2 minute read

La polenta

Next Article
Le cose cambiano

Le cose cambiano

111

non sono di madrelingua inglese ma veneta, se come loro non so la parola italiana o mi viene meglio usare termini materni mi prenderò la licenza di usare quelli.

Advertisement

Moltissimi anni fa mi hanno insegnato che, in Italia, a ogni fonema corrisponde un carattere e che in italiano a si scrive a, e si scrive e, o o, i i, u u, ecc. Così se in un testo in italiano riporto parole del mio dialetto non scriverò “polenta e baccalà” pretendendo che chi legge sappia come si pronuncia ma scriverò “po·enta e bacaℓà”.

Dicono che tutta la caterva dei termini inglesi ormai fa parte della lingua italiana, che sono parole italiane e quindi le scriverò come le sento dire o le leggerò come sono scritte secondo la grafia e la dizione della lingua italiana. Se è scritto Imperia nessun italiano, spero, legge Aimpiraia e non vedo perché se è scritto privacy debba leggere praìvasi.

Così se per dire che a causa dell’epidemia c’è confinamento o chiusura devo dire che siamo in locdaun scriverò locdaun o leggerò lockdown, completando l’alfabeto italiano con j , k, w, x, y lette come j di Jesolo, c di Como, v di Vicenza, x di xenofobo, i di Ivrea.

Magari i nomi propri li scriverò come sono scritti e li leggerò possibilmente come vanno letti, anche se non capisco perché negli Stati Uniti possano leggere in inglese il tedesco Trumpf (Trump) e io in Italia non possa leggere in italiano l’americano Biden.

Bilinguismo

Ho letto* che le persone parlanti correntemente due o più lingue (non necessariamente lingue nazionali) hanno dei vantaggi su chi parla una sola lingua.

Quand’ero giovane, in Veneto, quasi tutti quelli che

112

conoscevo erano bilingui, parlavano cioè correntemente l’italiano e la lingua locale. Ben pochi parlavano solo italiano o solo veneto. Ora non so, magari ci sono però figli di un genitore italiano e l’altro straniero che si rivolgono all’uno in una lingua all’altro in un’altra, o , chissà, indifferentemente a entrambi in una delle due lingue.

Capisco e compatisco quelli che pur avendo un genitore bilingue non diventano bilingui perché l’altro genitore parla solo italiano e vivono in un ambiente in cui quasi tutti si esprimono in questa lingua. Potrebbero anche diventare bilingui, ma con scarsa utilità pratica avendo quasi nessuno con cui parlare la seconda lingua.

Non capisco invece quei genitori che pur essendo entrambi bilingui si ostinano a parlare ai loro figli solo in italiano vietandogli di usare la lingua locale anche quando questa è largamente usata dalla popolazione in cui vivono. Mi pare un comportamento un po’ elitario che forse fa chic ma non giova ai figli che per distinguersi finiscono magari col conoscere latino e greco lingue dei loro avi, ma non il veneto lingua dei loro nonni. *https://www.corriere.it/salute/neuroscienze

Ciao!

<Io per esempio non dico più “ciao” dopo che ho letto chissà dove che deriva dal dialetto veneziano e sta per “servo tuo”.> (Alessandro Giuli)

Non so se tale derivazione sia scientificamente provata, ma per quantone so la cosa potrebbe essere verissima e, intesa così, dire “ciao” può sembrare umiliante e servile.

In effetti dalle mie parti oltre al “ciao” esisteva sciao

This article is from: