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La scuola
from Tempo lontano
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tante cose. Dalla mureta si poteva proseguire avendo alla sinistra, al di là del fosso e di un terreno più o meno coltivato, il cortile e l’edificio scolastico; poi ancora qualche decina di metri, si girava a sinistra e si arrivava al cortile del ricreatorio per giocare con amici vicini e lontani, ma non più bimbi.
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A fianco della corte di No*******, qualche metro più alta, c’era la corte di Pi*** (Toni), molto più piccola. Scendeva in un orto sovrastato dal cortile della scuola.Tra corte e orto c’era un fico, palestra di arrampicate e motivo d’imprecazioni del padre di Pi*** contro noi probabili distruttori delle opere di madre natura, considerando che i rami del fico sono molto fragili.
La terrazza di Pa**** (Piero) dava su quel cortile mentre, dal lato oppoato, le finestre della sua sala dominavano un vasto piazzale in terra battuta, altro terreno di gioco. Da quel piazzale si entrava nel cortile della scuola e si usciva al ricreatorio, ma non sempre era possibile. Nel cortile del ricreatorio si entrava solo negli orari stabiliti, ma erano molto estesi.
Cortili piccoli o grandi ma assolutamente liberi da autovetture, allora. Sulla terra dei cortili tracciavamo le “piste” – spesso complicate con curve, salite, discese, ostacoli – sulle quali facevamo correre i “querceti” (coperchietti), i tappi a corona delle bibite con incastrata la faccia dei nostri ciclisti favoriti ricavata dalle “figurine”. Le figurine erano o comprate – non molte – o frutto di “scambio” dei doppioni o vinte. C’erano diversi modi per vincere o perdere figurine. Nel cortile si lanciavano in vari giochi che non ricordo o si scommettevano sulle gare dei
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“querceti”. Seduti sulla muretta si puntavano sulle partite a carte: rubamazzetto, briscola, scopa, cavacamixa o anche a poker ma il più delle volte al ricreatorio: sulla muretta si poteva star seduti uno di fronte all’altro solo in due e il terzo o quarto doveva stare in piedi.
Strasse, ossi, fero vecio
Non si stava benissimo molti anni fa, si viveva con il poco essenziale e niente superfluo, ma si poteva giocare nelle strade quasi vuote di auto e girando in bicicletta l’unico pericolo era costituito dalle doppie rotaie della vaca mora negli incroci: se non le “tagliavi”, potevi infilarci una ruota e cadere.
Ora penso che non si viveva poi così poveramente come credevo: il pane era cosa comune, ora è quasi un lusso; polenta e baccalà alla vicentina c’era tutti i venerdì, ora mi pare una leccornia da gustare qualche volta all’anno; pane e salame, pane e pancetta, pane e lardo, minestron, minestra di verze erano il nostro povero cibo e sognavamo pollo con polenta. Ora, per me, è il contrario.
Nella giusta stagione non era un lusso avere ciliegie, prugne (bronbi e amo·i), piccole pere (peri sanpiero·i, perché maturavano a fine giugno, San Pietro), fragole di bosco, castagne, patate dolci. Ora è sempre stagione e prezzi alti.
Ad una cert’ora passava el scoa§aro sul suo triciclo a pedali con due bidoni sopra, soffiava nella sua trombetta e mamma mi mandava giù a portare il sacchettino delle scoa§e.
Non c’erano e non servivano cassonetti né camion con