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Afra

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Schei

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a Valdagno era come prima a Vicenza.

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Nessun problema 50 anni fa nemmeno a Candelo (BI) ad avere rapporti amichevoli con i vicini di origine veneta e buoni con altri veneti, piemontesi, calabresi, ecc.. Anche nel vicino paese, dove tuttora per mesi viviamo, inizialmente era come una volta in un piccolo centro. Sono ventisei appartamenti su tre piani, ripartiti in quattro blocchi con ognuno la sua entrata, la sua scala, la sua cantina ma con cortile e prato comuni. Tra le sei famiglia della mia scala i contatti erano frequenti, ma anche con gli altri condomini erano cordiali, salvo le immancabili eccezioni. Ma di quei condomini siamo ora rimasti solo in pochissimi: la maggioranza sono per me persone sconosciute, comprese due o tre famiglie di cinesi. Anche nella città dove siamo arrivati venti anni fa abbiamo subito familiarizzato con la maggioranza dei condomini, una ventina di famiglie su sei piani.

Da giovani credo sia normale fare nuove conoscenze, ma alla mia età è più probabile che vengano a mancare quelle vecchie, a morire. E anche qui dei conoscenti iniziali sono rimasti solo due sposi e non conosco i nuovi arrivati, tranne una famigliola con due bambini e un cane, ma solo di vista, se li vedo insieme e vicino casa. Dal mio pianerottolo si entra in altri due appartamenti: uno è disabitato, nell’altro ogni tanto c’è qualcuno, non so chi. Forse è solo colpa mia o dell’età, ma davvero io non conosco i miei vicini. Forse per molti altri non è così.

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Nostalgia

Quando arriva l’inverno ho nostalgia dei cibi d’allora. Ripenso al cren in radice, appena grattà coa gratarola e coerto d’axedo, penso a quanto becava e mi faceva lacrimare, a quanto mi piaceva col lesso.

Penso alla mostarda vicentina che non usavo col bollito ma col panettone.

Penso al mandorlato di Cologna, spesso avuto o dato in regalo, parente lontano del torrone d’Alba.

Penso anche alla calza della befana: carrube, noci, arance, liquirizia, mandarini, cose che posso sempre trovare anche adesso.

Non penso ai bagigi, non mi sono mai piaciuti. Non ho nostalgia dell’olio di fegato di merluzzo che i mandarini mi ricordano.

Penso ai grusto·i e frito·e a carnevale e i pevaroni soto axedo par smorbarme ·a boca e la putana fatta con quello che restava dell’impasto delle frito·e.

Penso alla polenta e baccalà alla vicentina, tipico piatto invernale. Ricetta semplice, come la ricordo: stoccafisso ammollato in acqua per 2-3 giorni, aperto pulito di lisca e spine, cosparso con trito di aglio, prezzemolo, 2-3 acciughe, sale qb, farina bianca, strisce secondo altezza del tegame, chiuse infarinate, sistemate nel recipiente, coperte di latte, olio, far pipare per qualche ora (fuoco basso non diretto, se no se taca e el ciapa el brustolin), pratica e tempo.

Vecchiaia

Continuo a pensare che vecchi siano quelli nati almento dieci anni prima di me, ma devo ammettere che

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non sono giovane. Più si è vecchi più sono i ricordi e meno le persone con cui condividerli. Meno persone e magari con meno memoria.

Non siamo in molti a ricordare la Domenica di Passione, la Prima domenica di Passione che precedeva la Domenica delle Palme, unificate dopo il Concilio Vaticano II. Nelle ultime due settimane di Quaresima c’era il triste ricordo della Passione di Cristo, le quarant’ore di adorazione, la velatura di croci e immagini, la “legatura” delle campane, il crepitare delle ràco·e (raganelle). Nella domenica di Passione veniva recitato il Passio, dal parroco e due cappellani. Non c’era bisogno di fedeli a fare da voce narrante e dei personaggi, c’erano preti a sufficienza.

C’era la domenica delle Palme e la benedizione dei rami d’ulivo, immancabili nelle case. In caso di temporali, quando c’erano lampi, tuoni, pericolo di grandine (temutissima) le foglie di ulivo venivano bruciate affinché il fumo salisse al cielo come preghiera per scongiurare i danni che ne potevano derivare. E, come ora, c’era la lavanda dei piedi, l’adorazione della Croce e le altre cerimonie della settimana santa.

La domenica delle Palme era solo un intermezzo gioioso prima delle liturgie della Settimana Santa. E al sabato si “scioglievano” le campane che con gioia annunciavano la Resurrezione. E, naturalmente, poi c’era Pasquetta.

Quello che non è stato abolito non è più rito normale ma straordinario, si può fare e in alcuni posti forse si fa; non in molti, anche perché i cattolici praticanti sono sempre meno.

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