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Natale
from Tempo lontano
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Vardando dae finestre davanti, a destra vedevo el crocevia de Porta Padova e, de·à, ·a botega de feramenta Campagnoℓo, ·a pasticeria su ℓ'altro canton e 'l resto de chea casa non sconto daℓa ba§a casa, dequà, chea dei Dartardi. Vanti par Porta Padova, dopo sta casa ghe gera na mureta e se vedea: ℓa strada , ·a casa de Pilan de·à e quea dea latara e del becaro Camèrlo de quà. Più a destra dea feramenta non podevo vèdare, ma ghe gera ℓa Farmacia e tante boteghe de·à o de quà dea strada, in 100 metri. Da ℓ'altra parte, verso el centro, sconte daℓa casa de Pilan ghe gera ·e sco·e de Porta Poadova. Insoma, visto o non visto, cheo che serviva el gera tuto lì intorno, a destra o a sinistra dell’incrocio col so trafico, i so vigi·i, ·e fermate del tran par andare versi el centro o verso Padova, aℓa sta§ion o aℓa Stanga. Davanti , a sinistra dea casa de Camerlo, deℓà del fo§o ghe gera el prà de Camerlo e, de·à de chel spa§io verto, na fi·a de casete ba§e, tochi de mura, tuta Vicensa e ·e montagne in fondo. Visin se vedea el campani·e de San Piero, più in là ·a Tore de Pia§a dei Signori, el coverto dea Basi·ica. In fondo a sinistra se vedea el campani·e de S. Caterina co l' angelo sora e, man man più visin, i grandi albari, ·a strada, ·e case de Via·e Margherita.
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Vardando dae finestre dedrìo, a destra vedevo la ciesa de Monte Berico, ·a corte de “Pietro Lodi - legna e carboni” e ·e case de Borgo Casa·e coℓa corte de·e ba·e. Davanti ghe gera ·a nostra cortexe·a con a destra i muri de na ba§a fabricheta e a sinistra el giardin dei Fasoℓo. Più in là, tra le case de Corso Padova e de Borgo Casa·e ghe gera na serie de orti e in fondo i fabricati dea dita “Pan
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Giocondo, vino e birra” i ocupava tuto 'l spasio tra ·e do strade. Più in là de note se vedea na grande reclam de “Felce Azzurra”.
Le cose cambiano
Il tempo passa, io invecchio e le cose cambiano. Non so se è per via della mia età che non sento più i profumi di un tempo o perché le cose cambiano e non ci sono più.
Camminando al mattino in città di tanto in tanto capitava di sentire il profumo del pane appena sfornato. Pane fresco ancora caldo. Capitava a Vicenza ma anche altrove. Fino a qualche anno fa capitava anche qui, ora non ne sento più il gradevole profumo. Forse è colpa del mio naso o forse le pur numerose panetterie non fanno più il pane. Non c’è più il fornaio ma solo il panettiere. Il forno sarà in qualche posto e il pane sarà un prodotto industriale. Magari il pane sfornato nei Supermercati ha il profumo di un tenpo, chissà.
Ma non c’era solo il profumo del fornaro. Anche il caso·in aveva il suo profumo, forse non da tutti gradito. Renghe e scopetoni si trovavano in mastelle di legno aperte e olezzanti, ma il profumo era mescolato a quello di spezie e droghe. Non erano quelle pericolose di oggi ma quelle di cucina. E a scuola c’insegnavano che per quelle il caso·in si diceva droghiere: pevare, broche de garofano, canea, noxe moscata (pepe, chiodi garofano, cannella, noce moscata). E c’era il profumo dei salumi (saladi, sopre§e) e dei formaggi (asiago, verde, grana), del caffè e delle salamoie.
Fra i profumi del droghiere non mancava quello del
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bacaℓà, talvolta accompagnato da quello leggero del prezzemolo. Dalla latara (lattaia) usciva il profumo del latte fresco (almeno nei primi tempi), dal castagnaciaro quello del castagnaccio e dall’osteria quello del crinto. Magari questi odori si possono ancora sentire fra le bancherelle dei mercati, ma sono pochi ormai i prodotti venduti non in igieniche inodori confezioni.
Anche il calzolaio aveva il suo profumo di corame (cuoio) e fino all’anno scorso qui, nella giusta stagione, si sentiva il profumo delle caldarroste rimescolate in un padellone bucherellato sopra fuoco di legna: quest’anno sono mecca nicamente mosse in un recipiente coperto e non profumano più molto.
Scuole
Dopo più di settanta anni i ricordi sono confusi, si accavallano e non so più bene il prima e il dopo, ma ricordo dov’era l’asilo, dove le scuole elementari, dove le medie e dove le medie superiori.
Asilo
All’asilo – nessuno diceva scuola materna – mi portava e mi veniva a prendere la mamma, a piedi o con la bicicletta. Era dove finiva la strada. Dopo l’asilo si poteva proseguire o superando il Bacchiglione sulla passarella o percorrendo il tracciato sull’argine sinistro del fiume. L'asilo era gestito dalle suore dorotee che a quel tempo erano anche un po’ ovunque: in asili, ospedali, case di cura o di riposo e parrocchie, specialmente in quella di San Pietro dove avevano ed hanno la casa madre.
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Dall’incrocio di Porta Padova si andava verso Ponte degli Angeli; dopo Barawitzka, nei primi portici, si girava a sinistra verso la chiesa di San Pietro e Oratorio dei Boccalotti. Finito il piazzale la strada proseguiva solo a destra verso Ponte degli Angeli, ma prima di arrivarvi si voltava a sinistra e avanti fino alla fine della via e all’asilo.
Nel cortile dove si giocava c’era una vasca di pietra, un labio (albio), contenente la terra crea (argilla) con cui ci si trastullava come anni dopo facevano col pongo. Nella sala grande c’erano lunghe tavole con appositi buchi per le scodelle di metallo della minestra e le panchine dove ci sedevamo. La minestra non doveva essere particolarmente buona, considerato che ancora oggi dico “minestra dell’asilo” di certe minetre poco appetitose. Avevamo però altro cibo portato da casa nell’immancabile sestin de l’axiℓo (cestino dell'asilo).
Nelle aule c’erano i banchi su misura per noi bimbi. Si iniziava con le preghiere e poi esercizi con carta, matite e altro. E si cantava, ovvero i miei compagni cantavano mentre a me la suora dava una caramella per stare ad ascoltare. Dopo pranzo si poggiava la testa sopra le braccia sul banco e si faceva o si fingeva un sonnellino. Alla fine tornavano le mamme e si andava a casa.
Dell’asilo mi ricordo abbastanza bene anche perché, grandicello, vi portavo i fratelli più giovani ed era comunque un noto punto di riferimento.
Elementari
Quando a Vicenza c’era pericolo di bombe siamo andati a casa dei nonni e in quel paese andavo a scuola al