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non sono di madrelingua inglese ma veneta, se come loro non so la parola italiana o mi viene meglio usare termini materni mi prenderò la licenza di usare quelli. Moltissimi anni fa mi hanno insegnato che, in Italia, a ogni fonema corrisponde un carattere e che in italiano a si scrive a, e si scrive e, o o, i i, u u, ecc. Così se in un testo in italiano riporto parole del mio dialetto non scriverò “polenta e baccalà” pretendendo che chi legge sappia come si pronuncia ma scriverò “po·enta e bacaℓà”. Dicono che tutta la caterva dei termini inglesi ormai fa parte della lingua italiana, che sono parole italiane e quindi le scriverò come le sento dire o le leggerò come sono scritte secondo la grafia e la dizione della lingua italiana. Se è scritto Imperia nessun italiano, spero, legge Aimpiraia e non vedo perché se è scritto privacy debba leggere praìvasi. Così se per dire che a causa dell’epidemia c’è confinamento o chiusura devo dire che siamo in locdaun scriverò locdaun o leggerò lockdown, completando l’alfabeto italiano con j , k, w, x, y lette come j di Jesolo, c di Como, v di Vicenza, x di xenofobo, i di Ivrea. Magari i nomi propri li scriverò come sono scritti e li leggerò possibilmente come vanno letti, anche se non capisco perché negli Stati Uniti possano leggere in inglese il tedesco Trumpf (Trump) e io in Italia non possa leggere in italiano l’americano Biden. Bilinguismo Ho letto* che le persone parlanti correntemente due o più lingue (non necessariamente lingue nazionali) hanno dei vantaggi su chi parla una sola lingua. Quand’ero giovane, in Veneto, quasi tutti quelli che