata totalmente rInnovata, aperta per vIsIte guIdate e degustazIonI

Metinella, Vini unici per celebrare la Magia di un territorio

L’azienda vinicola Metinella di Montepulciano (SI) in Toscana, si trova nel cuore di una delle regioni vitivinicole più importanti e conosciute d’Italia. Vocazione dell’azienda è creare vini di qualità, ad iniziare dal celeberrimo Nobile di Montepulciano, a cui è riservata la maggior parte della produzione. Per realizzarli, si utilizzano uve proprie, nobili e tradizionali, coltivate sui fianchi delle colline che degradano dolcemente in Valdichiana. Di proprietà dell’imprenditore bresciano Stefano Sorlini, Metinella nasce sul finire del 2015 dalla fusione di due aziende ubicate nel cuore del comprensorio votato ai vigneti del Nobile. La tenuta si estende oggi su un’area di 22 ettari, di cui 18 vitati, distribuiti dai 350 ai 550 metri di altitudine. Vi sono piantate vigne di Sangiovese, Mammolo, Colorino, Canaiolo e ulivi. “Montepulciano è una terra straordinariamente vocata alla viticoltura, un ambiente unico, un luogo di antica e gloriosa tradizione nella produzione vinicola verso cui nutriamo un grande rispetto e un grande amore – racconta Stefano Sorlini – Perciò abbiamo scelto di lavorare nel completo rispetto della natura, escludendo ogni forzatura e l’utilizzo di prodotti chimici. In questi primi anni, ci siamo impegnati moltissimo sia in vigna che in cantina, per ottenere il meglio dalle nostre uve e creare

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dei vini di spiccata personalità, che esprimano al meglio il terroir.” Cinque i vini dell’azienda, che riprende nel nome quello dei primi appezzamenti acquistati da Stefano Sorlini, e riporta sull’etichetta la silhouette dei due cipressi che svettano sul viale d’ingresso. Portabandiera di Metinella è Burberosso, Vino Nobile di Montepulciano DOCG, che viene prodotto tenendo fede alla tradizione dell’antico disciplinare, che prevedeva il 90% di Sangiovese, in questo caso Prugnolo Gentile, clone di Sangiovese presente esclusivamente in Toscana. A comporre il restante 10% concorrono per il 5% uve di Canaiolo e per l’altro 5% uve di Mammolo. Selezione di Vino Nobile di Montepulciano DOCG è 142-4, prodotto esclusivamente da uve di Prugnolo Gentile, il cui nome si riferisce alla particella del vigneto Pietra del Diavolo da cui provengono: ovvero il concetto di terroir applicato nel più rigoroso significato del termine. Rossodisera è l’interpretazione che Metinella ha dato del Rosso di Montepulciano, alla ricerca di un vino che non fosse vassallo del Nobile di Montepulciano, ma che avesse un carattere e un’identità propri e ben definiti. Rossorosso è un Cabernet in purezza, prodotto da uve provenienti da vigne collocate a diverse altitudini e quindi con caratteristiche completamente diverse fra loro, in modo da ottenere un blend di alto profilo organolettico dal bouquet intenso e tipico. Ombra, Toscana Bianco IGT, è l’interpretazione alternativa della vinificazione del Sangiovese, dalle cui uve è interamente composto: il risultato è un vino bianco fresco, piacevole, gaio, dal bouquet aromatico di sentori floreali. Ora è un Vinsanto del Chianti DOC, fra i più tradizionali vini toscani. Viene prodotto con Malvasia, Trebiano e Grechetto, le cui vengono raccolte a mano e fatte appassire per 4 mesi prima della torchiatura. Particolare e unica la bottiglia che li racchiude, di forma troncoconica, che Metinella è l’unica cantina italiana ad usare. Accanto ai vini, Metinella produce anche il pregiato Olio Extravergine di Oliva Verdeoro e Finoinfondo, aromatica e preziosa Grappa di Nobile di Montepulciano. Info: www.metinella.it

Produttore Batasiolo Nazione Italia Tipologia Rosso Vitigno Nebbiolo Denominazione Barolo DOCG Regione Piemonte Zona di Produzione La Morra (CN) Annata 2013 Formato cl.75 Gradazione 14% PREZZO INDICATIVO: EURO 21,00

langhe doc arneis blangè 2017 ceretto Produttore Ceretto Nazione Italia Tipologia Bianco Vitigno Arneis Denominazione Langhe DOC Regione Piemonte Zona di Produzione Vezza D’Alba (CN) Annata 2017 Formato cl.75 Gradazione 13% PREZZO INDICATIVO: EURO 15,00

conte della Vipera 2016 antinori Produttore Antinori Nazione Italia Tipologia Bianco Vitigno Sauvignon Blanc, Semillon Denominazione Umbria IGT Regione Umbria Zona di Produzione Località Sala - Comune di Ficulle (TR) Annata 2016 Formato cl.75 Gradazione 13% PREZZO INDICATIVO: EURO 19,80

3 Maggio2013 2021 n. 1n. Settembre


Inprimo piano

www.winehunter.it/naturaeetpurae

Anteprima Merano Wine Festival

In concomitanza con Merano Flower Festival (MFF), dal 28 al 30 Maggio 2021, si volgerà anche un’anteprima Merano Wine Festival (MWF) la famosa kermesse altoatesina, imperdibile appuntamento annuale di novembre con l’eccellenza dei vini e della gastronomia mondiale. Merano Wine Festival (MWF) si presenterà sotto le vesti di Naturae et Purae, un evento dedicato alla sostenibilità, con contenuti di grande interesse, che si rivolgerà a un pubblico selezionato (non oltre 250 persone per sessione) e consisterà in un percorso sensoriale tra aromi e profumi della natura, abbinati alla purezza del vino.

Il lusso sulle colline del Prosecco La piscina è una terrazza da cui lo sguardo si perde tra i rigogliosi filari delle colline del Prosecco DOCG. È immersa in un giardino fiorito in cui rilassarsi, in totale intimità, tra i colori verdeggianti delle vigne che circondano di profumi, dolci scenari naturali e silenzio il Romantik Relais d’Arfanta a Tarzo (TV), nel cuore del Patrimonio dell’Umanità UNESCO. È una casa di campagna lussuosa e raffinata, vicino alla “Strada del Prosecco e vini dei colli Conegliano Valdobbiadene”, dove poter soggiornare solo tra 7 esclusive suite, tutte diverse, i cui arredi fondono con armonia il passato e il presente con romantici drappeggi, elementi e tessuti ispirati alla natura, pavimenti in legno pregiato, bagni in marmo, eleganti salotti e la vista sul giardino. Per un’esperienza in bici lungo i vigneti, la proposta “Prosecco & Cycling”, valida dal 1° giugno fino a ottobre 2021; per gli amanti del vino, possono approfittare della proposta “Prosecco & Tasting” con degustazioni e tour alla scoperta dei segreti e le origini del Prosecco DOCG. Info: relais-arfanta@romantikhotels.com

Casa E. di Mirafiore

il Langhe Nascetta 2020 Biologico Capace di esaltare il territorio delle Langhe quale patria non solo di grandi vini rossi, ma anche di eccellenti bianchi: è il Langhe Nascetta 2020 Biologico di Casa E. di Mirafiore, che riprende uno dei vitigni autoctoni quasi dimenticati, a difesa del patrimonio pedografico italiano. Antica varietà a bacca bianca coltivata nelle vigne di Serralunga d’Alba, è un ritorno alla tradizione che la storica azienda agricola interpreta con la precisione, l’equilibrio e l’eleganza che la contraddistinguono. Preservare la biodiversità del territorio e continuare a coltivare i vitigni della tradizione piemontese è la filosofia che

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Crognolo, l’etichetta di Tenuta Sette Ponti È il primo vino della tenuta, nato nel 1998 dal progetto vitivinicolo di Antonio Moretti Cuseri, imprenditore della moda con grande vocazione e passione per la viticoltura e il vino di alta qualità. Un Sangiovese elegante, dotato di un’identità unica, che coniuga la cultura del vino toscana e quella di derivazione franco-piemontese riconoscibile nel primo vigneto piantato nella tenuta di Castiglion Fibocchi nel 1935, la Vigna dell’Impero, da cui sono stati ricavati i cloni che hanno dato vita ai vigneti da cui si produce il Crognolo.

ha portato alla nascita del Langhe Nascetta 2020 Biologico: un bianco proveniente da una varietà quasi dimenticata in un territorio dominato dal Nebbiolo, coltivata a circa 300 metri di altitudine su terreni argillosi ricchi di marne calcaree che donano al vino struttura, acidità, complessità e mineralità: il Langhe Nascetta 2020 Biologico è caratterizzato da un processo di vinificazione e affinamento che riprende la tradizione, preservando le qualità organolettiche dell’uva e garantendo un vino che sappia esaltare il territorio. L’uva raccolta in piccole casse da 20kg cadauna, viene conferita in cantina e avviata alla pressatura senza subire la classica operazione di diraspatura per evitare ogni possibile danno al raspo ed estrarre in modo molto soffice solo il mosto fiore, che decanta in vasca per 24/36 ore. Il mosto pulito viene poi portato alla temperatura di 16 gradi per favorire l’avvio della fermentazione alcolica che dura circa 3 settimane, dopodiché il vino sosta sulle proprie fecce fino a inizio Primavera, momento in cui inizia la preparazione per la messa in bottiglia. Di colore giallo paglierino con evidenti riflessi verdognoli, presenta un profumo intenso di frutta bianca e albicocca che può sfociare in erbe aromatiche. Al palato è avvolgente con una nota fresca e leggermente acida.

azienda agricola cà lojera

lugana, il signore del grande lago La cantina Ca’ Lojera è un importante punto di riferimento per la denominazione Lugana. Fu fondata a Sirmione nei primi anni Novanta dai coniugi Ambra e Franco Tiraboschi, i quali decisero di trasformare l’allora azienda ortofrutticola in una realtà vitivinicola specializzata. La cantina vinifica solo uve proprie, raccolte su 18 ettari di vigneti; allevate su terreno pianeggiante, argilloso compatto le bianche di Lugana e in collina le rosse di Merlot e Cabernet Sauvignon. I vini della cantina Ca’ Lojera subiscono lunghe fermentazioni sulle fecce fini e lunghi affinamenti in acciaio: in questo modo si conferisce loro pulizia, autenticità e piacevolezza. Grazie alla bravura e alla cura maniacale dei Tiraboschi, il Lugana acquista spessore e tipicità. Franco Tiraboschi è uomo d’azione e cantiniere, la moglie Ambra accoglie il pubblico che desidera visitare la cantina, ricavata parzialmente sotto il livello del lago. www.calojera.com

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personaggi a confronto

hanS terzer OGNI ANNO SFIDO I MIGLIORI BIANCHI DEL MONDO

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ivoluzionario e pioniere di una nuova generazione di vini dell’Alto Adige; il “mago dei bianchi”, come viene spesso soprannominato in Italia. E’ il winemaker Hans Terzer che nel 1977, a soli 21 anni, iniziò a lavorare alla Cantina San Michele-Appiano, suscitando stupore con le sue proposte. Il figlio di una famiglia di viticoltori di Niclara/ Cortaccia imboccò nuove strade: fece ridurre la quantità di Schiava, coltivata in posizioni troppo alte e di conseguenza di qualità media. Favorì invece la coltivazione dei vini bianchi, soprattutto di uve Chardonnay, Pinot Grigio, Sauvignon e Gewürztraminer. Inoltre, il giovane winemaker ordinò ai viticoltori di ridurre drasticamente le quantità per migliorare la qualità dei vini finora piuttosto mediocri. Con queste nuove linee guida ebbe inizio il trionfo senza precedenti dei vini di San Michele-Appiano e con tanta passione e ambizione, Hans Terzer fece della cooperativa vinicola una delle cantine più importanti d’Italia. Nel 1982 fu uno dei primi in Alto Adige a produrre Chardonnay e oggi i vini contraddistinti dall’etichetta “Sanct Valentin”, nata nel 1986, sono serviti nei migliori ristoranti d’Italia. Il Sauvignon di questa prestigiosa linea è considerato un mito; nel 1989 nasce il primo passito dell’Alto Adige: il “Comtess Sanct Valentin”. Per Hans Terzer la viticoltura non è solo una professione ma una vera passione. Il suo successo si basa su un mix di pensiero visionario e di duro lavoro; il winemaker infatti riconobbe presto i punti deboli e i punti di forza di una grande produzione cooperativa. Migliorò la comunicazione all’interno

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di M.T. SAN JUAN

il winemaker è ormai da quarantA Anni alla guida della cantina SAN MICHELE APPIANO, che ha come unico obiettivo quello di creare vini di qualità senza compromessi dell’azienda, lasciò ai singoli produttori la massima flessibilità nella lavorazione dei loro vigneti e non li pagò per la quantità, ma in base alla qualità delle loro uve. La Cantina San Michele-Appiano domina come un castello la Strada del Vino dell’Alto Adige. Costituita nel 1907 come cooperativa, oggi San MicheleAppiano conta 360 soci che coltivano 380 ettari di vigneti. Di questi, il 70 percento produce vino bianco e il 30 percento vino rosso. Il clima mite e soleggiato e gli ulivi che punteggiano i campi conferiscono alla regione il suo fascino mediterraneo e costituiscono la base per la qualità unica dei vini. “Volevo raccogliere a parte proprio l’uva di queste viti, affinarla e produrne un vino completamente nuovo e strepitoso. Un vino come nessun altro prima nella cantina di San Michele-Appiano” dice Hans Terzer, e pare esserci riuscito con Appius, cui nome è radice storica e romana del nome Appiano e vino d’autore ogni anno reinterpretato. Il progetto vuole concepire e realizzare anno dopo anno un vino prodotto con il meglio dei vecchi vigneti e capace di rappresentare fedelmente il millesimo, esprimendo così la creatività e la sensibilità del suo autore, Hans Terzer che “firma” la sua creazione, eredità della sua continua ricerca che sposa al meglio tradizione e innovazione.

APPIUS, eleganza, stile e qualità nelle varie edizioni del super vino d’autore firmato Hans Terzer.

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personaggi a confronto

mattia vezzola tra bellavista e costaripa, intuizione e saggezza

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ive a Moniga del Garda (Bs) Mattia Vezzola, classe1951, titolare di Costaripa nonché uno dei più grandi enologi italiani. Nel 1981 Vittorio Moretti gli affida le chiavi di Bellavista, all’epoca quasi un hobby per l’imprenditore bresciano. Una scelta oculata e lungimirante che ha dato frutti incredibili. Com’è cominciata la sua avventura in Franciacorta? Quando ho conosciuto Vittorio Moretti nei primi anni 70, che di sua iniziativa aveva costruito una pressa, mi ha chiesto che cosa ne pensavo di questo modo di pigiare le uve che era concettualmente antico rispetto alle innovazioni degli anni ’70. Io gli ho risposto che se quella costruzione rappresentava il suo modo di pensare, su quella filosofia potevo costruire quello che volevo perché rappresentava l’essenza di un concetto altamente rispettoso. In quel momento per me è decollato il progetto Bellavista che è poi diventata un’azienda leader del settore vitivinicolo mondiale. Immaginava un’affermazione simile del brand Franciacorta? Si! Gli anni ’70 erano esattamente con un’economia opposta a quella di oggi. Un Franciacorta, e quasi tutti i vini effervescenti, sono autocelebrativi e quindi rispecchiano il momento della gioia che uno vive durante la propria vita. Andando verso una qualità di vita sempre più alta, dove la condivisione è un fondamentale della crescita, è chiaro che brindare con un vino come il Franciacorta non poteva che far crescere il brand. E così è stato. Quali sono stati gli elementi fondamentali per un simile successo e quali tappe fondamentali per il medesimo? I vini Franciacorta come si sono evoluti negli anni? La prima è stata l’impostazione della viticultura di qualità; la seconda è stata il rispetto tra le aziende nel produrre qualità e, quindi, avere una competizione etica esclusivamente sul fatto di fare vini che rappresentassero, per ognuna delle aziende,

“La Franciacorta è in un momento storico in cui deve prendere coscienza delle sue qualità e staccarsi dal confronto, deve vivere di una propria identità”

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di marco morelli

e’ stato premiato nel 2017 al prowien di dusseldorf come miglior enologo dell’anno Mattia Vezzola,enologo e titolare dell’azienda agricola Costaripa sul Lago di Garda, ha ricevuto il premio come Miglior enologo dell’anno, durante la più grande fiera del vino del mondo, il ProWein a Düsseldorf, il 15 marzo 2017, con la seguente motivazione: “Durante la sua carriera ha saputo portare vari vini della Valtènesi e della Franciacorta ai vertici della qualità, sviluppando i concetti salutistici del vino come nessun altro prima di lui”. Il riconoscimento viene assegnato da una giuria composta dai migliori sommelier della Germania. La Desa (Deutschland sommelier association) e la rivista del vino italiano Euposia hanno consegnato il premio. Nella foto a fianco Mattia Vezzola con Danika Benatti e Francesca Marchioro in una serata conviviale targata Bellavista, organizzata dal Caffè Sordello di Goito (Mn) di Paola e Benedetta Battisti che hanno scelto come location la Locanda al Ponte di Goito (Mn) di Massimo e Matteo Ferrari coadiuvati rispettivamente dalle mogli Maria e Marika.

una propria identità, con una competizione leale. Il mercato ha percepito questa unicità della Franciacorta, quindi la vocazionalità del territorio che ha permesso questo tipo di performance. Altro elemento è stato quello dell’imprenditorialità unito alla pazienza, uno degli elementi fondamentali nonostante i grandissimi investimenti finanziari. Si può inventarsi un brand o inventarsi una cantina? Si può partire da zero? Diciamo che si può partire da zero, però il rischio è che quella persona dedichi 40 anni della propria vita e poi tra 40 anni si ritrovi al punto di partenza. Quello che io consiglio sempre è di ricercare una strada. Una filosofia orientale dice che in tutti i progetti non bisogna sbagliare due cose: la prima è la direzione del passo e la seconda è la velocità, perché se tu sbagli la direzione e acceleri, quando te ne accorgi devi tornare indietro. Oggi è molto importante la costanza della qualità: quattro anni su dieci la qualità te le regala il Padreterno, ma sono gli altri sei che sono decisamente più complicati per raggiungerla. Champagne e Franciacorta a confronto: qual è la sua opinione? La mia opinione è che lo Champagne è una realtà consolidata al quale tutto il mondo si ispira. La Franciacorta è in un momento storico in cui deve prendere coscienza delle sue qualità e staccarsi dal confronto, deve vivere di una propria identità, di una propria logica e di una propria italianità. Quali sono i messaggi da trasmettere oggi al consumatore? Nel mondo si producono circa 3 miliardi e mezzo di bottiglie circa di vini effervescenti in generale: ci sono sul mercato dei vini spumanti che sono prodotti in 9 giorni lavorativi mentre per la Franciacorta minimo sono 25 mesi, per la vita son 4 anni, quindi c’è molta differenza non le pare? Mai chiedere o farsi consigliare uno spumante, ma abbinare questa parola a una denominazione, vedi in questo caso Franciacorta, Prosecco, Champagne oppure, se non è uno di quelli, un

IL ROSÈ È STATO IN PASSATO BANALIZZATO SIA SUL MERCATO, SIA SULLA TAVOLA. RISCOPRIRE LA GRANDE RAFFINATEZZA CHE HANNO QUESTI VINI MI HA RIEMPITO DI UNA GIOIA IMMENSA nome e cognome, che sia una cantina ben identificata. Sappiano i consumatori che, se indicata un’azienda agricola, minimo il 51%, ma normalmente l’80-90% per non dire il 100% di quel vino proviene dalle uve coltivate in quella terra. Quindi il produttore è totalmente responsabile della qualità che dichiara. Lei ha affermato che in Franciacorta manca paradossalmente una cantina sociale… Credo che la gestione del territorio possa migliorare attraverso una cantina che abbia la visione della socialità. Il piccolo produttore è inutile che investa soldi in tecnologia e comunicazione quando una cantina sociale importante può mettere a disposizione tutto. Valtenesi e Rosè: un’avventura entusiasmante? Riscoprire la grande raffinatezza che hanno questi vini mi ha riempito di una gioia immensa. Oggi il consumatore è molto distratto, un po’ diffidente e non molto informato: riuscire a fargli capire che il Rosè è frutto di una grandissima viticultura e di una grande tecnologia è veramente un’impresa, ma amo il fascino della sfida. Lei studia da anni la salubrità del vino collaborando con il dott. Macca e con la Barnard Foundation. Il suo Campostarne ne è il frutto principale. Quale consiglio dà, soprattutto a livello salutistico, a chi ama bere vino? Se mi permette ricordo una battuta che è frutto di mia conversazione con Cristian Barnard: lui affermava “Non è che tu puoi bere due bicchieri di vino rosso al giorno. Per ridurre il 50% di rischio di infarto tu DEVI bere due bicchieri di vino al giorno!”.

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aziende italiane l’impresa di fare impresa

a cura di Marco morelli

luxardo

1821-2021, distilleria da 200 anni Il 2021 è un anno particolarmente significativo per la Luxardo S.p.A., che giunge al traguardo dei suoi 200 anni: un anniversario che racchiude un lungo e complesso percorso di vicissitudini familiari che si snodano attraverso la storia fino ad oggi. L’azienda, una delle più antiche distillerie esistenti al mondo, si distingue tra le poche società liquoristiche europee ancora interamente di proprietà della stessa famiglia. “Essere qui a raccontare i nostri 200 anni - commenta Franco Luxardo, senior partner – è una profonda emozione. Non sempre è possibile festeggiare queste ricorrenze di persona, a me succede oggi e ne sono orgoglioso: con il pensiero rivolto al passato e la speranza nelle nuove generazioni.” LE ORIGINI La ditta fu fondata da Girolamo Luxardo nel 1821 a Zara, cittadina sulle coste della Dalmazia, per secoli parte della Repubblica di Venezia. Girolamo, patrizio genovese dedito al commercio marittimo, si trasferì a Zara con la famiglia nel 1817 in veste di rappresentante consolare del Regno di Sardegna, dal quale poi si sarebbe sviluppato il nuovo Regno d’Italia. Sua moglie, la marchesa Maria Canevari, si dedicava - secondo l’uso del

Palazzo del Barcagno, Zara

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UNA LUNGA STORIA DI FAMIGLIA, DALLE ILLUMINATE INTUIZIONI DELLE ORIGINI, AL CORAGGIO DELLA RICOSTRUZIONE FINO ALLO SLANCIO INNOVATIVO DELLE NUOVE GENERAZIONI tempo - alla produzione di liquori in casa, in particolare del ‘Rosolio Maraschino’, specialità prodotta soprattutto nei conventi, ottenuta mettendo in infusione in alcol le marasche (ciliegie asprigne coltivate localmente), zuccherando e unendo essenza di rose per profumare. L’elevata qualità di questo liquore diede l’idea a Girolamo di sfruttare l’iniziativa familiare su scala industriale, introducendo l’importante innovazione di processo costituita dalla distillazione a vapore. Fu così che nel 1821 creò una fabbrica destinata alla produzione di Maraschino. Nel 1829 dopo otto anni di perfezionamenti, ottenne dall’Imperatore d’Austria un ‘privilegio’, ossia un brevetto che gli riservava la produzione esclusiva per quindici anni. Fu la conferma della qualità superiore del liquore Luxardo, tanto che ancor oggi la denominazione di Privilegiata Fabbrica di Maraschino “Excelsior” Girolamo Luxardo è presente nella ragione sociale. Nel corso dell’Ottocento l’azienda divenne la più importante distilleria di Zara, acquisendo con il suo Maraschino la leadership sui maggiori mercati mondiali dell’epoca. L’accorta politica economica di Michelangelo Luxardo, terza generazione, portò nel 1913 alla costruzione di un modernissimo stabilimento, fra i più grandi dell’Impero Austro-Ungarico. La felice espansione che l’azienda conobbe nel ventennio successivo alla Prima Guerra Mondiale subì tuttavia un pesante arresto nel 1940 con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che portò notevoli restrizioni all’attività industriale e, nel novembre 1943, la quasi totale distruzione dello stabilimento sotto pesanti bombardamenti anglo-americani. Nel corso della ritirata delle truppe italiane e tedesche dalla Dalmazia (1944), Zara venne occupata dai partigiani comunisti di Tito e gli abitanti furono obbligati a partire esuli verso la penisola, ma molti vennero ferocemente uccisi; fra loro Pietro Luxardo e il fratello Nicolò con la moglie Bianca, annegati nel mare di Zara. Confiscato lo stabilimento semidistrutto e dispersa la famiglia, sembrava che – dopo oltre un secolo – l’attività della Luxardo fosse destinata a cessare definitivamente.

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Tino e iscrizione sullo sfondo

La Sede di Torreglia (Pd)

LA RICOSTRUZIONE L’unico dei fratelli superstiti della quarta generazione, Giorgio Luxardo, ebbe il coraggio, sostenuto da una lungimirante visione imprenditoriale, di far ripartire da zero l’antica attività. Scelse il 10 febbraio 1947, giorno del Trattato di Pace di Parigi con cui la sua città natale veniva ceduta alla Jugoslavia, per aprire assieme al giovane Nicolò III lo stabilimento di Torreglia, in provincia di Padova, ai piedi dei Colli Euganei, inaugurando così un nuovo capitolo della storia aziendale. La quinta generazione composta da Nicolò III, Michele e Franco, dopo gli inevitabili sacrifici dettati dalle traversie storiche, ha saputo, con un forte senso di appartenenza familiare, riportare l’azienda ai livelli di un tempo, sviluppando una completa gamma liquoristica, incrementando significativamente la presenza sul mercato nazionale e dedicandosi alla penetrazione commerciale nei più svariati mercati mondiali. I primi anni ‘80, grazie al consolidamento dei mercati esistenti e alle innovazioni introdotte sul piano gestionale, furono un periodo di consistenti investimenti nello stabilimento di Torreglia. I tradizionali alambicchi in rame, le suggestive cantine d’invecchiamento e le modernissime linee di imbottigliamento sono gli elementi distintivi di un’azienda che coniuga rispetto della tradizione e aggiornamento tecnologico.

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L’AZIENDA OGGI Oggi la Luxardo nello stabilimento di Torreglia lavora ogni anno le sue marasche, controllando direttamente tutta la filiera, dalla materia prima fino all’imbottigliamento, raggiungendo un totale di produzione di oltre 6 milioni di bottiglie l’anno. La sede si sviluppa su 12.000 mq coperti, conta circa cinquanta dipendenti, una novantina di collaboratori commerciali in Italia e oltre ottanta importatori a livello mondiale. Il portfolio aziendale comprende un mix completo di brand dal successo internazionale per offrire al consumatore un’ampia gamma di liquori classici italiani. Maraschino e Cherry ‘Sangue Morlacco’ sono i due prodotti storici, ai quali si aggiungono altri liquori tipici della tradizione italiana, Sambuca dei Cesari, Amaretto di Saschira, Limoncello, Aperitivo etc., unitamente ad un’ampia selezione di specialità aromatiche per la pasticceria artigianale. Da circa un decennio è stata inoltre avviata con successo una specifica linea di produzione di confetture di alta gamma, sempre destinate alla pasticceria. In azienda attualmente lavorano insieme tre generazioni della famiglia, impegnate a garantire la dovuta continuità all’eredità di Girolamo Luxardo. www.luxardo.it

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speciale cantine

Tenuta KORNELL Un vigneto antico, dal cuore giovane


speciale cantine

Tenuta KORNELL Vini pregiati dalle assolate colline dell’Alto Adige

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reperti ritrovati dagli studiosi testimoniano che già più di 2000 anni fa esistevano insediamenti umani dediti all’agricoltura. Grazie a oltre 700 anni di storia nel mondo del vino, la tenuta Kornell ha quindi molto da raccontare, sebbene le origini della viticoltura siano ben più antiche. Nella frazione di Settequerce a ogni passo si trovano tracce dei Reti e dei Romani: semi d´uva carbonizzati, mestoli e vasi in bronzo, zappe e roncole risalenti al periodo compreso tra il V e III secolo a.C., a testimonianza della tradizione millenaria legata alla viticoltura e al vino. L’area è considerata una zona archeologica di spicco e da qui nasce anche la denominazione Heiliger Winkel (“angolo sacro”) in uso per l’area fra S. Maurizio (Moritzing) e Settequerce. Della tenuta fanno parte anche le rovine di una fortezza, Castel del Grifo, sulla montagna soprastante. Non a caso, lo stemma dell’azienda vitivinicola è il grifone, animale araldico del castello; la scelta di utilizzare il grifone fu presa più di trent’anni fa da un prozio, e, ancor oggi, il logo della cantina lega indissolubilmente la tenuta al proprio passato. Il grande e impegnativo lavoro svolto in questi anni nella tenuta ha portato l’azienda a produrre annualmente da 4.000 bottiglie (nel 2001), alle 200.000 di oggi. La presenza di suoli porfirici e detritici, l’esposizione a sud e un clima dai tratti quasi mediterranei sono le caratteristiche dominanti dei vigneti della

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La tenuta vitivinicola si trova a Settequerce, una località sul versante meridionale delle Alpi Tenuta Kornell. Le viti sono coltivate con il metodo Guyot. I vitigni appartengono in maggior parte alle varietà Sauvignon Blanc, Traminer Aromatico (Gewürztraminer), Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Lagrein, Merlot e Cabernet Sauvignon. Le tecniche di coltivazione sono caratterizzate da un grande rispetto per le risorse naturali: “il meno possibile, ma senza far mancare nulla”, questo il motto dell’azienda. Attraverso una produzione integrata, in altri termini, è possibile ridurre al minimo l’impiego di fitofarmaci e di altri prodotti chimici. I “fattori umani” che portano a una produzione ottimale sono costituiti dalla defogliazione mirata e dal diradamento manuale dei grappoli. Da un numero di vitigni di circa 6.000 ceppi per ettaro vengono raccolti approssimativamente 7.000 kg di uva, che equivalgono a circa 7/10 di bottiglia per ceppo. Il presupposto fondamentale per ottenere vini di carattere e ben strutturati è un vigneto con frutti sani e al giusto grado di maturazione. È la qualità delle uve, infatti, a limitare in maniera decisiva le possibilità di modificare il prodotto nel corso della vinificazione. Perché i buoni vini crescono sulla pianta, non vengono creati in cantina. I bianchi, il COSMAS Sauvignon Blanc, il DAMIAN

Gewürztraminer, l’EICH Pinot bianco, il GRIS Pinot Grigio, lo Chardonnay AURELL e il Müller-Thurgau THUR, sono prodotti al 100% in serbatoi d’acciaio. La produzione di questi vini inizia con una fermentazione controllata della durata di 10 o 12 giorni e si conclude con una maturazione di circa 6 mesi in botti d’acciaio. Il rosato, MEROSE con la varietá dominante Merlot, viene fatto con il metodo salasso. I vini rossi della casa, il GREIF Lagrein, il ZEDER Merlot/Cabernet Sauvignon/Lagrein e il MARITH Pinot nero, vengono sottoposti a una fermentazione controllata di 12 giorni in botti in acciaio inox, a contatto con le bucce. Le fasi seguenti sono costituite da una maturazione di otto mesi nell’antica cantina della tenuta, in barrique o in grandi botti di rovere, e da un ulteriore invecchiamento in bottiglia della durata di due mesi, e solo dopo il prodotto è pronto per la vendita. Le riserve STAFFES Merlot, STAFFES Cabernet Sauvignon e STAFFES Lagrein sono fatte fermentare per 12 giorni in tini di legno, a contatto con le bucce. Segue una maturazione da 18 a 20 mesi nelle cantine di profondità, che avviene per il 50% del prodotto in barrique nuove (di quercia francese) e per il 50% in barrique di uno o due anni. Dopo l’imbottigliamento, il vino viene sottoposto a un’ulteriore maturazione di 12 mesi. I Cru includono l’AICHBERG, un vigneto ad Appiano Monte, uvaggio di Pinot Bianco, Chardonnay e Sauvignon affinato in barrique, il Sauvignon OBERBERG, una vigna ad Appiano Monte affinato in acciaio e il Merlot Riserva VIGNA KRESSFELD (vitigno singolo) in Settequerce/Terlano che viene affinato 18 mesi in barrique nuove e dopo 2 anni in bottiglia.

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FLORIAN BRIGL CONSERVO CON PASSIONE I SEGRETI IN VIGNA DELLA MIA FAMIGLIA

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el 1996 Florian Brigl ha assunto la direzione della tenuta succedendo al padre Leonhard; nel 2001, di nuovo dopo trent’anni si diffondeva nell’aria l’odore del vino che stava fermentando. La vostra cantina ha una tradizione antica. Come si esprime nel vostro lavoro quotidiano? In effetti la nostra famiglia ha oltre un secolo di esperienza nell’arte della vinificazione. Nel 1996 ho assunto la direzione della tenuta dopo mio padre, Leonhard; dal 2001, per la prima volta dopo trent’anni la nostra azienda ha, quindi, ripreso l’attività di vinificazione in proprio. Se nel primo anno la nostra produzione contava 4.000 bottiglie, oggi siamo arrivati a produrne quasi 200.000 (all’anno) e le potenzialità dei nostri vigneti sono ancora superiori. Tutti i giorni siamo chiamati a rapportarci con la natura, il nostro lavoro è di fatto scandito dai tempi della natura. Sta a noi cercare di interpretare e reagire nel migliore dei modi per poterne beneficiare dei suoi frutti. Più riusciamo a comprendere il messaggio e migliore sarà il raccolto finale. Quindi il suo percorso di diventare produttore di vino era già previsto? Sì e no: In realtà i primi 20 anni della mia vita li ho passati a Monaco. Fin da ragazzo sognavo di lavorare nell’agricoltura ed è grazie ai miei avi che ho potuto realizzare questo sogno. Ho la fortuna e il privilegio di portare avanti questa preziosa eredità. Kornell significa per me terra natia, tradizione e storia. Con il passare degli anni ho compreso a fondo l´importanza di vivere immerso nella natura e nel rispetto dell´ambiente, valori che ho tra-

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La famiglia Brigl ha alle spalle un secolo di esperienza nella coltivazione della vite e nell’arte della vinificazione

mandato ai miei figli e che lascierò loro in eredità. Qual è la chiave del vostro successo? La chiave del successo della nostra cantina è il perfetto connubio tra natura e uomo. Tutto nasce, infatti, dalla natura, che ci ha donato il terreno ideale per la coltivazione dei nostri vitigni. Passione e un grande senso di responsabilità: questo anima il mio lavoro e quello della mia giovane squadra. E il risultato sono vini con una nota mediterranea, un fascino unico e un carattere onesto. Che ruolo ha il suolo nella produzione vitivinicola e cosa significa per voi nutrire il suolo? Il terreno è una componente fondamentale per la riuscita dei nostri vini ma non è la sola. Il suolo entra a far parte di una serie di fattori riassumibile in una parola, Terroir, ovvero una diversa interazione tra diversi fattori: geografici (posizione), geologici (suolo), climatici (clima) ma anche, culturali e sociali. La nutrizione del suolo avviene solo ed esclusivamente, se ne è necessario, laddove troviamo delle carenze o mancanze, utilizzando sovesci o concimazioni organiche. Quanto è importante essere innovativi nella produzione vitivinicola oggi? Ad oggi essere al passo con i tempi è indispensabile altrimenti si rischia di non sopravvivere. La con-

correnza è tanta e la qualità offerta è sempre più alta. Per Tenuta Kornell essere innovativi vuol dire cercare di implementare il più possibile il risultato dell´annata, avendo ben cura di non dimenticare le nostri origini e la nostra storia. Cosa significa per voi produzione di qualità? La parola qualità viene utilizzata moltissimo anche forse in maniera spropositata e fuori luogo; noi cerchiamo di ottenere prodotti di pregio nel massimo rispetto delle persone e dell´ambiente. Come è stata per voi la situazione durante il lockdown? I prodotti della nostra tenuta sono venduti per il 70% in Italia e per il restante 30% export. Fortunatamente, anche in questo momento difficile, l’export funziona grazie alla fidelizzazione di clienti storici che cercano, pur con qualche difficoltá, di lavorare sfruttando piattaforme e-commerce. Il mercato locale (a causa della chiusura di alberghi/ristoranti) al momento soffre parecchio. Siamo però riusciti a intensificare il lavoro con i nostri clienti abituali e questo ci ha sicuramente sollevato. Chi segue questi clienti in primis? Per quanto riguarda la gestione aziendale e più nello specifico delle vendite, sono io, in prima persona che mi occupo di seguire i nostri clienti. Cerchiamo sempre persone (collaboratori, partner, ristoratori) che abbiano la voglia e l´interesse di raccontare Tenuta Kornell. Da entrambe le parte ci deve essere l´interesse e la voglia di una collaborazione continua e costante.

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Quali sono le vostre strategie in questo momento? Per noi è importantissimo che riparta il turismo a livello nazionale e soprattutto in Alto Adige, perché una buona parte del nostro vino viene acquistato e consumato in horeca. Fondamentale per aziende di piccole dimensioni come le nostre è il punto vendita aziendale che dà la possibilità a molti ospiti di acquistare le bottiglie assaggiate e non solo durante il loro soggiorno in albergo. Curiamo sempre di più la presenza sui social media per aumentare la visibilità, mantenere i contatti e raggiungere più pubblico possibile. Attualmente cerchiamo di mantenere i contatti sempre più stretti utilizzando call conference e spediamo a tutti i nostri distributori le nuove annate prodotte. Parliamo dei vini… Che cosa si trova nelle vostre bottiglie? L’unicità e la varietà dell’Alto Adige si percepisce gustando ogni bicchiere di vino. Per molti anni ho coltivato, insieme alla mia squadra, i suoli e i vigneti impiegando grande coraggio, sensibilità e perseveranza, tutti elementi che oggi costituiscono la base dei vini della tenuta. Qui è la natura a imprimere il proprio marchio a ogni annata - per scelta. Non a caso il nome Kornell sta per vini sinceri e lineari che raccontano la propria storia e non temono paragoni. Abbiamo tre linee: Signature, Staffes e Sieben. Perché la linea più alta si chiama Signature? I tre vini della linea Signature (Oberberg, Aichberg, Kressfeld) sono vini d’autore che riportano tutti l’inconfondibile firma di Kornell: non si scende a compromessi. Questi vini provengono da vigneti specifici e ne rispecchiano le caratteristiche. Il Merlot Riserva Vigna Kressfeld ne è un esempio ed è considerato il fiore all’occhiello dell´azienda con viti in perfetto equilibrio. Da 30 anni questi vitigni prosperano proprio nei pressi della tenuta, dove il terreno ricco di porfido e il clima mediterraneo attribuiscono una nota particolare.

Uno scorcio della barricaia dedicata

DAL XVI SEC. LE SORTI DELLA FAMIGLIA SONO STRETTAMENTE INTRECCIATE ALLE ATTIVITÀ DELLA VITICOLTURA E DELLA PRODUZIONE DEL VINO.

Florian Brigl

Cosa distingue un Kressfeld da un Merlot normale? Dopo anni di lavoro ci siamo accorti che costantemente anno dopo anno questa vigna, piantata ancora da mio padre, ci regalava grandi soddisfazioni. Il legame affettivo, le vinificazioni separate di ciascuna particella ci hanno dato la consapevolezza del potenziale di queste uve. Con la vendemmia 2013 abbiamo deciso di provare ad imbottigliare separatamente il vino ottenuto dal vigneto Kressfeld per vedere l´evoluzione nel tempo. Con il passare dei mesi ci siamo resi conto del suo estremo valore. Passati 24 mesi di affinamento in bottiglia abbiamo pensato di condividere il tutto anche con i nostri clienti i quali hanno risposto in maniera estremamente positiva. Kressfeld è un vino che bevuto dopo anni mantiene intatta la sua freschezza, aumenta in complessità e sviluppa aromi tostati e speziati ancora più profondi, che rendono i tannini ancora più morbidi e vellutati. Invece la linea Staffes? Prestiamo massima attenzione anche alla linea riserva. Questi vini rossi monovitigni (Merlot, Cabernet Sauvignon e Lagrein) vengono coltivati negli ampi terreni che circondano la tenuta. Hanno una struttura forte, il sapore del frutto pieno, senza sovraccaricarne il gusto. E qual è la filosofia della linea “Sieben?” I vini della linea “Sieben” garantiscono un’esperienza di gusto emozionante. Si tratta di annate che non hanno bisogno di aggiungere fronzoli di sorta: convincono proprio grazie alla loro linearità. Il Lagrein Greif, per esempio, è fruttato, succoso e tipico della regione, motivo per il quale nel vigneto viene chiamato anche “Il tirolese”. Anche i vini della linea “Sieben” essendo vini d’annata hanno le loro storie da raccontare.

Nel 2020 sono stati ristrutturati due appartamenti, nell’edificio accanto alla casa padronale, dove è possibile vivere da vicino il lavoro di chi opera in vigna, a seconda della stagione. L’appartamento sopra si chiama Cosmas, quello sotto Zeder (come i vini). I due ampi appartamenti consentono di ospitare da tre a cinque persone ciascuno e, pur mantenendo intatto il fascino antico della struttura, sono dotati dei più moderni comfort. Qual è il consiglio per i nostri lettori? Fatevi raccontare le storie di questi vini direttamente nella nostra tenuta, situata nel cuore dell’Adige! Lasciatevi sorprendere dall’esperienza di una degustazione nella storica cantina, circondati dalle mura secolari o all’ombra degli imponenti cedri antichi e godetevi la vista strepitosa. Molti amanti del vino vengono nella nostra tenuta come ospiti e ripartono come amici.

Cosa c’è ancora da scoprire nella vostra tenuta?

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Sei vini d’autore a caccia di premi Palme rigogliose e antiche conifere condividono qui lo stesso pezzo di terreno. Al tempo stesso l´Ora, il vento Mediterraneo che soffia con forza costante da Sud, incontra i venti secchi provenienti da Nord. L’insieme di questi elementi naturali crea la condizione perfetta per la viticoltura. Furono i Reti, un’antica popolazione stanziata in quest’area, a scoprire oltre 2000 anni fa le potenzialità del territorio. Imponenti mura custodiscono le storiche cantine della tenuta Kornell, i luoghi in cui i frutti dei vitigni si trasformano in vino. Qui avviene infatti una fermentazione controllata in serbatoi di acciaio, i vini – a seconda della linea - vengono poi affinati per un periodo compreso tra i 14 e 18 mesi in grandi botti di rovere o barrique. Prima della vendita avviene un’ulteriore fermentazione in bottiglia.

I vigneti di famiglia producono uve sane e di qualità che nascono ad un’altitudine che varia dai 270 ai 700 metri, sul livello del mare, e maturano con le migliori condizioni atmosferiche, godendo di oltre 2.100 ore di sole e notti fresche.

Eich Il Pinot Bianco Eich cresce a Settequerce/Terlano su un’altitudine di 300 m s.l.d.m. Qui il terreno è porfirico, ghiaioso e di terra calcarica dando massima espressione a questo vitigno internazionale e rendendolo fresco e minerale. Di color giallo paglierino intenso e brillante si presenta complesso nel naso, con sentori di albicocca matura e mela Golden, accenni di aromi esotici di ananas e leggere note aggrumate nel finale. La struttura è secca e robusta, con note sapide ed una piacevole freschezza. Consigliato da servire tra gli 11-13 °C. Abbinamenti: risotto ai funghi porcini, arrosto di coniglio, parmigiana di melanzane. Oberberg Il Sauvignon Blanc Oberberg deriva dalla zona di Appiano Monte – Oltradige su ca. 550 m s.l.d.m. I terreni di questa zona sono calcarei con un’elevata percentuale di argilla rossa. Nel bicchiere si presenta di color giallo paglierino tenue con riflessi verdognoli e note intense di uva spina, pompelmo, foglia di pomodoro e leggeri aromi di menta e salvia. Il vino è corposo, complesso e sapido, estremamente ricco ed elegante, con un finale intenso e minerale. Consigliato da servire tra gli 12-14 °C. Abbinamenti: molluschi e crostacei, carni bianche, pesce grigliato.

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Aichberg Il Cuvée Blanc Aichberg è composto da i vitigni Pinot Bianco, Sauvignon Blanc e Chardonnay cresciuti nello stesso vigneto e vendemmiati nello stesso momento. Tipicamente per la zona di Appiano Monte il terreno su ca. 450 m s.l.d.m. consiste di fondi calcarei con un’elevata percentuale di argilla rossa. Partendo dal color giallo paglierino brillante si apre al naso un bouquet di aromi eleganti e vivaci pur esotici di ananas e banana, qualche accenno di mela cotta, sentori di tabacco, pepe bianco, legno di cedro e rosmarino. Il vino è strutturato, elegante e succoso con un piacevole finale minerale. Consigliato da servire tra gli 12-14 °C. Abbinamenti: ricette con gli asparagi, ostriche, tartare di manzo.

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Merose Questo Rosé ha la componente più alta del vitigno Merlot e una piccola parte di Cabernet Sauvignon e Lagrein derivanti dalla zona storica dei rossi in Alto Adige a Settequerce/Terlano. I terreni sono porfirici e su un’altitudine di ca. 250 m s.l.d.m. Il colore del Merose è rosa brillante e luminoso. Si espone con un bouquet fragrante con aromi di fragole e ciliegia e un pizzico di spezia di timo. Al palato si presenta fruttato con una bella freschezza e una nota cremosa di mandarino e tè verde. Consigliato da servire tra gli 1113 °C. Abbinamenti: insalata di pasta fredda, carpaccio di manzo, pane di segale croccante con speck dell’Alto Adige.

I terreni, ricchi di porfido e dislocati sui pendii soleggiati, assorbono rapidamente il calore durante il giorno, mentre di notte godono di basse temperature. Si creano così le condizioni atmosferiche ideali per la coltivazione dei vitigni.

Marith Il Pinot Nero Marith cresce a Caldaro, più precisamente a Mazzon su terreni calcarei con esposizione ovest. Rosso rubino brillante e intenso nel bicchiere, mostra eleganti e fruttati aromi di frutti di bosco, lampone e fragola, accompagnati da una leggera nota speziata. Al palato è fresco ed invitante, presenta tannini morbidi, una piacevole freschezza ed un finale succulento. Consigliato da servire tra gli 12-14 °C. Abbinamenti: piatti di pasta, carni bianche, canederli allo speck e la tipica merenda altoatesina. Lagrein Staffes Questo vitigno autoctono cresce direttamente sotto la tenuta storica di Kornell sul vigneto Staffes. Dopo la fermentazione di rovere per 18-25 giorni matura per 12 mesi in barrique e 12 mesi in bottiglia. Nel bicchiere si introduce con un color rosso rubino intenso e un bouquet intenso di note fruttate di ciliegia e mora, sentori floreali di prugnola e violetta, venature speziate di cioccolato fondente e liquirizia. Il Lagrein Riserva é di corpo, con una struttura cremosa, tannini vellutati e una piacevole freschezza, nel finale persistente e con un retrogusto vivace. Consigliato da servire tra gli 1618 °C. Abbinamenti: stufati, involtini di manzo, carrè d’agnello, pecorino.

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UN VIGNETO ANTICO CON IL CUORE GIOVAN Una tenuta storica, un team giovane e ambizioso, un suolo e un microclima particolari. Da tutto questo nascono i nostri vini.


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Tenuta Kornell Via Cosma e Damiano 6 I-39018 - Settequerce (BZ) tel. +39 0471 917 507 info@kornell.it


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speciale hockey

C’è un nuovo sport a Castel Goffredo! Si tratta di una delle attività emergenti nell’ambito sportivo locale e nazionale

l’hockey di fa strada

Avvincente e dinamico raccoglie consensi ed entusiasmo

a cura di DI paolo carli

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bbene si, c’è un nuovo sport a Castel Goffredo (MN), così avvincente e dinamico da raccogliere in breve numerosi consensi e grande entusiasmo. Si tratta di una delle attività emergenti nell’ambito sportivo locale e nazionale, l’hockey su rotelle si sta ritagliando spazi sempre più ampi coinvolgendo atleti di ogni fascia d’età. Nell’ampia e variegata realtà ricreazionale amatoriale offerta dal comprensorio di Castel Goffredo, all’interno del dipartimento di quel pattinaggio artistico che tanto lustro ha portato alla società e alla cittadinanza castellana, attualmente sotto la direzione di Gaia Grandi, si trova un’eccellenza non ancora così conosciuta, che vede sempre i pattinatori protagonisti, questa volta con stecca lunga, dischetto da colpire e un casco in testa. Sebbene l’abbigliamento induca al pensiero, non si tratta di novelli guerrieri, ma piuttosto della squadra di hockey dei Lupi di Castel Goffredo, la disciplina che sta rapidamente coinvolgendo giovani e meno giovani. Rimettersi in moto, soprattutto dopo un periodo d’inattività, è fondamentale per il nostro benessere. Una delle scelte più complete per l’organismo è rappresentata proprio dall’hockey, che mette in gioco tutto l’apparato muscolare dell’organismo - braccia, gambe, tronco e schiena – unitamente alla logica di coordinamento e di movimento all’interno dell’azione di squadra, stimolando una certa capacità di pensiero e di vivacità mentale. Un’attività completa sotto ogni aspetto, divertente e coinvolgente, dove gli sforzi sono proporzionali alle capacità individuali. Nata una decina di anni fa da una costola della Castellana Pattinaggio, grazie all’idea di un gruppo di appassionati, la squadra locale di hockey è stata ufficializzata nel 2019 con l’affiliazione alla principale Federazione nazionale, la FISR (Federazione Italiana Sport Rotellistici), di cui già il pattinaggio artistico fa parte, riconosciuta dal CONI e impegnata attualmente con i suoi atleti migliori nella serie C del Campionato Italiano. L’hockey su rotelle non necessita di ghiaccio, magari giusto quello nel drink di fine partita o per alleviare una fortuita contusione, non di certo sulla pista, utilizzando di fatto le medesime strutture del pattinaggio artistico, riducendo così le problematiche

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tecniche legate al mantenimento di una superficie sottozero completamente cristallizzata. Non per questo risulta meno scorrevole: la falcata garantita dai pattini inline (con quattro ruote longitudinali per intenderci) sulla superficie compatta non ha nulla a che invidiare ai colleghi di ben più nordiche latitudini, con l’indubbio vantaggio di potersi esercitare tutto l’anno a qualsiasi temperatura. Evoluzione naturale dell’hockey su pista, ancora oggi praticato sui classici pattini “quadrati”, con la sempre maggiore affermazione dei più moderni ed accattivanti pattini in linea, l’hockey inline si conferma come uno sport in continua evoluzione e dall’indubbio appeal. Un crescendo che ha recentemente visto l’omologazione da parte della Federazione della struttura offerta dal Palaroller di via Ubertini 141, in grado di ospitare competizioni ufficiali a livello nazionale, promuovendo di fatto Castel Goffredo come un polo di forte richiamo per gli amanti della specialità, anche dalle regioni limitrofe. Suddivisi in categorie, “giovanili” fino ai 18 anni e “senior” per gli over 18, non c’è un’età precisa per cominciare questa pratica. L’approccio allo sport può avvenire in qualsiasi mo-

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mento, come testimoniato dagli atleti dai 6 ai 60 anni – già oltre una trentina gli attuali tesserati provenienti anche da fuori regione - che animano le fila dell’hockey castellano. Per entrare a far parte dei Lupi Castellana Hockey Club basta la voglia di mettersi in gioco, anche il giovanissimo o il neofita non più in erba, in una manciata di sessioni sarà in grado di iniziare a dominare il movimento sui propri pattini, pronto in pochi mesi a giocare, migliorando progressivamente con la pratica fino alla convocazione in prima squadra. Che l’hockey non sia uno sport per signorine è una convinzione del tutto errata, come dimostrano le numerose rappresentanti del gentil sesso che partecipano all’attività sportiva dei Lupi di Castel Goffredo. Certo, il contatto con l’avversario può sempre capitare, pur rimanendo nell’ambito della competizione amatoriale e con un occhio di riguardo, da veri gentleman, durante le partite miste. Sotto la supervisione del coordinatore Giovanni Dallarda e con le istruzioni del coach Giorgio Karim – allenatore federale di terzo livello – sono aperte le iscrizioni alla lezione di prova gratuita, contattando la società tramite uno dei numerosi canali disponibili: Pagine FaceBook: “A.S.D. Castellana Pattinaggio” oppure “Hockey inline Castellana”; Instagram: “castellana pattinaggio”; Sito web: www.castellanapattinaggio.it; Tel. 338 9282493. Per rimanere sempre aggiornati sul Campionato Italiano Hockey: hockeyinline.fisr.it.

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Adalberto Scemma ai Mondiali di Mexico 86 insieme al mitico Sandro Ciotti

Parliamo di calcio: qual è la sua visione del calcio nazionale rapportato ad un calcio europeo che, a certi livelli, sembra proprio avere un paio di marce in più? Il nostro calcio paga l’ingordigia e la banalità, tranne rare eccezioni, dei dirigenti che guidano le società di vertice. Da decenni nessuno investe più nei vivai. La cura della tecnica individuale, un tempo prioritaria, oggi è quasi un optional. Ma soprattutto il calcio italiano, dopo aver scimmiottato di volta in volta le culture calcistiche vincenti (Olanda, Spagna…) non esprime più il carattere del nostro popolo. Tutti i nostri successi sono stati ottenuti grazie al contropiede, cioè a una tattica prevalentemente difensiva, cosa che Gianni Brera ha esemplificato in maniera magistrale. Storicamente, del resto, quello italiano non è mai stato un popolo di attaccanti avendo badato soprattutto a difendere il proprio territorio dalle invasioni straniere. Quando ha ritenuto di violentare il proprio spirito e di attaccare, sappiamo come è andata a finire. Mancini e la nazionale: cosa si aspetta da questo europeo? Mancini sta lavorando con intelligenza utilizzando una componente di splendida anarchia personale che lo porta a operare in controtendenza. Per sua fortuna il panorama degli opinionisti e dei cosiddetti Soloni della critica non sembra avere una caratura professionale tale da creargli problemi. Ritiene giusta o azzardata la scelta di aprire al 25% del pubblico in termini di capienza degli stadi oppure teme nuovi colpi di coda del virus e una nuova chiusura generale anticipata? Al momento mi sembra una decisione azzardata, suggerita dalla demagogia. Il Giappone stesso, con l’impegno delle Olimpiadi in arrivo,

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mi sembra orientato ad agire con maggiore prudenza. Quali sono i giocatori che l’hanno più impressionata durante la sua attività giornalistica e soprattutto quali sono quelli su cui avrebbe scommesso ad occhi chiusi e che si sono rivelati un autentico flop? Roberto Baggio ha dato un’impronta alla propria carriera utilizzando in maniera sempre calibrata l’aspetto tecnico e quello etico, in entrambi i casi a livello straordinario. Con lui Maradona, naturalmente, che non ha mai avuto la pretesa di ergersi a maestro di vita. Ma ho un bellissimo ricordo anche di Zola, di Totti e di Francescoli. Le delusioni? Avrei scommesso su Marocchino, all’epoca dell’Atalanta e della Nazionale Under 21, su Alessio Pirri, che nella Cremonese era considerato un fuoriclasse, e su Domenico Morfeo, talento inespresso. Chi vede, invece, quali future stelle del firmamento se parliamo di atleti italiani nelle più disparate discipline sportive? Marcell Jacob, Larissa Iapichino e Yeman Crippa nell’atletica leggera, Filippo Ganna nel ciclismo, Dorothea Wierer nel biathlon, Alice Volpi nella scherma. Quando parla ai suoi colleghi di Mantova come la dipinge dal punto di vista sportivo?

Se prendiamo a esempio la vicenda di “Mantova città europea dello sport 2019” il panorama può apparire sconfortante. L’augurio è che si sia trattato di un errore di valutazione e, di conseguenza, di un’occasione banalmente sprecata. A che punto siamo con l’attenzione verso gli sport e le scelte che ne dovrebbero conseguire a livello amministrativo? Se consideriamo lo sport nella sua accezione più accreditata, cioè come un’occasione di conoscenza, di sé e degli altri, attraverso il confronto, le scelte sembrano affidate essenzialmente ai privati. L’Amministrazione comunale sembra più interessata alla motricità, il che è sicuramente meritorio se consideriamo i riflessi benefici sulla salute, ma la dimensione sportiva, che rende implicito il confronto, appare secondaria. Ne fanno fede i campionati giovanili degli enti di promozione sportiva dove i gol non contano e le classifiche vengono azzerate. In questo caso si privano i bambini di uno strumento educativo essenziale: la possibilità di mettersi in gioco. Chi ritiene siano le autentiche bandiere sportive della nostra città che si sono distinte negli ultimi 50 anni? Roberto Boninsegna nel calcio, Marco Negri

“Boninsegna una delle bandiere sportive della nostra citta’. Il mio sogno? Avrei voluto vincere la “Cinque Mulini” di corsa campestre del 1965, quella del pellerossa Billy Mills”

n. 3 Maggio 2021 Roberto Boninsegna, il mitico “Bonimba”


Casale Monferrato: Adalberto Scemma riceve il Premio Carlin per i servizi sul Mondiale di Mexico 86. Alla sinistra di Scemma il grande giornalista Gianni Mura

nella pallavolo, Marco Penna nel canottaggio, Gianni Ronconi, Simona Parmiggiani, Gianni Truschi e Daniele Pagani nell’atletica leggera. Ha qualche aneddoto particolare che la lega a qualcuno di loro? Con Roberto Boninsegna ho condiviso gli anni giovanili nel S.Egidio sotto la guida di un maestro di calcio e di vita come Massimo Paccini. Accanto a Ronconi, Parmiggiani, Truschi e Pagani ho vissuto le emozioni che soltanto l’atletica leggera sa regalare. Quali sono gli atleti mantovani che secondo lei potranno far di nuovo parlare, in termini di imprese sportive, della nostra città? In atletica cito per primo il giovanissimo discobolo della “Libertas” Matteo Storti, campione italiano juniores. In proiezione il mezzofondista Gambardella, che ha ampi margini di miglioramento, e gli astisti Edoardo Cavicchia e Luisa Bellandi, valutata quest’ultima in prospettiva

prove multiple. Nello sci Francesca Fanti, di cui ricordo l’eclettismo essendo stata azzurra anche nel triathlon. Quale libro sta scrivendo? Sto cominciando, dopo il blackout rigido, il giro di presentazioni di un libro per l’Università di Verona sulla figura di Walter Bragagnolo, un grande scienziato della motricità: “Il Profe che insegnava a sbagliare”. Ma da qualche tempo mi sto dedicando ai podcast, la nuova frontiera della letteratura sportiva. Dopo il podcast dedicato al centenario di Gianni Brera ho curato la serie di “A bordocampo” (Mennea, Juantorena, Mills, Kubala, Hidegkuti e Duplantis) e la serie sui grandi campioni storici giuliano-dalmati (Benvenuti, Loi, Pamich, Missoni, Sirola, Loik, Andretti…). In uscita la prima serie sui grandi della letteratura sportiva (Mura, Buzzati, Vergani, Soldati e Gianoli).

Lago d’Idro

n. 3 Maggio 2021 Billy Mills alla “Cinque Mulini”

Come giornalista sportivo ha qualche rimpianto per un’impresa mai raccontata o per qualche intervista esclusiva persa? Mi sarebbe piaciuto raccontare la maratona vincente di Gelindo Bordin a Seoul 1988. Ho però influenzato a distanza, fornendogli elementi di carattere tecnico da utilizzare, la cronaca di Vladimiro Caminiti, un amico ma soprattutto un fuoriclasse del giornalismo sportivo. Non ho mai puntato, per contro, alle interviste esclusive quindi non ho rimpianti. Cosa consiglia ai giovani che vogliono intraprendere questa professione? Consiglio una digressione nel territorio dell’utopia: cercare in tutti i modi, tenacemente, disperatamente, di essere personali; evitare banalità e tecniche omologate, soprattutto davanti a microfoni e telecamere; infine leggere, leggere, leggere e ancora leggere. Ad alta voce. Blogger, influencer e sport: lei che pensa di tante “penne” improvvisate, poco qualificate, poco informate ma che fanno tendenza? Non penso assolutamente nulla. Nel senso che non ho né il motivo né l’occasione di occuparmene. La lasciamo con due richieste: •una curiosità che vorremmo soddisfare: da ex atleta, se avesse potuto esprimere un desiderio, quale sarebbe stato l’impresa sportiva che avrebbe mai voluto firmare a vita col suo nome e cognome sostituendosi a quella di un campione che realmente l’ha compiuta? Avrei voluto vincere la “Cinque Mulini” di corsa campestre del 1965, quella del pellerossa Billy Mills. Ma avrei fatto la firma anche sul secondo posto, battuto dopo una volata mozzafiato. •e un classico: la formazione di calcio con gli 11 giocatori di sempre del Mantova che Scemma schiererebbe da mister per riconquistare una serie A che il blasone della nostra città meriterebbe Un Mantova da 4-4-2: Negri; Corradi Pini Giagnoni Schnellinger; Simoni, Jonsson, Dell’Angelo, Toschi; Sormani, Ciccolo.

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articolo pubbliredazionale

Adige Rafting Verona Un modo nuovo per ammirare il fascino di una città sviluppatasi in riva al suo fiume. Dal 2004, Adige Raftig offre un’esperienza unica per scoprire scorci sconosciuti anche ai veronesi. Non si tratta di uno sport estremo: l’Adige scorre tranquillo e la sua discesa offre un panorama indimenticabile, arricchito con racconti (anche in inglese, tedesco o francese) sull’antica idrografia veronese e la navigazione fluviale di oggi e dell’epoca preindustriale. Il tratto cittadino è perfetto per famiglie (con bambini dai 3 anni in su), scolaresche, centri estivi, addio al celibato o al nubilato. Ad ogni partecipante vengono forniti un giubbotto salvagente e una pagaia e tutte le informazioni tecniche necessarie.


Naviga la città dal 2004 www.adigerafting.it EMAIL: info@adigerafting.it T: +39 347 8892498

Adige Rafting è specializzato anche nella creazione di progetti didattici ed educativi tesi alla scoperta, alla fruizione e al piacere di vivere il fiume. Da diversi anni propone infatti discese a Scuole, Centri estivi, Comunità di accoglienza per minori, GREST e associazioni che lavorano con i giovani, avendo sperimentato con successo i diversi risvolti pedagogici che l’attività può assumere. Adige Rafting propone anche un’esperienza serale che unisce la bellezza di navigare con la degustazione dei migliori vini veronesi in location uniche e raggiungibili solo dal fiume. Raft & Wine prevede tre soste nel corso della serata, con vini dell’azienda Fasoli Gino di Colognola ai colli. Sarà inoltre possibile la visita del Museo dell’Adige situato all’antica Dogana in zona Filippini.


protagonisti dello sport

l’ex atleta cremonese, ora dirigente federale, è stato uno dei più grandi atleti della Canoa italiana

di marco morelli

cesare beltrami

Ho lavorato per “lasciare qualcosa” di positivo al mondo che ho amato e che ho vissuto sostenuto da una fortissima passione

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esare Beltrami è stato uno dei più grandi atleti della Canoa italiana. Iniziò l’attività agonistica alla Canottieri Bissolati di Cremona con Rinaldo Sacchi come allenatore. Detiene 17 titoli nazionali (3 juniores e 14 assoluti). Negli anni Sessanta fornì ottime prestazioni in K2, insieme a Cesare Zilioli, in campo sia nazionale che internazionale. Alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 fu sesto in K2 e K4 sui 1000 m. Nel 1965 agli Europei di Snagov (Romania) fu ottavo in K2, ottavo in K4 sui 10.000 m e nono in K4 sui 1000 m. Fu ancora ottavo in K4 ai Mondiali di Duisburg (Germania) del 1966, sesto agli europei del 1967 e ottavo in K2 sui 1000 m, sempre con Zilioli, alle Olimpiadi del Messico del 1968. Nello stesso anno fece incetta di titoli nazionali: primo in K1 sui 10.000 m, in K2 sui 1000 m e in K4 sui 1000 m. Dopo essersi diplomato all’ISEF, divenne responsabile della squadra nazionale juniores; alla fine del 1972, scelto tra i più qualificati allenatori nazionali di canoa, assunse la conduzione tecnica federale, che mantenne fino alle Olimpiadi di Montreal del 1976, continuando poi a sovrintendere alla preparazione di Oreste Perri per le Olimpiadi di Mosca del 1980. In seguito, diede vita al Centro Studi e Ricerca della Federazione Italiana Canoa Kayak (FICK), organismo che si occupa della formazione dei tecnici e cura la pubblicazione di “Canoaricerca”, rivista tecnica apprezzata in tutto il mondo. Cavaliere del-

ALL’EPOCA ESISTEVANO DUE SCUOLE MOLTO AVANZATE NELLA RICERCA SPORTIVA: QUELLA DEL BLOCCO SOVIETICO E QUELLA DEL MONDO ANGLOSASSONE SOPRATTUTTO AMERICANO (USA)

la repubblica, Stella d’Argento del Coni nel 1996 ed in seguito Stella d’Oro stella d’Oro nel 2014 per meriti sportivi, attualmente è Membro del Comitato Scientifico della FICK e Formatore della Scuola Regionale dello Sport del CONI Lombardia. Cesare Beltrami ha avuto incarichi in ambito sportivo ed accademico di grande rilevanza: Coordinatore per l’educazione fisica e sportiva presso il Provveditorato agli studi di Cremona, Responsabile del coordinamento per i Corsi paralleli di Brescia dell’ISEF di Milano, dove ha insegnato ininterrottamente dal 1970 sino 1996 per poi passare ad insegnare nel Corso di Laurea in Scienze Motorie sino al 2012. Ha collaborato per anni con “Pegaso” - Studio di Bruno Pizzul con Beltrami e Oreste Perri

ricerca e formazione di Mantova. Oggi è Direttore Scientifico della Scuola Regionale dello Sport Coni Lombardia ed ha prodotto numerose pubblicazioni legate alla moderna educazione fisica, alla didattica, e all’allenamento. È Pastpresident del Panathlon Club di Cremona di cui ne è stato Presidente dal 2009 al 2015. Lo abbiamo incontrato nella città del violino e del torrone, di Tognazzi, di Vialli, di Cabrini, che ha avuto sino a qualche anno fa l’olimpionico Oreste Perri come sindaco, il campione per eccellenza che fu proprio allievo del prof. Beltrami. Se torna con la mente a quegli anni d’oro legati alla sua attività sportiva quali sono le prime considerazioni che le vengono da fare? Lo sport, oggi, è molto cambiato rispetto a quei tempi. Io ho vissuto, da atleta, il periodo nel quale si stava passando da una pratica si può dire “naif” (almeno nel mio sport) ad una pratica basata su specifiche ed evolute teorie scientifiche. All’epoca esistevano due scuole molto avanzate nella ricerca sportiva: quella del Blocco Sovietico (l’allora CCCP) e quella del mondo anglosassone soprattutto americano (USA). Le Olimpiadi di Roma del ’60 furono, in questo senso, proprio lo spartiacque. Al termine della mia carriera da atleta ho anche concluso gli studi presso l’ISEF di Milano e ho cominciato ad allenare applicando quanto avevo imparato nel corso degli studi; inoltre, il contemporaneo incarico accademico affidatomi presso l’ISEF di Milano, legato alla mia curiosità nel campo della ricerca, mi ha portato a studiare ed applicare metodiche di allenamento sempre più avanzate.


Tutto questo ha contribuito alla crescita della Canoa italiana in campo internazionale e a raggiungere i successi mondiali insperati sino a qualche anno prima. Quali sono state come atleta le sue più grandi emozioni? Sicuramente la partecipazione alle Olimpiadi, due vissute da Atleta (Tokyo ’64 e Messico ’68) e altre due da Commissario Tecnico (Montreal ’76 e Mosca ’80). La prima, quella di Tokyo nel 1964, fu certamente la più emozionante: era la prima, in un paese così lontano dove si viveva un clima magico, sia per l’ambiente che per la tipologia del contesto. Ti sentivi veramente cittadino del mondo. Poi nei giorni delle gare fui colpito da una brutta bronchite ma, seppur febbricitante, gareggiai lo stesso contribuendo alla conquista con i miei equipaggi di due sesti posti contro gli allora “mostri sacri” dei paesi dell’Est europeo. Ma poi c’è anche l’emozione costante che un atleta prova quando raggiunge il suo miglior risultato personale, che non è soltanto la vittoria, ma la consapevolezza di aver dato tutto sia in allenamento che in gara, senza nessun rammarico per la vittoria di chi è stato più bravo di te. Qualche rimpianto? Certamente! Il rimpianto di non essere nato qualche anno dopo e non aver potuto godere nella preparazione di metodologie più avanzate. Poi il rimpianto di una medaglia mondiale o ancor di più olimpica. Alle Olimpiadi di Città del Messico

nel 1968, sulla base dei risultati ottenuti l’anno precedente (secondi in K2 con Cesare Zilioli nella gara preolimpica), eravamo dati come favoriti per la conquista di una medaglia, ma poi in finale abbiamo fatto la peggior gara della nostra carriera, complici alcuni acciacchi del mio partner e forse un po’ di emozione per l’essere tra i favoriti. Come sono cambiate in 50 anni metodologie e tecniche d’allenamento? Moltissimo! Sia sul piano qualitativo che quantitativo dell’allenamento. Noi eravamo puri dilettanti, ci si allenava nel tempo libero, i due allenamenti al giorno si potevano fare d’estate quando si era

in vacanza dalla scuola o dall’università. Oggi per raggiungere certi livelli gli atleti devono essere professionisti, non nel senso calcistico; tutti gli atleti di sport “poveri” approdano negli enti militari (FF.GG, FF.OO, ecc.) perché l’allenamento in Società non basta, anche se qualche eccezione però resiste. Poi la progettazione dell’allenamento è più scientifica e mirata, inoltre c’è molta più cura dell’alimentazione e attenzione alle più svariate forme di ristoro e recupero. Devo però dire che nello sport della canoa le basi fondamentali dell’allenamento non sono cambiate di molto, si può dire che le vecchie metodiche, con opportuni adattamenti, siano state validate dalla ricerca scientifica. Questo non lo dico solo io, ma anche Oreste Perri dal 1984 CT della Nazionale di Canoa che ha conquistato con i suoi Atleti moltissimi ori olimpici e mondiali. Come ha vissuto come ex atleta ma soprattutto come insegnate sportivo e dirigente federale l’evoluzione dello sport in questi anni? Lo sport nel bene e nel male è cambiato come è cambiata la Società.Lo sport è un’attività umana che si sviluppa all’interno della Società che muta in continuazione ed in funzione di tanti fattori. Un semplice dato: un tempo si utilizzavano i cronometri manuali “meccanici”; oggi la tecnologia informatica aiuta moltissimo l’allenatore e l’atleta. Ci si allena in canoa con il cardifrequenzimetro, il satellitare, l’accelerometro con controllo a distanza e quanto altro …! Però, a mio parere, tutto questo viene a volte vissuto non come un supporto all’”uomo”, ma come essenziale, troppo essenziale, per cui si perdono di vista le componenti cognitive, volitive ed emozionali che portano un atleta a diventare protagonista della sua crescita Che cosa l’ha colpita di più? Proprio quello che ho appena detto. In questi ultimi vent’anni l’atleta “macchina” non ha più segreti. Questo spettacolare insieme di ossa, articolazioni, muscoli, cuore e polmoni non ha più segreti e tantomeno vi sono segreti sul come potenziarli. Ci si è però dimenticati, spesso, del “pilota” ovvero della componente cognitiva ed emotiva che costituisce l’atleta e che può condurlo ad una prestazione di eccellenza e al risultato. Allora queste ultime potenzialità o “le hai di tuo” oppure vedi atleti fisicamente fortissimi che non “rendono”, sul piano della prestazione, come ti aspetteresti. Poco viene fatto per preparare e potenziare queste capacità che trovano le basi proprio nella preparazione giovanile. Questa viene a volte troppo spinta con metodiche già da atleta adulto … e questo non va bene …!!! Quali sono state le sue più grandi soddisfazioni ed emozioni come dirigente federale? L’aver lavorato per “lasciare qualcosa” di positivo al mondo che ho amato e che ho vissuto sostenuto da una fortissima passione. L’aver continuato nel lavoro dei miei “maestri” ed aver dato continuità alla scuola della Canoa cremonese che per anni ha dominato la scena nazionale ed internazionale, che ha prodotto grandi campioni che poi come Oreste Perri, hanno raccolto il testimone e continuato nel solco tracciato.

LO SPORT È UN’ATTIVITÀ UMANA CHE SI SVILUPPA ALL’INTERNO DELLA SOCIETÀ CHE MUTA IN CONTINUAZIONE ED IN FUNZIONE DI TANTI FATTORI

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motori

MINI John Cooper Works e MINI John Cooper Works Cabrio Stile individuale e prestazioni rinnovate

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A CURA DI pAOLO CARLI ue varianti di carrozzeria, una ricetta per il successo: grazie al piacere di guida estremo le due atlete di punta del segmento delle compatte premium emanano un fascino unico. Con i recenti dettagli di design e le nuove caratteristiche di equipaggiamento, sono più attraenti che mai.

Se esistesse una gara sul massimo piacere di guida nel segmento delle compatte premium, i primi posti continuerebbero ad essere assegnati senza troppi dubbi. Con i rinnovati dettagli di design e le numerose nuove caratteristiche di equipaggiamento, la MINI John Cooper Works (consumo di carburante combinato: 7,1 - 6,8 l/100 km secondo WLTP, 7,1 - 6,9 l/100 km secondo NEDC; emissioni di CO2 combinate: 161 - 155 g/km secondo WLTP, 163 - 158 g/km secondo NEDC) e la MINI John Cooper Works Cabrio (consumo di carburante combinato: 7,4 - 7,1 l/100 km secondo WLTP, 7,4 - 7,1 l/100 km secondo NEDC; emissioni di CO2 combinate: 167 - 161 g/km secondo WLTP, 169 - 163 g/km secondo NEDC) hanno tutte le ragioni per pretendere una posizione leader in questa classe di veicoli anche da ferme. Il nuovo linguaggio di design ridotto del marchio britannico esprime più chiaramente che mai il carattere delle due atlete di punta. Oltre ai fari tondi a LED, il design chiaro e purista sottolinea anche la griglia esagonale del radiatore ora più grande, che insieme alle grandi prese d’aria laterali assicura l’alimentazione d’aria all’impianto di trasmissione e di frenata. Un’altra caratteristica accattivante è la fascia del paraurti, che ora è verniciata nel colore della car-

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rozzeria - per esempio nella nuova variante Zesty Yellow offerta esclusivamente per la MINI John Cooper Works Cabrio. Troviamo inoltre le mascherine modificate sui pannelli laterali anteriori e il diffusore particolarmente appariscente nella grembialatura posteriore di entrambi i modelli, anch’esso ridisegnato. Il fascino per lo stile individuale si unisce all’entusiasmo smisurato fin dal primo giro, grazie alla spontanea erogazione di potenza del motore a quattro cilindri da 2,0 litri con tecnologia MINI TwinPower Turbo, situato sotto il cofano anteriore di entrambi i modelli, che mobilita una potenza massima di 170 kW/231 CV e una coppia massima di 320 Nm. Il motore permette alla MINI John Cooper Works di accelerare da zero a 100 km/h in 6,3 secondi con il cambio manuale a 6 rapporti di

serie e addirittura in soli 6,1 secondi con il cambio Steptronic Sport a 8 rapporti opzionale. La MINI John Cooper Works Cabrio ci si avvicina. Le sue cifre per lo sprint standard sono rispettivamente 6,6 e 6,5 secondi. Chi preme con meno veemenza sull’acceleratore può godersi il piacere della guida a cielo aperto già dopo pochi metri. La capote in tela della MINI John Cooper Works Cabrio che si apre e chiude elettricamente - disponibile come optional anche come capote MINI Yours con grafica Union Jack intrecciata - può essere aperta premendo un pulsante in soli 18 secondi durante la marcia fino a 30 km/h. Oltre alla corrente d’aria, il caratteristico suono dei due terminali in acciaio inossidabile da 85 millimetri dell’impianto di scarico sportivo fluisce senza filtri nell’abitacolo della quattro posti aperta. Non importa se aperta o chiusa: la tecnologia del telaio specifica del modello, che, come il motore, è stata sviluppata e messa a punto grazie alla pluriennale esperienza nelle corse di John Cooper Works, assicura un piacere di guida estremo, soprattutto nelle curve a velocità elevata. Un assetto sportivo delle sospensioni fa parte della dotazione di serie di entrambi i modelli, così come l’impianto frenante sportivo sviluppato in collaborazione con il produttore specializzato Brembo e i cerchi in lega leggera John Cooper Works da 17 pollici. I freni a pinza fissa a quattro pistoni con dischi ventilati internamente sulle ruote anteriori e le pinze rosse con il logo John Cooper Works consentono una decelerazione potente e dosata con precisione durante la frenata. Per ottimizzare ulteriormente il contatto con la strada durante le forti accelerazioni laterali, sono disponibili come optional anche cerchi in lega leggera da 18 pollici, tra cui il nuovo design John Cooper Works Circuit Spoke bicolore. Una delle caratteristiche dei modelli John Cooper Works è la combinazione di prestazioni,impegnative e idoneità illimitata all’uso quotidiano. L’ultima versione delle sospensioni adattive disponibili come optional offre un equilibrio ottimizzato tra sportività e comfort di guida. È dotata di una nuova tecnologia di smorzamento a frequenza selettiva che funziona con una valvola aggiuntiva che agisce sul lato della trazione. Entro 50-100 millisecondi, i picchi di pressione all’interno dello smorzatore vengono smussati. Questo porta a una compensazione particolarmente sicura anche delle leggere irregolarità della superficie stradale. Allo stesso tempo, la forza massima di smorzamento delle sospensioni adattive è fino al dieci per cento più alta di prima, in modo che la precisione di guida e l’agilità in curva siano ulteriormente migliorate. Per un piacere di guida su misura nella vita di tutti i giorni e nei lunghi viaggi, sono disponibili anche i nuovi pacchetti di equipaggiamento per quanto riguarda il comfort, la connettività e l’assistenza alla guida. Questi includono nuove opzioni come il volante riscaldato, l’avviso di superamento della corsia nel Driving Assistant e la funzione Stop & Go per l’Active Cruise Control. Il quadro strumenti centrale di nuova concezione

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con un display touch da 8,8 pollici con design Black Panel, le unità di comando per l’impianto audio e i tasti preferiti integrati sono ora di serie. Il sistema operativo altrettanto nuovo facilita il controllo intuitivo delle funzioni del veicolo, del programma audio, della navigazione, della comunicazione e delle app. A tale scopo sono ora disponibili i widget live, che possono essere selezionati con uno swipe sul display touch. Oltre al moderno display grafico, il sistema operativo offre anche nuove possibilità di personalizzazione. Sono disponibili due diversi schemi di colore per il display della strumentazione centrale e sul display multifunzionale opzionale posizionato sul piantone dello sterzo. Nella modalità “Lounge”, le superfici del display si colorano di rilassanti tonalità di blu e turchese. Passando alla modalità “Sport”, gli sfondi dello schermo si illuminano di rosso e antracite. Se lo si desidera, i colori dei display possono essere collegati alle modalità di guida MINI standard. I tocchi freschi nelle aree dei comandi e le tonalità di colore si fondono armoniosamente con il design dell’abitacolo ispirato alle corse per entrambi i modelli. Sedili sportivi John Cooper Works con pog-

giatesta integrati, volante sportivo in pelle Nappa con pulsanti multifunzione di nuova concezione, cuciture grigie a contrasto, logo John Cooper Works sulla razza centrale, rivestimento del tetto color antracite, pedaliera in acciaio inossidabile e una leva del cambio o del selettore di marcia specifica per il modello creano un autentica atmosfera sportiva all’interno dell’abitacolo. Il John Cooper Works Trim, offerto in alternativa all’equipaggiamento standard, completa ulteriormente il carisma e il piacere di guida. Questa opzione comprende superfici esterne e interne in Piano Black high gloss, rivestimenti in Dinamica/pelle in Carbon Black per i sedili sportivi John Cooper Works e una verniciatura esterna particolarmente pregiata. Inoltre, le sospensioni adattive e i cerchi in lega da 18 pollici fanno parte dell’assetto John Cooper Works per le due auto sportive di punta. Il consumo di carburante, le emissioni di CO2 e il consumo di energia sono stati misurati utilizzando i metodi richiesti secondo il regolamento VO (CE) 2007/715 e successive modifiche. Si riferiscono a veicoli sul mercato automobilistico in Germania. Per quanto riguarda le gamme, le cifre NEDC tengono conto delle differenze nelle dimensioni

delle ruote e degli pneumatici selezionati, mentre il WLTP tiene conto degli effetti di eventuali equipaggiamenti opzionali. Tutte le cifre sono già state calcolate sulla base del nuovo ciclo di prova WLTP. I valori NEDC elencati sono stati calcolati in base alla procedura di misurazione NEDC, ove applicabile. I valori WLTP sono utilizzati come base per la valutazione delle tasse e di altri dazi relativi ai veicoli che sono (anche) basati sulle emissioni di CO2 e, ove applicabile, ai fini delle sovvenzioni specifiche per i veicoli. Ulteriori informazioni sulle procedure di misurazione WLTP e NEDC sono disponibili anche su www. bmw.de/wltp. Per ulteriori dettagli sui dati ufficiali di consumo di carburante e sulle emissioni ufficiali specifiche di CO2 delle auto nuove, consultare il “Manuale sul consumo di carburante, le emissioni di CO2 e il consumo di energia delle auto nuove”, disponibile presso i punti vendita, da Deutsche Automobil Treuhand GmbH (DAT), Hellmuth-Hirth-Str. 1, 73760 OstfildernScharnhausen e su https://www.dat.de/co2/

BRUNO BARBIERI ALLA MINI TULLO PEZZO Ha ritirato LA MINI COOPER S PADDY HOPKIRK EDITION

Chef Bruno Barbieri, testimonial MINI per la Tullo Pezzo ha ritirato nelle scorse settimane presso la sede di San Giorgio Bigarello (Mn) la MINI Cooper S Paddy Hopkirk Edition, una Limited Edition MINI costruita per omaggiare il pilota nordirlandese Patrick “Paddy” Hopkirk che nel 1964 ottenne con MINI Cooper S N° 37 la prima di tre vittorie al leggendario Rally di Montecarlo. Il design di questa vettura è studiato nel minimo dettaglio per richiamare con uno stile moderno i dettagli della vettura usata da Hopkirk. Il rosso della carrozzeria è abbinato al bianco dei dettagli e del tetto, esattamente come sul modello storico e le fiancate mettono in mostra il numero “37”. La vettura, inoltre, riporta la firma del pilota in più punti: sul lato passeggero del cruscotto, sul battitacco, sul portellone posteriore e all’interno della striscia bianca sul cofano. Nella foto: Davide Pezzo e chef Bruno Barbieri

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MOTORI

Nuovo Nissan Qashqai UNA SUPER EVOLUZIONE RISPETTOSA DELL’AMBIENTE

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di PAOLO CARLI

ei versioni disponibili in gamma: Visia, Acenta, Business, N-Connecta, Tekna e Tekna+, equipaggiate con motore benzina DIG-T 1.3 con tecnologia mild hybrid, da 140 e 158 CV. Prime consegne ai clienti previste per il mese di giugno.

Prezzo di ingresso pari a 25.500€ per la versione Visia, con motore mild hybrid 140 CV, 2WD e cambio manuale a 6 rapporti. Ricca la dotazione di serie con fari LED, retrovisori esterni riscaldabili, hill start assist & auto hold, selettore modalità di guida, volante regolabile in altezza e profondità, sensori di parcheggio posteriori. Già a partire dalla versione di ingresso le tecnologie per la sicurezza sono ai vertici della categoria con e-call e breakdown call, Intelligent Cruise Control, frenata di emergenza automatica con riconoscimento di pedoni e ciclisti, sistema di avviso di rischio collisione frontale, sistema di avviso e prevenzione di abbandono involontario di corsia, sistema di controllo e prevenzione del cambio di corsia se è presente un altro veicolo nella zona di angolo cieco, sistema di rilevazione dell’attenzione del guidatore e relativo avviso, sistema riconoscimento dei segnali stradali, sistema di rilevamento oggetti nella parte posteriore della vettura con frenata automatica durante la retromarcia. Amplia anche la dotazione di sistemi di sicurezza passiva con 2 airbag anteriori frontali e 2 laterali, 2 airbag a tendina e 1 airbag tra i sedili anteriori.

Rula Jebreal La versione Acenta parte da 28.940€ con motore mild hybrid 140 CV, 2WD e cambio manuale e 32.140€ con motore mild hybrid 158 CV, 2WD e cambio Xtronic. Ai contenuti della versione Visia si aggiungono cerchi in lega da 17”, apertura portiera con pulsante, specchietti ripiegabili automaticamente, climatizzatore automatico dual zone, volante e pomello cambio in pelle soft touch, supporto lombare sedile guida, bracciolo posteriore con porta bicchieri, tergicristalli automatici con sensore pioggia, display audio da 8”, retrocamera posteriore, palette cambio al volante (solo Xtronic), integrazione smartphone e compatibilità Apple CarPlay® e Android Auto®. Versione Business da 30.370€ con motore mild hybrid 140 CV, 2WD e cambio manuale e 33.570€ con motore mild hybrid 158 CV, 2WD e cambio Xtronic. I contenuti si arricchiscono del nuovo sistema di infotainment NissanConnect con display da 9’’, telecamera con vista panoramica a 360° intorno alla vettura (Around View Monitor) con riconoscimento oggetti in movimento, fendinebbia LED, carica batterie wireless per smartphone e ruotino di scorta. Per la versione N-Connecta occorrono 31.500€ nel caso di motorizzazione mild hybrid 140 CV, 2WD e cambio manuale, 34.700€ per motore mild hybrid 158 CV, 2WD e cambio Xtronic e 36.700€ se si scelgono anche le 4 ruote motrici. Con questa versione si entra nel top di gamma

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per cui i dettagli si fanno notare: cerchi in lega da 18”, vetri posteriori privacy, paraurti posteriore con inserti silver, illuminazione ambientale nella console centrale, quadro strumenti full TFT da 12,3”, navigatore satellitare NissanConnect con schermo da 9’’ mappe TomTom Premium Live Traffic, aggiornamenti Over The Air e NissanConnect Services. Inoltre, sensori di parcheggio anteriori, porte USB per i sedili posteriori, specchietto retrovisore interno auto-oscurante, poggia ginocchio anteriore soft touch e bagagliaio modulare. Anche per la versione Tekna tre prezzi di partenza, 33.800€ per motore mild hybrid 140 CV, 2WD e cambio manuale, mentre per la soluzione con motore mild hybrid 158 CV e cambio Xtronic occorrono 37.390€ per il 2WD e 39.390€ per il 4WD. Elementi di stile e tecnologie di bordo fanno la differenza, come i cerchi in lega da 19”, apertura bagagliaio hands-free, fari LED con tecnologia Adaptive Drive Beam Assist con fari abbaglianti adattativi, indicatori di direzione anteriori e posteriori LED, Head-up display da 10,8’’, sedile guidatore regolabile elettronicamente, supporto lombare regolabile per guidatore e passeggero e ProPILOT con Navi-Link (solo con cambio Xtronic) o Drive Assist (cambio manuale).

n. 3 Maggio 2021


MOTORI

LAND ROVER DEFENDER CONQUISTA IL TITOLO DI WORLD CAR DESIGN OF THE YEAR

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a Land Rover Defender è stata insignita del titolo “World Car Design of the year” agli “Annual World Car Awards 2021”. Per la terza volta, Land Rover si è aggiudicata l’ambito premio per il design, dopo le due precedenti vittorie della Range Rover Velar (2018) e della Range Rover Evoque (2012), e si tratta solo dell’ultimo premio in ordine di tempo, conferito alla robusta 4x4. La nuova Defender resta fedele allo spirito pionieristico sinonimo di Land Rover negli ultimi 70 anni, e ridefinisce l’avventura del 21° secolo. Iconica per nome, forme e capacità, è disponibile in diverse versioni ed è personalizzabile in base al proprio stile di vita grazie a ben quattro Accessory Pack. Il World Car Design of the Year premia l’automobile nuova più notevole degli ultimi 12 mesi e viene assegnato ai veicoli che hanno dimostrato i più alti standard di innovazione tecnica e un design che valica i confini stabiliti. Il Professor Gerry McGovern OBE, Chief Creative Officer, Jaguar Land Rover dichiara: “La nuova Defender è ispirata dal passato senza esserne prigioniera, e siamo felici che sia stata onorata con questo riconoscimento. Abbiamo creato la Defender del 21° secolo con la visione di ampliare i confini della sua tecnologia e del design, mantenendone intatto il DNA e la capacità in off-road. Il risultato è un’irresistibile 4x4 che esercita un forte richiamo

di PAOLO CARLI

Rula Jebreal emotivo sui clienti.” Quest’anno, tutte le concorrenti nelle altre quattro categorie erano eleggibili per il premio World Car Design of the Year. Un gruppo formato da sette esperti di design automobilistico, ha esaminato le concorrenti, stilando una shortlist destinata al voto dei giudici, 93 giornalisti internazionali che componevano il gruppo della giuria. Il profilo inconfondibile identifica istantaneamente la Defender, con gli sbalzi ridotti che garantiscono angoli ottimali di attacco e di uscita. Gli stilisti Land Rover hanno reimmaginato i tratti distintivi familiari della Defender del ventunesimo secolo, dando alla nuova 4x4 un deciso aspetto verticale con vetri alpini nel tetto e conservando il portellone incernierato lateralmente con ruota di scorta esterna, così riconoscibile nell’originale. La personalità essenziale della Defender originale è stata ripresa negli interni, dove sono a vista elementi strutturali e componenti generalmente nascosti, a sottolinearne la semplicità e la praticità. La Defender 110 offre configurazioni a cinque, sei o 5+2 posti, mentre la 90 può ospitare fino a sei persone in un veicolo che ha le dimensioni di una due volumi compatta per famiglia. La gamma di capacità della Defender alza l’asticella in termini di robustezza in off-road e comfort su strada. La robusta piattaforma D7x di Land Rover - la struttura più rigida mai realizzata dal brand - supporta le tecnologie all-terrain più avanzate e

motorizzazioni allo stato dell’arte per offrire capacità inarrestabili. La curatissima maneggevolezza rende la guida gratificante ed offre un comfort di prima classe su ogni superficie; gli esperti Euro NCAP hanno assegnato alla Defender la valutazione massima di cinque stelle. Una selezione di avanzati propulsori Ingenium benzina e diesel assicura alla Defender potenza, controllo ed efficienza in ogni ambiente, mentre la versione PHEV offre un’autonomia in modalità elettrica che arriva a 43 km*. Inoltre, la nuova Defender V8 da 525 CV abbina le capacità Land Rover a prestazioni incredibili, con speciali regolazioni dello chassis per una guida ancor più coinvolgente. La famiglia Defender oggi comprende la Defender 90 e la Defender 110, oltre alle varianti commerciali 90 e 110 Hard Top. Dal giorno del lancio la Defender ha conquistato più di 50 premi internazionali, inclusi il Car of The Year 2020 di Top Gear, il SUV of the Year 2021 di Motor Trend e il Best SUV 2020 di Autocar.


18-20 Giugno Verona

L’Evento

In Italia è la prima fiera in presenza dopo il via libera del Governo sulle riaperture

A CURA di PAOLO CARLI

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a ripartenza del sistema fieristico nazionale a giugno passa da Verona, salutata dal rombo di migliaia di moto. Motor Bike Expo, infatti, è il primo salone internazionale a riaprire in Italia, dopo oltre un anno di stop imposto dall’emergenza sanitaria. La manifestazione di riferimento per il mondo delle moto personalizzate dà appuntamento alle migliaia di appassionati a Veronafiere, da venerdì 18 a domenica 20 giugno. Una rassegna in presenza e sicura, programmata tre giorni dopo la data del 15 giugno, scelta dal Governo per il via libera alle fiere con il Decreto legge sulle riaperture, pubblicato il 22 aprile. Dopo un primo rinvio a maggio, Motor Bike Expo torna quindi in pista, per la sua 13ª edizione a Veronafiere, con un evento ancora più dinamico, dove ammirare moto uniche provenienti dai garage di tutto il mondo e customizzate dai migliori preparatori di fama internazionale. Presenti le più blasonate Case motociclistiche, i produttori di accessori, ricambistica e abbigliamento, i tour operator specializzati in viaggi on the road. Il tutto con il supporto dei moto club di tutte le regioni e della Federazione Motociclistica Italiana, che ha organizzato diverse iniziative in fiera, rigorosamente da vivere in sella. Lo spostamento del salone a giugno, con temperature più miti, consente di moltiplicare le attività all’aperto: dai demo ride dove provare su strada le ultime novità in fatto di due ruote, fino alla scuola di guida sicura. Per la prima volta, poi, i motociclisti possono entrare in fiera con le proprie moto, grazie ad un nuovo parcheggio dedicato e dotato di tutti i servizi. “La moto è uno dei mezzi più utilizzati per scoprire le bellezze di un territorio; oltre ad essere una soluzione di mobilità urbana, oggi in moltissimi la scelgono per viaggiare. Un mezzo riscoperto nel post lockdown e un mercato che nel corso del 2020 ha affrontato la crisi a testa alta e senza alcun sostegno. Non si tratta di una moda quindi, ma di una passione che spesso nasce da lontano. Penso a tante storie imprenditoriali di successo, alcune presenti anche nella nostra regione, simbolo di un mondo che continua a progettare, sviluppare e produrre in proprio i motori che equipaggiano le moto di serie, fino a diventare gruppi industriali tra i più importanti al mondo nel campo delle due ruote. E proprio in Veneto, oggi, il settore del motociclo fa da apripista al mondo fieristico, confermando uno dei più importanti saloni internazionali dedicati alle moto e ai bikers. Si riparte quindi dal Veneto, patria di campioni del motociclismo come il trevigiano Omobono Tenni, mai dimenticato anche se espressione sportiva del secolo scorso. Verona, terra del Garda, con panorami unici ma anche punto di partenza di numerosi itinerari motociclistici come il gran giro dei Monti Lessini e delle Prealpi Venete. Una città che può presentarsi come simbolo delle due ruote come segmento di turismo in crescita, per scoprire il paesaggio, come quello montano e costiero,

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Motor Bike Expo si torna in sella, ma sul serio! SI E’ LAVORATO AD UNA NUOVA FORMULA PER UN’EDIZIONE STRAORDINARIA, DOVE IL MOTOCICLISTA SARÀ ANCORA PIÙ PROTAGONISTA

ma anche luoghi di interesse storico e culturale. E in questo senso il Veneto rappresenta una delle mete più desiderate, non solo dagli italiani ma anche da mototuristi provenienti da Germania, Austria e Francia, che valicano le Alpi attratti dalla laguna veneziana e le spiagge dell’Alto Adriatico o richiamati dal fascino delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, per raggiungere i borghi più belli che conducono fino alle Dolomiti, Patrimonio dell’Umanità.” – commenta Luca Zaia, Presidente della Regione del Veneto “Il mondo delle fiere riapre e lo fa da Verona con Motor Bike Expo. Per oltre un anno siamo stati costretti a fermarci, ma abbiamo tenuto i motori sempre accesi, consapevoli del valore delle manifestazioni per la promozione delle filiere industriali rappresentate. Ora, insieme agli organizzatori del salone, Francesco Agnoletto e Paola Somma, siamo pronti a ripartire da subito e, grazie agli investimenti fatti già dall’inizio della pandemia, siamo in grado di accogliere in completa sicurezza aziende, operatori e appassionati. Veronafiere, infatti, si è dotata di uno specifico protocollo safebusiness, validato dalle autorità sanitarie. La capienza del quartiere espositivo garantisce il distanziamento sociale, la bigliettazione è soltanto elettronica e abbiamo un sistema di sorveglianza con un algoritmo anti-assembramen-

ti. Senza contare la continua sanificazione degli ambienti e degli impianti di climatizzazione nei padiglioni.” – dichiara Maurizio Danese, Presidente di Veronafiere –

n. 3 Maggio 2021


© Mathieu Willcocks - Afghanistan

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