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Ritorni
from Tempo lontano
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passava per Ponte degli Angeli, altrimenti arrivati al Bacchiglione in Viale Margherita o lo si passava e si risaliva sulla strada tra i due fiumi fino al Macello o lo si costeggiava sull’argine sinistro per superarlo sulla passerella dell’Asilo. Gran parte del centro storico di Vicenza (e le scuole superiori erano lì) è sulla sponda destra del Bacchiglione e per andarci si passava sempre per Ponte degli Angeli: dalla sponda sinistra solo un altro ponte (il Pusterla) va in “città”, altri due l’ aggirano a monte e a valle.
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Anche allora capitava che il fiume s’ingrossasse e che i gato·i (tombini) verso Via San Domenico anziché inghiottire l’acqua piovana sputassero quella del fiume. Davanti ai portici la strada – più bassa del ponte – si allagava e per andare a scuola dovevo fare il giro che ho detto e non potevo andarci.
Normalmente però l’acqua non era così alta, anzi sotto il ponte sulla sponda sinistra non arrivava nemmeno al muro di contenimento e c’erano banchi di sabbia o comunque terreno asciutto. E così – tornando da scuola –mi è capitato di gettare la sacheta (la cartella) dal ponte su quello spazio asciutto per andarla a recuperare passando per la Corte dei Roda da dove si poteva scendere al fiume, Una volta sicuramente l’ho fatto, ma forse anche altre, magari per la rabbia di un cattivo voto o per la gioia di uno bello o così per provare anche questo. Se non ricordo male era lì che le lavandare facevano il loro lavoro, ma già allora non erano più molte.
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Abbondanza
Magari quando sarò vecchio dirò che era meglio allora, ma sicuramente ora posso dire che era diverso.
Già uno della mia età allora era vecchio da vent’anni: oggi sono anziano, quelli attorno ai cinquant’anni sono giovani, quelli sui trenta sono ragazzi. Ma quelli sui dieci ne sanno più dei nonni e gli insegnano l’uso del telefonino, quella cosa che serve anche a telefonare.
Allora c’erano più poveri ma molto meno accattoni, nero era negro, il non vedente era cieco, il non udente sordo, l’operatore ecologico spazzino, quello scolastico bidello.
Parlavamo tutti la stessa lingua, l’italiano solo a scuola o scritto e con i foresti, l’inglese non abbondava come oggi (un po’ per il calcio), poro can, fiol d’un can, disgra§ià quasi mai suonavano offesa, ma dipendeva dal tono con cui si dicevano.
Di pelle scura solo i contadini del paese abbronzati dal sole nei campi, in città tutti di pelle chiara digiuni di vacanze al mare o al monte. Quasi tutti: a Vicenza col buio se capitava di vedere un abito camminare da solo era un militare della base americana in libera uscita, uno di colore si direbbe oggi. Se era un MP in servizio tra il berretto e la camicia della divisa si poteva immaginare la testa.
In città circolavano poche auto, la bicicletta era un lusso non per tutti, uno solo fra i miei amici poteva offrirci cubetti di ghiaccio, l’unico che in casa avesse un frigorifero.
In casa la radio l’avevamo quasi tutti, pochi un giradischi, pochi il telefono, nessuno aveva la TV che si
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guardava al bar: uno o due canali in bianco e nero. Tutta un’altra cosa dell’odierna abbondanza di auto e bici, di frigo radio iPod televisori telefoni in casa e fuori, di reti canali colori.
I compagni di classe erano una trentina, forse di più i compagni di gioco, ma gli amici erano una decina: oggi sono pochi i compagni di classe e centinaia gli amici in Facebook.
Per le strade circolavano carri a due ruote e un cavallo, oggi camion con decine di ruote e centinaia di cavalli.
Allora non molti avevano una macchina fotografica, meno ancora una di buona: costavano molto per le disponibilità di allora. Quasi nessuno aveva una cinepresa e non so di nessuno che filmasse, tranne un ricco zio morto cinque anni prima che nascessi. Oggi credo non ci sia quasi nessuno che non abbia filmato almeno una volta col telefonino, molti forse lo fanno quotidianamente, per sé, per inviare il video ad amici, per metterlo in internet.
Gli appassionati sviluppavano e stampavano le loro foto, ma la gente comune si rivolgeva al fotografo col negozio per vendere pellicole, sviluppare negativi e stampare foto. Una foto stampata costava sia per il materiale che per il lavoro, prima di scattarla se non si era ricchi ci si pensava su, si faceva solo se si riteneva che ne valesse la spesa, ma alla fine si scattava.
Essendo parsimoniosi e il rullino di 32 foto, solitamente solo dopo un bel po’ di tempo lo si portava al fotografo e si vedeva il risultato, spesso deludente se si voleva una bella foto ma solitamente soddisfacente se ci si accontentava di un buon ricordo. Le foto erano in bianco e
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nero e quelle piccole costavano meno: poi arrivò il colore, costavano di più, le stampavano più grandi e i difetti erano più evidenti. Così qualcuno passò alle diapositive, i più bravi con buoni risultati gli altri con più delusioni, qualcuno rinunciò alla fotografia.
Le foto che io facevo in un anno (ma non tutti gli anni) ora quasi tutti le fanno in una settimana o magari in un giorno: una nuvola, clic; un fiore, clic; un gatto, clic. Una volta che hai una fotocamera fare una foto non ti costa nulla tranne la fatica di inquadrare e premere un tasto, il più delle volte lasciando alla macchina la scelta di tempo, diaframma e messa a fuoco: non una fatica ma solo il piacere di scegliere l’inquadratura che più piace e, per quanto orribile sia, se piace a te va benissimo.
E puoi vedere subito il risultato, se vuoi. Per vedere le foto belle grandi basta il tablet o il computer che usi per mille altre cose e se non sono venute come pensavi puoi sempre rimediare, magari non del tutto ma abbastanza, o elaborarle secondo fantasia. Anche stamparle non costa poi molto. E così archivi migliaia e migliaia di foto, magari on line.
Sono sulla buona strada anch’io: ho ancora un senso di colpa nel fare una foto in più, ma sicuramente passerà.
La Rua
Trovo in un sito web vicentino un gran parlare della Rua. Manco da Vicenza da molti anni e non sapevo di questa novità. Sapevo dell’esistenza della Rua ma non ne conoscevo la storia che ora ho trovato in rete. Ne sapevo l’esistenza perché un anno – non so bene quale – se ne