MCG Speciale #terapiadomiciliare Covid-19

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n. 6 Febbraio-Marzo 2021

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Da 30 anni nel mondo dell’editoria, classe 1962, da 7 anni dirige MCG dopo esserne stato per 8 il coordinatore editoriale. È anche titolare della Morelli Media Partner, Agenzia di Comunicazione, e co-fondatore di Advance Group.

I tanti PERCHè DI UN’EDIZIONE STRAORDINARIA

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opo un’estate a dir poco scellerata, a distanza di un anno dalla scoperta del primo contagiato per Covid-19, ci ritroviamo di nuovo in zona rossa. Di nuovo attanagliati da ansia e preoccupazioni per salute e questioni economiche. Dalla mancata applicazione di un piano pandemico mai aggiornato, al fallimento di una medicina territoriale rivelatasi inesistente, alla cattiva gestione degli ospedali: così siamo diventati uno dei Paesi con pecentualmente il maggior numero di decessi. In Lombardia si è rotto pure lo specchio che rifletteva quella supremazia generale e anche clinica che il Nord faceva pesare: sono stati fatti errori pacchiani, sono saltate poltrone, la macchina organizzativa si è dimostrata a dir poco inefficace. Solo parzialmente in Veneto l’epidemia è stata tenuta sotto controllo, eseguendo una mappatura dei focolai, facendo un gran numero di tamponi e non ospedalizzando tutto e alla rinfusa. In questo marasma generale si è distinto un esercito di medici e personale paramedico che, ininterrottamente da un anno,

porta sul volto e sul fisico i segni del combattimento in prima linea contro la pandemia perché impegnato in turni massacranti, pur di salvare vite. Ma attenti bene, non parliamo di quei camici bianchi che, ben retribuiti tra i 5.000 e i 10.000 euro al mese, stanno ahimè seduti comodi dietro ad una scrivania scordandosi di essere, per giuramento, al servizio dei malati, e manco si degnano di rispondere al telefono. Parliamo nello specifico, non dimenticandoci certo degli “eroi” che hanno lavorato e lavorano sottopagati ogni giorno in Ospedale, di quei medici che si sono riuniti nel “Comitato per le Cure Domiciliari Covid-19”, un gruppo che ormai conta più di 100mila membri creato dall’avvocato del foro di Napoli, Erich Grimaldi, fondatore e presidente del “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid”. Un po’ di numeri per rendere l’idea: le relazioni di soli dieci medici del gruppo tra Lombardia, Campania, Emilia Romagna, Sicilia e Piemonte, dicono che su 906 pazienti Covid curati a domicilio con il loro protocollo, i decessi sono stati 2, e

2 sono stati i ricoveri. In questa edizione straordinaria vogliamo parlare di loro, di chi condivide le loro idee come il Prof. Remuzzi dell’Istituto Mario Negri di Milano e puntare il dito su chi, invece, li ignora da più di un anno, facendoli passare come degli sciamani e non dei medici illuminati quali sono. «...E’ stata un gran flagello questa peste, ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figlioli miei, non ce ne liberavamo più...» scriveva il Manzoni. Purtroppo in Italia sono morti solo i bravi medici che, in base al loro giuramento, si sono immolati in trincea per cercare di battere il nemico; ed è morta tanta brava gente, mal informata, abbandonata spesso a se stessa. Rimangono in circolazione invece coloro che hanno speculato su questa pandemia, tanti don Abbondio, ma, per fortuna, anche questi Angeli ai quali molti, tantissimi, devono la propria vita. Aiutiamoli!

Marco Morelli

direttore@mantovachiamagarda.it


MantovachiamaGarda Periodico bimestrale Registrazione del Tribunale di Mantova N° 01/2011 del 15/02/2011 Direttore Responsabile Marco Morelli Capo redattore Giacomo Gabriele Morelli Art Director e Progetto Grafico Matteo Zapparoli Pubblicità: MORELLI MEDIA PARTNER, Via Dante Alighieri 4, 46040 Gazoldo degli Ippoliti (Mn) Stampa: GRAFFIETTI STAMPATI S.n.c. - S.S. Umbro Casentinese Km 4,500 - S.S. 71 - 01027 Montefiascone (Viterbo) Editore: MARCO MORELLI, Via Dante Alighieri 4, 46040 Gazoldo degli Ippoliti (Mn)

Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Capato, Alessandra Fusè, Elena Kraube, Enrico Maria Corno, Flora Lisetta Artioli, Gastone Savio, Gianmarco Daolio, M.T. San Juan, PaoloCarli, Veronica Ghidesi, Vittoria Bisutti, V.Corini

L’editore non si assume alcuna responsabilità in ordine Al successivo cambiamento di date o programmi riportati in questa pubblicazione Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente magazine, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.

Mantovano ma residente sul Lago di Garda, da 25 anni lavora nel campo della comunicazione e del marketing. Classe 1974, Art Director di MCG, è anche presidente di Grinder, Agenzia di Comunicazione, e co-fondatore di Advance Group.

SOMMARIO DOTT. ANDREA MANGIAGALLI

Il nostro protocollo funziona, ma le Istituzioni non ci considerano

PROF. LUIGI CAVANNA

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La terapia efficace per spegnere sul nascere il Covid 19

avvocato erich grimaldi

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Il Comitato Cura Domiciliare Covid 19 ha salvato migliaia di vite

valentina rigano

Prof. giuseppe remuzzi

dossier vaccini

La mia battaglia al fianco di questi “Angeli”

Curarsi ai primi sintomi, ancor prima di fare il tampone

Il virus non svanirà per magia

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in primo piano

alla faccia di burocrazia e giochi di potere c’è un gruppo di angelii che ogni giorno lotta per la vita della gente

#TERAPIADOMICILIAReCOVID-19 UNICA LUCE NEL BUIO TOTALE

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n anno esatto è già trascorso da quando, nel lodigiano e in particolare a Codogno, i primi casi di Covid-19 venivano segnalati in Italia. Tutto comincia nella serata del 20 febbraio 2020, quando un uomo di 38 anni di Codogno si reca al pronto soccorso con una polmonite grave, con sintomi riconducibili al Covid-19. Il 21 febbraio 2020 viene annunciato come primo caso di Covid-19 locale italiano, non riconducibile a un rientro dalla Cina, insieme ad altri cinque pazienti. Una data storica in cui crolla l’illusione che il virus non sarebbe arrivato mai sino in Italia. In quei giorni si scatena la ricerca del paziente Zero, determinante per ricostruire la catena del contagio e capire qualcosa di più sul virus. Una ricerca che ad oggi non ha portato ad alcun risultato (finora il paziente italiano più antico con Covid-19, scoperto circa un mese fa, risulta essere una donna milanese di 25 anni che nel novembre 2019 aveva avuto una dermatite atipica, oggi confermato come caso di Covid-19, seppure solo con questo sintomo). Il 4 marzo ci sono in tutto 2.700 casi documentati nel nostro paese. L’8 marzo, con un indice di trasmissibilità del virus indicativo tra il 2 e il

3 tutta la Lombardia si trasforma in una ‘zona arancione’ insieme alle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, VerbanoCusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Il provvedimento, annunciato dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, un passaggio storico, riguarda 16 milioni di persone. Nel giro di 48 ore le misure vengono estese a tutta l’Italia e poi inasprite l’11 marzo quando il governo annuncia il lockdown. Ansia, incertezza, sofferenza e isolamento attanagliano gli italiani. Arriva anche lo stop ai funerali: i malati di Covid soffrono, isolati, negli ospedali; muoiono da soli, senza un conforto, senza un ultimo saluto. Il virus si scatena, i pronti soccorsi degli ospedali tracimano di persone, le terapie intensive si intasano, il personale sanitario registra le prime vittime in quella che è una vera e propria dannata guerra. Il Paese si ferma. A distanza di un anno, dopo cervellotiche restrizioni, chiusure alternate ad aperture spesso incoscienti e poco lungimiranti, scelte spesso incomprensibili in netto contrasto con i suggerimenti del Comitato scientifico nazionale, la situazione al 2 marzo 2021 è la seguente: in Italia sono stati registrati 17.083 nuovi casi di

di marco morelli

a distanza di un anno dall’inizio della pandemia la situazione si presenta, nonostante i vaccini, alquanto complicata


il ministero della salute si ostina a raccomandare l’uso di tachipirina e “vigile attesa”. i medici della terapia domiciliare, e non solo, la ritengono un’assurdità coronavirus e 343 vittime. I casi totali da inizio epidemia sono 2.955.434, i morti 98.288. Il tasso di positività del 5,1%. “Prevalente la variante inglese in Italia, la percentuale è al 54%”afferma l’Istituto Superiore di Sanità. Il solito bollettino di guerra, tra l’incredulità dei molti, la disperazione di tante famiglie colpite da lutti, il pessimismo di una popolazione che non vede la luce alla fine del tunnel e non si sente cautelata dalle scelte del governo centrale e regionale. Per quanti riguarda i vaccini la situazione è di per se poco confortante, con una cronica disorganizzazione in termini di somministrazioni che complica un panorama desolante fatto di ritardi di consegne, mancati acquisti, lunghissimi tempi di realizzazione di vaccini in territorio nazionale. C’è chi “procede” ugualmente con prodotti non ancora autorizzati dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA): a San Marino vengono già somministrate, infatti, dosi del vaccino russo contro il coronavirus Sputnik V. In questo marasma generale l’unica luce nel buio totale è rappresentata da un movimento di autentici “Angeli” che si è costituito in un Comitato, il Comitato cure domiciliari Covid-19 che, snobbato dalle Istituzioni e dagli organismi sanitari, continua in modo stoico la propria battaglia contro il virus salvando quotidianamente, come ha già fatto in passato, centinaia di vite. IL COMITATO CURE DOMICILIARI COVID In molti si chiedono se si può curare la Covid-19 a casa propria. Le linee guida ufficiali sulla gestione domiciliare dei pazienti Covid-19, pubblicate dal Ministero della Salute il 30 novembre 2020, non forniscono ad oggi nessuna terapia. E’ notizia recente, del 2 Marzo 2021, rilasciata da parte di una autorevole rappresentante di AIFA du-

rante la trasmissione di Mario Giordano “Fuori da Coro”, che si sarebbe messo mano all’attuale scarno protocollo (che raccomanda unicamente l’uso di Tachipirina e “vigile attesa”) per aggiornarlo con nuove indicazioni di intervento farmacologico. Secondo l’attuale protocollo ministeriale, infatti, la Covid-19 o si risolve da sola oppure, se peggiora, richiede il ricovero in ospedale. Il Comitato Cure Domiciliari Covid ritiene, invece, che si possano fermare in modo efficace molte delle conseguenze più gravi della Covid-19 a casa propria, utilizzando farmaci non raccomandati dalle organizzazioni ufficiali, come ad esempio l’idrossiclorochina. Ma cerchiamo di sapere qualcosa di più di questo Comitato che giorno dopo giorno, alla faccia dell’ostracismo di alcuni media, fa sempre di più parlare di se. Il Comitato Cure Domiciliari Covid-19 ha come fondatore non un medico ma l’avvocato Erich Grimaldi del Foro di Napoli, che già il 14 marzo 2020 aveva creato il gruppo Facebook “#EsercitoBianco”, concentrato sul supporto agli operatori sanitari impegnati nella lotta contro la Covid-19, che si è evoluto in un altro gruppo Facebook fondato il 19 aprile 2020, chiamato “#TerapiaDomiciliareCovid19 in ogni Regione”, dove si confrontano medici di varie regioni per coordinarsi sulle terapie domiciliari precoci e vengono raccolte le richieste di assoluta necessità ed emergenza degli iscritti alla pagina. Nel Comitato sono confluiti i “Medici in Prima Linea” della Lombardia, dal nome del gruppo Whatsapp in cui si coordinavano: tra di essi il dottor Andrea Mangiagalli che oggi è parte del consiglio scientifico del Comitato. Dall’intenso lavoro di questo gruppo, a novembre 2020, è nato proprio l’attuale Comitato che è altresì in contatto con medici all’estero, in particolare con medici brasiliani e con l’epidemiologo americano Harvey Risch, specializzato in epidemiologia

il comitato e anche il prof. remuzzi dell’istituto mario negri concordano nella tempestivita’ di curare i “sospetti covid” anche prima di aver fatto il tampone dei tumori e affiliato alla Yale School of Public Health. Ad oggi, l’azione pubblica più concreta e nota del Comitato è stata l’azione legale che ha costretto l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) a rendere di nuovo permissibile l’uso dell’idrossiclorochina nella terapia di Covid-19 dopo che ne era stato bandito l’uso a seguito di uno studio evidentemente “pilotato” e pubblicato sulla famosa rivista scientifica “The Lancet”, incredibilmente poi ritirato e fatto scomparire dalla rivista medesima. #TERAPIADOMICILIARECOVID19 Nel gruppo Facebook “#TerapiaDomiciliareCovid19”, che conta oltre 100.000 membri, i post che richiedono aiuto ed assistenza vengono quotidianamente pubblicati da molti pazienti Covid-19 o sospetti tali, che vengono messi in contatto da parte degli amministratori del gruppo (una quarantina di persone) con i medici disponibili ad assisterli. Per quanto riguarda lo «schema terapeutico di cura domiciliare», il medesimo viene condiviso esclusivamente tra i medici coinvolti, per evitare che le persone lo possano adottare, erroneamente, come cura “fai da te”.

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diritto per i medici di somministrare cure per la Covid-19 senza dover aspettare il tampone positivo. In tutti i casi si raccomanda di intervenire precocemente quando ci sono sintomi evidenti per Covid e qualora il paziente sia in una fascia di rischio ovvero oltre i 50 anni di età e con altre malattie importanti come diabete, broncopatie o tumori, onde anticipare ed evitare qualsiasi tipo di complicazione. Un esempio di schema terapeutico simile è stato pubblicato dall’epidemiologo statunitense di riferimento del Comitato, Harvey Risch, in un articolo scientifico del 6 agosto 2020 (vedi foto schema nella pagina a fianco).

Sono proprio i medici del Comitato ad evidenziare in ogni occasione e sede che le cure domiciliari devono essere adattate alle condizioni di ogni paziente. E’ risaputo, dall’altra parte, che esistono dei pilastri sui quali si regge questo protocollo che si identificano in principi attivi quali idrossiclorochina, eparina, azitromicina, desametasone, ed integratori quali vitamina D, Zinco, etc. Ma il fattore determinate risultano essere le tempistiche di somministrazione: secondo il Comitato non c’è bisogno di aspettare il tampone per iniziare le cure, concetto ribadito peraltro anche dal prof. Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano. Gli avvocati Grimaldi e Piraino, il 6 maggio 2020, hanno ottenuto, infatti, dalla regione Lazio il

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IL CASO DELL’IDROSSICLOROCHINA Originariamente farmaco antimalarico, l’idrossiclorochina è oggi normalmente prescritta contro malattie autoimmuni quali l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso. L’opinione scientifica sull’idrossiclorochina dei medici del Comitato è contenuta in una relazione scientifica che il Comitato ha fornito al Consiglio di Stato durante il contenzioso con Aifa. In questa relazione, dove vengono analizzati numerosi studi sul farmaco, si pone l’accento sul fatto che gli studi attualmente disponibili sono principalmente condotti su pazienti già ospedalizzati, o viceversa pazienti paucisintomatici/asintomatici, addirittura come profilassi prima dell’infezione, e spesso a dosaggi molto elevati. Lo schema terapeutico del Comitato invece è mirato su una classe specifica di pazienti: coloro che non si trovano ancora in ospedale, ma che hanno sintomi rilevanti e

fattori di rischio e che verrebbero trattati con dosi basse di farmaco. Secondo il Comitato non ci sono veri e propri studi clinici sperimentali che prendono in esame l’esatto protocollo da loro adottato, e quindi non è possibile affermare che l’idrossiclorochina, nell’uso da loro proposto, sia inefficace. Il Comitato si rivolge quindi ai cosiddetti studi osservazionali, che indicherebbero invece alcune capacità del farmaco nel ridurre ospedalizzazioni e decessi. Materiale che andrebbe preso in considerazione in attesa di studi clinici mirati: come afferma il dott. Mangiagalli «in una condizione in cui nessuno riesce a produrre evidenze di prima qualità ci dobbiamo fidare degli studi osservazionali, che fino a 20 o 30 anni fa erano la base su cui fondavamo la scienza medica». E’ evidente, in ogni caso, che non ci sarebbero controindicazioni significative all’uso di idrossiclorochina per brevi periodi, e quindi non ha senso evitare il farmaco. Su questo sia il Comitato sia le evidenze scientifiche disponibili sono almeno parzialmente d’accordo: il rischio di aritmia cardiaca (uno dei principali effetti collaterali dell’idrossiclorochina) esiste in teoria ma sembra minimo nei regimi finora testati. È però vero che, nei pazienti ricoverati in ospedale, il rischio di morte per cause cardiache è leggermente più alto con l’uso di idrossiclorochina. In ogni caso ricordiamo che, se si decide di assumere questo farmaco, va fatto assolutamente sotto stretto controllo medico.

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speciale #terapiadomicilare Covid19

il medico milanese fa parte del Consiglio Scientifico del Comitato cura domiciliare covid 19

dott. andrea mangiagalli

Il nostro protocollo funziona, ma le Istituzioni non ci considerano

a cura di marco morelli

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sercita la professione medica da almeno 30 anni ed è una delle colonne portanti del consiglio scientifico del Comitato Cura Domiciliare Covid-19. Abbiamo incontraro il dott. Andrea Mangiagalli, 59 anni, milanese d.o.c., attualmente medico di base a Pioltello (Mi), comune di 37.000 abitanti che fa parte dell’hinterland est di Milano, nel territorio della Martesana. #terapiadomicilare Covid19: ci racconta in estrema sintesi la sua esperienza e come nasce questo gruppo di lavoro? “Ho iniziato a curare questa malattia fidandomi di quello che c’era stato detto ovvero che era una polmonite interstiziale, che non esisteva nessuna cura e che avremmo dovuto tele-monitorare i pazienti a domicilio in base a parametri quali saturazione e temperatura corporea, quest’ultima da tenere sotto controllo con paracetamolo, e null’altro. All’inizio, a tutti noi medici sembrava una cosa ragionevole ma, dopo il primo mese, potevamo constatare soltanto tante ambulanze in arrivo

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al pronto soccorso con pazienti in grandissima difficoltà respiratoria che alla fine sono morti. Acquisendo, quindi, quanto stava succedendo negli ospedali è nata l’iniziativa da parte di alcuni medici del milanese che, dopo essersi estesa a livello nazionale grazie all’intervento dell’avvocato Grimaldi che ha creato dei “live” su Facebook, delle “dirette” in parole più semplici dove ci si relazionava con medici di varie regioni, ha dato origine ad un vero e proprio gruppo di persone che ha iniziato a trattare precocemente i pazienti a domicilio sulla base delle informazioni che i medesimi ci trasmettevano senza più attendere i canonici 10 giorni per vedere come andavano le cose. Mi riferisco soprattutto ad una determinata fascia di pazienti che avevamo capito essere a più alto rischio, ovvero maschi dai 50 anni in su, con patologie croniche, diabete di secondo tipo, ipertensione, malattie oncologiche, che erano quelli che andavano più rapidamente in stress respiratorio con tutta un serie di complicanze che si verificavano poi in ospedale a seguito di manovre rianimatorie, ventilatorie, che hanno causato molte morti. Abbiamo deciso che non era più il caso di aspettare e di applicare, quindi, immediatamente, un protocollo con i farmaci che avevamo a disposizione in quel momento, e che sono quelli che tuttora usiamo. Un protocollo condiviso con altri medici a livello mondiale, che ha dato per tutti lo stesso risultato ovvero che intervenendo precocemente, soprattutto con questa tipologia di pazienti, si ha una malattia più controllabile, puntualizzando che, nei casi sporadici dove si è resa necessaria l’ospedalizzazione, la maggior parte degli stessi pazienti non raggiungevano nemmeno la terapia semi-intensiva ma si rimettevano, anche abbastanza velocemente, dopo essere stati in un reparto di semplici cure mediche. Sono convinto, peraltro, che i pazienti, soprattutto quelli anziani, si trovino in grandissimo stato di shock e disagio in un reparto di terapia intensiva, con un casco in testa, soli. Ho trattato, e continuo a curare a casa, pazienti con livelli di saturazione molto bassi e patologie complesse quali Parkinson, Alzheimer, diabete, ovviamente informando i familiari che quella che svolgiamo è una condizione limite, perchè sul territorio non abbiamo nessuna struttura di supporto né infermieristica, né diagnostica,

Abbiamo deciso che non era più il caso di aspettare e di applicare quindi immediatamente un protocollo con i farmaci che avevamo a disposizione in quel momento e che sono quelli che tuttora usiamo. e quindi ci si affida solo alla clinica, ovvero la visita del malato, l’auscultazione del torace e il rilevamento dei parametri. Nella prima fase ci siamo inventati, ancor prima che si parlasse di telemedicina, le chiamate via whatsapp coi pazienti in forma assolutamente “live“, capendo come respiravano e vedendo come stavano.” Molti dei suoi colleghi hanno sempre evidenziato la frase “Siamo in guerra” e si sa bene che, in condizioni di emergenza, ci si deve arrangiare con quello che si ha per salvare vite. Il dott. Cavanna, suo collega, ha raccontato in più occasioni delle visite fatte a domicilio ai propri pazienti, dell’uso di un ecografo portatile, etc. Lei stesso, probabilmente, ove può

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la vaccinazione non decolla, i numeri dei contagi aumentano e non si vuole mettere al centro l’aspetto della cura precoce. È la tempesta perfetta.

Il Diott. Andrea Mangiagalli

raggiungere un paziente fisicamente, userà le tecnologie che in emergenza si possono trasportare a domicilio. Ma io leggo sulla vostra pagina Facebook di numerosissimi pazienti curati “a distanza” dove, ad esempio, un medico di Pisa si fa carico di un paziente di Taranto, e soprattutto di tanti successi a distanza, senza quindi la visita a domicilio del medico e l’uso di tecnologie trasportabili. Me lo conferma? “Noi stiamo continuando a curare, devo dire purtroppo, i pazienti anche al telefono: ormai abbiamo acquisito una dimestichezza con questi sintomi per cui se il paziente ti riferisce un determinato parametro di saturazione, una frequenza cardiaca, una frequenza respiratoria, senti se tossisce mentre parla, gli fai fare un test del cammino per 5 minuti e vedi che la saturazione scende, non c’è nessuna malattia diversa da una polmonite da Covid. A quel punto si fa una raccolta e una analisi delle malattie del paziente e dei farmaci che prende, e si decide una terapia di conseguenza per andare perlomeno a fermare la prima fase della malattia, perché prima si interviene e meglio è.” Quali sono i sintomi reali che devono allarmare (basta un semplice mal di gola o un po’ di tosse stizzosa senza febbre?) ed innescare una corsa sensata al consulto immediato e quali sono gli step da parte del medico di #terapiadomiciliare. per fare un quadro base delle condizioni del paziente?

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“Sicuramente la febbre è un sintomo importante nel senso che i pazienti che hanno 38,5/39,5 di febbre manifestano un sintomo fondamentale. Se a questi sintomi si associano dei dolori intensi diffusi a tutte le ossa, tosse e abbassamento della saturazione ci sono pochi margini di dubbio e la situazione è sicuramente importante e da affrontare immediatamente. Poi ci sono pazienti che hanno avuto vomito, diarrea, cefalea, perdita di gusto e olfatto, ma quelli sono sintomi di quadri meno complicati. Un paziente in salute ha saturazione con valori che oscillano tra i 98 e 99, se ci riferisce che ha valori tra i 93-94 già suona un campanello d’allarme. Se dopo averlo fatto camminare per 5 minuti la saturazione scende a 90 è evidente che il polmone presenta qualche problema. Diventa quindi importante contattare subito un medico convinto che questa sia una fase dove bisogna attivarsi subito per una cura mirata”. In alcune interviste il suo collega dott. Cavanna ha messo ben in evidenza la codificazione in 5 stadi della malattia, con l’uso di relativi rimedi farmacologici che devono essere prescritti e dosati, “su misura”, per ogni paziente, da un medico. 1°stadio. Asintomatico: nessuna cura. 2°stadio. Polmonite semplice: idrossiclorochina, eparina, azitromicina e cortisone (desametasone o prednisone) 3°stadio. Polmonite di moderata gravità: ai farmaci si aggiunge l’ossigeno a domicilio. 4°e 5° stadio. Forma severa e di pre-collasso:

è necessario il ricovero in Ospedale. Da par suo Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri, consiglia una strategia da seguire a casa, esclusivamente sotto controllo medico. Quando si avvertono i primi sintomi, ancor prima di fare il tampone, bisogna assumere non un antipiretico come la tachipirina, ma farmaci antinfiammatori, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale: Celecoxib oppure Nimesulide oppure se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione anche un corticosteroide, come il desametasone. Sono queste le armi che avete oppure ci sono nuovi approcci e metodologie che state sperimentando con successo? “Sicuramente la terapia come ha indicato il dott. Cavanna si basa su questi tre pilastri che sono stati peraltro molto attaccati dalla scienza ufficiale: l’azitromicina, ad esempio, perché secondo la scienza ufficiale è un antibiotico che non serve in una prima fase, ma anche l’idrossiclorochina, perché sembra che faccia un male pazzesco ai nostri pazienti, cosa che invece non accade, anzi. Voglio ricordare, invece, l’eparina che è un altro presidio importante, che non è stato citato precedentemente, perché questa è una malattia che ha un aspetto trombotico molto precoce. Remuzzi ha si affermato di usare il Celecoxib, che è un antinfiammatorio particolare o la Nimesulide, anche se a dire il vero la stessa AIFA quest’ultimo principio attivo l’aveva sospeso qualche anno fa, perché poteva dare problemi epatici ma, soprattutto, non era da usare in pazienti febbrili. L’informativa appare ancor oggi sul sito ufficiale di AIFA, cosa che a mio avviso andrebbe ridiscussa. In generale quanto dice il prof. Remuzzi fa un po’ da pendant con quello che noi diciamo, ovvero che non si può aspettare e dare un antipiretico per due motivi: il primo perché la Tachipirina danneggia il Glutatione epatico, e quindi ha un effetto negativo sulla malattia che ha uno stress ossidativo elevato e il secondo è il fatto che nasconde il sintomo. Se io prendo la Tachipirina ogni 6 ore non vedrò mai la febbre che sale, il paziente è convinto di stare bene mentre invece peggiora. Stesso discorso, attenzione, vale per il cortisone, perché se dato in una prima fase, ovvero a pazienti che non hanno ancora bisogno dell’ossigeno, probabilmente non ha un grosso significato tant’è vero che noi lo usiamo in una fase successiva all’antibiotico, quando c’è già stata una protezione da infezioni. Questo perché il cortisone, se da una parte protegge dall’infezione di tipo virale, può d’altra parte anche favorire un’infezione batterica e quindi è un’arma da usare con molta attenzione, tant’è che molti pazienti che oggi vengono ricoverati in ospedale ci arrivano anche per un uso scriteriato del cortisone medesimo.” Oggi avete un gruppo di 300 medici “formati” come #terapiadomicilare Covid19 e una pagina Facebook dove migliaia di utenti, abbandonati a loro stessi, si rivolgono in modo disperato al Vostro aiuto. Qual è il rischio che questa iniziativa straordinaria vada in stallo? “Il problema è che non abbiamo un medico di base, o di prossimità, che vada a visitare,

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Campagna di comunicazione promossa da E.R.I.C.A. soc. coop. E.R.I.C.A. soc.coop., leader della comunicazione ambientale in Italia, nasce nel 1996 con l’obiettivo di occuparsi di ambiente, sia in termini di comunicazione che di supporto tecnico a enti pubblici e organismi privati. L’acronimo rispecchia le principali aree in cui la società è suddivisa: Educazione, Ricerca, Informazione, Comunicazione Ambientale. E.R.I.C.A. promuove in Italia la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (EWWR) e fa parte del Comitato promotore nazionale. In quasi 25 anni di attività ha lavorato con oltre 2000 tra Comuni, Province, Regioni, Consorzi e aziende in tutta Italia, Europa e in diverse parti del mondo.


speciale #terapiadomicilare Covid19

ad esempio, un paziente in un paese sperduto dell’appennino o di un piccolo paese dell’Emilia profonda. Ci sarebbe molta più capacità di cura se noi potessimo contattare i medici curanti e convincerli ad essere più attivi ad andare a visitare non dico tutti i pazienti, ma il paziente anziano, il paziente che ha la febbre o anche la persona che ha 52 anni ma la febbre da 8 giorni. Secondo noi il non visitarlo oggi è un assurdo. Cerchiamo, da mesi, di sensibilizzare i colleghi e, paradossalmente, ci stiamo pure prendendo degli insulti: ad esempio, sulle pagine Facebook dei gruppi di medici di medicina generale che io frequento ogni tanto, ove viene postato qualche mio video e qualche mia intervista, il commento più gradevole che ottiene è che noi saremmo dei “praticoni”. Dall’altra parte, se noi abbiamo così tante richieste di pazienti che non trovano la disponibilità e la presenza del proprio medico condotto che dia loro una risposta, oppure se rileviamo che la risposta dei medici di base è “sarà un’infreddatura, aspetti a casa e veda che succede”, vuol dire che qualcosa proprio non funziona. Per cui, se qualcuno comincia a capire che essere reperibili almeno per telefono per un numero congruo di ore durante la giornata, e che telefonare ai pazienti a casa per sapere come stanno è una cosa fondamentale, già quello sarebbe un grande lavoro di supporto. Se a questo si aggiungono le cure sopracitate, e se a questo si aggiunge la visita dei pazienti più complicati, diciamo che avremmo fatto un gran bel lavoro.” I media hanno incredibilmente sottodimensionato questa iniziativa che avrebbe potuto salvare migliaia di persone e che ne potrebbe salvare altrettante. Solo Mario Giordano, e pochi altri colleghi, hanno dato visibilità e voce al vostro comitato. Che idea si è fatto dottore? “Che c’è un ostracismo veramente incredibile su questa cosa perché intanto ci fanno il pelo e contropelo sul fatto che usiamo questi farmaci che sarebbero, secondo loro, destituiti di alcuna fondatezza scientifica; ma la cosa incredibile è che nessuno sia andato a vedere che pazienti stiamo trattando. Il non far ricoverare i pazienti che a casa hanno 84-85 di saturazione basale e che poi, con l’uso dell’ossigeno, arrivano a 94-95 è un successo clamoroso in primis per i pazienti, e in seconda battuta perché si evita di sovraccaricare gli ospedali. Il vantaggio diventa duplice, perché si garantisce l’interesse del malato a casa, e si permette agli ospedali di curare gli altri pazienti che hanno problemi diversi dal Covid, che ad oggi non possono essere affrontati. Un malato di Covid posso curarlo a casa, ma per un’angioplastica o una protesi d’anca serve una struttura ospedaliera che oggi ha padiglioni intasati e medici e anestesisti che si dedicano unicamente a curare il Coronavirus.” Sono mesi che il Comitato Cure Domiciliari chiede confronto con il Governo: quali sono oggi i vostri obiettivi e le Vostre speranze? Quali “aperture” avete riscontrato? “Guardi, noi abbiamo mandato nel mese di aprile a tutte le Regioni, a tutti gli Assessorati alla Sanità e al Ministro della Sanità una Pec per raccontare quello che stavamo facendo, proprio per essere chiari e trasparenti. Non ci ha risposto ovviamente nessuno. Io ho avuto un piccolissimo contatto nella trasmissione di Mario Giordano “Fuori dal Coro” con il vice-Ministro alla sanità Sileri, che è

“Per combattere il covid ci sono quattro pilastri: prevenzione (il distanziamento), le cure, i ricoveri ospedalieri e il vaccino. Se non si investe sulle cure viene meno una gamba e il tavolo non sta in piedi” stato l’unico contatto istituzionale finora avuto. Abbiamo parlato in Regione Lombardia già nella prima fase con Gallera e anche recentemente con un esponente della Lega, portando tutti i nostri dati…ma nonostante tanti sforzi la risposta finora è stata zero. Ci considerano poco di più che degli sciamani. Addirittura AIFA, quando c’è stato il ricorso al Consiglio di Stato, ci ha soprannominato “Improbabile Comitato scientifico”. Faccia conto che in quel gruppo che ha presentato il documento c’erano fior di professionisti quali il dott. Luigi Cavanna, direttore del Dipartimento di Oncologia-Ematologia dell’Ospedale di Piacenza cui il “Time” ha dedicato un ampio servizio, il Prof. Alessandro Capucci, Professore Ordinario presso Università Politecnica delle Marche, il dott. Fabrizio Salvucci, cardiologo che esercita nel pavese, il Prof. Serafino Fazio, ex professore associato di medicina interna dell’Università Federico II di Napoli, il dott. Sergio Grimaldi, primario di Chirurgia Generale e Laparoscopia Napoli, etc. cioè gente stimata che ha pubblicato e che fa un lavoro meramente scientifico da anni. E la cosa incredibile è che lavoriamo tutti per il servizio pubblico e non abbiamo alcun conflitto d’interesse: sotto ai nostri

curriculum c’è scritto “zero conflitti d’interesse” cosa che non può esser detta invece per tutti gli altri che parlano invece in televisione da tanti mesi a questa parte.” Noi di MCG siamo dalla Vostra parte dottore, vi seguiamo da mesi e siamo increduli e basiti che nulla ancora si sia mosso nella direzione da voi auspicata nonostante i risultati eccezionali da voi riportati sinora. Siamo onorati di dare visibilità al vostro comitato e ci auguriamo che i medici della nostra Area di diffusione, che leggeranno questa edizione straordinaria, sappiano raccogliere il vostro appello e che il medesimo possa salvare numerose vite come avete fatto finora. “L’idea che si possa fare qualcosa di diverso dal chiudere tassativamente tutto e ricoverare le persone in ospedale, secondo me è una strategia che va pensata, come si suol dire in anglosassone, “Out of the box”. Se pensiamo tutti nello stesso modo, e nella stessa scatola, non verremo mai fuori. Se uno esce e guarda il problema da fuori, la scelta di cambiare la prospettiva nel trattare questa malattia potrebbe essere l’opzione del futuro.”

abbiamo mandato nel mese di aprile a tutte le Regioni, a tutti gli Assessorati alla Sanità e al Ministro della Sanità una Pec per raccontare quello che stavamo facendo proprio per essere chiari e trasparenti. Non ci ha risposto ovviamente nessuno.

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L’oncologo piacentino che sostiene il ruolo vitale delle cure domiciliari precoci

dott. LUIGI CAVANNA

La terapia efficace per spegnere sul nascere il Covid 19

a cura di GIACOMO GABRIELE morelli

è

nella tormentata primavera del 2020, in pieno marasma da Covid che, nel panorama medico italiano completamente nel panico, si distingue una figura che riscuote immediatamente notevole interesse mediatico. E’ quella del Professor Luigi Cavanna, piacentino, oncologo, Direttore del reparto di OncologiaEmatologia dell’ospedale di Piacenza, più di 250 lavori scientifici censiti prodotti. A marzo 2020 gli ospedali sono ormai ridotti a lazzaretti collassati per sovraffollamento, con personale stremato che si prodiga senza soste con eroica abnegazione, costretto a volte a scegliere chi tentare di salvare e chi no. In quei giorni, in controtendenza rispetto alla prassi di ricoverare in ospedale ogni malato apparentemente in difficoltà, il prof. Cavanna esterna ai media la propria esperienza operativa estremamente positiva: i malati di Covid che egli cura a domicilio raramente necessitano di un ricovero ospedaliero, e nessuno mai è deceduto. Ancor oggi egli racconta “i ricoverati in ospedale venivano curati con due farmaci per

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bocca: idrossiclorochina ed antivirali, oltre a ossigeno e terapia di supporto. Gli stessi farmaci però potevano essere somministrati a domicilio, in una fase molto più precoce e quindi con una efficacia antivirale molto più elevata. Ma nessuno ancora lo faceva. I pazienti arrivavano in ospedale dopo giorni o settimane di febbre, tosse, malessere, poi dispnea da sforzo e dispnea a riposo, quindi già con un quadro fortemente compromesso. Ho proposto allora di tentare di fermare l’onda di malati prima dell’arrivo al pronto soccorso, così la Direzione dell’ospedale ha preso la decisione di formare squadre di intervento rapido a domicilio e la mattina dopo con il mio caposala siamo partiti per le visite a domicilio, protetti come astronauti». A questa coraggiosa iniziativa la più famosa rivista del mondo, l’americana “Time” con decine di milioni di lettori, dedica in aprile un grande servizio, ma in Italia la considerazione per le terapie domiciliari non decolla. Non demorde invece il prof. Cavanna, che mese dopo mese vede crescere attorno a sé il consenso di centinaia di medici di base, che “copiano” il suo esempio, con notevoli risultati. Il Ministero della Salute però ad un certo punto vieta l’impiego dell’idrossiclorochina e di altri antivirali impiegati sino a quel momento nella terapia anti-Covid, lasciando i medici di base privi delle armi che davano i migliori risultati, e innescando inevitabili polemiche. Solo a dicembre 2020 l’idrossiclorochina verrà riammessa dal Ministero, consentita “sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico”; una fredda forma di consenso ma non una condivisione ufficiale del suo impiego. Ciononostante l’incremento dell’assistenza domiciliare registra sempre numeri più elevati, nonostante il Ministero della Sanità continui ad esprimersi per terapie domiciliari molto blande. E siamo ad oggi, in un quadro tutt’altro che soddisfacente. Prof. Cavanna le siamo grati come cittadini per avere scalfitto quel muro di immobilismo erto sì da una patologia sconosciuta, ma pure dall’incapacità di capitalizzare le conoscenze che via via si sono ottenute. Gran parte della società non ha ancora capito, dopo un anno, la gravità dello stallo sanitario provocato dal Covid, che sta causando la mancata cura ne-

Con l’impiego precoce di poche medicine di uso comune la gestione del Covid si può effettuare con successo senza ospedalizzare l’ammalato

gli ospedali dei malati “normali”, con aumento dei decessi per altre patologie. “Certo. Ambulatori ospedalieri chiusi. Visite conseguentemente a pagamento in strutture private per fare accertamenti. Sale operatorie chiuse. Un problema molto grosso che di fatto è parallelo nella sua gravità con quello del Covid. Le altre patologie nel frattempo non sono sparite, penso ai malati oncologici, ai cardiopatici, ai colpiti da ictus. Tutti pazienti trascurati, non seguiti a causa dei loro reparti occupati dai malati di Covid.” Professore i contatti che ha maturato in questi mesi le hanno permesso di capire come avviene l’assistenza domiciliare Covid negli altri

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Il Ministero non tiene in debito conto le terapie adottate con successo per migliaia di pazienti che hanno sconfitto il covid nel letto di casa

Il Prof. Luigi Cavanna

stati europei, come si comportano all’estero i medici di fiducia e che disposizioni hanno dai loro Ministeri? Di tutto questo i media italiani non parlano, non se ne sa nulla. “I contatti che ho avuto mi consentono di dire che all’estero molto più che da noi hanno capito l’importanza dell’assistenza dei malati di Covid sul territorio. La considerazione logica che non tutti fanno è che il Covid è una malattia infettiva, altamente contagiosa, che nella maggior parte si risolve con sintomatologie leggere ma che in una percentuale di casi provoca gravi forme che possono portare al decesso; per quale motivo dunque attendere un peggioramento, sino a farsi ricoverare con esiti anche drammatici, quando esiste la possibilità di fare una precoce cura a domicilio? Parlando di Paesi esteri esiste proprio una corrente di pensiero basato su tesi scientifiche prodotte dall’Università di Yale di New Haven (USA), che ha trovato concordi moltissimi professionisti degli Stati Uniti, e che sin da aprile 2020 sosteneva che c’era bisogno urgente di cure precoci domiciliari prima che i pazienti peggiorassero e venissero poi ricoverati in condizioni polmonari già seriamente compomesse da tromboembolie, rischiando la vita. Quindi già in altri Paesi si sta insistendo molto su questa attività di cura precoce, come avviene in tutte le malattie infettive. Se abbiamo una malattia infettiva non causata da Covid che ci provoca una polmonite, non la

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curiamo tempestivamente? Questo invece non lo facciamo col Covid. Si temporeggia in modo autolesionistico, è questo il non senso di ciò che accade oggi. Si prende/perde tempo accampando come motivazione che “non c’è una cura per il Covid”. Questo non è più vero perché da un lato abbiamo studi randomizzati, studi teorici fatti di confronto (si constata se la cura A ha dato migliori o peggiori risultati della cura B), e dall’altro abbiamo proprio l’Università di Yale che dice “attenzione, siamo in una situazione d’emergenza, per cui bisogna anche analizzare le esperienze dirette di chi ha curato i pazienti sul campo”. Moltissimi medici hanno curato il covid sul campo. I primi tre mesi avevamo a disposizione diversi farmaci, che poi per motivi poco trasparenti ci sono stati tolti; dico “motivi poco trasparenti” perché basati su uno studio che si è rivelato falso. In una situazione d’emergenza come questa, si deve far tesoro della medicina basata sull’evidenza delle cure di tutti i giorni, ed essa deve poi essere utilizzata da chi fa le scelte: gli organi regolatori come la nostra AIFA o l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi in una situazione d’emergenza, con una malattia che miete ancora ogni giorno tantissime vittime ad un anno dalla sua insorgenza, facciamo un esame di coscienza tutti quanti: se si è evidenziato che qualcosa funzionava nella pratica clinica andiamo ad esaminare questi

pazienti guariti che sono migliaia, prendiamo i risultati, vediamo come sono stati curati e sosteniamo questa cura. Perché si tratta di iniziare una cura che si esaurisce in 6-7 giorni, con una durata ben definita, purché siano precoci i tempi con cui essa viene iniziata. Chi ne ha bisogno? Sono le persone che cominciano ad avere 38 o più di febbre, con tosse che persiste e stanchezza profonda: queste sono persone che hanno già bisogno di un trattamento tempestivo.” A questo punto le rivolgo una domanda che interesserà particolarmente il lettore. Se un giorno ci si ritrovasse con i sintomi che lei ha indicato, cosa occorre fare per agire tempestivamente e combattere il Covid? Al momento i medici di fiducia hanno la disposizione ministeriale di prescrivere solo Tachipirina e restare in attesa. “La cosa corretta da fare è che il paziente venga visitato sollecitamente dal medico di fiducia, da che mondo è mondo per fare una diagnosi il medico deve visitare il paziente; nel caso il medico di base sia impossibilitato per eccessivi impegni bisognerebbe poter contare su qualcun altro. Deve essere strutturato un intervento a domicilio, che siano le cosiddette Unità Speciali di Continuità Assistenziale o qualsiasi altra organizzazione non importa, ma che siano medici con una sufficiente esperienza che, adeguatamente protetti, possano andare nelle case a visitare i malati. Queste unità di intervento dovrebbero disporre di un piccolo ecografo portatile, uno strumento poco costoso che sta nella tasca di un cappotto, e in cinque minuti si fa un’ecografia al torace. Se viene riscontrato un principio di polmonite si inizia immediatamente la terapia con una copertura antibiotica e, al posto della Tachipirina / paracetamolo, funzionano meglio i farmaci antiinfiammatori, come sostenuto ormai da nomi prestigiosi della medicina mondiale. E poi ci sono altri farmaci in fase sperimentale che hanno mostrato una certa efficacia, come la colchicina, e possiamo nominare ancora quel farmaco che si chiama idrossiclorochina e vedere se a dosi basse, somministrato per sette giorni, dà dei buoni risultati come li diede durante la prima ondata. Quindi ricapitolando la metodologia: il paziente deve essere visitato, se ha dei sintomi va impostata una terapia, e poi va monitorato anche in remoto tramite il saturimetro a casa e poi con i controlli che si possono fare telefonicamente.” La terapia iniziale è subordinata all’esame ecografico che ha menzionato o preventivamente si può iniziare una forma di protezione? “L’esame ecografico è un’aggiunta che permette una diagnosi più precisa, ma visitando il paziente, auscultando il torace e valutando il quadro generale ci si rende già conto se il paziente è da trattare farmacologicamente, per cui: antibiotico, antiinfiammatorio, eventualmente eparina e cortisone. Importante il saturimetro per monitorare la saturazione del sangue. Ma, ripeto, è indispensabile la visita del medico.” Quindi nell’impossibilità di essere visitati rapidamente, mi riferisco ai pazienti meno assistiti, la mancanza di una diagnosi sconsiglierebbe

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l’assunzione di farmaci in attesa di fare un tampone e di avere maggiori certezze. “Che ci condiziona non è tanto il tampone, ma è la visita del paziente da parte di un medico sufficientemente preparato. Prendere delle medicine su base soltanto preventiva non è corretto, anche perché le medicine spesso qualche effetto collaterale negativo lo danno. Per cui: visitare il malato, capire com’è il suo stato clinico, capire se ha delle patologie associate (pressione, cuore, diabete, ecc.), e da lì impostare la terapia, facendolo precocemente. Dire al paziente “prenda la Tachipirina, che abbassa la temperatura, e vediamo poi se la situazione peggiora” non si è dimostrata una strategia funzionante. Il concetto base rimane l’impostazione di una strategia di cura precoce fatta a domicilio.” Di fatto la sensazione è che invece vi sia una certa riluttanza da parte del personale medico a prendere iniziative in questo senso. “Ma vede, alla fine i nostri colleghi seguono delle indicazioni date da atti ministeriali; il povero medico di fiducia dice ‘il Ministero mi dice di fare così e io faccio così’. Bisogna invece fare arrivare ai colleghi delle Commissioni tecnico-scientifiche il messaggio che il lavoro fatto sul campo è diverso dalle teorie. Di questi malati che abbiamo curato, e sono migliaia e migliaia, sia della prima ondata che della seconda, andiamo a vedere quali hanno risposto e a quali cure. Questo noi lo stiamo facendo. A livello ministeriale si dovrebbe dire ‘andiamo ad analizzare tutti i risultati ottenuti, anche quelli ottenuti con la pratica clinica, e vediamo con quali farmaci sono stati trattate le migliaia di pazienti seriamente colpiti che sono stati guariti a domicilio’. E’ questo il punto.” Certamente ai neo-contagiati dal Covid, e a tutti noi potenzialmente esposti, non è chiaro se questa indifferenza o incapacità organizzativa degli organi ministeriali sia dovuta ad un atteggiamento di tutela verso i medici di fiducia, ma anche verso il Ministero stesso, nei confronti di possibili accuse di impiego improprio di farmacologia, con relativi risvolti legali, oppure se c’è la scelta più comoda di stare alla finestra attendendo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o guardando quello che si fa all’estero. Comunque sia è una situazione che per tutti è avvilente. “Sono d’accordo, è per questo che presso gli Organi istituzionali occorre sollecitare pressantemente il confronto, e dire che riguardo ai pazienti covid pre-ricovero vi è una medicina che deriva da studi di ricerca randomizzati frammentari e fatti male, per cui c’è un vuoto di conoscenza sulle cure precoci dal punto di vista delle sperimentazioni, mentre decisamente maggiore è la conoscenza fatta sui pazienti trattati dalla pratica clinica con i farmaci antiinfiammatori.

“Facciamo un esame di coscienza tutti quanti: se si è evidenziato che qualcosa funzionava nella pratica clinica andiamo ad esaminare questi pazienti guariti che sono migliaia, prendiamo i risultati, vediamo come sono stati curati e sosteniamo questa cura” Per questo istituti importanti della medicina come il “Mario Negri” si sono schierati contro la Tachipirina e a favore dei farmaci antiinfiammatori. Ora pian piano l’uso del cortisone è stato incrementato ma le cose vanno troppo lente rispetto alla gravità della situazione pandemica.” Professore se non erro lei ha affermato che, con pari assistenza, i malati della seconda ondata impiegano più tempo a guarire. “Sì lo confermo. E’ una mia considerazione personale. Rispetto alla prima ondata ci è stato tolto un farmaco che funzionava. Togliendoci questo ed altri farmaci ora il processo di guarigione è più lento e la percentuale di pazienti sottoposti ad ospedalizzazione più alta.” Professore dal punto di vista emotivo, umano, cosa le sta lasciando questo suo impegno medico-sociale? “Dal punto di vista del contatto con la gente tantissimo. Oltre all’arricchimento personale, quando si può essere utili agli altri è già una grande cosa, e si è contenti anche al termine di giornate che possono essere pesanti; questo da un lato, dall’altro mi ha lasciato più volte perplesso e confesso anche preoccupato la ricerca scientifica.

Non sono nato ieri e so bene che in tutte le cose concorrono interessi, ma l’accanimento non scientifico che ho visto in questa fase così drammatica contro determinati farmaci mi ha colpito nel mio intimo. E poi, a parte il sistema sanitario, mi rattrista naturalmente l’effetto che la pandemia sta avendo sull’aspetto sociale ed economico, a cui non è possibile non pensarci. Quando in Tv sento personaggi dallo stipendio sicuro che invitano a “chiudere qui, chiudere là”, sento un profondo senso di disagio pensando a coloro che perdono il lavoro. Quindi il medico deve dare un maggiore contributo con le terapie domiciliari per far recuperare più precocemente la vita normale alla gente. Oltre al vaccino dobbiamo utilizzare domiciliarmente di più i farmaci che possono far star bene la gente, anche per permettere alla gente di ricominciare a “vivere”. “ Grazie professor Cavanna. Un vivo “in bocca al lupo”.

C’è un vuoto di conoscenza sulle cure precoci dal punto di vista delle sperimentazioni, mentre decisamente maggiore è la conoscenza fatta sui pazienti trattati dalla pratica clinica con i farmaci antiinfiammatori

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l’avvocato napoletano ha aperto, già a marzo 2020, due gruppi nati su Facebook, ovvero #esercitobianco e #terapiadomiciliarecovid19.

erich grimaldi

Il Comitato Cura Domiciliare Covid 19 ha salvato migliaia di vite

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ombattere il Covid-19 a domicilio, tempestivamente, tutelare il diritto alle cure senza alcuna limitazione in ogni regione. E’ questo l’obiettivo del ‘Comitato Cura Domiciliare Covid’, fondato dall’avvocato Erich Grimaldi, composto da medici e cittadini e dotato di un Consiglio Medico Scientifico tra cui figurano il prof. Serafino Fazio, ex professore associato di medicina interna dell’Università Federico II di Napoli, il dott. Fabrizio Salvucci (cardiologo) di Pavia, il prof Sergio Grimaldi (primario di Chirurgia Generale e Laparoscopia) Napoli, il dottor Andrea Mangiagalli (medico di famiglia) di Milano e il dottor Riccardo Szusmki (medico di famiglia) di Santa Lucia di Piave (Treviso). Tutto ha avuto inizio durante la prima ondata quando l’avvocato Grimaldi, del Foro di Napoli, da cittadino attento e preoccupato da ciò che stava accadendo, come molti di noi, ha iniziato a incrociare i dati dei ricoveri e della mortalità nelle diverse regioni, accorgendosi delle enormi differenze. “Mi sono accorto che in alcune regioni i numeri erano altissimi, in altre bassi, anche in casi come Lombardia e Piemonte, che sono regioni confinanti”, ha spiegato il legale, “ho pensato che la ragione fosse da ricercare nella tipologia di assistenza domiciliare, prima ancora che nell’efficacia dei protocolli ospedalieri”. Così l’avvocato ha aperto, già a marzo 2020, due gruppi nati su Facebook, ovvero #esercitobianco e #terapiadomiciliarecovid19, di cui il secondo nei giorni scorsi ha sfondato il traguardo dei centomila iscritti. Si tratta di gruppi che vedono da un lato cittadini in cerca di supporto, confronto e aiuto per affrontare l’epidemia, con costanti nuove richieste di iscrizione ogni giorno e dall’altro i medici del sistema sanitario nazionale che si sono offerti di dare loro una mano. Una sorta di teleassistenza di primo grado, quando ancora non era neppure stata concepita dalle istituzioni. “Sono riuscito a mettere in contatto centinaia di medici di ogni regione, che così hanno così iniziato a dialogare con quelli di altre”, ha proseguito Grimaldi, “condividendo importanti scelte terapeutiche che, in assenza di direttive regionali che

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si adeguassero ai protocolli AIFA del 17 marzo 2020, permettessero l’utilizzo di farmaci, comunque, in modalità off label”. Oggi lo schema terapeutico di quello che è divenuto il Comitato Cura Domiciliare Covid-19, con tanto di consiglio scientifico interno, messo a punto dai medici che si sono confrontati in questo lungo anno, “ha salvato migliaia di vite”, dice Grimaldi, “semplicemente facendo ciò che in scienza e coscienza sanno fare, ovvero i dottori, a differenza dei tanti che durante la Pandemia si sono come paralizzati in un’immobilità o che addirittura non sono stati in grado di stare al fianco dei loro pazienti”. Fin dal principio ai gruppi hanno aderito il prof. Luigi Cavanna di Piacenza, noto per la sua campagna di sostegno domiciliare a centinaia di pazienti cui il Times ha dedicato addirittura una copertina, il prof. Luigi Garavelli di Novara, il prof. Claudio Puoti di Roma, nonché il dott. Andrea Mangiagalli di Milano, in rappresentanza dei 150 “Medici in prima linea” della Lombardia, il dott. Riccardo Szumski di Santa Lucia di Piave (Treviso), a cui si è aggiunto il dott. Salvatore Spagnolo (cardiochirurgo), responsabile della cardiochirurgia dell’Iclas di Rapallo (Genova) e decine di

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altri professionisti di tutta Italia. In totale, ad oggi, i medici attivi nel Gruppo sono oltre 400, con al fianco circa 200 psicologi e farmacisti (i numeri sono in costante crescendo). “Nelle scorse settimane abbiamo finalmente avuto un primo confronto con Regione Lombardia”, ha raccontato l’avvocato, “e abbiamo inviato materiale e schema terapeutico al Governo e a tutte le regioni d’Italia, in realtà sono mesi che chiediamo che i nostri medici vengano ascoltati, stiamo ancora aspettando”. Su impulso dei medici poi, l’avvocato Grimaldi ha impugnato una determina della regione Lazio, che ha limitato la libertà prescrittiva dei Medici di medicina generale, subordinando la prescrizione dei farmaci all’esito positivo del tampone, spesso tardivo o falso negativo, impedendo la possibilità di somministrare farmaci ai primi sintomi. Il 30 aprile 2020 ha inviato, senza alcun riscontro, una diffida al Presidente del Consiglio, nonché al Ministero della Salute ed a tutte le regioni, affinché si perfezionasse un protocollo univoco nazionale per le cure tempestive domiciliari per il Covid. “La tachipirina e la vigile attesa, secondo quanto riscontrato dai medici del gruppo, ma è sotto gli occhi di tutti, non sono assolutamente la strada corretta”. Poi la battaglia più grande, quella per l’idrossiclorochina. A luglio 2020 Grimaldi ha inviato, sempre a seguito delle valutazioni dei medici, un’istanza d’accesso agli atti ad AIFA, con riferimento al prov-

vedimento del 26 maggio 2020 che ha sospeso la sperimentazione dell’uso dell’idrossiclorochina al di fuori degli studi clinici, depositando un ricorso al TAR Lazio, con relative istanze cautelari, per ottenere una riabilitazione di questo farmaco utilizzato durante la prima ondata e che, sulla base dei riscontri empirici ottenuti dai medici del territorio

aderenti al gruppo, ha dato invece risultati positivi. A screditare un farmaco usato da decenni per altre patologie, come il Lupus o l’artrite reumatoide, somministrato fino a qualche anno fa a chi andava in vacanza in paesi a rischio malaria, è stato uno studio pubblicato sulla rivista “The Lancet”, la “bibbia” della scienza, che sosteneva che ci fossero eccessivi rischi connessi all’affaticamento cardiaco per essere utilizzato. Lo studio però, con variabili “sospette” anche per chi non mastica di medicina e statistica, si è rivelato infondato. Gli stessi autori lo hanno ritirato circa una settimana dopo (il quotidiano statunitense Guardian ha pubblicato un’inchiesta secondo cui il committente dello studio è uno scrittore di libri fantasy e alcuni ospedali citati non sarebbero mai stati contattati). Ormai però il danno era fatto. L’Oms ha posto il veto sul farmaco e l’Aifa si è adeguata. Quando però il sommo organismo mondiale, alla luce della ricerca ritirata, ha annullato la sospensiva, Aifa non lo ho ha inspiegabilmente seguito. La battaglia legale è arrivata sino al Consiglio di Stato, dove ha vinto. Le battaglie non si sono fermate, perché il 18 dicembre 2020, sempre l’avvocato Grimaldi per voce del Comitato, ha predisposto un’istanza di accesso formale agli atti amministrativi e contestuale invito ad adempiere con riferimento alla sperimentazione degli “anticorpi monoclonali”, cui nelle scorse ore Aifa avrebbe finalmente aperto la strada. “Abbiamo anche chiesto che vengano valutati altri farmaci, come la colchicina e l’ivermectina, che dai dati raccolti in altri paesi potrebbero avere la loro efficacia”. L’obiettivo del gruppo, che come precisa Grimaldi “vuole dare il suo apporto in attesa che il vaccino faccia il suo lavoro”, è semplicemente quello di fornire alla sanità uno strumento valido per curare i pazienti e a questi ultimi un supporto in caso di contagio. Difatti il lavoro del gruppo ha ormai preso il volo, con chat di confronto con il sudamerica e lo schema terapeutico richiesto da Malta, Grecia e altri paesi europei. “Ho avuto diversi confronti, insieme ai medici del gruppo, co l’epidemiologo americano Harvey Risch, direttore del dipartimento di infettivologia dell’università di Yale, che ha condiviso lo schema terapeutico sposandolo in toto”. “Il nodo cruciale nel contrasto alle pandemie è il trattamento domiciliare precoce – dichiara l’avvocato Erich Grimaldi – questo ha il duplice scopo di evitare la progressione della malattia e il collasso degli ospedali, con la conseguente impossibilità di curare altre patologie, oggi sotto gli occhi di tutti”. All’avvocato, in uno degli incontri istituzionali, è stato chiesto: “Ma perché lo fa”?

L’avvocato Erich Grimaldi

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valentina rigano la mia battaglia al fianco di questi “angeli” Paura, ansia, smarrimento per non sapere cosa fare e cercare in tutti i modi di evitare il ricovero, per poi trovare conforto e supporto nei medici del Comitato Cura Domiciliare Covid-19, attraverso il loro gruppo Facebook #terapiadomiciliarecovi19 in ogni regione. E’ quanto accaduto a centinaia e centinaia di persone, che ogni giorno testimoniano sulla stessa pagina online quanto hanno ricevuto in termini di assistenza e anche calore umano, da questi professionisti che da oltre un anno si prodigano nel supportare e curare pazienti in tutta Italia. Le testimonianze, quando il Comitato è stato fondato, le ha raccolte e continua a farlo il portavoce del gruppo, Valentina Rigano, giornalista, che dalla scorsa primavera ha affiancato Erich Grimaldi per dare voce al lavoro dei medici e a tutte le iniziative che l’avvocato ha messo in campo per aiutare i cittadini senza punti di riferimento. “Il mio calvario è iniziato il 18 gennaio con il primo tampone antigienico negativo, poi ho iniziato a percepire una tosse strana e ho deciso per il tampone molecolare con esito positivo sia per me che per mia madre anziana età 70 anni”. Sono le parole di Lucia, 50 anni, inviate al Comitato per raccontare la sua storia, così come tantissime altre persone. “Ho chiamato il mio medico di base di riferimento, che mi ha risposto frettolosamente dopo dieci tentativi, liquidandomi con Tachipirina per 10 giorni”. Lucia, nel giro di poche ore, è peggiorata. “Nella notte tra il sabato e la domenica successivi la febbre è salita e faticavo a respirare, così ho seguito il consiglio di un’amica che mi ha fatta iscrivere al gruppo su Facebook, ho postato la mia richiesta e poco dopo sono stata contattata da uno dei medici del Comitato”. Per Lucia, a questo punto, la storia è cambiata. “Un angelo che immediatamente mi ha prescritto una terapia ad hoc, con particolare attenzione al mio essere un soggetto facile alle reazioni allergiche ai farmaci”. Lucia, ormai preda di insufficienza respiratoria, astenia, dolori petto e alla schiena, temeva il peggio, ma “il dottore è sempre rimasto al mio fianco, rassicurandomi e rispondendo a qualsiasi ora, in giorni anche festivi, alla fine ho superato la malattia”. La sua conclusione è stata: “grazie alla terapia domiciliare si possono evitare ospedalizzazioni, il Covid si sconfigge”. Di messaggi come questo ne arrivano a dozzine, anche sulla stessa pagina Facebook, dove i cittadini che sono stati assistiti dai medici del Comitato ringraziano costantemente per il loro prezioso apporto. “Grazie, sono finalmente guarito, il virus mi ha lasciato”, scrive uno degli utenti, “mi ha lasciato con uno stato d’animo diverso, dovuto alla solitudine e alla paura del peggio, con le notti trascorse attaccato al saturimetro”.

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“Angelo” è la definizione che la maggior parte dei cittadini curati dai medici del gruppo utilizza per raccontare il loro operato Poi, continua, “è arrivata la dottoressa, un angelo, che dopo una giornata intensa di lavoro ti cura nel corpo e nella mente, come una mamma o una sorella, anche nel cuore della notte, professionale e umana come tutti i medici di questo gruppo”. Poi ha concluso: ”vi sono grato per il vostro servizio, grazie all’avvocato Grimaldi per la sua tenacia, a coloro che continuano a sensibilizzare e lottare per lo schema terapeutico, non mollate mai”. “Angelo”, quindi, è la definizione che la maggior parte dei cittadini curati dai medici del gruppo utilizza per raccontare il loro operato, ed è ormai per questi dottori un doppio lavoro a tempo pieno, come spiega la portavoce, Valentina Rigano. “Seguo ormai da aprile scorso questi straordinari professionisti, tutti medici del sistema sanitario nazionale, che hanno le stesse ore a disposizione di tutti noi in una giornata, eppure non si fermano mai”. Da osservatrice, Rigano è divenuta parte della macchina del gruppo. “Ne ho compreso l’importanza dopo aver parlato con Grimaldi, perché da semplice cronista che osserva e raccoglie testimonianza, mi sono resa conto che ciò che stava met-

Valentina Rigano

tendo in piedi era davvero un sistema per aiutare tutti noi”, e con lui, “i medici che ho intervistato, i quali mi hanno raccontato la difficoltà e la responsabilità di trovare per loro una strada che non fosse l’attesa, per poi vedere i pazienti salire in ambulanza senza sapere se avrebbero fatto ritorno a casa”. Il portavoce ha proseguito, “non siamo stati in molti a dare spazio a questi medici, soprattutto nella prima ondata”, perché “la cautela ha imposto a tutti i media di valutare con i piedi di piombo tutto ciò che veniva registrato, ma insieme ad altri, ad esempio un collega di Repubblica, Panorama, abbiamo fatto l’impossibile perché se ne parlasse”. Fondamentale per capire cosa stesse accadendo “sono state le ore trascorse in videoconferenza con i medici, con l’avvocato, con i pazienti curati a domicilio, dai quali ho potuto toccare con mano quanto stavano facendo i dottori per salvare vite e ne hanno salvate tante”. Relativamente gli utenti, “siamo subissati di continue richieste, tanto che esortiamo medici che vogliano partecipare a scriverci per dare la loro adesione ed essere inseriti nel gruppo, per un costante e continuo confronto con i medici che costituiscono il consiglio scientifico del Comitato”. Per accedere al gruppo, #terapiadomiciliarecovi19 su Facebook, e poter ricevere sostegno, ha spiegato il portavoce, “è sufficiente inviare una richiesta, accettare il regolamento che consiste nel pubblicare solo richieste di supporto domiciliare, non vengono tollerate polemiche, discorsi complottistici o battaglie novax, perché se ognuno è libero di pensarla come vuole il nostro gruppo non è la sede, e postare una richiesta di sostegno solo in caso di necessità”.


la rete del coraggio storia di camici eroi contro il covid 19

Esiste anche un sito web, www.terapiadomiciliarecovid.org, al quale “ogni ente, istituzione e medico può rivolgersi per prendere contatti con noi”, ha continuato Rigano, “e dove è possibile anche per i cittadini iscriversi, siamo arrivati ad oltre 5 mila persone ad oggi”. I social media, spesso teatro di discussioni non sempre di alto profilo, “sono stati fondamentali in questa pandemia, e saperli usare bene significa restituirgli una funzione sociale, come accaduto grazie al gruppo fondato dall’avvocato Grimaldi, perché grazie alle chat di whatsapp, e Facebook, centinaia di persone prima, migliaia dopo, hanno potuto entrare in contatto con la realtà di una cura domiciliare anche a distanza che ha davvero fatto la differenza per tantissimi cittadini di tutto il paese”. Poi Rigano ha proseguito: “io stessa, quando ho incontrato Erich Grimaldi e ho compreso che la sua battaglia era importante e che avrei fatto di tutto per sostenerla, sono poi ricorsa all’aiuto del gruppo

LO HANNO DETTO ANCHE I VERTICI AIFA CHE DURANTE UN CONTATTO CHE HO AVUTO DIRETTAMENTE HANNO DEFINITO LA NOSTRA BATTAGLIA SACROSANTA per un caso di Covid in famiglia, e non mi sono mai sentita così tranquilla di affidare ad uno dei medici, il dottor Mangiagalli, una delle persone a me più care”. “L’obiettivo ora è arrivare alle istituzioni nazionali”, ha concluso il portavoce, “al quale il nostro presi-

dente ha inviato via pec richieste costanti di contatto, nella speranza di una risposta, ma ad oggi l’unica apertura è stata da parte di Regione Lombardia, con la quale siamo in contatto affinché lo schema terapeutico dei medici venga preso in considerazione e uno dei dottori, Luigi Cavanna per la precisione, possa essere chiamato a sedere al tavolo per stendere un nuovo protocollo di cura domiciliare”. “Lo stesso”, spiega Rigano, “auspichiamo accada presto anche a Roma, dove a differenti esponenti politici, perché sia chiaro che non abbiamo colore e non vogliamo essere strumentalizzati, è stato inviato tutto il materiale necessario, tra cui una piccola raccolta di dati”. Su circa 906 casi trattati con lo schema domiciliare del Comitato Cura Domiciliare Covid-19, distribuiti su soli 10 dei circa 500 medici del gruppo, vi sono stati da marzo ad oggi due ricoveri e due decessi. “Un dato micro, certo, ma per ottenere quello macro sarebbe sufficiente che il ministero ordinasse una raccolta dati tramite quattro semplici variabili, ovvero i medici che hanno aderito allo schema, pazienti Covid positivi, ricoveri e decessi”. “Le battaglie”, ha aggiunto, “si vincono se la squadra è composta da validi giocatori e questi medici lo sono, al fianco degli ospedalieri e degli scienziati che studiano nuovi futuri farmaci; ce lo hanno detto anche i vertici Aifa, con cui Grimaldi si è scontrato nei mesi scorsi e che, durante un contatto che ho avuto direttamente, hanno definito la nostra battaglia sacrosanta”. Infine Rigano ha concluso: “non comprendiamo il perché di questa chiusura, perché ascoltare e valutare l’esperienza di medici del sistema sanitario nazionale che stanno facendo il loro lavoro dovrebbe essere una priorità”, soprattutto “in attesa del raggiungimento dell’immunità di gregge, che potrebbe tradursi in beneficio sociale ed economico”.

“L’aria tersa, l’asfalto tiepido, il rumore del cancello che si apre dopo settimane trascorse rintanata in casa, nel timore di ciò che stava accadendo al mondo, a noi. La mascherina sul volto, i guanti sulle mani, il giubbotto e il cappello anche se quel giorno faceva un gran caldo, e gli occhi sbarrati per scannerizzare con attenzione la presenza di altri e cambiare velocemente marciapiede. Il primo giorno in cui ho rimesso piede fuori casa dopo l’inizio del lockdown, senza sapere che da lì a poco la mia percezione di ciò che stava succedendo sarebbe cambiata per sempre. Era l’aprile del 2020 quando un messaggio sul cellulare mi strappò al silenzio delle strade ovattate di paura, alla vista degli striscioni “andrà tutto bene” appesi alle finestre, allo sguardo di mia figlia che già da un mese non vedeva i suoi amici dell’asilo e una casa divenuta prigione professionale e umana, a causa del Covid-19. A scrivermi era Erich Grimaldi che mi disse che da marzo stava raccogliendo le esperienze dei medici di base sul territorio e che aveva fondato un gruppo facebook per promuovere la necessità di cure adeguate in tutte le regioni. E da avvocato e coordinatore di piedi e mani instancabili con indosso camici rimasti “senza corona”, perché nessun riconoscimento è stato dato a questi eroi sparsi tra strade e marciapiedi d’Italia, ma che di casa in casa i pazienti hanno curato liberandoli dal virus, è divenuto un amico.”

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specialE COVID

il direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano lancia un allarme ad oggi purtroppo disatteso da molti medici

giuseppe remuzzi

Curarsi ai primi sintomi, ancor prima di fare il tampone

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l direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, ha pubblicato un documento con una lista di cose da fare per curarsi a casa, non appena si pensa di aver contratto il coronavirus. È fondamentale, in questi casi, la tempestività, al fine di evitare il ricovero e la degenerazione della malattia. Il documento (Remuzzi preferisce non chiamarle “linee guida”) unisce di fatto la letteratura scientifica all’esperienza sul campo clinico in tutto il mondo: strumenti essenziali e semplici, alla portata di tutti, per spiegare come vengono curati i pazienti Covid a casa loro, minimizzando il rischio di ricovero in ospedale. Mentre anche in Italia arriva la variante inglese del Coronavirus, la parola d’ordine è tempestività. “Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero” spiega Remuzzi in una intervista a Repubblica. “Moltissimi italiani che si curano a casa ci telefonano perché hanno problemi di assistenza, che poi li inducono a rivolgersi al Pronto soccorso. Però non ci vanno subito, ma solo quando si è già instaurata una fase iper-infiammatoria, e allora magari la malattia evolve negativamente”. Proprio l’adozione di un protocollo nazionale per le cure precoci domiciliari (finora clamorosamente mancato) potrebbe essere l’arma vincente per uscire dall’incubo. Certo, a pesare come un macigno sono i 12 mesi di ritardo accumulati dal governo Conte, grazie alla sciagurata gestione dell’emergenza affidata al ministro Speranza e al suo consulente Walter Ricciardi. Occorre altro tempo, per mettere a punto la contromossa definitiva? Per questo, probabilmente, lo stesso Draghi convalida la colorazione in arancione di molte Regioni, per il prossimo mese. Primo obiettivo, transitorio: limitare i contagi, trovando il modo (intanto) di arginare il problema con i vaccini, cioè reperendo milioni di dosi e reclutando personale sanitario e siti per le vaccinazioni in ogni angolo d’Italia. La risposta vaccinale è quella che va per la maggiore, nel mondo: si spera che i “vaccini” mRna) possano funzionare, almeno per qualche mese.

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COME SI SVILUPPA LA MALATTIA Il Covid evolve così: •nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale •nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. Quello è il momento cruciale e quello è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone •poi, può seguire un periodo di infiammazione eccessiva, quella che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”, con sindrome respiratoria acuta: è questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine”, ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo. Con il suo approccio, invece, Remuzzi ha buone possibilità di prevenire questa fase di infiammazione eccessiva, “la cosa più importante in assoluto per evitare un’evoluzione negativa della malattia”. Ma non si tratta di una “cura fai da te”: è una strategia da seguire a casa esclusivamente sotto

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controllo medico. Al di là di consigliare ad esempio anche l’assunzione, eventualmente preventiva, di vitamina D, che potrebbe rivelarsi importantissima, il medico dovrebbe: •visitare il paziente a casa almeno una prima volta •impostare la terapia •effettuare le visite successive, anche solo via telefono •appena si avvertono i primi sintomi, suggerire subito l’antinfiammatorio mentre il paziente aspetta il tampone. Remuzzi spiega anche cosa non fare quando si sentono i primissimi sintomi: •non seguire la solita trafila, ovvero chiamare il medico (che magari non viene subito) •prendere la tachipirina mentre si aspetta il tampone •aspettare altri giorni per i risultati del tampone. Quello che raccomandano Remuzzi e i suoi colleghi è di prendere vantaggio sul virus non appena si può. Appena si avvertono i primissimi sintomi, come tosse, febbre, spossatezza, dolori ossei e muscolari e mal di testa, bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone. I FARMACI CONSIGLIATI DA REMUZZI Quando si avvertono i primi sintomi, serve agire come si fa con i virus delle alte vie respiratorie, cioè bisogna assumere non un antipiretico come la tachipirina, ma un farmaco antinfiammatorio,

così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale. Questo perché è proprio nei primi giorni che la carica virale è massima.

•Quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi, si possono assumere farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o COX-2 inibitori), come il celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario. •Un altro farmaco COX-2 inibitore utile a prevenire l’infiammazione eccessiva è il nimesulide, il più famoso dei quali è l’Aulin. In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni. Se ci sono problemi o controindicazioni per il celecoxib e il nimesulide, si può anche ricorrere all’aspirina, anch’essa in grado di inibire COX-2. 500 milligrammi due volte al giorno dopo i pasti. •Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione il dottore può prescrivere anche un corticosteroide, come il desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine. Uno studio sul nimesulide pubblicato sull’International Journal of Infective Diseases dimostra che riduce le componenti della famosa “tempesta di citochine”. Un altro studio pubblicato su Anesthesia and Analgesia rivela che l’uso dell’aspirina si associa a minor bisogno di ventilazione meccanica, minore necessità di essere ammessi in terapia intensiva e minore mortalità del paziente. Invece la Società di Farmacologia francese ha trovato che l’utilizzo di paracetamolo potrebbe persino nuocere, perché sottrae glutatione, antiossidante naturale prodotto dal fegato, sostanza importante per la capacità di difenderci dalle infezioni virali. Dopo 4-5 giorni dai primi sintomi e dalla conferma di Coronavirus tramite tampone, si fanno 3 esami: •globuli rossi e bianchi, che ci danno l’idea della situazione immunologica •PCR, proteina C reattiva, che indica se l’infiammazione sta andando avanti •creatinina, per vedere com’è la funzione renale, glucosio e un enzima per vedere come va il fegato. Se tutti questi esami risultano normali, il paziente può andare avanti con nimesulide o aspirina, a seconda di ciò che aveva iniziato ad assumere. E normalmente la malattia si esaurisce nel giro di 10 giorni, o anche meno. Se invece gli esami restituiscono valori sballati, è opportuno: •fare una radiografia al torace, che si può fare anche a casa •il medico può prescrivere cortisone, eventualmente ossigeno e, se il paziente è una persona fragile e la radiografia del torace mostra una sovrapposizione batterica, un antibiotico. •se l’esame del d-dimero, marcatore che rileva un’eccessiva coagulazione del sangue, indica che comincia ad esserci un’attivazione della coagulazione, allora il medico può somministrare una bassa dose di un anticoagulante come l’eparina, sotto cute, per prevenire la trombosi. Se la terapia con ossigeno, cortisone ed eparina non funziona, e la saturazione dell’ossigeno nel sangue diminuisce comunque, allora il paziente va ricoverato in ospedale. Quest’ultimo approccio della cura si sembra, d’altra parte, nebuloso e macchinoso perchè l’accesso agli ospedali per i semplici esami del sangue in questo periodo di pandemia è a dir poco complicato...rimane inoltre il dubbio del “come” spostarsi da casa se si è positivi. Non prendiamo nemmeno in considerazione il prelievo del sangue a domicilio visto che il sistema è in tilt. Concetti e premesse sono quindi assolutamente condivisibili ma molto è ancora da affinare.

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SPECIALE COVID-19

COVID-19 i pazienti psichiatrici «dimenticati» per la vaccinazione

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di Fabio Di Todaro (tRATTO DA FONDAZIONEVERONESI.IT)

n Europa, soltanto 4 nazioni su 20 hanno messo a punto una campagna vaccinale contro Covid-19 che prevede una priorità per le persone affette da una grave malattia psichiatrica (disturbo bipolare, schizofrenia, depressione maggiore ricorrente). Il richiamo giunge dalle colonne della rivista The Lancet Psychiatry: «Questi pazienti hanno un rischio più alto di ammalarsi e di morire, a causa della malattia da coronavirus», avvertono i ricercatori. Motivo per cui «andrebbero vaccinati quanto prima, al pari di quanto si sta facendo con i pazienti affetti da una malattia che li pone in una condizione di fragilità». Un appello condiviso, tra la comunità scientifica europea le associazioni di pazienti, che giunge proprio nei giorni in cui sta prendendo avvio la vaccinazione dei pazienti fragili.

COVID-19: IL VACCINO PER I MALATI PSICHIATRICI NON È UNA PRIORITÀ Partendo dall’assunto che l’Unione Europea ha indicato come una priorità l’immunizzazione dei pazienti fragili, lasciando però ai singoli Stati il compito di individuare quali categorie di ammalati vaccinare prima, i ricercatori hanno voluto verificare quanti Paesi abbiano inserito le persone affette da una malattia psichiatrica in cima all’elenco. Da qui la scoperta che soltanto quattro di questi hanno posto i malti psichiatrici sullo stesso piano - per esempio - dei diabetici, dei malati oncologici e di coloro che sono gravemente obesi o affetti da una malattia autoimmune. Si tratta dell’Olanda, della Germania, del Regno Unito e della Danimarca. La maggior parte delle nazioni ha previsto comunque di vaccinare prima le persone con meno di 65 anni ricoverate in una struttura. Tra questi Paesi non c’è però l’Italia, che assieme alla Norvegia e alla Romania compone il terzetto degli Stati che non hanno previsto alcuna priorità per questi ammalati. Questo lo scenario, almeno fino a oggi. Un triste primato, che conferma come «i pazienti psichiatrici siano stati ancora una volta trascurati nel corso della pandemia», per dirla con Marion Leboyer, a capo del laboratorio di neuropsichiatria traslaziona-

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pressing sull’Unione Europea affinché la salute mentale sia posta sullo stesso piano di quella fisica, nella definizione della campagna vaccinale. «In questo caso, l’età è un parametro che conta poco - afferma Francesco Benedetti, direttore dell’unità di ricerca in psichiatria e psicobiologia clinica dell’ospedale San Raffaele di Milano -. Stiamo parlando infatti di malattie a esordio molto precoce. In media, la schizofrenia compare poco dopo la maggiore età, mentre il disturbo bipolare e la depressione maggiore attorno ai 25 anni. E più queste condizioni sono precoci, più grave è il loro decorso».

le all’Università di Parigi-Est Créteil. «Siamo di fronte a una disuguaglianza intollerabile». IN ITALIA LIGURIA E VENETO UN PASSO AVANTI Nel nostro Paese le uniche eccezioni riguardano la Liguria e il Veneto che, sulla base di contagi registrati nel corso della prima ondata pandemica, hanno assegnato una priorità ai pazienti con gravi problemi di salute mentale residenti in istituzioni residenziali. Al momento sono soltanto loro, per una quota pari al 3.5 per cento del numero complessivo dei pazienti, le persone affette da una malattia mentale già vaccinate. Gli esperti ricordano però come - anche per evitare lo stigma che continuare ad accompagnare queste malattie - la maggior parte di loro viva in comunità. E, come tale, risulti esposta a un rischio di contagio analogo a quello del resto della popolazione. Considerando che nel 2017 oltre 800mila persone si sono rivolte ai servizi di salute mentale e che la pandemia ha contribuito a incrementare questi numeri, si capisce perché la comunità scientifica sia in

CON LA SCHIZOFRENIA AUMENTA LA LETALITÀ DI COVID-19 Mentre si è molto parlato delle conseguenze della Covid-19 per la mente, sul piano neurologico e psichiatrico, meno spazio è stato dato ai rischi che i pazienti psichiatrici corrono in caso di contagio. Secondo le conclusioni di uno studio pubblicato sulla rivista Jama Psychiatry, condotto analizzando gli esiti dell’infezione in un gruppo di adulti affetti da diverse malattie psichiatriche, nelle persone affette da schizofrenia la letalità di Covid-19 è più alta rispetto alla media. «Stiamo parlando di un fattore di rischio secondo soltanto all’età», aggiunge Leboyer. Non è ancora chiaro quali aspetti contribuiscano ad accrescere la gravità della malattia, in questi pazienti. L’ipotesi più accreditata chiama in causa l’infiammazione e la reazione immunitaria innescata dalla stessa schizofrenia o dai farmaci utilizzati. Ma come documentato già in diversi studi, in questi pazienti i tassi di obesità, ipertensione, diabete e malattie polmonari (tutte condizioni legate a un esito peggiore della Covid-19) sono più alti rispetto a quelli che si registrano nella popolazione generale. Senza trascurare che, pur superando la Covid-19, questi pazienti rischiano di vedere aggravata la condizione psichiatrica di partenza, dopo la malattia CHIAMATA ATTIVA PER I PAZIENTI PIÙ FRAGILI «Siamo di fronte a persone che meritano un’attenzione speciale - conclude Benedetti, tra gli autori dell’articolo pubblicato su The Lancet Psychiatry-. Questi pazienti, a fronte di qualsiasi condizione, faticano ad accedere ai trattamenti sanitari. Motivo per cui, oltre al rischio infettivo, occorre considerare le minori probabilità di intercettarli e curarli. Oltre a prevedere una priorità per la loro profilassi, occorrerebbe coinvolgere i medici di medicina generale e i centri psicosociali per una chiamata attiva. Soltanto così potremo dire di non aver lasciato indietro nessuno».

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dossier / Covid-19, com’è la situazione vaccini

il virus non svanirà per magia

La Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations (CEPI), organizzazione internazionale che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccini contro microorganismi in grado di causare nuove e spaventose epidemie, continua a coordinare i numerosi progetti per la preparazione di vaccini contro il virus SARS-CoV-2. A causa della scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, le strategie adottate risultano molto diversificate fra loro e, di conseguenza, il tipo di vaccino in grado di proteggere dall’infezione. In particolare, i ricercatori hanno lavorato su tre tipologie di vaccini: Vaccino a RNA: si tratta di una sequenza di RNA sintetizzata in laboratorio che, una volta iniettata nell’organismo umano, induce le cellule a produrre una proteina simile a quella a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria (producendo anticorpi che, conseguentemente, saranno attivi contro il virus).

a cura di m.t. san juan

La Gran Bretagna e gli Stati Uniti potrebbero raggiungere l’immunità di gregge entro la fine del 2021. Italia, Germania e Francia devono triplicare il loro attuale ritmo di immunizzazione della popolazione

Vaccino a DNA: il meccanismo è simile al vaccino a RNA. In questo caso viene introdotto un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria. Vaccino proteico: utilizzando la sequenza RNA del virus (in laboratorio), si sintetizzano proteine o frammenti di proteine del capside virale. Conseguentemente, iniettandole nell’organismo combinate con sostanze che esaltano la risposta immunitaria, si induce la risposta anticorpale da parte dell’individuo. COME FUNZIONA LA SPERIMENTAZIONE CLINICA DI UN VACCINO Nonostante la forte pressione esercitata dalla pandemia di COVID-19, e la speranza che ognuno di noi ripone nella ricerca scientifica, l’utilizzo di un vaccino deve essere necessariamente pre-


La corsa al vaccino coinvolge laboratori, università, centri di ricerca e case farmaceutiche

Nel mondo ci sono oltre duecento vaccini in sperimentazione Frega: “Novartis è pronta a produrli in Italia. Il nostro Paese potrebbe essere autonomo nel 2022””

ceduto da studi rigorosi che richiedono il tempo necessario per valutarne l’efficacia e la sicurezza. Inizialmente la ricerca ha inizio con la valutazione in vitro delle componenti dell’agente che andrà a costituire la componente attiva del vaccino. Una volta definito questo aspetto ha inizio la cosidetta fase preclinica in cui viene testata la risposta immunitaria e/o i meccanismi avversi su organismi viventi complessi non umani. Superata questa fase ha inizio la vera e propria sperimentazione clinica sull’uomo, che normalmente inizia dopo circa 2-5 anni dalle iniziali ricerche sulla risposta immunitaria, cui seguono altri 2 anni di prove pre-cliniche che coinvolgono la sperimentazione animale. La sperimentazione clinica si realizza in 3 fasi, in base al modello sperimentale adottato, la quantità di componente somministrata e la numerosità del campione di popolazione coinvolta: Fase I: prima somministrazione del vaccino sull’uomo per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto (il numero dei soggetti è molto ridotto) Fase II: se la fase I ha mostrato risultati positivi, il vaccino viene somministrato ad un numero maggiore di soggetti (sempre esiguo) per valutare la risposta immunitaria prodotta, la tollerabilità, la sicurezza e definire le dosi e i protocolli di somministrazione più adeguati. Fase III: se la fase II ha mostrato risultati soddisfacenti, il vaccino viene somministrato a un numero elevato di persone allo scopo di valutare la reale funzione preventiva del vaccino. Se tutte le fasi hanno dato esito positivo, il vaccino viene registrato e si procede alla produzione e distribuzione su larga scala. Lo sviluppo del vaccino è un processo lungo, che normalmente richiede anni e numerosi investimenti economici.

“Siamo pronti a dare il nostro contributo”. Pasquale Frega, country president di Novartis in Italia e ad di Novartis Farma, mette a disposizione del governo italiano lo stabilimento di Torre Annunziata del colosso farmaceutico svizzero per produrre i vaccini anti-Covid anche nel nostro Paese. “Stia-

mo valutando in maniera seria quale sia la capacità esistente e i volumi che può generare il nostro stabilimento”, dice Frega, a margine del lancio del cortometraggio “Reimagine” pensato per divulgare la cultura scientifica in Italia. “Se ci fossero le condizioni di uno sforzo comune e di una partnership pubblico-privato, dal 2022 l’Italia potrebbe trovarsi in una condizione favorevole”. Il primo vaccino ad essere autorizzato in Unione Europea è stato Comirnaty di PfizerBioNtech il 21 dicembre. Le vaccinazioni con il Comirnaty sono iniziate con il Vaccine day, il 27 dicembre, in Italia e in Europa. l vaccino monodose di Johnson&Johnson potrebbe arrivare in Europa a marzo. L’Fda ha dichiarato: “È altamente efficace nel prevenire le formi gravi di Covid-19, incluse quelle derivanti dalle nuove varianti”. È il terzo siero a poter essere usato negli Usa.

vaccini e anticorpi monoclonali: buone notizie. ma bisogna tenere alta la guardia Per rimanere costantemente aggiornati è possibile controllare sulla pagina Coronavirus disease (COVID-2019) R&D dell’Organizzazione mondiale della sanità i report sullo stato delle ricerche

Le campagna vaccinale anti-covid è iniziata in Italia a fine dicembre 2020 ed è divisa in 4 fasi indicate dal governo, che sono state modificate a inizio febbraio 2021. Qui di seguito i datio aggiornati al 1 marzo 2021: PERSONE VACCINATE (2 DOSI): 1.400.262, 2,35% della popolazione. PRIME DOSI (TOTALI): 2.902.455, 4,87% della popolazione. OSPITI E PERSONALE RSA: Totali 398.429, 69,9% di 570.287* PERSONALE NON SANITARIO: Totali 733.022, 1,6% di 45.528.503* OPERATORI SANITARI: Totali 2.332.283, 166,1% di 1.404.037* OVER 80: Totali 618.211, 13,9% di 4.442.048* * Per essere vaccinati occorrono due dosi, dunque per vaccinare una intera categoria si arriva al 200% della rispettiva popolazione Bisogna somministrare 84.342.495 dosi per vaccinare il 70% della popolazione italiana (2 dosi per persona vaccinata). L’ultima media mobile a 7 giorni di dosi somministrate ogni giorno in Italia è di 105.862. A questo ritmo ci vorranno 2 anni e 18 giorni per coprire il 70% della popolazione.


speciale covid

“Dobbiamo convincerci del fatto che possediamo le nostre difese naturali e che dobbiamo imparare a mantenerle vitali ed efficaci di fronte a qualunque situazione di allarme e disequilibrio”.

carlo alberto zaccagna Una seria profilassi per farsi trovare più reattivi

di marco morelli

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bbiamo incontrato in un momento drammatico per quanto riguarda la salute e l’economia mondiale il dott. Carlo Alberto Zaccagna. Autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche il dott. Zaccagna ha partecipato a diversi congressi nazionali ed internazionali, presentando lavori sperimentali e clinici nel periodo 19652016. Un profondo conoscitore della medicina e del corpo umano (ha eseguito più di trecentomila anestesie in ogni settore della chirurgia) che tutt’oggi esercita e che gode di un numeroso seguito sui social dove ha rilasciato numerose interviste e dove non manca di rispondere, appena gli è possibile, ai numerosi quesiti da parte dei tanti pazienti allarmati da questa pandemia. Dott. Zaccagna, ci avviciniamo alla stagione invernale. La minaccia dell’espansione del Covid aleggia costantemente in Italia mentre nel resto dell’Europa sta prendendo piede concretamente. Siamo a conoscenza dell’uso che si deve fare di mascherine, gel disinfettanti, distanze da tenere. Non si parla mai invece di metodiche per rinforzare le difese immunitarie. Ci rivolgiamo quindi a lei per saperne di più a riguardo di enzimi, probiotici, vitamine, integratori che a detta di molti possono essere determinanti per contrastare il virus, certamente mantenendo in campo tutte le altre attenzioni. “Ritengo che è fondamentale attuare una profilassi che normalmente si dovrebbe attuare ad ogni fine estate per prevenire l’attecchimento di sgraditi ospiti. Non parlo di prevenzione, importantissima anch’essa, ovvero tutte quelle azioni che tendono a promuovere e a mantenere uno stato di salute come lavarsi le mani, sanificare gli ambienti, etc. (e già qui potrei segnalare che non conta nulla lavarsi le mani se non si usa uno spazzolino per pulirsi contemporaneamente e profondamente le unghie, autentico nascondiglio delle peggiori schifezze). Parlo di profilassi, simile alla prevenzione, ovvero di tutto quell’insieme di norme e di metodi intesi a evitare o prevenire il diffondersi di malattie. Nonostante gli esseri umani siano presenti sulla Terra da qualche centinaia di migliaia di anni, i batteri sono molto più “anziani” di noi. Se nel corso della storia abbiamo raggiunto un

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compromesso, riuscendo a convivere senza problemi è solo perché loro si trovano molto bene nel nostro organismo. Questa situazione di equilibrio offre ai batteri l’habitat ideale per sopravvivere, senza quindi riadattarsi e cambiare per garantire il perdurare della loro vita. Questi batteri, quindi, sono normalmente presenti nel corpo umano e riescono a “proteggerci” da attacchi esterni da parte di batteri nocivi. Se l’organismo si trova in acidosi metabolica, perché i nostri batteri probiotici non hanno le forze per contrastare quelli cattivi, allora la situazione può degenerare. Quando ci alimentiamo male mangiando grassi saturi, fritti, troppi dolciumi, troppe farine raffinate, insaccati, bibite gassate, esageriamo con l’alcool, etc. ed associamo magari anche periodi di overstress psico -fisico le nostre difese immunitarie risultano compromesse, ed è in questo momento che bisogna intervenire non solo correggendo la nostra dieta e il nostro stile di vita ma anche, in modo oculato, con armi adeguate che possiamo fornire noi dall’esterno. Se inacidiamo l’organismo con diete errate, le nostre riserve alcaline non sono sufficienti per mantenere un livello ottimale di PH batterico e

consentire una reazione all’invasione batterica esterna con successo. Inoltre non dimentichiamo che un corpo acido è decisamente più debole sul piano vascolare, andando incontro a difficoltà di ossigenazione e quindi difficoltà respiratorie. l probiotici, che sono microrganismi (soprattutto batteri) viventi e attivi, contenuti in determinati alimenti o integratori ed in numero sufficiente per esercitare un effetto positivo sulla salute dell’organismo, rafforzando in particolare l’ecosistema intestinale, giocano in questo caso un ruolo fondamentale. L’intestino costituisce infatti il bersaglio principale della loro azione. Seppure questi microorganismi abbiano nomi tra loro simili, in realtà il loro principio di azione è differente e le reazioni che potrebbero suscitare nell’organismo, a causa di uno scorretto utilizzo, o di un sovradosaggio, potrebbero essere opposte. Ecco perché prima di assumere un probiotico bisogna essere ben informati su cosa si sta prendendo. Va da sé, quindi, che i probiotici devono essere aggiunti in modo specifico alla dieta, e non vanno mai confusi con i fermenti lattici, spesso prescritti in modo superficiale anche dai medici”. Parliamo ora di enzimi: perché è importante prendere Lattoferrina e Lisozima? “La lattoferrina ALFD è una glicoproteina ad azione antimicrobica e ferro-trasportatrice. Nota ormai da tempo è stata recentemente rivalutata per le sue proprietà antiossidanti, immunomodulatrici

ed antinfettive. Tipica del latte materno, come il nome stesso fa intuire, la lattoferrina è presente anche in varie secrezioni mucose, come lacrime

e saliva. Più abbondante nel colostro rispetto al latte di transizione e di mantenimento, la lattoferrina è inoltre tipica dei granulociti neutrofili, cellule immunitarie con funzioni di difesa da infezioni batteriche e fungine. Le proprietà antimicrobiche della lattoferrina sono principalmente dovute alla capacità di legare il ferro, sottraendolo al metabolismo di quelle specie batteriche - come l’Escherichia coli - che dipendono da esso per la propria moltiplicazione e adesione alla mucosa intestinale (effetto batteriostatico); ha inoltre un’azione antibatterica diretta (battericida), grazie alla capacità di ledere gli strati più esterni della membrana cellulare (LPS) di alcune specie batteriche GRAM negative. Il lisozima è una sostanza di natura proteica presente nelle secrezioni biologiche (saliva, lacrime, secrezioni spermatiche, muco nasale, latte ecc.) e nelle uova (l’albume ne contiene grandi quantità). Questo enzima scoperto nel 1922 da Fleming, espleta un’interessante azione antimicrobica, grazie alla capacità di idrolizzare i peptidoglicani che costituiscono la parete batterica. In seguito alla lesione di questa struttura meccanicamente resistente, la cellula batterica richiama acqua fino a scoppiare. Quando un corpo è in acidosi, tra i primi sintomi riscontrabili, si manifesta, guarda caso, proprio la “secchezza delle mucose”. Quando la nostra lacrimazione diminuisce o le nostre fauci sono più secche ci esponiamo maggiormente a un virus, come può essere appunto il Corona”. Vitamina C, Vitamina D, retinodi ( vitamina A, E): tanti alleati per la salute. Sono davvero fondamentali le integrazioni di queste vitamine per far fronte a influenze generiche e al Covid? “Soprattutto in inverno, quando si è più soggetti a virosi, sarebbe opportuno garantire un giusto apporto di probiotici e vitamina D. La condizione di ipovitaminosi di vitamina D apre delle porte di accesso larghissime ai virus. Dobbiamo convincerci del fatto che possediamo le nostre difese naturali e che dobbiamo imparare a mantenerle vitali ed efficaci di fronte a qualunque situazione di allarme e disequilibrio. Ma ripeto, guai al fai da te e ad imbottirsi in modo scriteriato di sostanze per aver letto qua e là qualche articolo su Internet”. L’impiego di oli essenziali per rinforzare le difese del corpo ha una sua valenza? “L’utilizzo dell’olio essenziale di timo o di quello a base di limone o propoli può servire per aumentare le nostre difese. Anche l’incenso, come l’olio essenziale di timo e limone, ha importanti proprietà antibatteriche e antivirali e se utilizzato negli ambienti può aiutare ad igienizzarli perfettamente, mediante opportuni bruciatori, come dimostrato da numerosi studi fatti al riguardo. La mucosa nasale è la prima barriera contro le invasioni virali, ma dobbiamo preservarne l’integrità, soprattutto in condizioni di difficoltà oggettiva. La regola di lavarci le mani può essere molto utile per limitare la presenza di batteri esterni sul nostro corpo, ma dovrà essere accompagnata da una maggiore attenzione per quello che facciamo. Evitiamo, quindi, di metterci le dita nel naso o nella bocca, perché si tratta di vie privilegiate per inondare di batteri il corpo visto il grandissimo quantitativo di porcherie che si annidano sotto le unghie che potrebbero, in una situazione di acidosi, trovare il terreno ideale per proliferare, sino a creare seri problemi.

Il dott. Carlo Alberto Zaccagna

n. 2 Aprile-Maggio 2019

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speciale covid

“Dobbiamo convincerci del fatto che possediamo le nostre difese naturali e che dobbiamo imparare a mantenerle vitali ed efficaci di fronte a qualunque situazione di allarme e disequilibrio”.

carlo alberto zaccagna Una seria profilassi per farsi trovare più reattivi

di marco morelli

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bbiamo incontrato in un momento drammatico per quanto riguarda la salute e l’economia mondiale il dott. Carlo Alberto Zaccagna. Autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche il dott. Zaccagna ha partecipato a diversi congressi nazionali ed internazionali, presentando lavori sperimentali e clinici nel periodo 19652016. Un profondo conoscitore della medicina e del corpo umano (ha eseguito più di trecentomila anestesie in ogni settore della chirurgia) che tutt’oggi esercita e che gode di un numeroso seguito sui social dove ha rilasciato numerose interviste e dove non manca di rispondere, appena gli è possibile, ai numerosi quesiti da parte dei tanti pazienti allarmati da questa pandemia. Dott. Zaccagna, ci avviciniamo alla stagione invernale. La minaccia dell’espansione del Covid aleggia costantemente in Italia mentre nel resto dell’Europa sta prendendo piede concretamente. Siamo a conoscenza dell’uso che si deve fare di mascherine, gel disinfettanti, distanze da tenere. Non si parla mai invece di metodiche per rinforzare le difese immunitarie. Ci rivolgiamo quindi a lei per saperne di più a riguardo di enzimi, probiotici, vitamine, integratori che a detta di molti possono essere determinanti per contrastare il virus, certamente mantenendo in campo tutte le altre attenzioni. “Ritengo che è fondamentale attuare una profilassi che normalmente si dovrebbe attuare ad ogni fine estate per prevenire l’attecchimento di sgraditi ospiti. Non parlo di prevenzione, importantissima anch’essa, ovvero tutte quelle azioni che tendono a promuovere e a mantenere uno stato di salute come lavarsi le mani, sanificare gli ambienti, etc. (e già qui potrei segnalare che non conta nulla lavarsi le mani se non si usa uno spazzolino per pulirsi contemporaneamente e profondamente le unghie, autentico nascondiglio delle peggiori schifezze). Parlo di profilassi, simile alla prevenzione, ovvero di tutto quell’insieme di norme e di metodi intesi a evitare o prevenire il diffondersi di malattie. Nonostante gli esseri umani siano presenti sulla Terra da qualche centinaia di migliaia di anni, i batteri sono molto più “anziani” di noi. Se nel corso della storia abbiamo raggiunto un

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compromesso, riuscendo a convivere senza problemi è solo perché loro si trovano molto bene nel nostro organismo. Questa situazione di equilibrio offre ai batteri l’habitat ideale per sopravvivere, senza quindi riadattarsi e cambiare per garantire il perdurare della loro vita. Questi batteri, quindi, sono normalmente presenti nel corpo umano e riescono a “proteggerci” da attacchi esterni da parte di batteri nocivi. Se l’organismo si trova in acidosi metabolica, perché i nostri batteri probiotici non hanno le forze per contrastare quelli cattivi, allora la situazione può degenerare. Quando ci alimentiamo male mangiando grassi saturi, fritti, troppi dolciumi, troppe farine raffinate, insaccati, bibite gassate, esageriamo con l’alcool, etc. ed associamo magari anche periodi di overstress psico -fisico le nostre difese immunitarie risultano compromesse, ed è in questo momento che bisogna intervenire non solo correggendo la nostra dieta e il nostro stile di vita ma anche, in modo oculato, con armi adeguate che possiamo fornire noi dall’esterno. Se inacidiamo l’organismo con diete errate, le nostre riserve alcaline non sono sufficienti per mantenere un livello ottimale di PH batterico e

consentire una reazione all’invasione batterica esterna con successo. Inoltre non dimentichiamo che un corpo acido è decisamente più debole sul piano vascolare, andando incontro a difficoltà di ossigenazione e quindi difficoltà respiratorie. l probiotici, che sono microrganismi (soprattutto batteri) viventi e attivi, contenuti in determinati alimenti o integratori ed in numero sufficiente per esercitare un effetto positivo sulla salute dell’organismo, rafforzando in particolare l’ecosistema intestinale, giocano in questo caso un ruolo fondamentale. L’intestino costituisce infatti il bersaglio principale della loro azione. Seppure questi microorganismi abbiano nomi tra loro simili, in realtà il loro principio di azione è differente e le reazioni che potrebbero suscitare nell’organismo, a causa di uno scorretto utilizzo, o di un sovradosaggio, potrebbero essere opposte. Ecco perché prima di assumere un probiotico bisogna essere ben informati su cosa si sta prendendo. Va da sé, quindi, che i probiotici devono essere aggiunti in modo specifico alla dieta, e non vanno mai confusi con i fermenti lattici, spesso prescritti in modo superficiale anche dai medici”. Parliamo ora di enzimi: perché è importante prendere Lattoferrina e Lisozima? “La lattoferrina ALFD è una glicoproteina ad azione antimicrobica e ferro-trasportatrice. Nota ormai da tempo è stata recentemente rivalutata per le sue proprietà antiossidanti, immunomodulatrici

ed antinfettive. Tipica del latte materno, come il nome stesso fa intuire, la lattoferrina è presente anche in varie secrezioni mucose, come lacrime

e saliva. Più abbondante nel colostro rispetto al latte di transizione e di mantenimento, la lattoferrina è inoltre tipica dei granulociti neutrofili, cellule immunitarie con funzioni di difesa da infezioni batteriche e fungine. Le proprietà antimicrobiche della lattoferrina sono principalmente dovute alla capacità di legare il ferro, sottraendolo al metabolismo di quelle specie batteriche - come l’Escherichia coli - che dipendono da esso per la propria moltiplicazione e adesione alla mucosa intestinale (effetto batteriostatico); ha inoltre un’azione antibatterica diretta (battericida), grazie alla capacità di ledere gli strati più esterni della membrana cellulare (LPS) di alcune specie batteriche GRAM negative. Il lisozima è una sostanza di natura proteica presente nelle secrezioni biologiche (saliva, lacrime, secrezioni spermatiche, muco nasale, latte ecc.) e nelle uova (l’albume ne contiene grandi quantità). Questo enzima scoperto nel 1922 da Fleming, espleta un’interessante azione antimicrobica, grazie alla capacità di idrolizzare i peptidoglicani che costituiscono la parete batterica. In seguito alla lesione di questa struttura meccanicamente resistente, la cellula batterica richiama acqua fino a scoppiare. Quando un corpo è in acidosi, tra i primi sintomi riscontrabili, si manifesta, guarda caso, proprio la “secchezza delle mucose”. Quando la nostra lacrimazione diminuisce o le nostre fauci sono più secche ci esponiamo maggiormente a un virus, come può essere appunto il Corona”. Vitamina C, Vitamina D, retinodi ( vitamina A, E): tanti alleati per la salute. Sono davvero fondamentali le integrazioni di queste vitamine per far fronte a influenze generiche e al Covid? “Soprattutto in inverno, quando si è più soggetti a virosi, sarebbe opportuno garantire un giusto apporto di probiotici e vitamina D. La condizione di ipovitaminosi di vitamina D apre delle porte di accesso larghissime ai virus. Dobbiamo convincerci del fatto che possediamo le nostre difese naturali e che dobbiamo imparare a mantenerle vitali ed efficaci di fronte a qualunque situazione di allarme e disequilibrio. Ma ripeto, guai al fai da te e ad imbottirsi in modo scriteriato di sostanze per aver letto qua e là qualche articolo su Internet”. L’impiego di oli essenziali per rinforzare le difese del corpo ha una sua valenza? “L’utilizzo dell’olio essenziale di timo o di quello a base di limone o propoli può servire per aumentare le nostre difese. Anche l’incenso, come l’olio essenziale di timo e limone, ha importanti proprietà antibatteriche e antivirali e se utilizzato negli ambienti può aiutare ad igienizzarli perfettamente, mediante opportuni bruciatori, come dimostrato da numerosi studi fatti al riguardo. La mucosa nasale è la prima barriera contro le invasioni virali, ma dobbiamo preservarne l’integrità, soprattutto in condizioni di difficoltà oggettiva. La regola di lavarci le mani può essere molto utile per limitare la presenza di batteri esterni sul nostro corpo, ma dovrà essere accompagnata da una maggiore attenzione per quello che facciamo. Evitiamo, quindi, di metterci le dita nel naso o nella bocca, perché si tratta di vie privilegiate per inondare di batteri il corpo visto il grandissimo quantitativo di porcherie che si annidano sotto le unghie che potrebbero, in una situazione di acidosi, trovare il terreno ideale per proliferare, sino a creare seri problemi.

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COVID-19 E ALIMENTAZIONE come rafforzare il sistema immunitario

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vere un sistema immunitario efficiente è fondamentale per difenderci dalle malattie e dalle infezioni. L’alimentazione è una delle prime fonti di benessere e scegliere i cibi giusti aiuta a stare bene e ad avere più energia per affrontare i periodi di maggiore stress per l’organismo. E’ importante mangiare cibi ricchi di vitamine e di antiossidanti ma anche in grado di riequilibrare l’intestino, da cui dipendono le reazioni immunitarie e la gestione dello stress. Per aiutare l’organismo a difendersi, l’alimentazione è il miglior modo come avviene per una normale influenza. E’ quindi essenziale mangiare molta frutta e verdura: consumare alimenti ricchi di vitamine - B, C e D su tutte - e minerali (in modo particolare zinco e selenio) è essenziale per mantenere elevati livelli di difesa del corpo. Essenziali poi cereali, pesce, riso e uova (tutti ricchi di vitamina B); mentre la C si può trovare in agrumi, lattuga, patate e broccoli. Ma anche uova e riso, al posto di tanti prodotti lavorati o di matrice industriale. Bisogna limitare o evitare il fumo, che riduce le difese dei polmoni, esponendo i fumatori a maggiori rischi. A complemento di tutto questo è anche possibile aggiungere degli integratori di vitamine e oligoelementi, così da implementare il consumo abituale di queste sostanze. «Sono diversi i micronutrienti che hanno un ruolo cruciale per il nostro sistema immunitario. La mancanza o la carenza nella dieta quotidiana di queste sostanze può essere responsabile dell’alterato funzionamento dei meccanismi di difesa dell’organismo. Di conseguenza può predisporre a una maggiore possibilità di attacco da parte di agenti patogeni e un maggiore rischio di andare incontro a infezioni», dice la nutrizionista Valentina Schirò, specializzata in scienze dell’alimentazione.

Marzo 2021 - ed. straordinaria

azione antimicrobica nella proliferazione delle cellule T e nella produzione di anticorpi. Un’altra buona fonte di questo minerale è il pesce con i suoi benefici Omega 3. Ferro: è un componente della struttura di enzimi fondamentali per il funzionamento delle cellule immunitarie. Si trova nella carne, nei legumi, nei cereali integrali e nella frutta secca a guscio. Anche alcune varietà di verdure a foglia di colore verde scuro come il cavolo riccio ne sono buone fonte. A cura della nutrizionista Valentina Schirò.

Quali cibi preferire per rendere più forte il sistema immunitario - Carne, uova e pesce: lo Zinco. Ha un’azione antiossidante.Aiuta a mantenere l’integrità della pelle e delle mucose che sono delle vere e proprie barriere di difesa nei confronti di agenti patogeni. Si trova nellla carne di manzo, le uova, il latte e i suoi derivanti. Questo minerale è presente anche in pesce, frutti di mare e cereali integrali. - Sardine e latte: Vitamina D. Questa vitamina stimola la proliferazione delle cellule immunitarie. Aiuta a proteggere dalle infezioni causate da agenti patogeni. Si trova anche in salmone, olio di fegato di merluzzo e tuorlo d’uovo. Per fare il pieno di questa vitamina è necessario poi esporsi al sole almeno mezz’ora al giorno. - Frutta e verdura di stagione: Vitamina A. La verdura e la frutta di colore arancione sono una miniera di questa vitamina che aiuta a mantenere l’integrità strutturale e funzionale delle cellule della mucosa delle vie respiratorie, inoltre è fondamentale per il normale funzionamento delle cellule immunitarie. Vitamina B6 è un’ottima alleate delle difese del nostro organismo. «Ha ruolo importante nella proliferazione, differenziazione e maturazione dei linfociti, le cellule del sistema immunitario così come nella produzione di anticorpi. Si trova in legumi, patate, lievito e farine e cereali integrali, carne, pesce e frutta, con esclusione degli agrumi. - Semi oleosi, frutta secca e cibi integrali: Vitamina E. Avocado, mandorle e noci sono preziose fonti di azione protettiva per i linfociti, i protagonisti del nostro sistema immunitario. Una porzione al giorno di cereali integrali (farro, orzo, riso, ecc) di 80 - 100 grammi e una manciata di semi oleosi aiutano a raggiungere discreti livelli di amminoacidi solforati, fondamentali per la regolazione della risposta immunitaria. Rame. Questo minerale ha

Alla scelta dei cibi giusti è importante anche associare buone norme da adottare in cucina: - Tassativa la cottura al forno o al vapore. - I cibi crudi devono essere ben lavati ma non disinfettati, a meno che non si è in gravidanza: muffe e batteri sui crudi di verdure e frutta aiutano a riequilibrare la flora batterica. - Le superfici, come da normale igiene, vanno lavate con candeggina e alcol. - Le mani vanno lavate con i normali saponi e disinfettate solo se non si ha la possibilità di lavarle. - Il virus muore in condizioni di calore, per cui bisognerebbe lavare con acqua calda superfici, mani e vestiti”. Integratori Gli integratori non hanno i poteri magici, né sono delle scorciatoie che evitano gli effetti collaterali di un’alimentazione poco bilanciata. Hanno la funzione di integrare, appunto, eventuali carenze e permettere al nostro organismo di essere più forte. E, soprattutto ai tempi del coronavirus e della influenze stagionali, ci danno una base per far funzionare al meglio il nostro sistema immunitario. Mantenere in equilibrio l’intestino (condizione di eubiosi) significa preservare il 70% del nostro sistema immunitario. In che modo possiamo farlo? Assumendo regolarmente la giusta quantità di cibi prebiotici e probiotici, ed evitando o limitando i cibi che generano calore (come il latte, il glutine e zuccheri raffinati in generale, che sono causa di un aumento eccessivo di infiammazione e di disbiosi intestinale). - Può essere utile assumere integratori di Zinco. Più studi indicano che lo Zn aumenta l’espressione di Interleuchina-2 e di Interferone-gamma, due sostanze che stimolano la generazione di cellule natural killer e cellule T citotossiche che uccidono virus, batteri e cellule tumorali. Uno studio su anziani in case di riposo ha mostrato che chi ha alti livelli di Zn nel sangue ha un minor rischio di sviluppare polmoniti. - Può essere utile assumere probiotici con lattobacilli e bifidobatteri: più studi sugli animali di laboratorio e sull’uomo ne hanno evidenziato l’effetto protettivo e curativo sull’influenza. Possono essere utili alcune fitoterapie, in particolare con echinacea, che può ridurre il rischio di polmonite in chi ha l’influenza (l’echinacea ridurrebbe l’adesione dei batteri alle cellule della mucosa bronchiale. (Consigli del dott. Franco Berrino)

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