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Abbondanza

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Scuole

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all'angolo, davanti al Caffè Nuovo (da sempre) e giravo ancora a destra. Dopo un portone d’abitazione e il negozio della Stella c’era il “Sale e Tabacchi” dell’Afra (o di Toni), più avanti un’osteria lunga e stretta, poi il fornaio Comacchio, quindi il negozio di giocattoli Trivellin (che, per ironia della sorte o volere umano, era proprio di fronte a Trivellato, autofficina), poi una merceria, un barbiere, il bar Sartea e, dopo i portici, la fruttivendola Pinpinea. E tutto questo sempre restando sul marciapiedi, senza toccare la strada.

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Ovviamente per altri negozi dovevo invece attraversare almeno una delle strade del crocevia di Porta Padova, presidiato (non sempre) da due vigili urbani, uno in centro a dirigere il traffico e uno per dargli il cambio. Chissà se qualcuno si ricorda del vigile che dirigeva il traffico ritto sulla pedana centrale attorno alla quale a Natale lasciavano doni.

Al “Nuovo” entravo per comprare un cucheto de rum quando mia madre faceva frito·e (fittelle) o grusto·i (crostoli, galani, chiacchiere, bugie) e qualche altra volta per acquistare non so cosa. Del bar ricordo un uomo, una donna e un setter. Nel portone dopo il bar a volte entravo per andare da un ragazzo della mia età che abitava all’ultimo piano o per pagare l’affitto mensile ai padroni di casa. Più frequentemente entravo con piacere dalla Stella: vendeva crema pasticcera (semplice e fritta), spumiglie, liquirizia, altri dolciumi e, d'estate, anche ghiaccioli e gelati. Nell’osteria lunga, buia e odorosa di vino andavo a prendere el crinto (vino clinton) quando mi mandavano. Da Comacchio mi recavo pressoché quotidianamente per il

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pane e, quando necessitava, anche per pasta, gianduiotti (formagini de ciocoℓata), fuga§e a Pasqua e non molto altro.

Quasi mai mi recavo oltre il fornaio. Ma quasi tutti i giorni entravo nel negozio Sali e Tabacchi. Il sale era in una grande conca appositamente scavata in un grosso blocco di pietra, posto ad angolo sulla destra del bancone. Era sale grosso venduto a peso ed era Monopolio di Stato come il chinino e i tabacchi. Questi erano sulla scaffalatura alle spalle dell’Afra (o di Toni), al di là del bancone. Il sale grosso lo raffinavamo macinandolo su un piano di marmo con una bottiglia da vino. Il chinino non serviva dato che mio padre la malaria l’aveva superata qualche anno prima. Ma quasi ogni giorno mi mandavano a prendere sigarette (alfa o nazionali, mai col filtro) e giornali (Corriere, Gazzetta). Settimanalmente qualcuno di noi fratelli andava a prendere le schedine della Sisal e a fare le giocate. I pronostici si facevano con la trottolina, non so di vincite.

All’occorrenza vi andavo anche per fiammiferi, figurine, gomma da masticare, quaderni, fogli protocollo, penne, pennini (si schincavano spesso), matite, fapunte (temperamatite), inchiostro, carta sugante (carta assorbente), cartoline, francobolli, carte bollate, valori bollati, saponette, lamette, borotalco, statuine e addobbi natalizi, caramelle eccetera e quasi sempre trovavo l’Afra.

Citando il crocevia di Porta Padova, che ben vedevo dalle mie finestre, mi sono venuti in mente i due vigili che lo presidiavano: non ne so nomi o visi, né quando c’erano e se ancora ci sono. Ricordando i vigili mi sono rammentato dei regali che ricevevano in occasione delle feste:

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panettoni, bottiglie, mostarda, mandorlato o altro. Non so dire in quali anni succedeva e se succede ancora. Pensando a questo mi sono ricordato del vigile Dante, probabilmente poco amato e noto a molti grazie alle multe che portavano il suo nome.

Le scalette di Monte Berico

Non credo siano in molti oggidì che salgono a Monte Berico usando le scalette. Probabilmente quasi tutti usano l’auto o, se sportivi o volenterosi, la bici o magari a piedi salgono i portici.

Anche ai miei tempi non erano moltissimi. A me capitava spesso di andare a piedi da Porta Padova a Porta Monte, poi sotto l’arco e su per ·e sca¹ete de monte, quindi al santuario o oltre: solitamente dall’inizio alla fine la scalinata era vuota o al massimo con poche persone. Uno volta ho contato i gradini e in mente ho un numero: 192. Se non è giusto magari qualcuno può essere più preciso.

A quei tempi salendo li facevo tutti di buon passo, senza fermarmi e senza ansimare, credo. Scendendo li facevo di corsa a lunghi salti, un paio da pianerottolo a pianerottolo: ma non so più se è un ricordo della realtà o di qualche sogno.

La polenta

Il merluzzo, il baccalà, lo stoccafisso li mangino pure come preferiscono, ma il bacaℓà dalle mie parti si mangia con la polenta, la po·enta, anche perché il bacaℓà è nel suo pocio e nel pocio si pocia la polenta.

Mio nonno, sempre lui e mai mia nonna, la faceva nel

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