2 minute read

Strasse, ossi, fero vecio

Next Article
Scuole

Scuole

34

casa nostra, la faceva tremare, vi entrava col fumo e col rumore, il nostro marciapiedi era la sua banchina. La vedevamo fermarsi e passare: non l’abbiamo mai usata per andare verso Noventa, ma nell’altra direzione - a parte i brevi passaggi de sfroxo – qualche volta sì. Andavamo spesso dai nonni con il treno per Bassano e alla stazione FTV (Ferrovie Tramvie Vicentine) andavamo o a piedi o col “tran co·e tirache”. Le tirache sono le bretelle e il filobus era collegato alla linea elettrica aerea con due aste, due bretelle.

Advertisement

La linea 1 da Porta Castello alla Stanga percorreva tutto Corso Palladio e tutta Porta Padova (Contra' e Corso), con fermata a quattro passi da casa nostra, all’andata e al ritorno. Sia la “vacamora” per Bassano che quella per Noventa dopo Santa Croce fermavano a San Bortolo, ma solo pochissime volte siamo scesi o saliti a questa fermata e forse una sola volta abbiamo preso il treno da o per Porta Padova, la fermata davanti casa. L’abbiamo invece usato per andare a Santa Croce a prendere combustibile per casa, non ricordo bene se sacchi di segatura o casate (vinacce pressate). Non ricordo se là c’era una segheria o una distilleria o vendita di combustibili: su quel tragitto non c’erano filobus e in città autobus non c’erano, ma c’era la vacamora.

Della stazione FTV davanti al Campo Marzo ricordo che appena finita la guerra era un enorme, alto, freddo salone in cui spiccava una grande figura di diavolo (Super Iride, credo) e che vi si arrivava per una disastrata strada male illuminata, costeggiante lo spazio vuoto dove prima era il distrutto Teatro Verdi. Una sera tardi camminando in

35

questa strada, mia madre per un bel tratto era convinta di mettere ripetutamente il piede in una delle tante buche, prima di accorgersi di avere perso un tacco.

Inverno

D’inverno faceva freddo, al mattino freddissimo, ma poi la casa veniva riscaldata. Non tutta: solo la cucina (dove si viveva la maggior parte del tempo) e al massimo anche una stanza contigua. Non c’erano “termosifoni”, come allora chiamavamo i radiatori: in cucina, oltre al fornello a gas per l’uso immediato, c’erano la “cucina economica” che poteva funzionare a legna, carbone o “caxate” e, d’inverno, la stua, la stufa a segatura. Segatura, legna (tranne una piccola scorta sempre a portata di mano), carbone, casate erano in cantina, cinque rampe di scale più sotto e lì si andavano a prendere ogni giorno.

La cucina economica era una benedizione: c’era sempre l’acqua bollente nell’apposita vasca con la parte inferiore incassata e la superiore in bella mostra, sopra il fornello una serie concentrica di anelli (piastre) permetteva di regolare l’apertura superiore a seconda della misura delle pentole e delle necessità di cottura. Sulle piastre centrali si poteva abbrustolire la polenta e scaldare la soppressa sopra la carta velina e altro, ai margini il baccalà alla vicentina pipava per ore e veniva buonissimo. E il forno per la putana (dolce vicentino) e arrosti vari, e le bronse per la fogara (braciere in terracotta) che messa nella monega ci scaldava il letto, e la cenere per coprire quelle braci troppo ardenti. Bastava accenderla al mattino e alimentarla secondo occorrenza, ma per cuocere qualsiasi cosa

This article is from: