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Il latte
from Tempo lontano
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La scuola
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Tutto questo discorso è nato considerando che quasi nessuno dei bambini va oggi a scuola a piedi, da solo, non accompagnato in macchina dai genitori, mentre ai nostri tempi era il contrario.
Ho ripensato alla scuola nel paese, alla sberla che mi sono preso dall’insegnante, ai sassi caldi che tenevamo nelle tasche d’inverno camminando su strade ghiacciate, alle sli§egade (scivolate) sulle lunghe lastre di ghiaccio (sli§egaro·e) naturali o provocate con secchiate d’acqua, alle grandi stufe della scuola e alla poca legna, a quanto fosse vicina a casa la scuola a Vicenza: volevo parlare di questo ma ho parlato di tante altre cose e mi accorgo che sulla scuola non ho molto da dire.
La sberla dall’insegnante nella scuola del paese è giunta inaspettata ma forse non immeritata. Eravamo in classe, si sentivano gli aerei volare bassi, ripetutamente. Siamo corsi tutti alle finestre a guardare (ma perché non ce l’ha impedito?). Io guardavo, ammiravo, ho espresso ad alta voce la mia ammirazione – “che picchiata!” – e mi sono preso un sonoro schiaffo in faccia: i caccia “americani” stavano mitragliando la stazione, un due-trecento metri davanti a noi … proprio dove l’insegnante abitava. Magari oggi i genitori la denuncerebbero: i miei non lo fecero, anche perché prudentemente non ne parlai, allora.
Alla scuola di Vicenza anche se avessimo avuto l’automobile mai ci sarei andato non a piedi. Nelle strade non c’era gran traffico: biciclette, qualche carro trainato da cavallo o asino, qualche rara vettura, il filobus (el tran co·e tirache). Per i passaggi pedonali non c’erano strisce ma
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borchie, si diceva inventate a Trieste per impedire alla bora di portar via le strade; con un po’ di attenzione si passava da un marciapiede all’altro senza pericolo.
Attraversavo la strada e andavo verso il centro per un centinaio di metri. Lì c’era il castagnaciaro, il primo extracomunitario che ho conosciuto. Forse extracomunitario è un po’ esagerato: era solo toscano, ma tutti gli altri erano vicentini, veneti. Faceva castagnaccio semplice, con i pinoli e non so con cos’altro, buono e caldo. Faceva anche il barbiere: nella bottega del barbiere titolare più di una volta è stato lui a tagliarmi i capelli e siccome mamma non diceva niente, credo fosse bravo anche in quello.
In sua assenza c’era la castagnaciara, sua moglie: non credo facesse anche la parrucchiera, ma qualche tempo dopo oltre al castagnaccio vendeva panna montata d’inverno e gelati d’estate.
Attraversavo la via e mi trovavo in uno spiazzo in fondo al quale c’era il cancello della scuola: si entrava in un vasto cortile con grandi alberi. Se si usciva dalla parte opposta si era davanti al ricreatorio, confinante con la scuola. Credo di non essere mai arrivato in ritardo, sia perché abitavo vicino sia perché in quel cortile si poteva giocare fino a quando i maestri non ci dicevano di fare le file per entrare sia perché – nella giusta stagione – dai grandi alberi cadevano dolcissime pàpo·e. Non chiedetemi cosa sono: non lo so, ma mi piacevano. PS - Mi dicono che le pàpo·e sono il frutto del bagolàro.
Cortili
Non era grande il cortile sul retro. Da quella parte avevamo le finestre di camera dei genitori, cucina, corri-