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Guerra e pace
from Tempo lontano
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riuscii a premere il grilletto; per anni pensai che non ero abbastanza forte, non che aveva messo la sicura.
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Qualche anno prima scriveva “vinceremo”, qualche giorno prima aveva fatto quella pazzia: senza mai pensare di trarne vantaggio, solo seguendo l'impulso del momento come quando anni prima aveva salvato un uomo dalla folgorazione o aiutato mesi dopo la moglie di un “repubblichino” incarcerato a Vicenza: lei ci regalò un grazioso cagnolino, la nostra “Boba”.
Qualche tempo dopo tornammo a Vicenza. La Boba al chiuso era un disastro; fu riportata dai nonni paterni, ma spesso andava a trovare gli altri nonni, come facevamo noi. (*) I pannolini di tela non si gettavano ma venivano lavati, asciugati, riutilizzati e conservati per altri figli. I neonati erano stretti in fasce.
Vicenza
Orazio occupò parte del nostro appartamento per un po’, poi scese di un piano: quello che era stato il suo pavimento era diventato il suo soffitto. Era un “borsanerista”, contrabbandiere dei dazi comunali, maledetto e benemerito. La sua stanza (con porta sul pianerottolo) era piena di generi che non si trovavano nei negozi (quasi niente c’era allora nei negozi). Riempiva due sporte, le appendeva a destra e a sinistra sul manubrio della bici e se ne andava in giro a vendere la sua merce: per me è stato il primo “lavoratore in nero” oltre che primo “abusivo”. Mi metteva un po’ di paura con quel suo fare misterioso: non parlava, sussurrava; vestiva di scuro, portava il cappello, fumava, Orazio.
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Davanti, un po’ a sinistra (ovest) c’era Vicenza. Di là della strada Severino D******* ex corridore ciclista, vendeva e aggiustava biciclette; il negozio dava su Contra' Porta Padova, l’officina su Viale Margherita e da questa strada si scendeva nel cortile-officina. Poi c’era un prato (el prà de C******, el becaro) con gli orti, le basse casette della corte, i resti delle mura cittadine e sulla destra la palazzina con l’entrata, la latteria e la macelleria in Contra' Porta Padova, dopo il negozio di biciclette e il muretto che ne sovrastava il cortile.
Non vedevo la cupola della Basilica, era stata distrutta: l’avrei rivista qualche tempo dopo, rame rosseggiante sotto il sole fino a quando è tornata di un colore più sobrio e consono. Anche la parte terminale della Torre mancava.
Al tramonto il sole calava oltre la città; di notte le strade tornarono a illuminarsi; d’estate l’asfalto molle cedeva sotto i piedi; d’inverno mondo e rumori quasi sparivano nella densa nebbia, poco contrastata dalla gialla luce del crocevia.
Dalle finestre dietro si poteva vedere il primo sole, un grande ciliegio, il nostro piccolo cortile, una serie di orti fra le case di Corso Padova e Borgo Casale. La fabbrica di Giocondo P** (birra e vino) dall’una all’altra via chiudeva l’orizzonte davanti. A destra era il cortile della ditta Pietro L*** Legna&Carboni e, più lontano, sul colle l’altra Basilica, il Santuario della Madonna di Monte Berico mille volte implorata nei triboli della guerra.
“Oh! Maria Vergine Santi§ima de Monte Berico” detto con toni di afflizione, di meraviglia, di gioia, d’invocazione, di sorpresa era tipico e frequente nel vicentino, quasi
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quanto il ciò (bello, ciò/ ecco, ciò/ ciò, viento?/che caldo,ciò!), l’ equivalente del tèi o toi dei trentini. Il bocciodromo (ℓa corte de·e ba·e) di Borgo Casale si sentiva molto ma si vedeva poco.
Dei danni subiti dalla città e dalla casa dove abitavo il ricordo è vago, forse sono stati riparati presto: c’erano di sicuro, perché mio padre parlava di uno spezzone incendiario finito nel nostro sottotetto e quindici anni dopo lavoravo per accelerare il rimborso dei danni di guerra subiti dai fabbricati dell’Ente che mi stipendiava. Sergio cresceva ma viaggiava ancora in carrozzella; anche Renzo, il fratello di un’amica di mia sorella, era piccolo. La carrozzella poteva portare due bimbi, uno di fronte all’altro. Mia sorella e l’amica la spingevano e io camminavo con loro per il viale dai grossi platani lungo il fosso. Superato el canpo de Nane – un semi selvatico terreno di giochi – dopo il ponte girammo a destra, nella strada tra Retrone e Bacchiglione. Dopo un po’ le due ragazze videro dei fiori, laggiù sulla riva. Mi lasciarono a guardia dei bimbi e scesero a coglierli. La carrozzella era ferma sul ciglio della strada, vicinissima alla scarpata che finiva nel fiume. I bimbi sono curiosi, si sa: io guardavo le due ragazze, anche i due più piccoli le guardavano. Per meglio vedere entrambi si sporsero, la carrozzella si ribaltò, rotolò nella scarpata e ... si fermò in una buca di bomba: non ebbero danni, la guerra li aveva salvati.