6 minute read

Fenotipo D: malattie coronariche allo stadio finale

Next Article
Bibliografia

Bibliografia

Con questo sistema di punteggio, è tato possibile prevedere gli eventi avversi dopo la CABG indipendentemente dai predittori tradizionali. Perciò, comparato con punteggi di diffusione più bassi, i pazienti con la i punteggi di diffusione più alti hanno peggiori risultati di sopravvivenza a 2 anni dopo la CABG (92.1% vs 84.5%, rispettivamente; P> 0.001). Nel complesso, la terapia medica è spesso preferita al CABG nei pazienti con aterosclerosi coronarica diffusa e scarso deflusso distale (Jolicoeur,2012).

Fenotipo D: malattie coronariche allo stadio finale

Il fenotipo D si riferisce a uno stato avanzato della CAD. Nei segmenti medi coronarici prossimali, la normale o semi normale arterie calibrate sono interrotte da una grave placca epicardiale aterosclerotica. Nel segmento coronarico distale, è possibile invece una infiltrazione molto più diffusa. Una rete estensiva di collaterali coronarici è frequentemente visibile nell’angiogramma. La distinzione tra fenotipo C e D sta principalmente in quanto sia più diffuso il processo di infiltrazione. Nel fenotipo D, i segmenti dell’arteria coronarica con un calibro normale sono ancora presenti. Le arterie con un calibro normale o semi normale vengono interrotte dai segmenti delle placche dell’epicardio aterosclerotico. Sono frequenti le occlusioni croniche totali prossimali al vaso medio. A causa della natura segmentale della patologia, l’arteria ricopre un calibro normale distale alla lezione. Questo è raramente il caso del fenotipo C. Frequentemente, i pazienti di tipo D hanno una precedente CABG che gli ha permesso di sopravvivere nonostante una lenta ma inesorabile progressione dell’aterosclerosi. La progressione accelerata dell’aterosclerosi nei vasi coronarici trapiantati è un fenomeno contributivo bene conosciuto (Jolicoeur,2003). Allo stesso modo, la progressione della malattia ni vasi nativi non trapiantati può avvenire a un tasso di crescita del 40% su una decade (Jolicoeur 2012). Non insolitamente, i pazienti sono sostenuti attraverso un singolo condotto che irrora tutto il cuore attraverso una rete collaterale molto estesa. Il fenotipo D potrebbe rappresentare un’eccezione alla nozione che lo stato di inadeguatezza alla rivascolarizzazione è temporaneo. I dati sono scarsi riguardo la prevalenza e la storia naturale dei pazienti con fenotipo D, principalmente poiché le serie che presentano pazienti "no-option" hanno raggruppato popolazioni eterogenee. Mukherjee et al. hanno stimato che intorno a 100,000200,000 Americani ritenuti inadeguati per la rivascolarizzazione potrebbero essere eleggibili ogni anno per un nuovo dispositivo sperimentale per curare l’angina. In uno studio population-based, condotto a Olmsted County (Minnesota), circa 17,9 pazienti su 100.000 con una lesione coronarica significativa sono stati considerati non candidabili a rivascolarizzazione dopo la CABG (Kiernan 2009). Questa incidenza può essere tradotta in circa 50,000 (95% CI, 40,000-61,000) pazienti negli Stati Uniti. Una parte consistente di questi pazienti è di sesso maschile (65%), ha il diabete (37%), e fallimento renale cronico (40%). In un sottogruppo di pazienti classificati come tecnicamente impossibili da rivascolarizzare attraverso procedura percutanea convenzionale o mezzi chirurgici, la stima di allcause mortality and cardiac mortality sono rispettivamente del 34,7% e del 21,7% rispettivamente, sopra la media del follow-up a 3,2 anni. Le ragioni angiografiche per cui i pazienti non vengano considerati eleggibili a PCI o CABG includono l’occlusione cronica totale (93%), scarsi target distali (73%), innesto di vena safena deteriorato (68%), malattie che vanno oltre gli innesti (53,9%), e restenosi multiple (7%). In una serie contemporanea da Minneapolis, il 7% dei pazienti con angina che vengono sottopasti ad angiografia ha avuto una CAD significativa con evidenza di ischemia miocardica ma sono pazienti no-option candidati a rivascolarizzazione (Williams 2010). Le ragioni angiografiche per cui i pazienti vengono considerati non eleggibili a rivascolarizzazione includono occlusione totale

(70%), malattie diffuse (46%), perfusione collaterale dipendente (42%), restenosi multiple (6%), e target distali scarsi (3%). La presenza di comorbidità significative è stata considerata la ragione principale per non procedere con la rivascolarizzazione per solo il 12% dei pazienti. La all-cause mortality rate è del 15,2% a 3 anni, che si può tradurre in un tasso annuo del 5,1%. Questo tasso di mortalità è stato considerato in linea con il tasso di mortalità annua del 3,5% osservato tra i pazienti provenienti da una clinica specializzata in RFA nella stessa area (Henry 2006). Questo tasso di mortalità osservato è sostanzialmente più basso del tasso di mortalità annuo del 15-17% storicamente riportato negli Stati Uniti, e il della mortalità del 33% riportata in Europa per i pazienti con CAD avanzata non candidabili a rivascolarizzazione. A questi pazienti vanno aggiunti gli oltre 500 000 pazienti che, seppur trattati con rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica, continuano ad essere sintomatici per angina nonostante terapia medica ottimale ed assenza di stenosi angiograficamente e/o funzionalmente significative a carico dei vasi epicardici maggiori. (Henry 2013) Tali dati vengono confermati da numerosi trial clinici che riportano come più del 25% dei pazienti ad 1 anno e circa il 45% dei pazienti a 3 anni, continuano ad avere angina dopo rivascolarizzazione coronarica efficace (Serruys PW et al. 2015; Giannini 2016)). Questi pazienti sono definiti “no option” e le linee guida congiunte Canadian Cardiovascular Society/Canadian Pain Society riportano che il 5-10% dei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco non va incontro a rivascolarizzazione coronarica (McGillion,2012; Giannin, 2016). I dati sulla prognosi dei pazienti affetti da angina refrattaria sono abbastanza conflittuali. Uno studio degli anni ’90 riporta una mortalità ad 1 anno del 16.9% in pazienti affetti da angina refrattaria e non candidabili a rivascolarizzazione coronarica (Giannini,2016). Mentre risultati dei trial clinici randomizzati riportano un tasso di mortalità ad 1 anno estremamente variabile (1-22%) (Giannini 2016). Dati più recenti sono più incoraggianti, riportando in una popolazione di 1200 pazienti con coronaropatia e assenza di target per ulteriore rivascolarizzazione una mortalità del 3.9% a 1 anno e del 28.4% a 9 anni (Giannini 2016). Negli ultimi decenni sono stati proposti numerosi trattamenti farmacologici e non per la cura dei pazienti affetti da angina refrattaria, come la stimolazione elettrica transcutanea del nervo, stimolazione del midollo spinale (SCS), blocco del ganglio stellato sinistro, simpatectomia toracoscopica, anestesia epidurale toracica, contro pulsazioni esterne migliorate con palloncino (EECP), terapia con cellule staminali, e, infine, rivascolarizzazione laser del miocardio mediante chirurgia transcutanea e rivascolarizzazione laser miocardica (TMR) o tecnica di rivascolarizzazione miocardica percutanea (PMR). (Ielasi 2016) Anche se l’esperienza iniziale con questi trattamenti fosse incoraggiante, i trials con il placebo hanno dimostrato solo piccoli miglioramenti nei test sotto sforzo e riguardo i sintomi dell’angina. Ogni terapia esistente ha quindi dimostrato di avere un’efficacia limitata, e di conseguenza nessuno di questi trattamenti ha avuto una diffusione in larga scala. (Ielasi 2016) Un concetto ormai consolidato per la cura dell’angina refrattaria è l’aumento della pressione sanguigna all’interno del seno coronarico (CS). Aumentare la pressione sanguigna nel CS, forzando la ridistribuzione del flusso sanguigno coronarico dal subepicardio meno ischemico a quello più ischemico, può diminuire l’ischemia miocardica con una conseguente dilatazione dei capillari e del diametro delle arteriole e una riduzione nella resistenza al flusso nell’arteriola subendocardiaca (Koenigstein 2016). Il risultato di questo processo è un miglioramento del flusso sanguigno verso gli strati ischemici subendocardici del miocardio, che migliorerà la contrazione, ridurrà la pressione diastolica ventricolare sinistra, ed infine porterà ad una riduzione dei sintomi. Sono stati studiati numerosi sistemi, sia chirurgici che non, per accrescere la pressione del seno coronarico (CS) e recentemente si è giunti all’approvazione del sistema Reducer (Neovasc Inc, Richmond, BC, Canada), una clessidra endoluminale in acciaio inossidabile espandibile con palloncino a rete metallica sagomata. Questo

This article is from: